Capitolo 5
“Cara Annie,
ieri sono andato al cimitero. Ho portato dei fiori ai miei genitori e a Marco. Ho incontrato Jean.”
Era una lettera breve. Armin non sapeva cosa aggiungere. Non che non ci fossero punti da approfondire. Non voleva che nessuno potesse mai leggere quanto si dissero lui e l'amico quel giorno. Non tutto era destinato ad essere impresso con l'inchiostro su carta. Alcune cose dovevano rimanere com'erano. Si era anche dimenticato di firmare la lettera. Aveva sperato vivamente che quel giorno Jean non fosse lì, nonostante sapesse che il ragazzo trascorresse da Marco una quantità di tempo paragonabile a quella trascorsa da Armin accanto ad Annie.
Il biondo si riteneva fortunato. Era disgustato da se stesso però quando pensava alla propria fortuna. Sarebbe potuto capitare a lui, invece era stato Jean ad essere costretto a sedere accanto ad una lapide. Si sentiva in colpa a considerarsi fortunato. Lui stesso sarebbe potuto essere morto quel giorno. Oppure Jean. O Annie. Invece era toccato a Marco. A volte pensava che sarebbe voluto essere lui al posto di Annie. Odiava la possibilità che Jean potesse desiderare di essere stato al posto di Marco.
Avrebbe definito il loro incontro di quel giorno quasi imabrazzante. Erano entrambi a disagio, stupiti dal trovarsi contemporaneamente nello stesso luogo. Nel mese precedente non si erano incontrati neanche una volta, se non in occasione del funerale. Armin aveva cercato di non pensarci, per quanto gli risultasse complicato, se non adirittura impossibile.
I cimiteri gli avevano sempre messo ansia. Erano luoghi opprimenti, necropoli che si estendevano sotto la superficie del suolo e in cui lui stesso un giorno sarebbe andato ad abitare. Non voleva immaginare il giorno della proprio morte. L'esperienza di qualche settimana prima gli sarebbe stata sufficiente per il resto dei suoi giorni. Non voleva neanche immaginare i volti dei suoi amici distorti dalle lacrime, abiti neri indosso, mentre la sua bara veniva inabissata nel terreno. Chissà quali fiori vi sarebbero stati deposti sopra. Armin non aveva mai espresso una preferenza. Non capiva perché dovesse interessargli quali fiori avessero adornato la sua lapide, lui non sarebbe stato in grado di vederli in ogni caso.
Era una la tappa in cui era solito perfarsi ogni qual volta decidesse di raggiungere il cimitero: la tomba dei suoi genitori. Quando era piccolo non capiva perché fosse l'unico bambino della classe a non essere accompagnato a scuola dai suoi genitori, ma dal nonno. Si chiedeva anche perché fosse suo nonno a prendersi cura di lui. Aveva sentito parlare di un incidente ma non aveva mai esternato troppo la sua curiosità, alimentata invece dalle domande dei compagni di classe. Si limitava a tacere nel mometno in cui chiunque avesse cercato di approfondire. Se non fosse stato per Eren, sempre pronto a guardargli le spalle, non sapeva come avrebbe potuto reagire nei confronti di quei quesiti invadenti.
Armin era un bambino perspicace. Era bastato che aiutasse il Signor Jaeger a seppellire un povero uccellino sfortunato affinché sia lui che Eren comprendessero il significato della parola “morte”. Era stato così che comprese cosa sarebbe accaduto a lui stesso un giorno. Non aveva più incontrato la morte da vicino da quel momento in poi. Non fino al 16 Maggio di quell'anno. Avrebbe voluto rimuovere i ricordi di quel giorno, ma non sarebbe stato realizzabile. Era ancora tutto estremamente vivido nella sua mente e sarebbe rimasto così per un tempo indeterminato.
Aveva percorso meccanicamente il lastricato che conduceva alla tomba di Marco. Non era stato molte volte in quell'area del cimitero, per quanto non fosse esteso. Solitamente si limitava solo ad andare a trovare i suoi genitori. Non sentiva la necessità di curiosare intorno alle altre sepolture.
Si fermò ad una decina di metri dalla lapide. Riconobbe chiaramente il giovane seduto al disopra della piattaforma marmorea. Jean. Nessuno aveva deciso di rimproverarlo per quella che poteva apparire come una mancanza di rispetto nei confronti del defunto. L'unica mancanza di rispetto sarebbe stata quella di chiederli di non sedersi sul basamento. Il ragazzo non sembrava essersi reso conto di essere osservato. Con la mano non ingessata tentava di disegnare i gigli che aveva portato il giorno precedente. Non pensava sarebbero resistiti ancora a lungo a causa delle temperature troppo alte. Ne avrebbe presi degli altri. Avrebbe continuato a comprarli per sempre se fosse stato necessario. Giorno dopo giorno. Anno dopo anno. Niente avrebbe potuto impedirglielo.
Le linee del suo disegno erano incerte, imprecise. Era probabile che neanche Jean sapesse quale sarebbe dovuto essere il risultato finale. Era disattento. Non ricordava quale fosse stata l'ultima volta che qualcosa avesse effettivamente catturato la sua attenzione. Si sentiva come estraniato da tutto ciò che lo circondasse. Era autodistruttivo. Lo sapeva. Non poteva continuare a comportarsi in quel modo, prima o poi avrebbe dovuto affrontare la realtà. Marco non sarebbe uscito da quella tomba. Continuava a sperare ci fosse stato un errore. Ma non era possibile. Sapeva quanto folle fosse da parte sua continuare a credere che Marco fosse sopravvissuto. Era stato proprio Jean l'ultima persona a vederlo in vita. Nessuno più di lui avrebbe potuto accertarsi del decesso del ragazzo.
Riusciva ancora a sentire il dolore lancinante al braccio. Non aveva trattenuto le lacrime da quanto gli facesse male. C'era del sangue. Le sue mani erano sporche di sangue. Non sapeva di chi fosse quel sangue. Sarebbe potuto essere suo. Sarebbe potuto essere di Marco. Di Armin. Di Annie. Probabilmente era di tutti di loro.
Marco era stata la sua priorità. L'unico pensiero capace di distogliere la sua attenzione dal braccio dolorante, a cui non aveva rivolto un singolo sguardo. Non voleva vedere quale fosse lo stato in cui si trovava.
Uscire dalla macchina era stato facile. Stendere Marco sull'asfalto era stato un inferno.
“Armin ha chiamato l'ambulanza. Cerca di resistere, va bene?” Jean non si ricordava chi fosse stato tra lui e Armin a chiamare l'ambulanza. Non era importante. L'importante era che Marco non perdesse conoscenza.
“Jean.” il suo nome pronunciato da Marco aveva sempre avuto un effetto strano. Era in grado di calmarlo anche in quei momenti in cui sentiva il proprio sangue ribollire. Lo confortava nei momenti più bui. Eppure in quell'occasione cercò di impedirgli di pronunciare altro. Non poteva permettersi che sprecasse in quel modo il poco fiato rimastogli.
“No. Non parlare.” la vista di Jean era offuscata dalle lacrime, ma il viso gentile di Marco continuava ad essere ben visibile. Aveva un'espressione gentile, come sempre. Sapeva fossero i suoi ultimi momenti, eppure cercò di mantenere un contegno tale.
“Lasciami parlare, Jean.” il suo tono era autorevole, per quanto fosse evidente lo sforzo causato dal pronunciare quelle poche parole. Jean si arrese.
“Non faranno in tempo.” Marco lo sapeva. Non lo avrebbe detto, ma non riusciva più a distinguere ciò che lo circondava. Avrebbe voluto vedere Jean. La sua voce era vicina, ma non comprendeva chiaramente da dove provenisse. Sentiva freddo. O forse caldo. Era stordito. Avrebbe voluto dire tante cose ma non ce l'avrebbe fatta. Era troppo tardi. Era stato improvviso. Non pensava sarebbe andata così.
“Ho freddo. Stringimi. Per favore.” chiuse gli occhi. La voce di Jean giungeva ovattata alle sue orecchie. Non te ne andare. Non lasciarmi. Lo ripeteva come un mantra. Marco non se ne voleva andare. Sentiva il corpo di Jean tremare al contatto con il suo. Stava piangendo. Avrebbe voluto dirgli di non piangere ma non ne aveva le forze. Una lacrima scivolò lungo il suo viso. Si mischiò alle lacrime di Jean. E al sangue.
Quello che seguì fu un urlo mostruoso, più simile ad una bestia ferita che ad un essere umano. Jean continuava a stringerlo con le sue braccia, come se potesse trasmettergli parte della sua vita. Gliel'avrebbe data tutta se ne avesse avuto la possibilità. Lo strinse a sé, cercando di trattenere quel calore, come se potesse fare in modo che Marco non lo lasciasse. Ormai però lo aveva già lasciato. Non sentiva più il suono del battito del suo cuore.
Non te ne andare. Non lasciarmi. Lo aveva già lasciato. E Jean non sapeva se sarebbe riuscito a sopravvivere senza Marco.
Armin cercò di rifugiarsi dietro un albero. Avrebbe atteso fino al momento in cui Jean non se ne fosse andato. Non sapeva quanto tempo sarebbe potuto trascorrere. Forse avrebbe fatto meglio a raggiungere l'amico. Avrebbe fatto bene a entrambi. Impiegò un altro minuto prima a decidere quale fosse l'opzione migliore. Poi lo raggiunse. Velocemente. Rischiò di inciampare su un sasso. Jean non si rese conto dell'arrivo del biondo finché non se lo trovò di fronte. Armin non aveva una figura imponente, al contrario. Era piccolo e minuto. Non sarebbe stato difficile scambiarlo per uno studente delle medie invece che delle superiori. Ciò che aveva fatto rendere conto al castano del suo arrivo era stata l'improvvisa ombra che gli impediva di vedere chiaramente ciò che stesse disegnando.
“Ciao Jean.”
“Ciao, Armin.”
Si erano appena salutati e Armin si trovava già in difficoltà. Non sapeva cosa potesse essere opportuno da dire e cosa no. Forse aspettare sarebbe stata realmente l'opzione più consigliabile.
“I gigli. Stai disegnando i gigli. Non pensavo ti piacesse disegnare.” Armin disse ciò che gli venne in mente, senza riflettere. Tutto sarebbe stato meglio di quel silenzio imbarazzante. Armin non aveva mai visto Jean disegnare. Era incuriosito da questo aspetto.
“Ogni tanto lo faccio, nel tempo libero. Ultimamente non ho avuto molto da fare. Questo album era di Marco.” spiegò Jean, riferendosi al blocco da disegno “Non gli sarebbe piaciuto se avessi sprecato tutte queste pagine bianche... lui però era molto più bravo di me a disegnare.” il castano lasciò scorrere le varie pagine velocemente, permettendo al biondo di scorgere i disegni di Marco. Era senza dubbio talentuoso. Armin si chiese se Marco avesse qualche difetto. Probabilmente avrebbe potuto rifletterci per tutto il resto del giorno, ma non sarebbe stato in grado di trovarne nemmeno uno.
“Siediti pure, non penso gli darebbe fastidio.” Armin rimase comunque in piedi. Avrebbe voluto poter dire con la stessa certezza cosa avrebbe potuto fare fastidio ad Annie. Invidiava l'intesa che legava Jean a Marco, anche oltre la morte. Annie era sempre stata un'incognita. L'unico quesito che Armin non fosse riuscito a risolvere.
Jean non aggiunse altro. Non sembrava intenzionato a conversare. Sarebbe dovuto essere Armin a dire qualcosa – qualsiasi cosa.
“Sai già dove andrai in vacanza?” chiese improvvisamente il biondo. Jean scosse la testa istintivamente, poi rifletté con più attenzione.
“Sasha e Connie vogliono andare da qualche parte. Mi hanno chiesto se voglio andare con loro, ma non ho ancora deciso.”
“Forse dovresti accettare.” consigliò Armin.
Gli occhi color nocciola si fermarono sul nome inciso nella pietra. Armin poté quasi dire di avere la certezza di quale fosse la preoccupazione dell'amico.
“Conosco Marco abbastanza da poterti dire che lui non vorrebbe questo.” le parole di Armin suonavano quasi come un rimprovero. Forse era proprio quello il suo intento.
“Lo so.” Jean lo sapeva, ma ciò non avrebbe cambiato nulla.
Armin lasciò quel luogo velocemente. Non tentò neanche di convincere Jean ad andare con lui, per trascorrere il pomeriggio in compagnia. Voleva semplicemente che quella sensazione gli opprimeva il petto lo abbandonasse. Non desiderava altro. Ripercorse a ritroso quel lastricato polveroso, finché non varco il cancello. Si rese conto in quel momento di aver trattenuto il respiro mentre attraversava i vari campi. Non capiva da cosa scaturisse la sua paura. I film horror sugli zombie non lo influenzavano abbastanza da spaventarlo ed era abbastanza grande per poter temere che qualche fantasma decidesse di rapirlo. Non avrebbe neanche saputo dire con certezza se ciò chel o tormentasse fosse una “paura” o altro. In ogni caso, qualunque fosse la radice del suo malessere, avrebbe dato ascolto a ciò che gli diceva il proprio corpo: andarsene il più in fretta possibile.
Armin non sapeva dove andare. Vagabondava senza meta sotto quel sole quasi estivo. La città era piccola, non aveva molte opzioni su dove andare o cosa fare. Non era la prima volta che si ritrovava a girovagare per il paese. Era sempre stata una località monotona, priva di svaghi. Quel giorno era diverso, probabilmente nulla sarebbe riuscito a soddisfarlo. Procedere senza una direzione in cui andare era forse ciò di cui aveva invece più bisogno.
Sarebbe potuto andare da Eren e Mikasa. Oppure chiedere a Isabel e Farlan se avessero bisogno di aiuto con il negozio. Anche Niccolò avrebbe potuto avere bisogno di aiuto. Anche Sasha e Connie sarebbero stati una valida alternativa. Sarebbe potuto tornare a casa e non uscire per qualche giorno. Si sarebbe steso sul pavimento freddo a leggere, lasciando la finestra leggermente spalancata affinché entrasse dell'aria e non avrebbe lasciato a nessuno la possibilità di disturbarlo. Non gli sembrava male come piano. Era una delle soluzioni a cui giungeva più frequentemente.
Avrebbe fatto così di nuovo. Come di routine. O almeno era ciò che si era prefissato. Non aveva preso in considerazione un possibile intervento esterno. Tale intervento esterno aveva il nome di Hitch. Armin conosceva poco di quella ragazza. Però era abbastanza certo che fosse una delle poche amiche di Annie.
Hitch camminava verso di lui con passo spedito. Se Armin non aveva in mente una direzione definita in cui andare, lo stesso non valeva per la ragazza, che sembrava avere ormai raggiunto la propria meta.
“Ciao Armin.”
--- Spazio Autrice ---
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se è un po' più breve del solito!
Comunque, ieri stavo perdendo tempo su Art Breeder e ho fatto questo
È Armin, nel caso non si capisse lol, nel prossimo capitolo metterò qualcun altro invece, magari Annie.
PS ho modificato la copertina, così potrò abbinarla a quelle delle prossime storie che pubblicherò, vi lascio una piccola anteprima, se così si può definirla
++ in descrizione trovate i social correlati a questo profilo, se possono interessarvi!
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