Capitolo 7
“Cara Annie,
ho fatto un casino, perdonami. Mi manchi. Mi manchi da morire.
Tuo, Armin”
Le ultime parole della lettera erano state cancellate, sovrastate da righe decise dell'inchiostro nero della penna usata. Il foglio sembrava in procinto di strapparsi dalla forza con cui Armin aveva tracciato quei segni. Perché avrebbe dovuto nasconderle? Non sapeva spiegarlo. Armin non trovava una motivazione che lo giustificasse – forse il terrore che Annie leggendole potesse pensare che fosse patetico. Quel foglio di carta portava ancora con sé l'odore dell'acqua del lago e del profumo che aveva usato Hitch. Un'aroma floreale, dolce, ma invadente. Quel profumo avrebbe continuto a permeare sui vestiti che indossava quel giorno, neanche la pioggia era riuscita rimuoverlo. Non sapeva come giustificare quell'improvviso attaccamento verso Hitch. Forse era un suo desiderio egoista di poter restare vicino a qualcuno a cui Annie aveva voluto bene. Eppure temeva che proprio quel sentimento potesse essere la fonte di problemi futuri, che non era in grado di prevedere. Soprattutto perché il suo cuore apparteneva ad Annie. E Hitch era già fidanzata. Avrebbe voluto chiarire la situazione, ma non voleva aver frainteso la ragazza. Risultare inutilmente aggressivo con la migliore amica della sua quasi-ragazza non avrebbe certo giovato alla sua di relazione. Forse era quello l'errore.
Era stata una pigra mattina di fine giugno, niente da fare in quella monotona cittadina. Le stesse partite di calcio della squadra locale, gli stessi film proiettati ripetutamente, lo stesso odore del pane appena sfornato dal fornaio. Ancora più caratteristico era Eren che correva per le vie del paese, rischiando di inciampare su gradini, urtando vasi, investendo passanti, per poi procedere con l'ennesimo tentativo di rompere una delle finestre della camera di Armin, lanciando dei sassolini contro il vetro, per poter attirare l'attenzione dell'amico – o in alternativa di qualche vicino infastidito dall'adolescente che sembrava essere iperattivo anche alle sette del mattino.
“Eren, qual è il tuo problema?!” sussurrò Armin, ancora assonnato, dopo aver sceso velocemente le scale e aver raggiunto l'ingresso, per intimare al castano di smettere qualunque cosa stesse facendo.
“Vestiti, stiamo al lago!” esclamò Eren e Armin capì che tornare a dormire sarebbe ormai stato impossibile.
“Cinque minuti e ci sono, ci troviamo direttamente in stazione?” chiese il biondo, sperando che Eren cadesse nel suo tranello e se ne andasse. Ma l'amico scosse la testa energicamente.
“Me lo hai già fatto questo scherzo, mi assicurerò personalmente che tu venga con me!” se non fosse stato Eren, Armin l'avrebbe interpretata come una minaccia. Forse proprio perché si trattava di Eren, quelle parole sarebbero dovute essere interpretate come una minaccia. Ormai erano amici da troppo tempo e non si meravigliava più delle follie dell'amico. Si sarebbe limitato a lasciarsi trascinare dalla corrente.
Alla stazione si era già radunato il solito gruppo di amici. Un'altra cosa che Armin pensava non sarebbe mai cambiata. Ognuno occupava dei ruoli precisi, non intercambiali, recitava una parte. Non erano ammessi sostituti. Connie e Sasha erano il duo comico. Eren l'attaccabrighe. Marco la mamma del gruppo. Annie li giudicava tutti silenziosamente. Jean quello con i complessi di superiorità. Mikasa la sorella maggiore più responsabile. Talvolta anche Niccolò si univa a loro, nel ruolo dell'innamorato senza speranza. Armin chi era? Definire sé stesso risultava sempre più complicato rispetto al definire i suoi amici. Forse poteva considerarsi quello intelligente del gruppo? Un'enciclopedia vivente addirittura, ma non era certo. Non aveva una grande considerazione del proprio io, tendeva a vedere gli altri come i protagonisti di quella recita ambientata nel mondo reale. Se Eren avesse potuto leggergli nel pensiero probabilmente gli avrebbe detto di smetterla – che doveva essere noioso pensare in tal modo. Ora però Annie e Marco non c'erano. Mancava dell'equilibrio.
A distrarlo da quel fiume di riflessioni che prima o poi lo avrebbe annegato – come spesso scherzava – fu la scena che si svolse di fronte ai suoi occhi mentre Mikasa e Jean compravano i biglietti del treno e il resto del gruppo invadeva il piccolo bar. Il treno precedente a quello che avrebbero preso era in partenza e due giovani, invece che sbrigarsi prima che cominciasse il suo viaggio, discutevano animatamente. Armin era abbastanza vicino da distinguere alcune delle parole urlate che pronunciavano, ma non riusciva a percepire il discorso nella sua interità. Inoltre, i due erano girati di spalle, quindi non riconosceva chi fossero, benché avessero un'aria familiare.
La ragazza non sembrava intenzionata a salire e strattonava il compagno per la manica della felpa che indossava. Sembrava stesse partendo per andare in guerra a giudicare dalla reazione di lei. Armin dovette concentrarsi sui singoli dettagli della scena che si stava svolgendo di fronte a lui per rendersi conto che conosceva quella coppia – o meglio, conosceva lei, ma per estensione sapeva anche chi fosse il giovane che la accompagnava.
Indossava una camicetta bianca, decorata con un motivo floreale – ma Armin non se ne intendeva di fiori, ma il loro colorito azzurro lo convinse che si trattasse di non-ti-scordar-di-me – e una gonna in denim. Lo zaino in pelle pendeva precariamente da una spalla, mentre i capelli biondo fragola lunghi fino alle spalle ondeggiavano a causa dei continui movimenti della ragazza. Quando si voltò per qualche secondo, i dubbi di Armin diventarono una certezza. Hitch e Marlo. Hitch però era diversa da come l'aveva vista ormai due settimane prima, era sia intimidatoria come la aveva sempre percepita, che fragile, come quel pomeriggio conclusosi a casa sua, dopo aver parlato di Annie. Ma mai avrebbe pensato di vedere lacrime scorrere da quegli occhi dai riflessi verdi. Si sarebbe intromesso, se la voce sintetica non avesse annunciato l'immediata partenza del treno. Attese finché Hitch non rimase da sola, a qualche passo dalla linea gialla, ad asciugarsi le lacrime con le mani, senza curarsi di cercare un fazzoletto nello zaino, che ora ricadeva a terra al suo fianco.
Armin non sapeva come comportarsi, si limitò a raggiungerla velocemente. A cercare per lei un fazzoletto nel proprio di zaino. A stringerla nuovamente tra le sue braccia come aveva fatto due settimane prima. Si stava abituando a quel profumo di fiori di ciliegio che la ragazza usava. Eppure odiava al contempo come l'essenza si insidiava con persistenza nelle sue narici, senza abbadonarlo. Cercò di non farci caso, mentre gradualmente i singhiozzi di Hitch diminuivano di intensità.
“È un bastardo, non capisco perché continuo a perdere tempo con uno come lui, è evidente che le sue priorità siano altre.” commentò Hitch, velenosa, separandosi da Armin “Non voglio molto, solo che passi un po' di tempo con me.”
Armin non osò interromperla, aspettava che la ragazza continuasse a parlare e nel frattempo i suoi occhi si alternavano tra la bionda e lo schermo su cui apparivano gli orari dei treni. Il loro sarebbe arrivato in tredici minuti. Sarebbe stato in ritardo di sette, rispetto all'orario prestabilito.
“Capisco l'importanza dei suoi studi ma è sempre impegnato. Non trova tempo per me ma lo trova per andare al cinema con i suoi amici, per andare in montagna con i cugini, per visitare anche il papa, ma se gli chiedo di prendere un gelato dice che non ha tempo! Adesso sta andando non so dove, nonostante avessimo deciso di uscire assieme!” Hitch inspirò profondamente, il colorotio paonazzo che aveva assunto il suo viso stava lentamente tornando alla sua solita tonalità.
“Scusa Armin, non volevo alzare la voce con te.”
“Tranquilla, non ti giudico.” avrebbe voluto avere lo stesso coraggio di Hitch. Ammettere ad alta voce cosa ci fosse di sbagliato, avere la forza di lamentarsi, di fare affidamento su qualcun altro. Invece tutto ciò su cui sceglieva di contare era solo e soltanto sé stesso. E i boschi che circondavano il paese che sempre più spesso raggiungeva di notte e urlava, urlava come se qualcuno lo stesse inseguendo, come se volessero ucciderlo. A inseguirlo sono i suoi rimorsi, i fantasmi dei suoi amici che lo maledicono, che lo insultano, che continuano a ripetergli che lui dovrebbe essere sotto una lapide. Armin continua a urlare ma quegli spettri non scompaiono. Si sveglia nel fango, deve aver piovuto, ma non ricorda perché non si trovi nel suo letto, ma in mezzo alla fitta foresta. Torna a casa, ma suo nonno dorme ancora. Succede sempre più spesso ma nessuno se ne rende conto.
“Penso che tornerò a casa...” commentò Hitch, lasciandosi sfuggire un sospiro, ma prima che possa allontanarsi, Armin le afferrò delicatamente il polso.
“Aspetta, se vuoi puoi venire con noi, stiamo andando al lago.”
Hitch gli sorrise per poi accettare.
Armin aveva notato molti dettagli che gli erano sfuggiti durante quel viaggio in treno. Jean sembrava più malinconico del solito, benché tentasse di ridere alle battute di Connie – Armin non poteva sapere che Jean e Marco andassero spesso assieme a passeggiare sulla riva del lago. Il legame tra Niccolò e Sasha era forte tanto quello tra la ragazza e Connie, ma di una natura diversa, e probabilmente Armin aveva sempre frainteso il rapporto tra Sasha e Connie, che ora gli sembravano due fratelli. Eren e Mikasa erano gli unici che continuava a vedere per come erano sempre stati, niente dettagli che gli sfuggivano, almeno in apparenza. Poi c'era Hitch, che Armin ancora non aveva inquadrato e che osservava fuori dal finestrino con aria assente, probabilmente pensando al fidanzato, in viaggio verso luoghi a loro sconosciuti.
Si soffermò prima su Niccolò e Sasha. Sasha si era assopita, appoggiandosi alla spalla del biondo, mentre quest'ultimo le accarezzava i capelli. Sarebbero potuti essere lui e Annie. Incrociò involontariamente lo sguardo di Jean. Anche lui sembrava pensare lo stesso.
Hitch sembrò improvvisamente animarsi quando oltre il finestrino comparve finalmente la distesa blu del lago, che andava a confondersi con la linea dell'orrizzonte. Se Armin non lo avesse saputo, avrebbe pensato avessero raggiunto il mare invece che un lago.
La solita voce sintetica annunciò l'imminente arrivo al capolinea e il gruppo di amici, afferrati zaini e borse, si preparò a scendere – prestando una particolare attenzione al trio di sbandati composto da Eren, Sasha e Connie, per evitare che si perdessero. Ciononostante Eren rischiò di cadere mentre lasciava il treno. Tipico, pensò Armin.
Forse era quanto di più simile alla normalità che il biondo potesse auspicare.
Armin rimase indietro, seguendo lentamente i suoi amici. Eren si guardava intorno con aria entusiasta, accompagnato da una Mikasa giustamente preoccupata per la sua sicurezza. Jean si accertava che stessero seguendo il sentiero corretto, essendo stato l'unico a visitare regolarmente quel luogo. I suoi occhi nocciola si fissarono su un elemento che Armin non avrebbe altrimenti notato, se non avesse attentamente osservato i movimenti dei compagni. Sul tronco di un albero era stato inciso “J+M”. A giudicare da come appariva la scritta, dovevano essere trascorsi ormai degli anni. Jean fece scorrere il dito indice su quella “M”. Doveva essere stato lui a inciderla, mentre Marco protestava che non era educato ferire l'albero per un motivo così futile. Armin preferì poi concentrarsi su Connie e Sasha, che si rincorrevano, saltando nelle pozzanghere fangose, inseguendosi con dei legnetti marci raccolti dal terreno, mentre Niccolò li ammoniva di fare attenzione e occasionalmente era costretto ad afferrarli prima che inciampassero sulle radici sporgenti degli alberi.
Anche Hitch si tratteneva a distanza dal resto del gruppo. “Forse non sarei dovuta venire...” commentò scoraggiata, rivolgendosi ad Armin. “Sono i tuoi amici, non i miei... e, prima di tutto, neanche noi due siamo amici. Avresti dovuta lasciarmi alla stazione.” spiegò tranquillamente la ragazza.
“Se lo avessi fatto, pensi che Annie mi avrebbe perdonato?” rispose Armin, cercando di scherzare, benché il suo tono fosse tutto fuorché scherzoso.
“Probabilmente sì. Non credo ci avrebbe fatto tanto caso comunque.”
“Ti sbagli!” ribatté Armin “Ci avrebbe fatto caso! E io ti considero una mia amica.” forse aveva esagerata, ma non voleva che l'umore di Hitch guastasse quello del resto del gruppo. Le avrebbe mentito se fosse stato necessario, ma era una bugia a fin di bene, quindi cercava di non sentirsi in colpa per questo.
Erano rimasti da soli. Gli altri avevano proseguito lungo il sentiero, senza rendersi conto dell'assenza di Hitch e Armin. Neanche questi ultimi si erano accorti di essersi separati dal gruppo.
“Hitch... è un periodo complicato per te, come lo è per me. Dovremmo aiutarci a vicenda... so come ti senti.”
Nonostante Armin cercasse di rassicularla con convinzione, il viso di Hitch era inespressivo, apatico. Armin non poteva decifrare quello sguardo vuoto.
“Parli come se sapessi tutto!” esclamò Hitch e Armin fece un passo indietro – non aveva mai sentito nessuno alzare la voce con tale ferocia, era abituato all'inveire di Eren durante le partite di calcio, ma non aveva mai affrontato la rabbia di qualcuno - “Anche Annie faceva così! Invece non sapete niente. Assolutamente niente. Siete insopportabili, forse è per questo che vi piacevate così tanto. È un periodo complicato, e quindi?! Non voglio la tua pietà. Te l'ho detto, è stato un errore per me venire qui. Torno a casa.”
“No! Aspetta!”
Hitch era più veloce di quanto Armin potesse prevedere, riuscire a non perderla di vista era un'impresa ardua ma... ormai si erano allontanati dal sentiero principale e se l'avesse smarrita, non era sicuro sarebbe riuscito a ritrovarla, tantomeno a tornare indietro. Rimanere da solo in quella foresta lo terrorizzava, aveva paura che gli spiriti lo seguissero anche lì, come lo seguivano nei boschi vicino casa. Hitch forse avrebbe potuto impedire che arrivassero, ma adesso non la vedeva più e il cielo era stato oscurato dalle nuvole. Quella mattina non aveva controllato le previsioni del meteo. Avrebbe dovuto farlo. Con la pioggia sarebbe stato ancora più difficile ritrovare la via che lo conducesse agli altri.
“Hitch! Torna indietro!” aveva continuato a chiamarla, invano, senza ottenere risposta. Ormai la sua visuale era offuscata dalla pioggia. Si sarebbe ammalat se non avesse trovato un riparo, però non sapeva dove si trovasse Hitch. Non poteva lasciarla da sola. Era stata colpa sua se aveva deciso di andarsene, voleva rimediare. Forse aveva sbagliato a invitarla – non pensava che il suo gesto avrebbe condotto a questo. Ora sia le gocce di pioggia che le sue lacrime inondavano il suo volto, mentre la sua voce si faceva sempre più debole. Gli girava la testa. Nell'ultimo periodo era avvenuto sempre più frequentemente ma non aveva fatto nulla per contrastare quegli improvvisi malori. Non voleva far preoccupare ulteriormente i suoi amici chiedendo loro aiuto.
La sua vista si annebbiava e lo stesso accadeva con la sua mente, perdeva lucidità, sentiva voci, aveva visioni. Aveva bisogno di una pausa, continuava a ripeterlo ma non se ne concedeva mai una.
Faticava a respirare ma continuava a correre. Sentiva quelle fredde mani di morto afferrargli le caviglie, cercare di frenare sua corta, afferrargli il collo e affondare i propri artigli nella sua carne, lasciando che si dissanguasse e che quel sangue si mischiasse alla pioggia e al fango, che tingesse di rosso l'erba, che venisse immediatamente ripulita, sciacquata via. Era caduto. Si era rialzato. Armin continuava a fuggire da dei demoni immaginari che volevano trascinarlo all'inferno. La sua colpa era essere sopravvissuto, lo sapeva. Marco lo incolpava da quella tomba. La stessa tomba a cui lasciava dei fiori, dove aveva visto Jean disegnare quei gigli. Armin non voleva raggiungerlo, forse se lo meritava, ma non voleva comunque. Sì, se lo meritava, ne era sicuro, era colpa sua benché lui non avesse fatto niente.
Era caduto di nuovo, ma questa volta non era stata l'umida erba ad accoglierlo. Un “Aiuto” soffocato lasciò le sue labbra, prima che fosse l'acqua a soffocarlo.
Spazio autrice:
Spero che il capitolo vi sia piaciuto^^ nei prossimi giorni cercherò di far uscire il seguito!
Inizialmente sarebbe dovuto essere un capitolo unico però mi piaceva l'idea di lasciare una sorta di colpo di scena alla fine-
Comunque pensavo di cambiare di nuovo la copertina, suggerimenti?
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