1. Nel bosco

[2014]

Questa notte è buia e io non riesco a stare tranquilla. Non importa quanto mi sforzi, quanto io serri forte le palpebre per non guardare i riflessi della luce: il mio cuore non smetterà di pompare né il nodo nel mio stomaco stringerà meno. Distesa nel mio letto, avvolta in lenzuola azzurre, a osservare il soffitto nell'oscurità della stanza, non posso controllare il mio respiro.


Fuori il vento è forte e io sento il bisogno di uscire e di camminare sul sentiero di terra battuta, tra le folte chiome degli alberi del bosco.

Senza che io lo voglia, il mio corpo manda impulsi nervosi che più passa il tempo più diventano dolorosi, fino a quando non mi ritrovo in piedi, al piano terra e diretta alla porta di casa. Mia sorella dorme sul divano, stravaccata senza un contegno, ancora in ghingheri e probabilmente ubriaca fradicia. Non si accorge di nulla.

Avvolta nel mio pigiama bianco, sento il vento fresco della notte insidiarsi sotto al tessuto; solleva i miei capelli scuri e mi congela lentamente. Lascio che il mio viso venga colpito dalle dolci e gelide raffiche d'aria e senza fiatare continuo a camminare, a testa alta. Dopo un po', la casa scompare alla vista, lasciata alle mie spalle e nascosta dal limitare del bosco.

Questo luogo, se devo essere sincera, non mi è mai piaciuto. Ha qualcosa di strano, di... malvagio, oserei quasi dire. Non mi ci sono mai avventurata e non avevo la minima idea di farlo, men che meno di notte, ma ogni cosa adesso appare oscurata e l'unica scia di luce è questo richiamo.

Cammino tra gli alberi alti, le foglie verde scuro che frusciano, e a me sembra di sentire un rumore di passi. Ma devo sbagliarmi, deve solo essere il vento che soffia fra i rami. Qui non succede mai niente. Dove vivo, la noia è l'unica routine.

Eppure...

Eppure.

Eppure, nel profondo del mio cuore, sento che c'è una nota stonata. Conoscete quella sensazione di prurito sottocutaneo dietro al collo, no? Quella che si ha quando ci si sente osservati. Ecco, in questo momento è agli estremi. Il mio istinto mi dice di scappare, di correre via, ma io non lo faccio. Continuo semplicemente a camminare, senza accorgermi, o magari ignorandoli di proposito, degli occhi che mi fissano senza mollare la presa.

Un altro fruscio.

Stavolta giro di scatto la testa e questa volta non me lo sono immaginata. Non sono state le foglie.

Voglio voltarmi e tornare a casa, ma c'è sempre quel qualcosa a trattenermi e che mi impedisce di fare marcia indietro. E quei passi, quei dannatissimi passi, continuano ad avvicinarsi. E perciò seguo il sentiero, aumentando il passo, perché non c'è altra via se non questa.

Ora sono talmente veloce che i miei piedi quasi inciampano sulla strada, ma non posso fermarmi, non ora che so cosa mi segue. Ho sbagliato a ruotare la testa, a intravedere quella figura fra i tronchi, alta, nera e slanciata, che corre rapida verso di me.

Lancio un urlo con tutto il fiato che ho in gola, ma non esce niente.

E poi urto contro un sasso e cado a terra.

Mi volto giusto in tempo per vedere la figura mostruosa chinarsi su di me. Forse avrei fatto meglio a non guardare. I suoi occhi sono bianco latte, disseminati di vene rosse e gonfie. Non ha labbra, non ha volto, sembra fatto interamente di fumo.

«Woshioldoow» dice con una voce profonda, ma stranamente non spaventosa.

«C-cosa?» gracchio.

La creatura non risponde, si limita a guardarmi, il volto-non-volto a pochi centimetri dal mio. E poi sussurra uno: «Scappa!» Pochi istanti dopo, uno sparo risuona nell'aria e un proiettile attraversa la testa di fumo del mostro, che svanisce di fronte a me. Al mio fianco appare un uomo, il capo quasi interamente pelato e un addome prominente.

«Stai bene?» mi chiede con sorriso gentile, offrendomi la mano, che però io rifiuto. Scioccata da tutto quello che è appena successo riprendo a correre. «Ehi, dove vai?!» urla lui, inseguendomi, fino a quando non arrivo davanti a una casa, uscendo dal folto del bosco. È fatiscente, costruita con assi di legno ormai ammuffite e a tratti pronte a cedere.

«Ops, credo tu abbia preso la direzione sbagliata» interviene d'improvviso la voce dell'uomo, contro il mio orecchio.

Non faccio in tempo a pronunciare una sillaba, prima che la sua mano mi tappi le labbra. È allora che un coltello scatta la prima volta, affondando nella carne morbida del mio addome.

E poi un'altra coltellata.

E ancora.

E ancora, finché non mi trovo a terra e tutto il mondo gira su se stesso. Sento l'uomo ridere, per poi scavalcarmi e sparire dal mio campo visivo.

Ora so cosa mi chiamava nel bosco, lo sapevo sin dall'inizio.

Dopotutto, la Morte ha un canto speciale per ognuno di noi.

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