𝟯𝟳. 𝗔𝗗𝗢𝗡𝗜𝗦 𝗟𝗘𝗕𝗟𝗔𝗡𝗖
«Mi stai prendendo per il culo?»
Inalai un grande respiro, come se l'aria fosse improvvisamente diventata troppo densa, quasi da soffocarmi.
«No. Te l'ho detto: è la Morte.» La guardai, gli occhi fissi nei suoi con una miscela di rabbia repressa.
«Tu lo sai che è un problema, se davvero mi stai dicendo la verità, ovviamente?» Ellen gesticolò nervosamente, rimettendo insieme le idee. Aveva ragione, ma non mi interessava.
«È la verità» ribattei senza esitazioni, il tono quasi tagliente. «Dicevi... perché è un problema?»
Lei non rispose subito. Limitandosi ad alzare le spalle con indifferenza, si lasciò cadere sul letto; il materasso scricchiolò sotto il suo peso. Gli occhi vagarono per la stanza, cercando di distrarsi dalla pesantezza della situazione. «Perché soggiorni in un motel?»
L'inquietudine di quella domanda mi colpii più del previsto.
«Ellen!» Mi ritrovai a esclamare con autorità. «Niente domande. Rispondimi.»
«Vuoi che ti risponda dopo che, quando lo hai scoperto, hai mantenuto i nervi saldi?» Quasi si esaltò dal nervosismo. «Tu sei folle!»
No, non lo sono.
O forse, sì.
Mi pizzicai gli occhi, il corpo che cedeva alla stanchezza, sedendomi su una sedia di velluto rosso.
«E se fosse solo una malata di mente?» La domanda le uscii a fatica, quasi non volesse pronunciarla.
«Ellen...» La esortai con voce bassa, rassegnata, ma lei non se ne curò. Si fece più decisa, le mani impazienti che battevano sulle lenzuola.
«Adonis, tutti pensano di essere santi o messaggeri di Dio» sbottò, alzando la voce. «Ma sono solo fuori di testa!»
A quel punto, mimò un gesto esagerato: portando il dito alla tempia, lo fece roteare più volte, sottolineando un chiaro simbolo di follia.
«Pensano di vedere una luce divina e giurano che sia la Madonna! Non è così che funziona!» Il tono acuto e ansioso, provando a convincere sé stessa più che me. Ma la sua espressione tradiva l'incertezza: stava cercando di convincermi che c'era una spiegazione razionale, lottando contro ciò che non riusciva ad accettare.
Schiusi le labbra, bagnandole, tutto per prendere tempo.
«Ti sei mai chiesta perché uno come Miles Campbell sia scomparso?» domandai, con una punta di freddezza, come se stessi gettando un sasso in uno stagno calmo, volendo scoprire cosa ci fosse sotto la superficie.
Ellen mi guardò, imbronciata. «Non fare il gioco del mistero con me, Adonis» ribatté, alzando il sopracciglio con una certa apprensione.
Mi alzai dalla sedia con calma, le mani che si incrociavano dietro la schiena e gli occhi che non la lasciavano mai. «Un detective che segue il caso di Miles mi ha detto che Heather, la sera della scomparsa, era nel suo pickup.»
La reazione di Ellen fu immediata. I suoi occhi si spalancarono, come se le avessi appena tirato un pugno in faccia.
«Che... cosa?» Un'espressione di incredulità pura le attraversò il volto. «Perché non me l'hai detto prima?»
Mi fermai, a un passo dalla sua domanda, cercando di trovare le parole giuste. Ma la verità era che non sapevo cosa dirle.
Perché non le ho detto un'informazione così importante?
Forse avevo paura che reagisse come una fottuta pazza, oppure, forse, avevo paura che si comportasse proprio come una fottuta pazza.
«Lei c'entra qualcosa?» Mi guardò per un istante con un'espressione indecifrabile.
«Forse.»
Ellen, che fino a quel momento era stata in silenzio, tirò un lungo respiro. «Metterci in conflitti del genere» fece, con un tono di voce inquieta. «Causerà solo caos. Se lei è qui, significa che qualcosa è stato distrutto.»
«Distrutto, come?»
«Se la Morte è qui, se qualcosa è stato distrutto, allora le cose stanno andando ben oltre quello che credi»sussurrò, con la paura di essere sentita da qualcuno. O qualcosa. «Forse, lei non ti ha detto tutta la verità.»
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