Capitolo 4
Il Respite for beings è un locale alquanto singolare: alterna musica metal, dubstep e house music. A seconda del tipo, il gioco di luci cambia ritmo e intensità in un connubio di effetti psichedelici che sicuramente non fanno sentire la necessità di assumere allucinogeni di sorta, già solo quelli mandano in pappa il cervello.
Più mi guardo intorno, più non comprendo la presenza di Grant qui.
Il posto è piccolo, caldo, mal tenuto e sporco, insomma niente a che vedere con le solite discoteche che frequentiamo e di certo quest'odore non è profumo o colonia.
Allarmata dalla quantità eccessiva e variegata di chiazze visibili, chiedo: «Lexy, cosa c'è per terra?»
Mi stringe la mano e mi conduce verso i tavoli a lato della pista.
«Se fossi in te, non mi interrogherei sulla provenienza delle macchie presenti sul pavimento. Dubito lo lavino spesso. Probabilmente pensano che la macchina per la schiuma serva a quello.»
Nonostante la drammaticità della situazione, non riesco a trattenere una risata, mentre lei, imperterrita, scandaglia i tavolini e le sedie, cercandone qualcuno abbastanza pulito. Alla fine, ci accomodiamo su uno che giudica accettabile.
A parte il nostro, gli altri sono tutti vuoti; la console e tutta la strumentazione sono posizionati in un angolo buio e in pista due ragazzi, sui vent'anni, sfoggiano passi di danza complicati, il genere che si è soliti vedere nei film.
All'improvviso, capisco cosa non torna: non c'è il bar e nemmeno i camerieri. Il locale pare abbandonato a se stesso, senza nessun tipo di controllo.
«Questo posto è...» Lexy si interrompe scuotendo la testa.
«Uno schifo» completo per lei.
«Non capisco.»
Siede con la borsa sulle gambe, una mano sull'altra, impegnata a giocare con le cuticole di un'unghia, il labbro inferiore stretto tra i denti per la tensione.
Guardandola, mi rendo conto di essermi persa nella contemplazione del locale e di essermi dimenticata, anche se solo per qualche istante, del perché siamo qui.
Giusto qualche giorno fa, Grant è stato qui per due ore.
Non riesco a immaginare neanche un buon motivo per stare qui altri cinque minuti, figurarsi delle ore. Cosa cercava il mio impegnato, responsabile, educato, amico al Respite for beings?
«Raya?»
«Sì?»
«Non c'è niente, e soprattutto nessuno, se non si contano i due ragazzi in pista e i motociclisti fuori. Possiamo andare, ora?» L'espressione di Lexy è un misto di sollievo e speranza.
Ha ragione, questo posto è una delusione su tutta la linea. Per di più, la sua reputazione è del tutto immeritata. Qui, l'unica cosa equivoca è come abbiano superato le ispezioni sanitarie.
«Hai ragione, andiamo.»
Lexy si alza di scatto, quasi travolgendomi per la fretta di andarsene, i lunghi boccoli biondi formano un'onda dietro di lei; mi distanzia di poco, ma, proprio in quel momento, la musica cambia di nuovo.
Stronger di Kanye West è la prima canzone che riconosco da quando sono entrata. Lo sguardo viene calamitato dai due ballerini e appena dietro di loro... il Dj è in console.
«Lexy!»
Scocciata, mi raggiunge. «Che c'è ora?»
Il cuore mi batte all'impazzata. Tremando, le indico il forse venticinquenne con i lunghi rasta ossigenati.
«Raya, ormai i dread ce li hanno tutti, non è neanche più una cosa che attira l'attenzione. Forza, andiamo.»
Guardo il soffitto alla ricerca di un pizzico di pazienza. «Non volevo spettegolare sui suoi capelli! Ma farti vedere che c'è qualcuno al mixaggio, nessuno è passato dall'ingresso quindi deve esserci un'altra stanza» rifletto.
Tombola.
L'aspettativa di aver finalmente qualcosa su cui concentrarmi mi manda su di giri. Vado dritta verso la console ignorando i tentativi di Lexy di trattenermi per un braccio. «Cosa vuoi fare?»
«Ciao» esclamo e lo raggiungo quasi saltellando. Spero di apparire amichevole e non uno scoiattolo sovraeccitato. Il mio approccio deve aver funzionato, perché ora lui ci squadra con aperto apprezzamento.
«Ciao a voi» risponde facendoci un occhiolino allusivo.
Lexy stringe la presa sul mio braccio, se per farmi forza oppure per scoraggiarmi, non saprei dirlo.
«Allora, da queste parti una ragazza per bere cosa deve fare?» continuo.
Se Grant mi avesse beccata a civettare in maniera così plateale si sarebbe fatto una grossa risata, ben sapendo che mi comporto così solo quando voglio ottenere qualcosa.
"Sei più scontrosa di un toro, ma quando ti metti di impegno faresti piegare sulle ginocchia anche un monaco" mi ripeteva sempre.
«Non siete di queste parti, eh? Di solito basta fare le scale, ordinare e pagare» risponde con un mezzo sorriso. «Ma per voi potrebbe valere l'offerta bacia il dj e prendi due» aggiunge ammiccando.
Rido imbarazzata, non sapendo come reagire. I ragazzi che ho cercato di manipolare finora non sono mai stati così diretti, troppo frenati da anni di educazione e perbenismi. Solo dopo un paio di bicchieri cadevano nel viscido.
«Per stavolta penso che pagherò.»
«Ah, peccato. Tu, biondina, che dici?»
Lexy incrocia le braccia al petto, e i suoi occhi socchiusi mandano lampi. «Che ho visto cani in calore meno spudorati di te.»
Affatto felice della provocazione, in pochi secondi diventa livido in volto. «Scusala, lei è... particolare, a volte non si rende conto di risultare offensiva. Le scale?» intervengo, cercando di smorzare la tensione e allo stesso tempo di ottenere quello per cui siamo venute.
Il ragazzo si mette un paio di cuffie e indica con un gesto vago la parete dietro a una grossa cassa; immaginando che sia il suo modo di congedarci, seguiamo il consiglio e scopriamo delle scale, ma non portano verso l'alto, no, queste conducono a un piano sotterraneo.
«Che diamine ti è preso?» esplodo appena siamo abbastanza lontane.
«Cosa è preso a me? Con chi credeva di parlare quell'idiota? Con delle ochette in cerca di cocktail gratis? E anche se fossimo state quel tipo di ragazze, avremmo meritato lo stesso un minimo di rispetto.»
«Hai ragione, ma non sei stata tu a dire che non dobbiamo attirare l'attenzione? Soprattutto quella negativa? Far incazzare i dipendenti non è tenere un profilo basso. Tanto vale che ci mettiamo a sbandierare perché siamo qui.» Infuriata, scendo i primi gradini.
«Ferma, non vorrai davvero andare lì sotto! Con la musica alta che c'è qui, saremo completamente isolate, scommetto che laggiù non prende nemmeno il telefono!»
Imperterrita continuo a scendere; a ogni gradino la rabbia aumenta. Sono così stanca...
Non ho chiesto io di aver questa percezione per la morte dei miei cari.
Non ho chiesto io a Lexy di venire qui con me. Non ho chiesto io che Grant morisse.
Non ho chiesto io di sentirmi così.
Una lacrima è l'unico segnale esteriore delle crepe formatesi nella diga che ho eretto per venire in questo posto, con un movimento rabbioso della mano, ne elimino ogni traccia. Voglio solo che tutto questo finisca, non sentire più il dolore, il senso di colpa, la paura.
Esiste solo un modo per concludere questa faccenda: trovare delle risposte.
Non mi fermerò finché non le avrò ottenute. Allora forse, solo forse, potrò smettere di sentire.
Una vocina maligna e insidiosa sussurra nella mia mente che ci sono altri modi: un'immagine di mia madre, abbandonata nella vasca con i polsi squarciati, mi attraversa la testa.
Un altro segno salato di debolezza scorre lungo la guancia, no. No, non abbandonerei mai Kyle.
Ho visto quello che il suicidio di mia madre ha portato alla nostra famiglia. Solo altra pena e dolore. Certo, potrei fare come mio padre e anestetizzare la sofferenza nell'alcol, ma anche quella non si è rivelata una soluzione.
Almeno non per me e Kyle, che l'abbiamo visto ogni giorno affogare un po' di più nella disperazione, fino a che è arrivato proprio dove voleva essere: accanto a mia madre.
Due tombe identiche, una di fianco all'altra. Un altro gradino, un'altra crepa.
Basta, basta. Basta!
La vocina torna, suadente, suggerendomi un'altra via, una che già in passato mi ha permesso di star bene. Di smettere di soffrire.
Dopo la morte dei miei genitori, cercavo una meritata pausa dall'agonia che aveva pervaso le mie giornate e infestato le mie notti.
Ero finita in un luogo così profondo e oscuro che neanche i sorrisi luminosi di Grant riuscivano a raggiungermi.
Per un po', le pillole prescritte dalla mia terapista mi avevano aiutata ad affrontare la vita un giorno alla volta, estirpando i pensieri distruttivi che si erano annidati negli angoli più tenebrosi della mia mente.
Il genere di riflessioni che coglie impreparati prima di addormentarsi, che fanno annaspare in cerca d'aria quando, soli nel letto, non si riesce a immaginare nessun tipo di futuro.
All'improvviso, tutte le speranze vengono strappate via dalle coperte stritolanti, dalle mani invisibili che costringono le spalle contro il materasso, finché non ci si contorce impotenti sotto la presa invisibile dell'ansia, del terrore e ci si ritrova a implorare che tutto finisca, ma quando accade... quando accade sei ancora tu e anche se puoi muoverti, respirare, le sabbie mobili sono ancora lì.
Ti guardano.
Ti costringono a riconoscerle.
Dichiarano la loro esistenza.
E tu sei solo una cosa rotta che gli altri provano inutilmente ad aggiustare. Gli psicofarmaci hanno scacciato i terrori notturni, ma più mi accorgevo di star bene prendendoli, più volevo assumerli in altri momenti della giornata, finché non sono diventati un bisogno.
Kyle, Grant e Lexy, accorgendosi che mi ero spinta molto oltre le dosi consigliate mi avevano supplicato di smettere. E lo avevo fatto. Per loro. Niente più ansiolitici combinati ad alcol e antidepressivi per me.
Grant non vorrebbe che ci ricadessi a causa della sua morte... giusto?
Il dubbio mi travolge, mentre percorro gli ultimi due scalini. Il Grant che conoscevo non avrebbe mai messo piede qui dentro. Mi sono sforzata con tutta me stessa di ricordare se negli ultimi tempi sembrasse diverso o se si fosse comportato in modo strano, ma non ho memoria di un'occasione in cui non sia stato al cento per cento Grant Wyndham.
No, niente pillole magiche per ora, devo recepire tutto: il dolore, la colpa e la rabbia.
Sono lo sprono che mi serve per continuare a cercare.
Il sotterraneo è molto più spazioso del piano superiore, molto più pulito e decisamente più affollato. Come stile d'arredamento ricorda un po' una taverna, con le pareti di mattoni e il soffitto ad arcate.
La musica arriva attenuata, il suono più insistente che si sente è il chiacchiericcio di una ventina di ragazzi; sono seduti a un enorme tavolo posizionato ad angolo in fondo alla sala e, dalla quantità di bicchieri vuoti, devono essere qui da parecchio.
Il bancone del bar, come tutti i mobili presenti in vista, fatta eccezione per i divanetti, è anch'esso in legno lavorato, però di una tonalità più scura tendente al nero.
«Lexy, vuoi qualcosa da bere?» domando, sforzandomi di essere cordiale, di ricacciare in profondità i sentimenti oscuri sorti insieme ai ricordi.
«Una birra media, sembra che qui dentro non si beva altro.»
Questa sera è decisamente più acida del solito. Conto fino a dieci, cercando di ricordare che non è facile neanche per lei.
Davanti al bancone ci sono svariati sgabelli, le sedute sono composte da ceppi rustici bordati in metallo; a tenerli in piedi, tre gambe di legno robuste.
Mi siedo con attenzione, sorprendendomi di trovare la seduta stabile e anche comoda.
Solo allora mi accorgo che la barista, impegnata a strofinare un boccale con un panno mi squadra intensamente; non riesco a decifrare il suo sguardo, ma non sembra molto contenta.
Ha un aspetto singolare: altezza nella media, molto muscolosa, capelli corti viola sparati in varie direzioni e una cicatrice che attraversa, da parte a parte, le labbra.
«Ciao, posso avere due birre medie bionde, per favore?»
«Spina o bottiglia?» chiede senza giri di parole, distratta dalla tavolata. Mi volto a spiare cosa ha attirato la sua attenzione: uno dei ragazzi è appena caduto dalla sedia tra le risate generali.
«Spina.» Alla mia risposta, lei emette un verso non ben definito che può voler dire di tutto.
Pago, prendo l'ordinazione e vado al tavolo al quale si è accomodata Lexy.
«Prossima mossa?»
Bevo due bei sorsi, leccandomi i baffi di schiuma, e così riesco a farla ridere per la prima volta da quando siamo entrate.
«Non so. Vediamo un po' come si mettono le cose. La barista non è molto socievole.» Stringo il boccale fra le mani e accavallo le gambe pensosa, questa specie di taverna non è tanto male.
«Strano, ha proprio l'aria di una con cui parlare dei massimi quesiti dell'universo. Ma, guarda il lato positivo, se ci tratteniamo ancora un po', avremo l'occasione di vedere un porno in diretta.»
Lentamente, cercando di non attirare l'attenzione, mi volto nella direzione indicata da Lexy. Un ragazzo dalla pelle olivastra, a torso nudo e palesemente ubriaco, è sdraiato su uno dei divanetti. Su di lui è seduta a cavalcioni una ragazzetta minuta, dalla lunghissima chioma nera lucente, in minigonna e top striminzito. Spalanco gli occhi allibita: lei gli sta leccando il petto mentre il poveretto cerca, senza successo, di scansarla.
«Da queste parti le ragazze molestano i ragazzi, non il contrario» esclama con tono scherzoso Lexy. Io non ci trovo niente di divertente, ma pare sia l'unica a pensarla così.
I suoi amici infatti se la ridono, fischiano e fanno commenti osceni alla "coppia". Solo allora riconosco lo sventurato: è lo stesso che, poco fa, è caduto dalla sedia. Stasera non gliene va bene una.
«Begli amici» commento non rivolgendomi a nessuno in particolare.
Mi risponde una voce sconosciuta: «Oh, non preoccuparti.
Sbocchino Martin sa badare a se stesso».
Per lo spavento faccio un piccolo sobbalzo, mentre l'uomo appena intervenuto si siede con nonchalance al nostro tavolo.
Lexy si riprende più in fretta di me, una luce interessata negli occhioni azzurri mentre scannerizza il nuovo arrivato. In effetti, è davvero niente male, con quei capelli color caramello, più lunghi della moda corrente, la mascella squadrata irsuta e il giaccone di pelle di qualche taglia più grande.
«Sbocchino?» Lexy ripete il soprannome perplessa.
Lui sogghigna, mettendo in mostra due perfette file di denti bianchissimi mentre passa lo sguardo da me alla mia amica con l'aria di chi sa di avere tutta l'attenzione su di sé.
Un brivido mi corre lungo la schiena quando i suoi occhi, di un verde smeraldo intenso, si posano un'istante di troppo nei miei, e una strana percezione di pericolo mi stordisce.
Non mi è mai capitato prima, nemmeno con gli uomini fuori dal bar; è una sensazione così intensa che, per un breve attimo, penso di aver previsto la morte mia e di Lexy, ma la sensazione passa subito, come un breve monito.
Finiscila, Raya, ti stai solo autosuggestionando!
«Qui è tristemente famoso. Non regge l'alcol, beve un paio di pinte e poi mette su il suo spettacolino rivoltante, da qui il soprannome. Ella dovrebbe capire quando è il momento di lasciar perdere, ancora qualche istante e dovrà correre a cambiarsi.» Ora stiamo tutti e tre osservando la scena in attesa.
«Mi sembra di averti già vista. Sei già stata qui?» Il ragazzo si sporge verso Lexy, con una mano curata si strofina la barbetta che gli ricopre il mento con aria perplessa.
«Sì, sempre. Questo è il mio locale preferito, se si può definire così.»
Le tiro un calcetto da sotto il tavolo, guadagnandomi anch'io una delle sue occhiate assassine.
Nonostante la sua battuta sarcastica, il ragazzo non sembra affatto offeso, anzi, la fissa divertito e anche un po' affascinato, poi ammicca, rispondendole a tono: «Be', darling, se questo posto non ti piace forse sei qui per altro, me, per esempio».
Lexy boccheggia piccata, colta senza risposta pronta.
Prima che riesca a mettere insieme una frase per rispondere, un gruppo numeroso scende le scale, attirando l'attenzione generale. Il nostro anfitrione si irrigidisce, ma la cosa più strana è che lo fanno anche tutti gli altri nella sala. Passa circa mezzo secondo prima che insieme, come un sol uomo, si alzino. Persino Sbocchino ed Ella, seppure con più difficoltà.
Uno dei nuovi arrivati si stacca dal gruppo e si dirige sicuro verso la nostra nuova conoscenza che, a sua volta, gli va incontro.
Si incontrano in mezzo alla sala ognuno con i propri compagni alle spalle, seppure a distanza. La tensione tra i due è palpabile e il silenzio, unito al lento scorrere del tempo, sembra esasperarla.
Noto che sono tutti altissimi, tra il metro e ottanta e i due metri. Assurdo, oltre che statisticamente improbabile.
«Credo che abbiamo trovato quello per cui sei venuta.» Il tono di Lex è un misto tra ansia e panico. «Forse è meglio andare.»
Prima che si alzi del tutto, l'afferro e la tiro giù. «Non ci conviene passare in mezzo, sono proprio davanti alle scale.» Spero che la mia voce suoni calma nonostante il cuore batta al ritmo di un tamburo impazzito.
I due ragazzi, ancora in silenzio, sono impegnati in una sorta di gara a chi abbassa lo sguardo per primo.
«A voi non è permesso stare qui.» La voce della barista risuona, interrompendo lo stallo. Non appare spaventata, anzi ha l'aria infuriata mentre tiene stretta tra le mani una mazza da baseball in acciaio.
Le cose non si mettono bene per niente. Il pensiero passa limpidissimo nella mia testa e non solo, la solita sensazione si risveglia in me.
Qualcuno morirà.
«Credete di poter venir qui solo perché Ren al momento è assente?» La voce del ragazzo che era al nostro tavolo suona come un ringhio basso e rauco, intimidatoria.
Il suo avversario sorride, per niente preoccupato. «È stato lui a suggerire di far fronte unito davanti alla minaccia che stiamo affrontando. Noi abbiamo deciso di fare il primo passo per una convivenza civile.» Il suo tono appare falso, e nel suo aspetto non c'è niente di pacifico: cranio completamente rasato ricoperto di tatuaggi intricati, fisico da body builder e... È un coltello a serramanico quello che ha infilato nella cintura?
«Se adesso ci mandate via, toccherà a te spiegare al caro Ren che hai disobbedito a un suo ordine diretto... O forse c'è un motivo che ci nascondete per cui lui non sarà in grado di prendere provvedimenti?»
I ragazzi del posto sussultano colpiti, guardandosi l'un l'altro con fare colpevole. Chiunque sia questo loro compagno, deve essere davvero terribile per incutere un timore del genere nei suoi stessi amici.
«Lungi da me contestare gli ordini di Ren, ma ricordate: nostro il territorio, nostre le regole. Fate anche solo un gesto che non mi piace e sono sicuro che non gli dispiacerà se vi diamo una ripassata.»
I miei sospetti vengono confermati: sono due bande rivali. Si sono alleati? Contro chi? Hanno a che fare con la morte di Grant? Forse è stato uno di loro a sparargli. All'improvviso, questo posto sembra davvero troppo piccolo e soffocante.
I gruppi si dividono, quello di casa torna al proprio tavolo, l'altro si posiziona all'angolo opposto. Tutti si siedono in modo tale da non volgersi le spalle. Il massimo della fiducia reciproca.
Il pelato rompe il silenzio: «Un giro della bevanda della casa per tutti... per favore».
Non mi sfugge, e sicuramente neanche agli altri, quanto la supplica sia sarcastica.
Ovviamente non c'è mai fine al peggio, io e Lexy ci ritroviamo proprio in mezzo e loro, troppo tardi, realizzano che il loro piccolo show ha acquisito due spettatrici esterne.
Ingoio una sorsata cercando di non soffocarmi per l'ansia, mentre la testa vortica veloce alla ricerca di un qualsiasi argomento che non ci faccia apparire delle ficcanaso alle loro orecchie.
«Quindi che succede tra te e mio fratello?»
«Tuo fratello?» risponde Lexy cadendo dalle nuvole.
«Sì, ultimamente vi comportate in modo strano.»
Dal tavolo dei nuovi arrivati proviene una risata soffocata: come sospettavo, ora sono loro a prestare attenzione a noi. Non possiamo lasciar trapelare in alcun modo la nostra agitazione o si accorgeranno che qualcosa non va e, dalla morsa che mi serra lo stomaco, le cose si metteranno presto male. L'unica incognita è se quando accadrà noi saremo ancora qui, oppure no, e io ho tutta l'intenzione di portare Lexy fuori tutta intera.
«Probabilmente il tuo fratellone si è sbattuto la tua amichetta per bene!»
Non mi volto a controllare, ipotizzo però che a fare il commento sia lo stesso della risata di pocanzi. Inizio a chiedermi se da queste parti vengano tirati su a ignoranza e frasi volgari.
Chiassosi come iene di fronte a un banchetto, entrambe le tavolate ridono sguaiatamente, complici su qualcosa per una volta.
Rabbrividisco per l'orrore. Che schifo! Il viso di Lexy ora è più rilassato, anche se di diverse tonalità più scure rispetto la sua carnagione pallida: ha compreso il motivo per cui ho iniziato questo discorso. Anche se non sa qual è la posta in gioco. Non come me.
«Parliamo di più solo perché ci ha legato la preoccupazione per te.»
Dato il contesto, non insisto col farle notare che Kyle si è comportato in maniera strana già da prima di Grant. Questo è un modo come un altro per chiudere la faccenda e levare le tende.
«Okay, finisci la birra e andiamo a fare un giro.»
Lexy capisce al volo che è il segnale per svignarcela, fintanto che loro sono ancora alle prese con certe elucubrazioni e a tracannare pinte.
Proprio mentre ci alziamo, Sbocchino si esibisce nel suo spettacolino con sequenziale urlo schifato dei presenti e di rabbia impotente della barista.
Grazie a questo usciamo inosservate. Arrivate alla discoteca, rimaniamo sorprese di vedere che si è riempita, per passare dobbiamo farci largo a gomitate.
Guadagnata l'uscita respiro una grossa boccata d'aria pulita, ma la sensazione comparsa all'entrata del gruppo non è ancora passata; è rimasta sottopelle per tutto il tempo, in agguato, alla bocca dello stomaco, nel battito frenetico del mio cuore, nelle mani che tremano leggermente.
Eppure, è diversa, meno intensa e più mi allontano meno riesco a distinguerla da un normale affaticamento.
Fuori dal locale l'atmosfera è tranquilla, andiamo verso le macchine senza rivolgerci una parola, ognuna persa nei propri pensieri.
Siamo quasi alla mia, quando veniamo raggiunte da rumori sordi, impossibili da non riconoscere: urla, spari, un... ruggito?
Ci blocchiamo entrambe, guardandoci affannosamente intorno. Il parcheggio è vuoto, gli schiamazzi devono provenire da uno dei vicoletti dietro il Respite.
Lexy mi afferra, tirandomi verso le auto. «Forza! Dobbiamo andarcene subito.» Una volta rassicurata nel vedermi salire, corre vero la sua.
Metto in moto, ma non parto. Penso di chiamare la polizia, però, proprio in quel momento, la porta del locale si apre con forza, sbattendo contro la parete. Ne escono di corsa entrambi i gruppi, che si dirigono senza indugio nella terza viuzza di destra. Dopo qualche istante, sento altri spari concitati, altri strepiti strazianti usciti direttamente dagli incubi di qualcuno. La sensazione svanisce del tutto. La morte ha trovato il suo percorso, trascinando qualcuno con sé.
Lexy, concitata, suona il clacson riportandomi alla realtà. Ingrano la marcia e me ne vado, la testa sovraffollata di pensieri: il sotterraneo è isolato, neanche la musica penetra laggiù, come hanno fatto il gigante barbuto e gli altri a sentire gli spari?
Telecamere?
No, di certo la polizia avrebbe chiesto le registrazioni per Grant.
Eppure... uno dei ragazzi che ho visto questa sera deve essere morto.
Per molto tempo, ho pensato di poter percepire solo la morte dei miei familiari, perché altrimenti sarei stata male anche quando è morta di vecchiaia la Signora Tutcher, una mia vicina; poi però è morto Grant e la mia teoria si è sgretolata. Ora, invece, ho percepito uno, o più, di loro trapassare, sconosciuti incrociati solo per qualche istante.
In qualche modo arrivo a casa, mi spoglio strato per strato e con ogni indumento che cade sento un pezzo della mia corazza andare in frantumi, lasciando l'orrore affacciarsi mentre mi infilo sotto le coperte. Incapace di dormire, rimango a fissare il soffitto di camera mia, l'eco di quelle urla nell'anima.
Durante il tragitto per tornare a casa, Lex ed io abbiamo accostato e di comune accordo abbiamo chiamato la polizia; a quest'ora gli agenti devono essere arrivati. Chi troveranno steso a terra questa volta? Quale famiglia verrà spezzata dalla perdita?
Forse non ho percepito nulla con la Signora Tutcher perché è morta di vecchiaia. Mia madre, mio padre, Grant e il tizio di stasera non hanno avuto un decesso naturale. Proprio per niente.
Chissà se è morto il bel ragazzo che si è seduto al nostro tavolo, o quel disastro di Sbocchino.
La solita vocina cattiva mi sussurra che non ha importanza, sono tutti responsabili per quanto accaduto a Grant. Meritano di soffrire, di essere giudicati per i loro peccati davanti al Sommo Giudice.
Un'altra parte di me si spaventa per quel pensiero così glaciale.
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