𝟯. 𝗘𝗟𝗟𝗘𝗡 𝗜𝗧𝗢




Gironzolai per la casa, chiedendo scusa agli ospiti urtati per sbaglio. Alcuni punti del cottage erano così stretti, che passare senza farsi minuscola era quasi impossibile.

Le pareti erano adornate con vecchie fotografie in bianco e nero e quadri di paesaggi marini per niente adatti all'animo collegiale.

La musica in sottofondo, un mix di scarso remix, riempiva l'area, mentre il fetore di sudore e alcol si infrangeva su ogni indumento.

Mi guardai attorno, gli occhi che seguivano ogni lineamento delle persone che condividevano il mio stesso spazio.

A un tratto, adocchiai Javier, uno dei compagni di squadra di Adonis, che stava chiacchierando con un gruppo di amici vicino al camino acceso.

«Javier!» lo chiamai con un sorriso, e il ragazzo dalla folta chioma corvina voltò la testa verso di me, ricambiandolo con calore.

«Ellen! Ti stai divertendo?» mi chiese, con un tono gentile, frutto di anni di educazione impartita dai suoi genitori. Il suo atteggiamento appariva sempre rassicurante, e mai invadente.

«Sì, è incredibile» ammisi con un ansito, cercando di farmi sentire sopra il brusio del party. «La festa è fantastica e la vostra partita è stata emozionante. Congratulazioni comunque!» aggiunsi, con un entusiasmo tale da far sorridere Javier come un ebete.

«Grazie» rispose lui, bevendo un sorso dal suo bicchiere che conteneva un cocktail dal colore vivace. «Hai bisogno di aiuto?»

Distraendomi di sfuggita dalla confusione nel salotto, riportai gli occhi su di lui. «Oh... sì! Scusami, hai visto dove si è cacciato Adonis?»

Javier si guardò attorno, scrutando la folla con attenzione. Il rumore sordo delle conversazioni, e il movimento incessante delle persone rendevano difficile individuare qualcuno.

«Credo di averlo visto laggiù» disse, indicando un punto in cui la folla era particolarmente densa.

Per me, invece, era quasi impossibile vedere attraverso quella massa di gente, vista la mia altezza.

«Stava discutendo con Buster.» Sgranai gli occhi per la sorpresa.

Buster era sempre stato una persona razionale, il tipo che contava fino a dieci prima di rispondere a una provocazione. Era noto per la sua calma e la sua capacità di mantenere il controllo in situazioni difficili, soprattutto nel gioco, e probabilmente, era l'unico, oltre a me, capace di gestire uno come Adonis.

«Adonis e Buster che discutono?! Sei sicuro di quello che hai visto?»

Javier scrollò le spalle, un'espressione di incertezza sul volto.

«Non ne sono sicuro al cento per cento, ma sembrava che stessero avendo una conversazione piuttosto accesa. Perché, c'è qualche problema?»

Mi morsi il labbro, preoccupata. «Hai idea di cosa stessero parlando?»

Javier alzò gli occhi, riflettendo per un momento. «Adonis ha strappato le chiavi della macchina dalle mani di Buster» rivelò. «E Buster era contrariato, soprattutto perché Adonis sembrava brillo» fece una pausa, cercando di ricordare ogni dettaglio della conversazione.

Annuii, e il mio sguardo si fece più intenso. «E poi se ne sono andati»

«E dove sono andati?»

«Non lo so» ribatté Javier, scuotendo la testa, lasciandosi andare in un sospiro.

Mi girai e corsi verso la porta d'ingresso, controllando freneticamente di avere le chiavi della macchina. Un oscuro presentimento mi passò per la mente e la situazione mi agitò ancor di più quando mi caddero dalle mani, finendo sul pavimento.

«Cazzo» imprecai, piegandomi per raccoglierle.

Diverse paia di gambe ingombranti mi sfilarono di lato, facendomi quasi perdere l'equilibrio. «Fate attenzione, coglioni!» sbuffai, riuscendo a recuperare le chiavi con un gesto rapido.

«Ellen» la voce di Lily mi fece irrigidire.

Mi alzai di scatto, sistemandomi involontariamente i capelli. La ragazza di cui mi ero innamorata dal primo anno di college era lì, davanti a me, un sorriso dolce e sensibile come il vestito a fiori che indossava, che le conferiva l'aria di un personaggio uscito da una fiaba.

«Lily!» esclamai sorpresa, maledicendomi subito dopo per la reazione impulsiva. Mi schiarii la gola, cercando di mantenere la calma, ma non fu un problema per lei, il cui sguardo si intristì vedendo le chiavi dell'auto nella mia mano.

«Stai già andando via?» chiese.

«Questioni personali» risposi sbrigativa, evitando il suo sguardo. «Non dovrei metterci molto.»

Lily tirò un sospiro di sollievo, mordendosi il labbro inferiore in un gesto nervoso. «Se non ci metti molto, ti va di raggiungermi al Tunnel?» aggiunse speranzosa.

Esitai per un momento, il cuore che mi batteva forte nel petto. «Certo, mi farebbe piacere.» Accennai infine un sorriso timido che si formò sulle labbra.

Lily allargò le sue, mostrando la fila dei denti bianchi che brillavano sotto la luce soffusa dell'ingresso. Si avvicinò lentamente ma l'odore speziato del suo profumo mi avvolse completamente e trattenni il respiro, in attesa.

Lily mi lasciò un bacio delicato sulle labbra.

«Questo è per dopo» sussurrò a fior di labbra, il respiro caldo contro la mia pelle. Poi, con un ultimo sguardo, si allontanò.

Un tuono violaceo squarciò il cielo, illuminando per un istante i punti morti che si allungavano sulla strada come ombre. Non appena abbandonai l'uscita della casa, mi infilai in macchina, chiudendo la portiera con un colpo secco.

Un paio di ragazzi con le giacche tirate su per ripararsi dalla pioggia passarono al cofano della macchina ignorando chi ci fosse all'interno.

Il cielo era coperto di nuvole scure e una leggera pioggerella iniziò a cadere, creando piccoli cerchi sulle pozzanghere sparse nel vialetto.

Appoggiai le mani tremanti sul volante, sentendo il freddo del metallo sotto le dita e, certa di trovarmi da sola, mi feci scappare un urletto di felicità per il bacio appena ricevuto.

Le luci della festa brillavano ancora attraverso le finestre della casa, proiettando un contrasto di brillii danzanti sul prato. La musica, seppur attutita, si sentiva ancora in lontananza.

Non riuscii a distogliere lo sguardo dal parabrezza appannato dove le gocce di pioggia creavano percorsi irregolari. Ero stata fortunata a non essermi bagnata, e altrettanto fortunata per come Lily mi aveva fatto quella richiesta. Un piccolo sorriso curvò le mie labbra e scossi la testa, rammentandomi del motivo per cui avevo abbandonato il party ed ero salita in macchina.

Poi sbuffai con frustrazione.

Il mio respiro creò piccole nuvolette di vapore nell'aria fredda dell'abitacolo.

«Giuro, Adonis, questa volta ti uccido!» riflettei ad alta voce, stringendo i denti. «Spero che tu abbia un'ottima spiegazione.»

Speravo che il richiamo della mia minaccia lo raggiungesse, ovunque si trovasse.

Il pensiero di lui, il sorriso sfrontato e gli occhi scintillanti di malizia mi fecero stringere il volante con più forza, mentre la pioggia aumentava d'intensità, tamburellando sul tetto della macchina.

Ma era anche vero che Adonis sarebbe stato capace di farsi perdonare, in un modo tutto suo.

Sfilai lo smartphone dalla tasca dei jeans e controllai il GPS; gliene avevo messo uno all'interno del cellulare e non era stato per niente difficile dato che ero davvero pratica, giacché la laurea in giurisprudenza era solo frutto di un futuro sicuro, come avrebbe voluto mio padre, niente di più e niente di meno; ma la mia ambizione era un'altra.

Girai la chiave e misi in moto, accendendo i fari.

Le luci illuminarono la parte oscura della strada, rivelando le pozzanghere e le foglie cadute. Dopodiché, marciai, seguendo la linea di confine che tracciava, e legava, il mio dispositivo a quello di Adonis.

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