Capitolo 4: Passo

LYDIA

Quando riaprii gli occhi, mi ritrovai in un letto che non era il mio.

Ero confusa, così serrai le palpebre, cercando di ricordare qualcosa, e alcune immagini sfocate mi riempirono la mente: l'incidente, il lupo, il ragazzo.

Cercai di alzarmi, mi venne un capogiro, ma mi costrinsi a farcela comunque. Uscii dalla porta e mi ritrovai in un corridoio. Vedevo una luce in fondo ad esso.

"E se vedi un lungo tunnel, sta lontano dalla luceee" risi tra me e me, citando Ciuchino.

Mentre m'incamminavo, mi vidi riflessa ad uno specchio appeso ad una delle pareti: avevo la testa fasciata e un po' di sangue colorava le bende in corrispondenza della tempia sinistra.

E questa?

Continuai a camminare fin quando non mi ritrovai in cima ad una rampa di scale. Avevo appena deciso di scenderle quando vidi, in fondo a queste, una ragazza, bellissima a parer mio: lineamenti delicati, pelle chiara e capelli castano scuro raccolti in una coda alta, leggermente scompigliata.

A stonare con quell'aspetto da fata erano solo i suoi occhi: due stalattiti di ghiaccio che alzò esattamente in quel momento.

«Ehi, ehm, come... come ti senti?» mi chiese.

«Ciao» risposi.

Ma chi è questa?

«Bene, credo...» aggiunsi, distogliendo lo sguardo da quei freddi occhi che mi mettevano un po' in soggezione.

Ma dove mi trovo? E che fine ha fatto il ragazzo che mi ha salvata?

Iniziai a guardarmi intorno per vedere se riuscissi a riconoscere qualcosa.

Nel frattempo la ragazza aveva ripreso a parlare, ma non la stavo ascoltando. Mi capitava spesso, di non ascoltare intendo. Sentii distrattamente "genitori" e "macchina", probabilmente stava parlando dei miei.

Devo raggiungerli adesso e chiedergli cosa è successo! Dove mi hanno trovata? E che gli ha raccontato il ragazzo dagli occhi verdi? E che fine ha fatto.... oddio, il ragazzo calvo! E se è morto? Oppure è ancora vivo e lo hanno portato qui come hanno fatto con me.

«E il ragazzo?» domandai di getto per chiedere conferma.

Lei mi guardò in modo poco convinto «Ragazzo?» domandò.

«Sì, non quello con gli occhi verdi, no. Quello vestito tutto di nero col tatuaggio» specificai, ma lei continuò a guardarmi con uno sguardo interrogativo e anche un po' scocciato.

Forse non è il caso di nominare anche il lupo.

Che avessi preso una botta in testa e mi fossi sognata tutto? Questo avrebbe spiegato la fasciatura.

Decisi di cambiare argomento, in modo da non risultare completamente svitata. Ma di cosa potevo parlare con una perfetta sconosciuta? Vidi in un angolo, dietro alla porta da cui era sbucata, un arco ed una faretra poggiati alla parete.

«Bello,» dissi, indicandolo «è di tuo padre?»

Ok, la mia era una domanda veramente stupida ma non mi era venuto in mente nient'altro.

«No, è mio» mi rispose poco convinta.

In effetti ero passata dal parlare di un ragazzo inesistente ad un arco nel giro di 0.3 secondi.

«Ma che bello, mi piacerebbe saperlo usare, mi sentirei molto Katniss. Sai, io amo Hunger Games, beh, in generale amo tutti i libri distopici o fantasy. E poi immagino che qui sia molto utile, no? Per la caccia e tutto il resto» continuai, non sapendo neanche io cosa intendessi per "tutto il resto".

Sono sicura che, se fosse stato possibile, le sarebbero letteralmente cadute le braccia in quel momento.

«Veramente lo faccio come sport, sai, a scuola. Sono in grado di prendere anche bersagli in movimento, ma non lo uso per la caccia» mi rispose molto semplicemente, ma dentro la mia testa continuai la sua frase con un bel "Sai i supermercati sono arrivati anche da noi".

Datemi una zappa, devo andare a sotterrarmi.

«Penso che andrò a prendere una boccata d'aria» dissi con molta nonchalance, scendendo le scale e aprendo quello che mi sembrava il portone d'ingresso.

«Ehi, aspetta!» mi corse dietro la ragazza «Non puoi uscire così, fuori fa freddo e sei anche a piedi scalzi!»

Era vero, non era stata una mossa geniale. Quella decisamente non era la mia giornata. Fortunatamente, il portone non dava direttamente sulla strada, ma si apriva su un patio con il pavimento non ricoperto dalla neve.

Mi andai a poggiare sulla ringhiera in legno che delimitava il patio ma mi voltai quasi subito decisa a chiarire con la ragazza, non volevo sembrarle completamente pazza.

«Senti, scusami per come mi sono...»

Ma le mie parole caddero nel vuoto quando vidi un'ombra comparire dietro di lei, afferrandola per le spalle ed imbavagliandola.

«Che facciamo? Sono due!» disse l'assalitore rivolto nella mia direzione, mentre cercava di trattenere i tentativi della ragazza di liberarsi.

Capii all'istante.

Mi voltai di scatto, tenendo alzato e ben piazzato il gomito che si piantò nello stomaco dell'aggressore che avevo giustamente supposto essere alle mie spalle e che, colto di sorpresa, si piegò in due a causa del colpo.

«Grazie amico» biascicò tra i denti, tenendosi con le mani la pancia «Le prendiamo entrambe, che vorresti fare altrimenti?» continuò, rimettendosi in piedi e voltandosi verso di me.

Io nel frattempo mi ero messa in posizione di difesa. Tre anni di kick boxing mi avevano insegnato qualcosa, primo tra tutti: non abbassare mai la guardia. Non aspettai oltre, feci un passo in avanti e gli piazzai un calcio ben assestato in pancia.

Tuttavia questa volta era pronto e mi afferrò il piede con entrambe le mani.

Caricai allora il peso su quel piede e, usando il suo petto come pedana, mi diedi una spinta mentre con una torsione del busto gli diedi un calcio in faccia col piede libero.

Il risultato non fu dei migliori, lo ammetto. Mi ritrovai infatti col sedere per terra, ma almeno lui aveva mollato la presa.

«Ti vuoi dare una mossa?!» esclamò il primo, continuando a tenere ferma la ragazza dagl'occhi di ghiaccio.

«Parli bene tu, ti sei scelto la più semplice» replicò il mio.

Se avesse potuto, son certa che la ragazza lo avrebbe incenerito con lo sguardo.

«E va bene, vediamo di muoverci, non ci rimane ancora molto tempo per fare il Passo» disse più a sé stesso che al compagno.

Chiuse gli occhi e aprì i palmi delle mani, per poi tornare a chiuderli subito dopo.

Immediatamente, il terreno si sollevò e mi circondò le mani, impedendomi qualsiasi movimento.

Il ragazzo si avvicinò e mi cinse la vita. Solo in quel momento lo riconobbi: era il ragazzo dagli occhi verdi.

«Tu adesso vieni con me» mi sussurrò all'orecchio.

Poi il terreno scomparve da sotto i nostri corpi.

Fu una sensazione stranissima. Non stavamo precipitando, sembrava più che qualcuno ci avesse dato una forte spinta facendoci balzare in avanti.

Caddi a terra, anche se non sono certa sia lecito dire così, visto che stavo già per terra.

Il pavimento era freddo, umido e sconnesso. Decisamente scomodo, ma almeno avevo di nuovo qualcosa sotto i piedi.

Le mani non erano più legate al pavimento e quindi ero libera di alzarmi, tuttavia rimasi seduta non trovando le forze per farlo, tanto incredula ero.

Non mi trovavo più nel patio della baita, ma in un'enorme caverna. Numerose fiaccole erano appese al soffitto e alle pareti a mo' di lampadari, illuminando a giorno l'intera caverna. Diversi cunicoli sbucavano nell'ampia sala dove ci trovavamo.

Il ragazzo nel frattempo si era alzato e, mettendo le mani a conchiglia attorno alla bocca, urlò: «Siamo tornati, bastardi!»

Dai cunicoli iniziarono a sentirsi delle urla euforiche che rimbombarono tra le pareti della caverna.

In un attimo fummo circondati da una moltitudine di persone, tutti che chiacchieravano animatamente mentre ci si avvicinavano.

C'era chi dava pacche sulle spalle ai nostri rapitori chi dei pugni affettuosi e tutti si sporgevano e strattonavano per riuscire a vederci. Mi sembrava di essere piombata nella fazione degli Intrepidi.

Una ragazza bionda buttò le braccia al collo del ragazzo con gli occhi verdi, stritolandolo in un abbraccio «Ce l'abbiamo fatta!» la sentii esultare.

«Ma che diamine...?» iniziai a farfugliare.

Mi stava ritornando la voce.

«Volete spiegarmi...» continuai.

Ma niente, nessuno mi stava ad ascoltare.

«Qualcuno vuole spiegarmi cosa sta succedendo qui?!» urlai in fine con tutto il fiato che avevo in gola.

Con mia grande sorpresa, e anche soddisfazione, di colpo ammutolirono tutti.

Solo in un secondo momento notai che gli sguardi non erano rivolti su di me. Voltai anch'io lo sguardo verso uno dei cunicoli da cui stava emergendo una figura.

Era un uomo, avrà avuto circa quarantacinque anni, capelli corti neri e una corta barba brizzolata. A caratterizzarlo era un tatuaggio che dal braccio si intuiva continuare sino alla spalla.

«Per l'amor del cielo, Ilan, slega quella ragazza, non sono nostre prigioniere!» esclamò rivolto al ragazzo che aveva rapito la mia compagna di sventure.

Era alto, con occhi color nocciola ed i capelli biondo cenere.

«Scusa, me ne ero quasi dimenticato» ammise, arrossendo lievemente e girandosi verso la ragazza per slegarle il bavaglio che le aveva messo alla bocca.

«Te ne eri quasi dimenticato?» la sentii ringhiare a bassa voce, voltandosi poi verso il nuovo arrivato «Mi dite che cosa sta succedendo qui?»

«Scusate per i modi rozzi di questi due ragazzi, ma non abbiamo molti altri Rheol capaci di fare il Passo. Lasciate che mi presenti: sono Arjuna e possiamo dire che sono il capo di questa tribù» disse, allargando le braccia.

Perché a lei hanno risposto e a me no?

«Qual è il vostro nome?» chiese gentilmente l'uomo.

Io rimasi muta, ancora non mi capacitavo di quello che stava succedendo.

«Voi ci avete rapito e neanche sapete come ci chiamiamo?» chiese con una punta di acidità la ragazza, ma, vedendo che nessuno le rispondeva, aggiunse «Octavia Anderson.»

«E tu?» disse rivolto verso di me.

«Lydia» risposi con un groppo in gola «Lydia Wright.»

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