16.
I ragazzi si accamparono a casa di Hunter per tutta la settimana seguente. Dormirono sul pavimento del soggiorno. Vince si portò il cuscino da casa. Hunter non fece una piega e accettò la situazione. Soprattutto dopo che Bowie gli spiegò che da un momento all'altro gli Skulls potevano presentarsi per far loro la festa. Per prepararsi a una simile evenienza, e vista la fama di tritaossa degli Skulls, i ragazzi avevano fatto incetta di munizioni, e ognuno dormiva con la sua pistola mitragliatrice stretta al petto e le tasche gonfie di proiettili.
Domenica sera erano riuniti in soggiorno – Roy era tornato da poco – e Joey aveva preso la parola.
«Se riuscissimo a liberarci del pensiero cosciente saremmo felici come un cazzo in una fica», stava dicendo, a conclusione di un lungo ragionamento.
«Quanta saggezza», fece Vince.
«Mah», disse Saul. «Tu che ne pensi?» chiese ad Hunter.
«Non ci ho capito un cazzo», rispose Hunter.
«Non sei il solo», disse Vince. «Nessuno capisce le stronzate di Joey.»
«Non sono stronzate. Questa è saggezza cosmica», disse Joey.
«Come no.»
«Mica è colpa mia se hai il cervello in coma.»
«Comunque», disse Vince, «quella stronzata del pensiero cosciente non vale per Moses. Lui un cervello non ce l'ha mai avuto.»
«Vero», rispose Moses. «Ma ho una mazza di trenta centimetri.»
«La legge della compensazione», disse Joey.
«E che sarebbe?» chiese Vince.
«Il Gran Capo, lassù, a volte dimentica di aggiungere un ingrediente all'impasto, e per farsi perdonare raddoppia le dosi di un altro. E così succede che la mamma di Moses ti scodella fuori un pupo con poco cervello e coglioni per due.»
«Credevo che il Vecchio Barbuto non facesse errori.»
«Ne fa. Guardati allo specchio e ne vedrai uno bello grosso.»
«Fottiti, Socrate.»
«Questo significa», intervenne Ozzy, «che Einstein e tutti i cervelloni come lui c'avevano il cazzo piccolo?»
«Forse qualcuno c'ha anche avuto 'sta sfiga, ma non è una regola», rispose Joey. «In genere 'sti geni hanno sempre qualche rotella fuori posto. Hemingway si sparò via mezzo cervello. Van Gogh si tagliò un orecchio e lo regalò a una tipa.»
«Un orecchio? Mi prendi per il culo?» chiese Vince.
«Se aprissi un cazzo di libro, uno vero, e non i Playboy sui quali ti spari le seghe, vedresti che non scherzo. Se lo tagliò via, ci mise attorno un foglio di giornale e glielo lasciò sulla porta di casa.»
«Che cazzo aveva, in testa?»
«Una fottuta guerra nucleare.»
«So di una tizia», disse Hunter, «che si è riempita le tasche di pietre e si è tuffata in un fiume.»
«Stai parlando di Virginia Woolf», disse Joey. «Allora qualcosa di buono te lo insegnano, in quella scuola del cazzo.»
«Mia madre leggeva i suoi libri. È stata lei a raccontarmelo.»
«Mi pareva. Le cose migliori si imparano a casa.»
«Io ho imparato a fare a pugni», fece Moses. «Il mio vecchio e io mettevamo su certi incontri che neanche a Las Vegas. Casa mia era un unico, grande ring.»
«E chi vinceva?» chiese Vince.
«Fino ai sedici sempre lui. Poi gli ho rotto il culo, e da allora mi ha lasciato in pace.»
«Io il mio l'ho preso a calci nelle palle, poi gli ho rubato la chiave inglese che usava per pestarmi e l'ho fatto viola come una cazzo di melanzana», raccontò Ozzy.
«Il mio vecchio era un infermiere», disse Joey. «Una sera torna a casa ed è più incazzato del solito. Si accorge la cena non è in tavola, tira fuori dalla tasca una siringa che ha fregato all'ospedale – era un cleptomane del cazzo...»
«E che sarebbe?» chiese Saul.
«Uno che sgraffigna roba perché non riesce a farne a meno», rispose Joey. «Tira fuori 'sta siringa, toglie il cappuccio dall'ago e punta mia madre come fosse un cazzo di toro e la mia vecchia fosse un torero che gli sventola davanti al naso un lenzuolo rosso. Ha gli occhi così fuori dalle orbite che a dargli un calcio in culo gli schizzerebbero via, e dalla bocca gli cola un rivolo di bava.»
«Era ubriaco?» chiese Saul.
«Forse si era fatto un cicchetto prima di tornare a casa, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Non mi pareva ubriaco, solo incazzato. Sembrava appena fuggito da un girone infernale. Se lo guardavi negli occhi non vedevi nessuna luce, e nemmeno il riflesso di quello che gli stava davanti. Quando vedo che si dirige verso mia madre con quella siringa sollevata sopra la testa come un coltello mi metto di mezzo. Lui mi dà uno spintone e mi manda col culo per terra, poi mette mia madre in un angolo, e lei si fa piccola come un gattino appena nato. Si accovaccia e si copre il volto con le mani, come una bambina che ha appena visto l'uomo nero sbucare dall'armadio.
«'Dove cazzo è la mia cena?' urla il mio vecchio. Si china, afferra mia madre per la maglia e la tira su. Lei piange e trema e continua a dirgli: 'Ti prego Louis, mi dispiace, scusami', e non riesce proprio a piantarla di chiedere perdono a quell'animale fottuto. Quel bastardo la prende per la gola e fa per ficcargli la siringa in un occhio, e allora gli salto addosso. Lo placco come un cazzo di difensore farebbe col quaterback che sta per mandare in meta l'attaccante, lo schianto contro il ripiano della cucina e la siringa gli scivola di mano. Mi allungo, la prendo e mi piazzo davanti alla mia vecchia, che intanto è tornata piccola e si è rannicchiata come un feto dietro di me.
«'Levati dal cazzo, pezzo di merda!'» mi urla contro il bastardo, e quando lo guardo negli occhi non vedo un cazzo, solo due buchi neri, ma dentro ci sono i diavoli che fanno le capriole. Mi afferra i polsi così che non posso ficcargli la siringa in mezzo agli occhi. Io gli mollo un calcio nelle palle che lo fa ululare come una baldracca e lui mi molla, ma solo per un secondo. Non ho neanche il tempo di tirare indietro il braccio che ha già preso un coltello dalla rastrelliera. Se lo passa da una mano all'altra, e quando mi guarda vedo che i diavoli che si dimenano in fondo a quei buchi neri sono saliti su per godersi lo spettacolo. Me la sono quasi fatta sotto, cazzo, e per poco non ci ho rimesso la pelle.
«Mi sono accorto all'ultimo che quella cazzo di lama grossa come una pinna di squalo stava per trapassarmi la gola. Mi sono spostato, rapido come un gatto, e non so neanche io come cazzo ho fatto a evitare il colpo. Mi ha preso di striscio.»
Joey scostò un lembo della maglia nera, che gli aderiva al petto muscoloso come un preservativo su un cazzo duro, e scoprì la spalla destra. C'era una cicatrice che la tagliava in due come un sentiero su una collina.
«Mi ha beccato, il fottuto», disse Joey, e coprì la ferita. «Ci ha riprovato e ci è andato vicino, ma sono riuscito a schivarlo ancora, e senza farmi tagliuzzare. Avevo tanta adrenalina in corpo che se avessi scoreggiato sarei schizzato sulla luna. Gli ho ficcato la siringa in gola e ho schiacciato lo stantuffo. Quel bastardo l'ha tirata fuori, ha fatto una faccia stronza ed è riuscito anche a fare qualche passo prima di stramazzare a terra, stroncato da un cazzo di infarto per tutta l'aria che gli avevo sparato in vena.»
«Che cazzo di storia», commentò Vince.
«Dillo a me», fece Joey.
«E poi che è successo?»
«Sono andato di fronte a un giudice e la giuria mi ha assolto. Appena uscito dal tribunale sono andato a cagare sulla tomba di quel bastardo.»
«L'hai fatto davvero?»
«No, ma ci ho pisciato sopra. Poi ho comprato una bomboletta di vernice e un accendino, ci ho tirato fuori un lanciafiamme per bambini e col fuoco ho cancellato le parole PADRE AMOREVOLE dalla lapide. E sotto la striscia nera ho scritto con la vernice rossa GRAN FIGLIO DI PUTTANA. Molto più azzeccato.»
Mentre Joey parlava, Hunter si figurò l'intera scena. Immaginò un Joey alto quanto un comodino che una notte di tanti anni prima si infilava in un cimitero, scovava la lapide del suo vecchio, tirava fuori l'uccello e la innaffiava con cura.
«Dove avete scaricato il mio vecchio?» chiese, gelando i presenti.
Un silenzio imbarazzato scese nella stanza.
«Perché?» chiese Vince.
«Voglio sapere dove cagare il giorno del suo compleanno.»
I ragazzi si guardarono e scoppiarono a ridere. Joey gli affibbiò una pacca sulla schiena. Bowie ghignava come un matto.
«Sei proprio una sagoma», fece Vince. E mentre lo diceva, un vetro al secondo piano esplose.
«Che cazzo...» disse Joey, e anche la finestra del soggiorno esplose.
Una bottiglia con uno stoppino infiammato sfondò il vetro e si infranse sulla Tv. Una fiammata come il respiro di un drago salì al soffitto e disperse piccole lingue di fuoco sul pavimento della stanza. Poi scoppiò il pandemonio.
«A terra!» gridò Bowie, e i ragazzi si gettarono a terra mentre una pioggia di proiettili bucherellava la casa.
Durò un'infinità, e mentre i ragazzi restavano inchiodati al pavimento, il soggiorno e il piano superiore prendevano fuoco.
«Dobbiamo squagliarcela!» gridò Vince.
Alzò gli occhi al soffitto e vide che iniziava a farsi nero. La prima molotov doveva aver centrato la finestra della stanza di Joe Grimes. Vince udì l'abbaiare furioso dei cani. Bowie recuperò la mitragliatrice, strisciò fino alla finestra come un soldato nella giungla, la sollevò oltre il bordo dentellato e sparò una raffica. La grandinata di piombo si interruppe. Bowie fece capolino e vide tre tizi in moto che giravano i loro mezzi e schizzavano via. Non riuscì a distinguere il disegno sul retro dei loro gilet, ma avrebbe scommesso un milione di dollari che si trattava di un teschio con una lingua a forma di pugnale.
«Sono filati. Usciamo da qui», disse ai ragazzi, e quelli saltarono su come quei pupazzi a molla.
«I cani!» fece Vince, e corse al piano di sopra prima che qualcuno potesse fermarlo.
Aprì la porta della stanza da letto e le fiamme lo ricacciarono indietro. Era un girone infernale, e i cani sembravano maiali arrosto. Qualcuno guaiva ancora, ma non c'era modo di salvarlo. Anche se Vince fosse riuscito a farsi strada tra le fiamme e a salvare uno di quelli agonizzanti, gli avrebbe forse regalato un'altra mezz'ora di vita, ma niente di più.
Una mano gli crollò sulla spalla e lo tirò via.
Era Joey.
«Che cazzo fai? Dobbiamo uscire di qui!»
Vince si scrollò l'amico di dosso e tornò dabbasso. Joey lo seguì e fu l'ultimo a uscire. Raggiunsero gli altri e restarono a guardare il grande falò. Hunter sembrava sotto shock. Negli occhi gli riverberava la luce dell'incendio. Ne sentiva il calore sul viso. Una buona metà della casa era avvolta dalle fiamme. Presto avrebbero divorato tutto il resto: pareti, carta da parati, la sua stanza...
Hunter schizzò verso la veranda come se gli avessero infilato un salame piccante nel culo.
«Che cazzo fa?» sbottò Ozzy.
«Merda», ringhiò Bowie, e si lanciò all'inseguimento.
Hunter infilò l'ingresso, passò accanto al soggiorno avvolto dalle fiamme e salì di sopra. La stanza dei cani era andata, ma la sua era ancora in piedi. Le fiamme avevano appena iniziato a lambire la porta e la parete accanto al letto. Hunter si infilò dentro e raggiunse il letto, scostò le lenzuola, sollevò il materasso e ci infilò sotto una mano. Tastò le doghe di legno finché non incontrò quello che cercava. Le dita lo strinsero e Hunter lo tirò fuori.
Strinse al petto il libro che sua madre gli aveva regalato e, quando si voltò per uscire, si accorse che era in trappola. Gli stipiti bruciavano e un muro di fuoco gli sbarrava l'uscita.
Oltre le fiamme intravide qualcuno.
«Schiaffa il culo in un angolo e cerca di non arrostire», disse Bowie. «Intanto mi invento qualcosa.»
Pensò rapidamente e alla fine corse in bagno. Prese una scorta di asciugamani, fece scrosciare l'acqua dal lavandino e li inzuppò. Se ne schiaffò un paio in testa e il resto lo portò con sé. Tornò indietro. Le fiamme divoravano il legno come Maude una bistecca. Bowie si lanciò, spiccò un salto e attraversò quella porta infernale. Una volta dentro si accorse che la barba stava prendendo piede come un cespuglio di rovi e si affrettò a soffocare il fuoco con un asciugamano.
Guardò Hunter, costretto in un angolo.
«Che cazzo hai nel cervello? Hai così fretta di morire?» abbaiò. Vide che stringeva qualcosa al petto. «E quello che cazzo è?»
«Un libro», fece Hunter.
«Un libro? Ti sei infilato in questo inferno per un libro fottuto?»
«Ne l'ha regalato mia madre.»
«Oh, Cristo...» Bowie lo raggiunse e gli schiaffò un paio di asciugamani bagnati in testa. «Ficcatelo nei calzoni», disse.
Hunter eseguì. Bowie lo prese in braccio e se lo strinse al petto, la faccia premuta sul petto. Si gettò contro il muro di fuoco e ci saltò attraverso. Un caldo soffocante li investì, ma durò meno di un secondo. Toccò terra dall'altra parte e subito si lanciò giù per le scale. Uscì fuori e l'aria della sera, fresca come rugiada di primo mattino dopo quell'inferno asfissiante, riempì loro i polmoni. Mollò Hunter, che si scrollò di dosso l'asciugamano e tossì un paio di volte. I ragazzi li trascinarono lontano dalla casa.
«Che cazzo ti è preso?» disse Vince ad Hunter. «Stavi per ammazzarti, e quasi ti portavi Bowie dietro.»
«Mi dispiace», disse Hunter.
Iniziava a rendersi conto del pericolo al quale era scampato.
«E quello che cazzo è?» chiese Vince. Gli occhi gli si spalancarono. «Sei tornato dentro per quello? Ti sei bevuto il cervello?»
«Vince, dacci un taglio», fece Bowie.
«Fa' vedere», disse Joey.
Allungò una mano e Hunter gli passò il libro.
«Le avventure di Huckleberry Finn», lesse Joey. «Ne trovi una copia a ogni angolo di strada.»
«Me l'ha regalato mia madre», disse Hunter.
«Possiamo continuare questa interessante conversazione da un'altra parte?» fece Vince. «C'è una casa che va a fuoco, e fra poco arriveranno gli sbirri.»
«Vince ha ragione», disse Bowie. «Leviamo il culo.»
Joey restituì il libro a Hunter. «Vieni», gli disse, e lo aiutò a montare in sella.
I ragazzi inforcarono le moto e sloggiarono.
Il rogo alle loro spalle illuminava la notte.
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