2. La casa

[2014]

Fin da piccola ho odiato la mia casa.

Una dimora in stile ottocentesco, dalle grandi porte, alta e tetra. C'erano finestre in ogni stanza, ampie, decorate e dai davanzali neri. I vetri erano sempre lindi, non una macchia li aveva mai contaminati, e davano sui grandi giardini che circondavano la casa.

Gargoyle di pietra stavano ai loro posti, osservando tutto, in bilico in cima alle torri più alte. Avevano occhi demoniaci incastonati di perle rosse come sangue.

A delimitare il territorio c'era un recinto di pietra, su cui io amavo arrampicarmi e sedermi, per restare lì a fissare il paesaggio sconfinato. Non c'erano città nelle vicinanze e tutto quel che si poteva vedere era un'immensa distesa verde. Le mattine d'autunno, la nebbia saliva dal terreno e nascondeva ogni cosa. Ah, quanto amavo stare lì seduta a studiare il mondo...

Ciò che odiavo era la casa vera e propria.

Quando ero costretta a rientrare, cominciavo a urlare e scalciare, dannando la vita di mia madre e delle domestiche.

Ricordo un giorno in particolare, che ha segnato la mia infanzia.

Al tempo avevo solo sette anni, ma per la mia età ero già molto sveglia. Avevo cominciato ad abituarmi alla casa, poiché avevo dovuto passarci l'intero inverno. La neve aveva coperto tutto e io mi trovavo ogni pomeriggio seduta alla finestra del soggiorno, a guardare fuori, il viso poggiato contro il vetro freddo da cui sembrava entrare il gelo esterno.

Spesso il cielo era nero e alla tempesta di neve si alternava una tempesta di fulmini e pioggia.

Quel giorno, i tuoni risuonavano fortissimi, così come i lampi. Mio padre era chiuso nel suo ufficio e mia madre stava insegnando una ricetta alla cuoca. Io decisi, dato che non avevo nulla da fare, di esplorare quella casa che tanto avevo odiato, ma che ormai mi stavo rassegnando a dover conoscere.

La noia porta a fare pessime scelte.

Presi una torcia elettrica dal cassetto del salone e mi diressi verso la parte della casa che ancora non avevo visitato, forse per l'odio che vi nutrivo o per la paura che quelle stanze mi suscitavano.

Il corridoio che portava alla parte vecchia della costruzione era buio e sinistro. Si vedeva a malapena dove mettere i piedi e senza torcia sarei di certo caduta o andata a sbattere contro la parete alla prima svolta.

D'un tratto tutto si illuminò. Dalla finestra alle mie spalle entrò la luce del lampo e, poco dopo, quando già ero immersa nel buio, si sentì il tuono rombare furioso. Inutile dire che il mio cuore di bambina fece un salto.

Ma, come una stupida, continuai a camminare.

Perché continuai a camminare?

Mi trovai davanti a una scala a chiocciola, che l'istinto mi diceva di evitare. Ma non lo feci, scesi, e mai decisione fu più sbagliata.

In men che non si dica sbucai in una stanza quasi del tutto buia. Intorno a me erano ammassati scatoloni pieni d'argenteria, sedie, tavoli e rammento la presenza di una statua rappresentante una donna. Aveva lunghi capelli ondulati ed era completamente nuda.

A un certo punto la torcia cominciò a fare le bizze: si spegneva e si riaccendeva di continuo, da sola, senza un apparente motivo. Oh, ma il motivo c'era.

Abbassai lo sguardo mentre colpivo l'oggetto ripetutamente e, quando li rialzai – insieme alla luce della pila –, vidi una grande ombra nera incombere su di me. L'odore di chiuso era diventato odore di putrefazione senza che me ne accorgessi, la stanza era ora del tutto oscurata e una creatura spaventosa volava davanti a me. Era completamente nera e il suo mantello infangato e strappato le svolazzava attorno. Le mani che alzò verso di me erano scheletriche, ossa bianche e rigate, secche. Sapevo che se mi avesse sfiorato sarei scomparsa in quella stanza dimenticata.

E i suoi occhi, oh, i suoi occhi erano qualcosa di orribile. Il volto bianco d'osso era scavato, sembrava che pelle e muscoli fossero stati prosciugati. Non aveva labbra, solo una fessura da cui spuntavano denti acuminati e ingialliti. Le cavità oculari sarebbero state due pozzi vuoti, se non per quei due punti rossi, malefici mentre fissavano i miei.

Ricordo di aver lanciato un urlo, ma se ora ci ripenso non sento alcun suono uscire dalla mia bocca.

Rimasi lì qualche istante, immobile, a fissarlo, finché l'essere non scattò verso di me e io mi voltai e corsi, veloce come mai nella vita, e tornai al piano superiore. Cercai mia madre, mi rifugiai fra le sue braccia e piansi, molto forte. Quella notte non chiusi occhio.

Alle volte faccio ancora fatica a dormire.

Oggi vivo ancora qui, in questa casa. I miei genitori mi hanno lasciata da tempo e ciò che ho ricevuto in eredità sono le ricchezze di famiglia e questo edificio terribile.

Poco dopo la mia avventura, la stanza fu murata. Dieci anni fa ho fatto murare anche le scale e il corridoio. Ogni cosa è rimasta lì ferma come quel giorno, bloccata per sempre.

Spesso non sono a casa, viaggio molto per lavoro, ma quando il mio girovagare finisce torno sempre qui, nel posto che odio di più su questo pianeta.

Ma almeno, ciò che mi rassicura, è che quel mostro non potrà uscire e che questa casa sarà la sua tomba.

_

Nelle profondità della casa, murata in una stanza, una bestia demoniaca vola solitaria.
È costretta a vivere in quel luogo ameno, bloccata lì per l'eternità.
Ma qualcosa la rassicura, nel buio e nella solitudine: una crepa che anno dopo anno comincia a farsi strada nel cemento.

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