Capitolo 9

Ancora Ren non ha parlato, e io non so bene cosa fare. La testa non riesce a riprendersi dal cortocircuito che mi ha fatto arrivare fino a qui.

Dovrei esporre i motivi per cui l'ho cercato, avvertirlo del pericolo. Però... però non ho previsto di doverlo fare sottoterra in un cunicolo desolato, da sola, con lui a bloccare l'unica strada percorribile per tornare alla festa.

Se mi sbaglio e lui rappresenta un pericolo, non avrei vie di fuga.

Potrebbe apparire meno minaccioso se almeno dicesse qualcosa.

Invece no, se ne sta lì, a fissarmi con quel cipiglio imperturbabile, neanche un chihuahua gli avesse attraversato la strada e lui detestasse quella razza di cani.

Presa dal nervosismo, mi mordo un labbro e subito i suoi occhi seguono il movimento, facendomene pentire. Spero almeno di essermi ripulita bene il naso dal sangue; con tutta la mia forza di volontà, ignorando il dolore, mi impongo di alzarmi e di non rimanere ai suoi piedi come una vestale in adorazione. Purtroppo, non ho considerato lo stato di debolezza e, invece di sollevarmi con un movimento fluido, rischio di perdere l'equilibrio.

Mi ritrovo così appoggiata al muro, con una delle sue enormi mani a sorreggermi per un fianco.

Attraverso il tessuto decisamente troppo sottile del vestito posso sentire il suo calore che si impone soverchiando la spossatezza, la pelle che si tende per essergli più vicina. Prendendo coraggio, sposto lo sguardo dal suo avambraccio, ai bicipiti muscolosi, alla spalla, al collo, fino al suo volto. Troppo, troppo vicino. Certo che qui fa caldo!

Okay, Raya, basta sbavare, ne ha già abbastanza di ragazze che gli muoiono dietro, mi ammonisco mentalmente, con scarsi risultati.

«Ehm, grazie.» La mia voce risulta piuttosto roca anche alle mie orecchie.

Nessuna risposta.

Oh, andiamo mi stai prendendo in giro?

«Puoi lasciarmi andare ora. Sto bene» scandisco le sillabe irritata, ignorando la risposta istintiva dei miei organi che si ribellano a quella evidente bugia.

In risposta alla mia affermazione, Ren accorcia ancora di più le distanze, lasciandomi praticamente zero spazio per respirare. Per non venire prevaricata dalla sua mole, mi sollevo sulle punte degli stivaletti riuscendo a raggiungere la sua altezza. Mi accarezza la guancia sinistra, le sue dita sono più leggere del tocco di una farfalla. Contatto. Pelle su pelle. Esiste qualcosa di più bello?

«Ren, finalmente! Chi è quella?»

Mi volto all'istante: due ragazze, con indosso solo dei pantaloncini in jeans inguinali e un top striminzito, ci guardano irritate. Il trucco, decisamente esagerato, cola dai volti sudati. Alzo un sopracciglio, ironica, poi torno a guardare Ren.

«Ren! Andiamo, vieni a ballare con noi» lo richiama una delle due, sbattendo i piedi a terra alla stregua di una bambina viziata.

Ren si gira verso di loro, dandomi le spalle; senza le sue mani su di me sento subito un brivido di freddo. Freddo, con i trenta e passa gradi che ci sono qua sotto?

Non è un buon segno. Non lo è mai.

Un attimo dopo, Ren emette una specie di ringhio che mi fa accapponare la pelle. Le due ragazze se la filano come se avessero visto un fantasma, una delle due nella fretta cade pure a terra, ma si riprende subito, gridando alla sua amica di aspettarla.

Questa scena serve solo a ricordarmi chi ho davanti. Un teppista.

Il leader di un gruppo violento.

Uno che se ne va in giro con delle cazzo di groupie. Qualcuno che può essere coinvolto nella morte di Grant.

Quando Ren si volta di nuovo verso di me, incrocio le braccia sul petto aderendo meglio alle sporgenze della roccia. Basta carezze e strani abbracci, pretendo delle risposte.

«Dobbiamo parlare.» Uso il tono più duro di cui sono capace nelle condizioni in cui verso.

Lui inclina la testa, come se stesse guardando un moscerino; le sue iridi dorate brillano di una luce divertita, risaltando nel tunnel poco illuminato.

«Dobbiamo? Deve essermi sfuggito quando siamo diventati un noi. È stato al Respite mentre spiavi i miei o in camera tua quando eri così ubriaca da non reggerti in piedi?» chiede strafottente.

Furibonda azzero la distanza in pratica urlandogli in faccia.

«Io riuscivo perfettamente a camminare. Solo c'era uno stronzo appena dopo la porta. Ora, se hai finto di comportarti come un grandissimo pezzo di idiota ho delle domande da farti. Cose da dirti.»

Un guizzo di divertimento gli fa incurvare le labbra, poi sbuffa derisorio e fa per andarsene.

No. Non un'altra volta. Non gli renderò facile allontanarsi da me. Scatto e lo afferro per un braccio, impuntandomi sui piedi con tutto il peso per cercare di fermarlo. Scocciato, Ren mi affronta, gli occhi ridotti a fessure velenose. Per un attimo, mi coglie la paura che possa colpirmi, non mollo comunque la presa. La mia testardaggine deve avere un qualche effetto su di lui, perché si calma.

«Sei proprio matta, vero?»

Mollo la presa all'istante, quasi mi avesse davvero colpita. Parole che per alcuni vengono dette e ascoltate senza turbamento, per altri possono essere rasoi che incidono crudelmente la pelle, portando alla luce le debolezze, così come il sangue svela che siamo solo involucri.

"Sei malata, Raya."

Scacciando la voce bastarda gli chiedo con impeto: «Perché? Solo perché voglio parlare civilmente con te e non doverti rincorrere da un lato all'altro della città?»

Fulmineo, punta gli occhi feroci nei miei, i nasi che si sfiorano sfidandosi a toccarsi.

«Perché te ne vai in giro a mettere questo grazioso nasino in affari che non ti riguardano. Presentandoti in posti dove non dovresti essere, a disturbare chi potrebbe reagire male.»

«Come Grant?»

Bestemmiando tra i denti fa un mezzo passo indietro passandosi una mano tra i capelli folti, la fronte corrugata, lo sguardo ammonitore. «Questo è l'esatto genere di domande che ti mettono in guai seri. E a chi le rivolgi? A un completo estraneo in un tunnel isolato. Non hai un briciolo d'istinto di conservazione? Cos'hai, una specie di desiderio di morte?»

Indietreggio sulle gambe già tremolanti per lo stress a cui è sottoposto il mio sistema nervoso.

Da una stupida deduzione su una chiacchierata con mio fratello, ho dato per scontato che Ren e i suoi compagni potessero essere a rischio, tanto da ignorare completamente la parte del mio cervello che suggerisce lui possa essere un pericolo per me. Ormai allo stremo, non riesco a gestire oltre al dolore anche la paura. Concentro lo sguardo sulla parete rocciosa sopra di noi, tentando di trattenere le lacrime che mi offuscano la vista. Non posso fargli capire l'effetto delle sue parole.

Perché già da tempo ho abbracciato la possibilità di andare incontro alla morte pur di sapere la verità.

«Rispondi solo a questo: tu e gli altri del Respite siete responsabili del suo omicidio?»

Ren fa un passo in avanti, la sua mole evidenziata dalle goccioline di sudore che gli percorrono la muscolatura, impudenti. Allunga una mano come a volermi toccare, ma poi la riabbassa.

Rassegnato afferma: «Ti posso solo dire che era nel posto sbagliato al momento sbagliato.»

Qualcosa si accende dentro di me alla conferma. Come un interruttore.

Prima spento.

Poi acceso.

Una sensazione dal profondo, lì, dove risiede l'abitante oscuro, la morte.

Un impeto di rabbia mi costringe ad alzare le mani per respingerlo con forza.

Per trasmettergli tutto ciò che provo.

Perché senta la devastazione di perdere qualcosa che rappresenta la luce.

Perché termini la sua esistenza nel buio.

Frazioni di secondo che appaiono durare in eterno, in cui le mie dita si avvicinano inesorabili alla sua pelle.

«Ti giuro che nessuno dei miei ha sparato il colpo che l'ha ucciso.»

E ricadono, stanche, spossate, senza aver raggiunto la loro meta. Completamente esaurite da ogni malefica intenzione.

Trattengo quelle profondità dorate nel vortice dei miei laghi stanchi. Ren non tenta di sfuggire il mio sguardo. Lascia che sondi la sua sincerità, e lì, in quelle pagliuzze dorate, vedo comprensione, rammarico persino, ma non menzogna.

Non faccio in tempo a prendere un respiro di sollievo che una fitta al fianco mi stronca. Mi piego in due, quasi non riuscendo a respirare. Ren accorre in mio aiuto rimettendomi in posizione.

«Raya, che ti succede?» È preoccupato? Per me?

Dovrebbe temere per sé stesso, per i suoi amici.

Perché quasi sicuramente uno di loro tra pochi istanti non ci sarà più.

Fatico a mettere i pensieri insieme, mentre l'affanno peggiora. Il tempo sta scadendo. Qualcuno sta per morire. Questione di pochi attimi, forse qualche minuto. Devo provare, fare un ultimo disperato tentativo.

«R-Ren.»

«Sono qui, cosa posso fare?»

«C-chiama» ansimo e affondo le unghie nei suoi avambracci, nello sforzo di sopprimere quel tormento inenarrabile, «il tuo g- gruppo.»

Mi scruta impensierito, sospettoso.

«Se n-non li r-raduni al più p-presto, uno di l-loro, o fors-se anche di p-più, morirà» esalo con quel poco di fiato che mi rimane in corpo, sperando di trasmettergli la stessa sincerità con cui lui è riuscito a convincermi prima.

Un barlume di consapevolezza appare sul suo volto, e lui mi aiuta a sedermi. «Aspettami qui.»

Un istante dopo sparisce, correndo in un tunnel fra quelli non illuminati.

Voglio urlargli che quella non è la strada per tornare indietro, ma non ce la faccio. Rimango lì a terra e mi accascio su un fianco, il pavimento, leggermente fresco, mi culla. Mi porto una mano al petto. Dio, fa così male! Neanche con Grant ho provato una sofferenza tale è come se il cuore volesse uscirmi dal petto.

Sopraffatta, urlo più forte che posso, permettendo a tutto quello che ho dentro di scorrere libero. Purtroppo, non serve a niente, sono senza voce e il dolore c'è ancora, l'affanno respiratorio è addirittura aggravato.

Poi, così com'è arrivato, sparisce tutto d'un colpo.

I miei polmoni si liberano, la morsa agli organi e il mal di testa svaniscono, il nulla mi avvolge.



Quando riprendo i sensi, non vedo nessuno intorno a me.

Ren non è tornato.

Mi alzo con cautela e, una volta verificato l'equilibrio, decido di andare a cercare Lexy.

Ripercorro i corridoi a ritroso e mi domando perché Ren non abbia preso la stessa strada. Ha imboccato sicuro uno dei cunicoli bui, come avrà fatto a passare i cancelli chiusi che a tratti bloccano i tunnel? Non è tornato perché ha trovato morto uno dei suoi amici? Non posso fargliene una colpa. So cosa vuol dire perdere qualcuno, e da quello che ho visto e sentito lui ne sta perdendo parecchi.

Adesso che, spossatezza a parte, sto quasi bene, la musica non mi dà più fastidio. Noto con piacere che la folla nella sala si è un po' diradata, ci sono comunque tante persone, ma molte meno di prima.

Mi dirigo verso l'uscita, pensando di aspettare Lexy alla macchina. Percorro le scale ed eccola lì, in cima, appoggiata alla ringhiera a squadrare la sala.

Quando si accorge di me, mi avvolge in un abbraccio soffocante. Non me ne libero, ne ho proprio bisogno. Prova a dirmi qualcosa ma, a causa delle note alte, non la sento, così lei mi indica il corridoio che porta all'uscita e io annuisco. Una volta che ci siamo allontanate, inizia l'interrogatorio.

«Dove sei finita?»

«Io? Sei partita a mille in mezzo alla calca, e per colpa della nebbia ti ho persa.»

«Ah... è che ho visto Lars e ho pensato che potesse essere con Ren. Ti stavo portando lì.»

«Lars, eh? E quando sei arrivata da lui e ti sei accorta che non c'ero, di cosa avete parlato?»

Se possibile, Lexy diventa della stessa tonalità di rosso del suo vestito. «Di niente. Mi ha chiesto di ballare, e io ho rifiutato, perché dovevo cercarti.» È fin troppo evasiva, quindi, sospettosa, le do un pizzicotto sul braccio. «Ahi! E questo per che cos'era?»

«Lo sai.»

«E va bene, ho ceduto, solo un ballo.» Si tortura un'unghia.

«E un paio di drink. Non dire niente, hai ragione, sono una pessima amica e...»

La interrompo, tappandole la bocca con una mano. «Calma, Lex. Anch'io ho fatto un giretto, poi sono andata nei cunicoli per allontanarmi un po' dalla ressa. Non ti preoccupare, davvero.»

Ricominciamo a camminare, entrambe più tranquille.

«Quindi, tu e Lars» ritento.

«Diciamo che ci divertiamo insieme. No! Abbassa subito quelle sopracciglia signorinella! Non abbiamo fatto niente di sconveniente, ma, Raya, hai visto che fisico si ritrova? E il suo sorriso mi fa letteralmente perdere la testa.»

Comprensiva, le do una pacca sulla spalla. «Non ci siamo parlati tanto al Respite, ma non mi sembra un cattivo ragazzo.»

Lei mi fissa stralunata. «Stai bene?»

«Certo, perché?»

«Fino a oggi, non hai fatto che parlare male dei ragazzi del locale. Sì, lo ammetto, anch'io ho detto delle cose poco carine. Tu però eri proprio presa male, convinta che c'entrassero con Grant. Cosa ti ha fatto cambiare idea?»

Riconoscendo la veridicità delle sue parole, cerco un modo per parlare della convinzione che, lenta, si è posata su di me. Una coperta confortevole in cui spero di potermi rifugiare nei giorni a venire. «Dammi un secondo» le dico soltanto.

Una volta nel bosco, cullata da una leggera brezza e dall'oscurità, trovo il coraggio di confessarle: «Non credo siano coinvolti direttamente nella sua morte. Non più».

Un sorrisetto stupido e un poco sognante si distende sulle sue labbra. «Ren ti ha trovata, eh?»

Sollevo la testa di scatto. «Cosa?» Come fa a saperlo?

«Mentre ero con Lars, l'ho incontrato. La situazione mi stava un po' stretta, sai, troppo testosterone, con quei due insieme. Allora gli ho detto che dovevo allontanarmi per cercarti. Ren mi ha chiesto cosa ti fosse successo, quando gli ho spiegato che ti avevo persa nella folla se ne è andato abbastanza in fretta. Ti ha trovata, vero?»

Ren mi ha cercata, perché era preoccupato per me. Non mi ha trovato per caso.

Ren. Cercava. Me.

«Quindi ti ha dato delle risposte?» domanda curiosa, evitando l'ennesima radice con i piedini scalzi.

«Mi ha detto che lui e il suo gruppo non hanno ucciso Grant.

Gli credo.»

Restiamo in silenzio per il resto del viaggio fino a casa. Ognuna persa nelle proprie riflessioni. Riflessioni altissime, con tanti muscoli e occhi capaci di frantumare l'anima.

Una volta arrivata a destinazione, giro le chiavi nella serratura e mi stupisco di trovare la casa completamente al buio.

«Kyle. Kyle ci sei?»

Controllo l'orologio. Le due.

Colta da un tuffo al cuore corro per le scale e busso alla porta chiusa di camera sua. Non ricevendo risposta, entro.

Il letto ancora fatto, i libri ben impilati sulla scrivania, neanche un indumento in vista.

Non c'è.

Preoccupata recupero il cellulare e trovo un paio di sue chiamate risalenti a mezz'ora fa. Sollevata rilascio la tensione che mi aveva avviluppato le spalle, è decisamente dopo che il dolore è scomparso. Lo richiamo comunque, e lui risponde al primo squillo.

«Dove sei?»

«Ciao anche a te, fratellone» ribatto ironica. Lo sento parlare con qualcuno dall'altra parte della cornetta, ma non riesco a capire cosa si dicono.

«Non sei più a Oman?»

Sfinita, mi tolgo gli stivaletti. «No, sono appena arrivata a casa. Tu sei là?» Altro discorso con qualcun altro. Ma perché mi chiama se poi non si degna di prestare attenzione a ciò che dico?

«Sì, alla fine ho fatto un salto. Volevo solo sapere se eri ancora nei paraggi.»

«No, come ti ho detto sono a casa. Torni tardi?» gli chiedo mentre preparo le cose per fare un bel bagno profumato.

«Sì, vai pure a dormire.»

«Perfetto, a domani.»

Sto per riattaccare, mi richiama: «Raya?»

«Sì? Kyle, ci sei ancora?»

«Solo... grazie.»

Grazie di cosa?

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