Capitolo 7
QUALCHE MESE PRIMA
La giornata è fredda, tetra, fuori il vento e la pioggia sferzano la casa, per strada l'acqua scorre in tanti piccoli fiumiciattoli.
Vorrei dire che mi aspettavo il sole, ma è solo giusto che il cielo oggi rispecchi quello che ho dentro.
Preso il necessario per l'ennesima maratona televisiva, esco dalla camera cercando di non crollare sotto il peso del mio bottino, ma la gravità mi impedisce di fare più di qualche passo prima che tutto caschi per terra.
Sbuffando, mi chino a controllare che almeno non si sia rotto lo schermo del cellulare, ma mi paralizzo accorgendomi di essere davanti alla porta dello studio.
È socchiusa, come se papà fosse ancora lì dentro.
Deglutisco.
La tentazione di entrare è forte.
E, solo per un istante, mi permetto di pensare che dentro ci sia ancora l'enorme scrivania pregiata carica di pile di fogli disordinati, la bottiglia di bourbon in equilibrio precario, la poltrona scostata come se il suo padrone dovesse tornare da un momento all'altro.
Cedo.
Ancora inginocchiata, allungo il braccio e con la punta delle dita spingo l'uscio.
Si apre con il solito cigolio e, per un istante, vedo la stanza esattamente come era prima, uscita direttamente dalla mia memoria, l'istantanea di un ricordo morente.
L'illusione si dissolve e dentro, come avrei dovuto ben sapere, non c'è più nulla di papà, solo un tapis roulant che nessuno utilizza e una pianta ad angolo che non viene annaffiata da troppo tempo.
Rispondo al cellulare in automatico, al primo squillo, incastrandolo fra spalla e guancia, mentre senza più indugi raccolgo le cose da terra.
«Pronto?»
«Come sta andando?» La voce di Kyle mi permette di uscire definitivamente dai miei sogni ad occhi aperti. Come se avesse sentito la mia incertezza. Non che oggi serva chissà quale super potere.
«Bene, Grant sarà qui tra poco» cerco di tranquillizzarlo, di non fargli percepire che la sua assenza, proprio oggi, pesa.
«Cosa guarderete?» quasi non lo sento per tutte le urla e risate maschili in sottofondo.
«The walking dead.»
«Davvero? Oggi? Ne sei sicura? Aspetta un attimo.»
Credo copra il microfono con la mano però sento lo stesso un: "Sto parlando, stronzi!"
«Eccomi, scusa, i ragazzi sono un po' su di giri.»
Passando davanti al bagno, volutamente distolgo lo sguardo prima che si soffermi sulla vasca, aumento l'andatura, quasi inciampando per la fretta di scendere gli scalini.
«Deduco che lì vada tutto bene. Incontrato qualche grizzly?»
Provo a non far trapelare dal tono quanto queste mura mi si stiano stringendo addosso, avvolgendomi nella trappola dei ricordi indesiderati, tra le eco che le infestano e che vorrebbero tutta la mia attenzione in questo giorno di commemorazione.
«No, neanche uno scoiattolo. Mi spiace, Raya, quando ho accettato di partecipare all'escursione a Oman non ho realizzato in che weekend cadesse. Sicura che non vuoi che torni indietro?»
Sospiro, abbandonando tutto alla rinfusa sul divano. Voglio che torni?
Sì.
Sarebbe incredibilmente egoista da parte mia? Sì.
«No, io me la cavo. Grant sarà qui tra poco ed è giusto che anche tu ti svaghi con i tuoi amici.»
«Okay, va bene. Solo, non guardate quella robaccia triste sugli zombie che si nutrono di persone che a loro volta vengono trasformate in altri morti viventi in un loop infinito, va bene? Qualsiasi altra cosa piaccia tanto a voi nerd così sto tranquillo, lo prometti?»
Il suono del campanello mi permette di svicolare quell'ultima implorazione.
«Ti devo lasciare è arrivato Grant, divertiti. Ci vediamo quando torni.»
Sollevata, apro felice di trovarmi davanti quello sciocco di Grant Wyndham fradicio dalla testa ai piedi con un enorme ciotola ricoperta da strati di alluminio in mano.
«L'ombrello?»
«Ciao anche a te, raggio di sole. Non volevo rischiare di rovesciare i popcorn. Sbrighiamoci, sono ancora caldi.»
Me li getta tra le braccia mentre si toglie il maglione e le scarpe scrollandosi nell'ingresso con espressione indignata, che incredibile offesa gli ha arrecato la pioggia osando posarsi sul suo cardigan!
Rido sommessamente mentre allestisco l'area maratona.
Coperta sul divano, telecomando, cellulare, caramelle, tè caldo e popcorn sul tavolino davanti allo schermo.
«Comunque sei in ritardo» mi fingo offesa, appollaiandomi nella mia metà di divano.
«No, che non lo sono, non hai ancora acceso la televisione.»
Il cuscino accanto a me si infossa mentre lui occupa lo spazio rimanente.
«Fare i popcorn è un'arte che pochi padroneggiano con maestria, si dà il caso che io sia uno di essi. Allora, cosa facciamo? Ripartiamo dall'inizio o vuoi rivedere una stagione in particolare?»
Lui adora la seconda, quella in cui il gruppo di protagonisti incontra dei superstiti che hanno vissuto dall'inizio dell'epidemia zombie in una fattoria sperduta. Grant ha una cotta per l'attrice che interpreta la figlia del fattore, Lauren-qualcosa, il che è divertente perché non assomiglia per niente alla sua fidanzata.
Oggi non guarderemo proprio quella. Le tematiche, padre con passato da alcolista, una famiglia che non riesce a separarsi dai propri morti e un tentativo di suicidio, come teme giustamente Kyle, non sono adatte al giorno della ricorrenza della morte di mio padre.
Grant spalanca comicamente gli occhi quando raggiunge la mia stessa conclusione.
Insieme diciamo: «Meglio la prima».
Ho già la bocca piena di popcorn quindi da me si sente solo un bofonchio poco signorile.
Impostata la puntata, Grant ci copre entrambi con la coperta.
Sono i pomeriggi che preferisco, il brutto fuori e dentro io e lui. Nessun altro.
È appena partita la sigla quando lui avvicina la testa alla mia, i riccioli che mi sfiorano la tempia: «Mi dispiace per tuo padre. È già passato un anno e tu sei stata forte. Forse non te lo dico abbastanza spesso: sei forte, Raya. Sono sicuro che lui, che loro sono insieme e sono fieri di te e Kyle.»
Annuisco tentando di non far trapelare le lacrime accasciandomi contro la sua spalla, cullata dal suo abbraccio confortante.
«Grazie. Grazie per essere qui.»
Per impedirmi di sciogliermi in un piagnisteo a pochi minuti dal suo arrivo, mi schiaffo in bocca un'altra manciata di popcorn.
«Non c'è di che. Sai, il tuo divano è più comodo del mio e non è che oggi si potesse andare a giocare a pallone; quindi, venire da te è stata l'unica soluzione possibile.»
Sbuffo, tirandogli una gomitata giocosa nel fianco. «Sei proprio scemo!»
«E tu sei perfetta, Raya Whitman.»
Mi sfiora la testa con un casto bacio e io non posso fare a meno di sciogliermi mentre un apocalisse zombie imperversa davanti a me e i fantasmi nella mia mente vengono respinti dal suo candore.
Dopo qualche ora, molte puntate e un sonnellino dopo, siamo ancora qui.
Grant sdraiato di fianco; io ridotta in un angolino abbarbicata alle sue lunghe gambe con la testa poggiata sulle sue ginocchia. Prima o poi gli farò pagare questa invasione di campo, ho le gambe tutte informicolate.
Stiracchiandomi osservo il suo volto rilassato nel sonno, parzialmente schiacciato sul telecomando, una leggera bavetta che gli esce dalle labbra socchiuse. Ah, certe cose non cambiano mai. Afferro il cellulare pronta a immortalare il momento per possibili ricatti futuri, ma leggo un messaggio:
Stacy: Ciao, Raya. Scusa se ti disturbo in questa giornata di cordoglio. Ho provato a chiamare Grant, hanno risposto i suoi genitori dicendomi che è con te. Ha dimenticato il cellulare a casa. Volevo solo avvisarlo in caso si preoccupasse non trovandolo. Spero di risentirti presto, magari per una cena tutti insieme. Buona serata.
Gli picchietto le dita sulla spalla. «Ehi.» Niente, provo a scuoterlo con delicatezza fino a che le sue iridi azzurre non mi mettono a fuoco. «Sveglia, dormiglione, Stacy mi ha scritto. Hai dimenticato il telefono a casa, di nuovo. Sai, non è piacevole per una ragazza dover andare a tentativi per saper dov'è il proprio ragazzo.»
Lui brontola togliendosi il telecomando da sotto il viso e richiude gli occhi.
«Grant!»
OGGI
Tengo l'ombrello in una presa decisa mentre con la mano libera suono il citofono. Quando ad aprire la porta è una versione di Lexy con qualche ruga e capelli più bianchi, non mi sorprendo.
Sua madre è proprio una bella signora, anche se ha l'aria di essere sempre stanca; è la fotocopia della figlia con qualche anno in più. Io e Grant eravamo soliti prenderla in giro, dicendo che aveva fatto Lexy con lo stampino, a sua immagine.
Sono passate solo un paio di settimane dall'ultima volta che siamo stati tutti e tre in questa casa a lanciarci battutine e a studiare per gli ultimi esami. Ora sembra una vita fa.
«Buongiorno, signora Heith, scusi se la disturbo, c'è Lexy?» Non faccio in tempo a finire la frase che vengo avvolta in un caldo abbraccio; dura solo qualche istante, ma sufficiente a trasmettermi un po' del suo calore.
«Nessun disturbo, cara, mi fa piacere che sei qui, non ti vedo da... tempo. Mia figlia non c'è, hai provato a chiamarla?» La parola funerale alleggia tra noi, ancora più pesante perché non detta.
«Non risponde.»
«Mi spiace tu sia dovuta venire fin qui con questo tempaccio, vuoi entrare a bere qualcosa di caldo?»
«Non la voglio disturbare oltre, solo sa dirmi quando tornerà?»
«Quella ragazza è come il vento, è impossibile prevederne i movimenti.»
La saluto velocemente e me ne torno in macchina, ho già la parte inferiore dei pantaloni impregnata d'acqua e nessuna idea di dove cercare.
Ma cosa si dice del karma?
Sorrido, è ora di ripagare la mia cara amica con la sua stessa moneta. Può ignorarmi, ma se non si è ricordata di disabilitare la condivisione della posizione, posso ancora trovarla.
Mi ritrovo così da Olsen, una tea house appena fuori città. Individuarla è facile; nonostante il tempo abbia portato molte persone a rifugiarsi qui, riconoscerei la sua chioma bionda, un po' arruffata, ovunque.
Mi prendo un momento per guardarla, per cercare di mettere a fuoco pensieri e sentimenti, ma non ci riesco; la lucidità è ormai lontana, partita nel momento in cui, per la prima volta, mi ha colto il sospetto che potrebbe essere coinvolta nella morte di Grant. Ma che dico? La sanità l'ho persa molto tempo fa, per un breve periodo ho pensato di averla recuperata, ma ora non c'è più.
Non mi avvicino, in pratica parto alla carica verso il suo tavolo, ignorando il saluto della proprietaria.
«Ciao, amica, ancora un po' e avrei fatto una denuncia di scomparsa.»
Alza la testa di scatto facendo fuoriuscire un po' di tè dalla tazza. «Raya!»
«Oh, allora ti ricordi di me.» La mia voce risulta acida anche alle mie orecchie, mentre siedo rigida di fronte a lei. «Allora, hai intenzione di dirmi cosa sta succedendo?»
Fugge il mio sguardo, fingendosi tutta presa a pulire la macchia di tè con un tovagliolino. «Non so a cosa ti riferisci.»
In uno scatto d'ira la fermo, afferrandole un polso. «Smettila di trattarmi come un'idiota. So che hai mentito quando hai detto di non conoscere l'uomo del locale. Ti ho vista discutere con lui alla festa! Quindi perché non la pianti una buona volta di propinarmi cazzate e mi racconti cosa sta succedendo? Perché mi stai evitando? Cosa è successo a Grant?»
Con gli occhi celesti spalancati, Lexy cerca di ritirare il polso, ma non glielo permetto; stringo la presa, da qualche parte dentro di me sono consapevole che le sto facendo male, solo non mi importa, perché sono sopraffatta dalla furia.
«Cosa c'entra questo con Grant? Sì, ti ho evitata, ma solo perché mi vergognavo.»
Aspetta, cosa?
Questa non è esattamente l'ammissione di colpa a cui mi ero preparata.
«Ti vergogni» assaggio quelle sillabe sulla lingua, cercando di digerirle. «Di cosa?»
«Hai ragione, conosco Lars da prima del Respite» ammette a bassa voce, mortificata.
Mi costringo a lasciarla andare, cercando di dare un senso a questo nuovo scenario.
Lei prende un grosso respiro, mentre con dita malferme si massaggia dove l'ho stretta.
«È successo tutto una sera, un paio di mesi fa. L'ho incontrato a una festa. Avevo alzato un po' il gomito, l'ho visto e ne sono rimasta colpita, attratta. Da cosa nasce cosa e abbiamo pomiciato un po'... Tutto qui, Raya, te lo giuro! Quando siamo andate là e mi ha chiesto se ci fossimo già visti, mi sono vergognata, non si ricordava nemmeno quei momenti passati con me. Non mi sono mai sentita più mortificata in vita mia.»
«Perché stavate litigando a casa mia?» Sono sempre più confusa. Le credo? Forse.
«Lars mi ha fermata alla festa, si era finalmente ricordato del nostro primo vero incontro. Gli ho chiesto che cosa faceva a casa tua e lui ha avuto il coraggio di dirmi tutto tronfio che era venuto per il bis, ci credi?»
Scuotiamo la testa insieme davanti alla scusa più banale di sempre. Oltre che palesemente falsa. Come avrebbe potuto sapere dove trovarla? Perché portarsi dietro tutti?
Lex sospira prima di prendere un altro sorso della bevanda e concludere il racconto. «Così, ben poco gentilmente, gli ho spiegato che le sue luride manacce da ghetto avevano perso la possibilità di entrare in contatto con qualsiasi parte del mio corpo nel momento in cui si era scordato di me. Abbiamo iniziato a insultarci fino a che ti ho vista e sono scappata.»
Sembra così sincera e pentita... Un nodo mi si stringe in gola, come ho fatto a dubitare di Lexy?
"Sei malata." La voce della mia psichiatra mi risuona in testa.
«È per questo che non mi hai mai parlato di quello che sembra essere lo scoop dell'anno?»
Un ultimo tentativo per controllare le sue reazioni, per verificare se c'è un minimo di fondamento nei miei sospetti. Per tentare di giustificarmi con me stessa. È normale vacillare, dopo tutto quello che è successo, dopo tutte le cose che non mi ha detto, giusto? Sono normale. Io sono normale.
"Sei malata."
«A cosa ti riferisci?» Lexy mi guarda leggermente confusa, ignara della battaglia nella mia testa.
«Ren O'Hara.» Cerco di ignorare il brivido che mi attraversa solo pronunciando il suo nome.
Sbuffa derisoria. «Sì, sembra che Lars sia il migliore amico di Ren, per quanto mi riguarda saranno pure belli, ma restano due pezzenti. Non vale neanche la pena parlarne.»
Alzo un sopracciglio con fare ironico. «Giudizio piuttosto duro, considerato che hai pomiciato con uno di loro.»
«Non rinfacciarmelo, non sono mai caduta così in basso!» Nervosa, tamburello con le dita sul tavolo di compensato.
«Sapevi chi era prima di starci?»
«Ovviamente no. Avevo sentito delle voci, soprattutto su Ren e su quanto sia... be', fuori scala, ma non ho mai avuto l'opportunità di dare un volto ai nomi. Quella sera, Lars si è comportato normalmente, finché, mentre stavamo...» Si ferma per poi distogliere lo sguardo imbarazzata. «Ehm, mentre stavamo facendo cose, è arrivato Ren e gli ha detto che dovevano andare. La cosa assurda è che Lars l'ha fatto! Ha preso e se ne è andato senza una parola! Poi dalle persone alla festa ho saputo di aver incontrato le due celebrità del momento.» Finisce il suo racconto con un sospiro. «Allora, quanto ti faccio schifo ora?»
Per niente. Quanto faccio schifo io a me stessa invece? Tanto.
«Nah, non preoccuparti, che sei un po' zoccola l'ho sempre saputo!»
Lei apre la bocca un paio di volte poi mi tira addosso il tovagliolo; senza neanche accorgercene stiamo ridendo entrambe.
Mi sento leggera, avere una spiegazione logica per il suo comportamento mi ha tolto dal petto un peso enorme.
Lei non ha nulla a che fare con la morte di Grant.
Mi lascio andare a quel pensiero, assaporandolo; la vocina mi ricorda che questi rapidi cambi di umore non sono un buon segno, ma non mi importa, mi permetto di essere felice anche se solo per un breve momento.
Domani. Sì, domani tornerò a occuparmi di Grant e della mia più che probabile ricaduta, ma questo momento è nostro soltanto.
Io e lei. Nessun altro.
Mentre fuori la tempesta infuria.
La consapevolezza arriva, così dal nulla, in quell'istante, quasi a volersi prendere gioco di quell'attimo di felicità.
La consapevolezza che è solo il principio, qualcun altro che conosco morirà. Presto.
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