𝟮. 𝗕𝗨𝗦𝗧𝗘𝗥 𝗥𝗢𝗖𝗞𝗕𝗘𝗟𝗟
Sto aspettando.
Sono in attesa.
Ma non lo vedo arrivare.
Controllai l'orario sul cellulare, rendendomi conto che c'era poca connessione. Sbuffai, mollando il dispositivo sul cofano della macchina, e ritornai a guardare nella direzione in cui avevo visto per l'ultima volta il capitano.
«Che stai combinando, Adonis?» mi interrogai, sapendo che non avrei potuto darmi una risposta.
La notte era semplicemente buia, ogni rumore si trasformava nell'acuto del vento, e alcuni animali prendevano vita propria quando il sole iniziava a calare all'orizzonte.
Le ombre degli alberi si allungavano minacciose, e il fruscio delle foglie era un sussurro inquietante. Il cielo iniziò a coprirsi di nuvole scure, nascondendo le stelle, aumentando la sensazione di isolamento dalla città.
Tamburellai le dita sul volante.
Erano più di venti minuti che Adonis si era allontano, e mi ero stufato di aspettarlo lì, senza sapere effettivamente cosa ci fosse dietro.
L'ansia iniziava a farsi sentire, un nodo allo stomaco che non riuscivo a scacciare via. Il silenzio era rotto solo dai miei sospiri pesanti che si sincronizzavano al lontano ululato di un cane.
Se resto un altro minuto qui, impazzisco.
Spalancai la portiera e misi un piede fuori, pronto a dirgliene quattro se lo avessi beccato all'interno del bosco con qualche strana idea malsana.
Come quella volta alla partita contro il St. Anthony.
Il freddo della notte mi colpì immediatamente, facendomi rabbrividire, motivo per cui mi guardai intorno cercando di scorgere qualche movimento nell'oscurità, ma il terreno era irregolare e coperto da foglie secche che scricchiolavano sotto i miei passi.
Non vi era alcun lampione a proiettare luce, come se fossi in una pellicola dell'orrore; eppure, mi armai di coraggio, addentrandomi nella fitta vegetazione.
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