Capitolo 1
DUE ANNI DOPO
Nel quartiere residenziale in cui vivo tutte le abitazioni sono uguali: stessi due piani, stesso colore bianco perla, stesso cancello verde in ferro battuto e stesso giardinetto sul retro.
C'è qualcosa di confortante nell'uniformità.
Una volta non la pensavo così, ma, quando tante cose nella vita cambiano in modo repentino, si trova sollievo in quei pochi punti fermi che ci vengono offerti.
Prima di entrare, lancio un'occhiata alla finestra del secondo piano dei vicini. La luce è spenta. Grant, il mio non professionale life coach, non è a casa.
Cavolo, ho dimenticato di rispondere al suo messaggio di ieri pomeriggio in cui mi proponeva l'ennesima maratona della prima stagione di Supernatural. D'altronde, non posso semplicemente dirgli: "Scusa, amico, questo weekend forse no, potrei essere a un altro funerale. Tieniti libero, avrò bisogno di te".
Grant è stato la mia roccia dopo che mamma ci ha lasciati.
In quel periodo, teneva una manciata di sassolini sul davanzale della finestra e, ogni volta che mi vedeva frignare in camera, bombardava la mia finché non reagivo.
Più volte in questo decennio ha dovuto raccogliere i miei pezzi, obbligandoli a ricongiungersi solo grazie alla sua caparbietà.
Annuisco riverente alla finestra vuota, gli devo la mia sanità mentale, il minimo che posso fare è rispondere a un messaggio. Appena mi trascino oltre la porta cigolante, vengo avvolta da un delizioso profumo di lasagna fatta in casa. Istintivamente sorrido, pensando a mio fratello che passa il pomeriggio a preparare il ragù e a tirare la pasta come una brava massaia. All'inizio, quando anche nostro padre ci ha lasciati, troppo distrutto dalla perdita per accorgersi di avere ancora dei figli, è stata dura, insopportabile, ma pian piano ci siamo dati dei ruoli
per non gravarci troppo addosso l'un l'altro.
Abbiamo una nostra routine, lui fa sì che la nostra dieta sia variegata e io contraccambio tenendo pulita casa e occupandomi del bucato, tranne che dei suoi vestiti. Per quanto gli voglia bene, non esiste che mi metta a lavare la sua biancheria. Preferisco non conoscere certe abitudini notturne di mio fratello.
«Bentornata, coccinella.»
Ignoro il colpo al cuore già debole. A volte gli scappa quel nomignolo e la mia testa corre verso un'altra voce profonda che lo pronunciava.
Kyle compare nel piccolo corridoio che dà sulla cucina con indosso solo un paio di jeans e un graziosissimo grembiule rosa shocking.
Mi blocco nell'atto di togliere le scarpe, cercando di trattenere le risate. «Nuovo look? Ci starebbero bene delle scarpe con il tacco abbinate.»
«Quanto sei spiritosa, il mio purtroppo non è ancora asciutto, ho dovuto usare il tuo. Di là è già tutto pronto, vieni a mangiare.» Fa per andarsene ma poi si ferma sulla soglia, la fronte corrugata e le sopracciglia folte aggrottate in un'espressione che ben riconosco. «Non ti è ancora passato questa specie di virus?»
«Purtroppo no.»
Temendo possa farmi ulteriori domande, corro su per le scale a una velocità folle, gridando che tornerò subito dopo essermi cambiata.
La nostra storia, gli ultimi anni soprattutto, non sono stati facili. Ci sono stati così tanti alti e bassi, complicazioni, crisi, che non ho mai avuto il coraggio di spiegargli la mia teoria.
Quando provo quel genere di dolore, qualcuno della mia famiglia muore.
So che Kyle mi ama, d'altronde sono tutto ciò che gli resta, ma chi mai potrebbe credere a una storia così assurda? Mi manderebbe di corsa dalla mia ex-terapista. Non che gliene faccia una colpa, a ruoli invertiti farei lo stesso.
Mi spoglio rapida, notando di avere la carnagione più pallida del solito: le vene spiccano violacee, disegnando strade vivide e ben visibili sul mio corpo. Desiderosa di coprire quello spettacolo rivoltante, afferro la tuta.
È proprio in quell'istante che avverto un cambiamento. Mi immobilizzo. La stretta nel petto aumenta e il ticchettio nelle orecchie è sempre più concitato, assordante.
Emetto un rantolo, i polmoni si rifiutano di eseguire il loro dovere, l'aria mi abbandona troppo in fretta rispetto a quella che riesco a fare entrare. Stringo disperatamente il tessuto morbido della maglia tra le mani, incespicando nei miei stessi piedi. La vista si offusca, rendendo sbiaditi e confusi i pochi mobili essenziali della camera. La realtà diventa qualcosa di totalmente relativo, l'oscurità cala su di me come l'ombra della Terra copre la Luna durante un'eclissi, attimi in cui ci si interroga se tornerà mai a illuminare il cielo.
Sbatto contro il compensato duro della scrivania, percependo a malapena la caduta del barattolo con le penne e gli evidenziatori. Tutto si annulla, il mio corpo viene scosso da tremori incontrollabili, le membra si sono tramutate in gelatina. Ed eccolo lì, ancora, il fiato della morte che mi accarezza, che mi attraversa dandomi quasi una pacca amichevole sulla spalla prima di andare dove deve. Crollo con un tonfo sordo, gli spasmi che non accennano a fermarsi. Attiro le ginocchia verso il petto, dondolando su me stessa nel tentativo disperato di trovare conforto.
Sta succedendo di nuovo.
Vorrei chiamare Kyle per assicurarmi che stia bene, ma non riesco neanche a respirare. La mente si affolla di scene orribili: Kyle, gli occhi celesti vuoti rivolti verso l'alto, le forti braccia, in cui sono solita rifugiarmi, spalancate e prive di vita.
Calde lacrime iniziano a scendere copiose, se anche lui mi sta abbandonando non so cosa farò, come potrò andare avanti.
C'è un limite al numero di persone che si possono perdere.
Da tempo ho raggiunto il mio.
Veloce com'è cominciata, la crisi svanisce. Il respiro si regolarizza, la vista e la forza tornano. Non so quanto tempo sia passato, pochi istanti o lunghi minuti, ma non posso più aspettare. Mi rimetto in piedi di scatto, rischiando di cadere, la testa ora vuota e libera. Strillo il nome di mio fratello, corro, inciampo e corro ancora fino alle scale. Poi lo vedo: io su, lui giù. Solo la rampa a dividerci.
«Cosa succede? E perché sei mezza nuda?»
Non riesco a rispondere, le parole scappano confuse insieme alle lacrime e ai singhiozzi, che si tramutano presto in risate isteriche. Nella mia testa due parole continuano a ripetersi come un mantra: è vivo.
«Raya? Pensavo ti fosse successo qualcosa! Non c'è nulla da ridere, è un brutto scherzo!» Tutto indispettito, torna in cucina in quello stupido grembiule rosa e io continuo a ridere, perché la vita ora è piena di possibilità esaltanti. Avrò Kyle, non rimarrò sola.
Torno in camera ancora scossa e mi vesto a caso con un sorriso ebete dipinto in faccia, la pelle sta già riacquisendo una tonalità rosata normale, le occhiaie sono meno pesanti.
Prima di scendere, afferro il cellulare al volo e rispondo a Grant.
IO: Maratona confermata! Porto il cibo
Ignoro il resto delle notifiche in favore di questa splendida serata e della cena che mi aspetta. Forse sbagliavo, forse il mio malessere non deve per forza coincidere con una morte.
Appena entro in cucina, la prima cosa che faccio è avvolgere Kyle in un abbraccio da orso. È ancora arrabbiato, lo noto dall'espressione corrucciata e dalla tensione delle sue spalle. Solo quando inizio a fargli il solletico dietro le orecchie con il naso, si decide a darmi qualche pacca impacciata sulla schiena.
«Mi hai fatto preoccupare. Pensavo fosse successo qualcosa di brutto.» Le coccole non sono esattamente il suo forte. Forse perché, da quando siamo soli, ha sempre dovuto essere quello forte. L'uomo della situazione che sa destreggiarsi tra le mille responsabilità della vita adulta. Solo una volta l'ho talmente esasperato da costringerlo a starsene lontano per una settimana, perché "bisognoso di aria".
«Lo so, scusa.»
Dato il nostro passato, non è mai piacevole sentire urlare in casa. Qualcosa dentro di noi è sempre pronto al peggio. Cose che accadono quando tua madre si toglie la vita in bagno e tuo padre troppo ubriaco, in lutto, si schianta contro un albero. Prima di accomodarmi, gli piazzo un bacio sulla guancia rasata di fresco, il forte profumo di dopobarba mi invade le narici.
Mangiamo e chiacchieriamo di banalità: i nostri corsi, cosa fare per le vacanze. A ogni argomento, anche il più noioso, ribatto euforica confondendolo, così piena di energia che quasi non riesco a stare ferma sullo sgabello.
Finiamo così a parlare della partita di basket a cui parteciperà sabato con la sua squadra, vorrebbe organizzare un after qui.
«Caro il mio festaiolo, fai pure, ma non ho alcuna intenzione di pulire, quindi organizzati.»
«Dirò ai ragazzi di comportarsi bene e le riserve aiuteranno a sistemare. Tu devi solo divertirti, nessuna preoccupazione... Potresti anche invitare qualche tua amica, giusto per non sentirti in disparte. Sai, saremo solo noi brutti, muscolosi, sudati, puzzolenti maschi, sia che vinciamo o che perdiamo.»
Arriccio il naso disgustata, immaginandomi la scena, ma soprattutto l'odore. «Che bel quadretto! Sudati e puzzolenti? Che schifo. Ma non avete le docce negli spogliatoi?»
«Sì, ce le abbiamo, ma se tu portassi delle ragazze potrei usarlo come incentivo perché le usino.» Kyle sfoggia il suo solito sorriso scanzonato di quando le sta sparando grosse, e questo più di tutto la dice lunga.
Decido di stare al gioco. «Immagino che potrei chiedere a qualche amica dell'Università.»
Con il suo metro e quasi novanta, è già divertente vederlo sedere sull'alto sgabello tutto ingobbito per arrivare a mangiare sul bancone, ma osservarlo muoversi lì sopra come un canarino sul trespolo è anche meglio.
«La tua acida metà non la inviti?» Si passa con finta nonchalance una mano sulla nuca, ma la rimette subito a posto quando si rende conto che non c'è nulla da pettinare. Qualche settimana fa, si è rasato a zero, nonostante glielo abbia sconsigliato, visto che prima aveva un ammasso di deliziosi ricciolini biondi.
«Lexy? È sottinteso. Certo che la inviterò.»
Io e lei siamo come Buffy e Willow di Buffy l'ammazzavampiri, mentre Grant è il nostro Giles, affidabile e pronto a trascinarci sulla retta via quando la perdiamo. Siamo molto diverse, ma più forti insieme proprio grazie a questo.
«Ultimamente ne parli poco. Avete litigato?»
«No. Siamo inseparabili dalla quarta elementare, noi non litighiamo, battibecchiamo. Se non ne parlo è perché non sento il bisogno di condividere con te aggiornamenti sulla sua vita.»
Ma che gli prende? Mio fratello ha quattro anni in più di noi e non ha mai, mai, espresso interesse positivo nei suoi confronti, più di una volta l'ho sentito chiamarla sottovoce "zoccola demoniaca". Non esattamente un vezzeggiativo, non che lei abbia una considerazione molto più alta di lui.
«Pensi che verrà con qualcuno?»
Il mondo si è capovolto e nessuno si è degnato di avvisarmi.
«Non lo so, Kyle. Non sono la sua balia, se avrà voglia di portare qualcuno, non vedo dove sia il problema.»
Sono troppo sorpresa per essere diplomatica. Entrambi sappiamo che Lexy non si presenterà accompagnata, è il classico tipo di ragazza che arriva da sola e se ne va al braccio di un bellissimo mascalzone. È una delle tante differenze che ci contraddistinguono. Alexandra Heith è uno spirito libero, impossibile trattenerla al proprio fianco, io stessa non ho idea di come ho fatto a guadagnarmi la sua lealtà, mentre io sono... segnata dal mio passato. Mi piace far festa, ma non credo mi fiderò mai abbastanza di qualcuno da lasciarlo avvicinare a ciò che ho dentro. Con Lexy e Grant è diverso, sono entrati nel mio cuore e nella mia vita prima di tutte le morti e le crisi.
In silenzio, sparecchio e metto i piatti nella lavastoviglie.
Lui scende dallo sgabello allungando le braccia verso l'alto.
«Guardi un film con me?»
Per un momento sono tentata di rispondere di sì, ho rischiato di perderlo oggi, non riesco ancora a venire a patti con questa consapevolezza.
«Domani, magari. Sono davvero esausta.»
Mi squadra comprensivo e anche un po' preoccupato. «Sai, il tuo aspetto è già molto migliorato da quando sei arrivata a casa, hai preso qualcosa?»
Mi blocco, il piatto bagnato a mezz'aria che quasi mi scivola di mano. Si riferisce a qualche farmaco generico, oppure agli antidepressivi che mi sono stati prescritti tempo fa?
«No, niente.» Scrollo le spalle fingendo disinvoltura, come se quel piccolo accenno ai miei passati problemi di dipendenza non mi avesse ferita. «Hai ragione, mi sento meglio, forse sto guarendo. Sarà merito dell'ottima cena. Notte, Kyle.»
«Buonanotte, Raya.»
Era da tempo che non pensavo alle pastiglie, al loro effetto, a come galleggiavo protetta dai brutti pensieri e dalle conseguenze delle mie azioni. Niente mi sfiorava, niente poteva ferirmi, era come stare in una camera insonorizzata con la vita che scorreva fuori dalle finestre senza davvero coinvolgermi.
Compio senza attenzione le solite procedure prima di buttarmi sul letto. Troppo a lungo ho permesso che questa convinzione di avere qualche sorta di contatto con la morte condizionasse ogni decisione, ogni scelta, che precludesse quello che veramente desideravo.
Non più. L'oblio arriva in fretta, fin troppo contento di accogliermi nel suo tepore; ai margini della coscienza un ricordo, ma non riesco a metterlo a fuoco.
Mi addormento quasi subito, per la prima volta dopo una settimana faccio sogni tranquilli, risvegliandomi solo al suono della sveglia. Troppo tardi ricordo di non avere lezioni e con un lamento ricado sul cuscino. Oggi è il primo giorno di libertà dalle catene che mi sono autoimposta.
Mi allungo verso il comò per afferrare il cellulare.
Spalanco gli occhi davanti alle innumerevoli notifiche, tra cui spuntano prepotenti tredici chiamate perse di Lexy e quattro messaggi.
Lexy: Chiamami è importante
Lexy: SOS
Lexy: Richiamami
Lexy: Raya non aprire i social, prima chiamami!
Ma che diamine le è preso? Sto per risponderle quando l'occhio viene catturato da un nome conosciuto. Mi si mozza il respiro.
57 persone hanno scritto sul diario di Grant Wyndham. Kat Wiss ha scritto sul diario di Grant Wyndham«R.I.P»
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