Capitolo 20: Corri
LYDIA
Un urlo.
Un urlo greve, che comprime il petto e lascia senza fiato.
Mi svegliai, tirandomi su di scatto. Il petto si sollevava e si abbassava aritmicamente, mentre nei pugni stringevo ancora le coperte.
La luce che penetrava dalle imposte era poca, ma, per quel che riuscivo a vedere, nessun altro si era ancora svegliato.
Non avevo urlato veramente, era stato tutto nella mia mente.
Tutto.
No, non tutto. Il mio non era stato un semplice sogno, ma più che altro un ricordo che si era sovrapposto alle immagini oniriche. Quell'urlo era esistito, ma non era stato mio.
Mi alzai silenziosamente, convincendomi che ormai non sarei più riuscita ad addormentarmi, pur sapendo benissimo che, in realtà, non volevo riaddormentarmi per paura di rivivere quel grido.
Attraversai la stanza con passo felpato, oltrepassai il letto di Octavia, che, incredibilmente, non si era ancora svegliata, ed uscii dalla porta.
Appena passata la soglia, mi stiracchiai, mentre con una mano mi grattavo la testa passando le dita tra i capelli finalmente puliti. La sera prima ero infatti riuscita a farmi una doccia, la doccia più lunga di tutta la mia vita, anche se, purtroppo, fredda.
Scesi le scale accompagnata dal leggero scricchiolio del legno. La Locanda dei Sette Cerchi era tutta così: fatta in legno. Pavimenti, pareti, travi, porte, persino le maniglie erano in legno.
Giunta all'ultima rampa di scale, mi infilai le cuffiette e, con la voce di Ed Sheeran a tendrmi compagnia, mi diressi verso la sala da pranzo, perché il mio stomaco già chiedeva dazio.
Batteria quasi scarica.
Un colpo al cuore. Ecco le parole che più temevo di udire da quando quell'avventura era iniziata. Come avrei fatto senza musica?
Lo schermo dell'aggeggio metallico s'illuminò a mostrarmi l'immagine della presa USB.
«Eh lo so, lo so. Ma temo che l'unica fonte di elettricità da queste parti siano i fulmini» dissi, rivolgendomi all'iPod.
Sì, ogni tanto parlo anche con gli oggetti. Lo so, non sono normale.
"Afire Love", "I'm a Mess" e "Don't". Mi feci cullare completamente dalla voce di Ed mentre aspettavo che arrivasse il tè che avevo ordinato. Quanto mi mancava il caffè.
Darei qualsiasi per un bel macchiato, o meglio ancora, per un cappuccino con tanta schiuma in cima e lo zucchero di canna...
Mi accorsi di star iniziando a sbavare, così mi ricomposi prima di fare una delle mie solite figure.
Batteria quasi sc...
«Sì, sì, ho capito!» borbottai, spegnendo l' iPod.
Quello era l'ultimo avvertimento, poi avrei avuto il tempo di ascoltare una sola canzone. L'avrei tenuta per dopo, per uno di quei momenti in cui solo la musica ha il potere di salvarti.
Non feci in tempo a posare l'iPod in tasca che eccolo lì: un esercito di pensieri era in agguato, pronto ad attaccarmi non appena avessi tolto le cuffiette.
Anche per questo ascoltavo sempre la musica: perché avevo paura. Mi terrorizzava l'idea di rimanere sola con tutte quelle voci che mi affollavano la mente. Finché avevo le parole di altri che s'insinuano nella mia testa potevo evitarli e fingere che non ci fossero; ma, quando rimanevo sola e il silenzio calava su di me col suo pesante manto, i pensieri mi avvolgevano, soffocandomi senza lasciarmi scampo.
Sorrisi gentilmente alla signorina che mi porse il tè fumante. Misi le mani attorno alla tazza bollente facendo un profondo respiro. Odorava di cannella e zenzero: delizioso.
Presi i biscotti ed iniziai a fissare il piccolo vortice creatosi nel tè mentre ceravo di far sciogliere lo zucchero col cucchiaino.
La sera prima eravamo arrivate alla locanda indicataci da Chris. Era un po' lontana dal centro del paese, ma sembrava accogliente e calda, come il resto del paese d'altronde.
La parte inferiore dell'edificio era adibita a taverna, mentre in quella superiore erano collocate le varie camere.
Il proprietario ci aveva condotto attraverso la sala principale, piena di uomini con calici di birre in mano che ridevano e chiacchieravano ad alta voce. Arrivati al piano superiore ci aveva indicato la porta.
"12 b", aveva detto.
Avevo svoltato a destra dirigendomi verso la piccola porta celeste mentre April era rimasta a chiedere un paio di informazioni al proprietario.
Stavo per bussare alla porta quando sentii una voce, a me sconosciuta, provenire da dietro la porta.
«Pronto?»
«Sí, è pronto. Dai che non abbiamo tanto tempo prima che arrivino!» aveva risposto l'inconfondibile voce di Chris.
Arrivino? Arrivino chi? Io ed April? Avevo pensato.
Non ero riuscita a trattenermi, mi ero accostata alla porta ed avevo iniziato ad origliare. Era un altro mio vizio orribile, ma maledettamente legato alla mia curiosità.
«Veramente stavo parlando col ragazzo» aveva ripreso la voce dello sconosciuto.
«Vai!» era stata l'unica risposta di Ilan.
E allora era accaduto. L'urlo. Quell'urlo che mi aveva fatto svegliare completamente sudata. Quell'urlo che era penetrato nelle mie ossa e ancora non se n'era andato.
Non era stato particolarmente forte o prolungato. Ma sentire la voce di una persona a cui tieni carica di dolore è qualcosa di indescrivibilmente terribile, qualcosa su cui non puoi passare sopra come se niente fosse cinque minuti dopo.
«Octavia, passami le bende» aveva ripreso la voce di Chris «Dai, è già tutto passato. Siamo stati fortunati, l'arma non era impregnata di veleno. Altrimenti non staresti ancora qui.»
«Già tutto passato? Scherzi vero?» aveva risposto a denti stretti Ilan.
«Beh, sei ancora vivo, no? E son contento che Lydia ed April non abbiano assistito. Non so se lo avrebbero sopportato.»
"Non so se lo avrebbero sopportato?"
Quelle parole mi avevano fatto ribollire il sangue nelle vene.
Mi credeva veramente così debole?
Non ero riuscita a trattenermi un secondo di più e da brava impulsiva quale ero avevo aperto la porta senza fermarmi a riflettere.
Quasi contemporaneamente, quattro paia di occhi mi avevano investito.
Il primo che avevo notato fu l'alto signore col camice bianco che si parava di fronte a me. Magro, capelli bianchi ed uno spesso paio di occhiali rotondi poggiati sul naso aquilino. Un dottore? Probabile. Teneva in mano un pugnale ancora sanguinante. All'inizio avevo creduto avesse accoltellato Ilan, ma una frazione di secondo dopo avevo capito che quella era la lama che il ragazzo aveva conficcata nella carne.
Ilan era di spalle, ma aveva girato la testa per quanto possibile. Teneva una mano aggrappata al bordo della sedia su cui era seduto, mentre l'altra teneva stretta la mano di Octavia che stava in piedi accanto a lui. Anche io avrei stretto la mano di qualcuno se mi avessero estratto un coltello dal corpo.
Un quadretto interessante lo ammetto, sarebbe stato un momento perfetto da immortalare. Ma, in primo luogo, non avevo una macchina fotografica ed in secondo luogo, i miei occhi erano puntati solo verso Chris, pronti a mangiarselo.
«Non credermi più debole di quanto non sia!» avevo iniziato.
Credo di aver spaventato il dottore in quel momento, ma, abituata alle grandi figure che normalmente facevo, non ci avevo dato troppo peso.
A pensarci bene, penso proprio di essere stata abbastanza convincente. Forse perché io stessa ci credevo.
Ma purtroppo aveva ragione Chris, sarebbe stato meglio per me non sentire quel grido.
Non era stato l'urlo in sé per sé a turbarmi tanto, ma i pensieri che ne erano conseguiti.
Inzuppai uno dei biscotti alla vaniglia che stringevo tra le dita, mentre i miei pensieri presero a ricorrersi senza che io riuscissi in qualche modo anche solo a rallentarli.
Se non sono riuscita a sopportare un semplice grido, come posso sperare di caricarmi sulle spalle l'intero peso di una guerra. Come potrei mai sopportare il peso di tutti i feriti, di tutte le morti.
Inevitabilmente mi passarono davanti agli occhi i volti di Noll ed Abigail e mi sentii immensamente piccola. Microscopica più di una pulce, debole più di una piuma, fragile più di uno specchio calpestato da un titano.
Non capisco: come può l'uomo ricadere sempre negli stessi sbagli? Come può avere così poca memoria e scordarsi del passato, inciampando sempre sui propri passi. La guerra. Penso sia la cosa peggiore che l'uomo abbia mai inventato. Ma, in fondo, l'ha veramente inventata? O, forse, è qualcosa che ha sempre avuto dentro di sé? Una specie di istinto animale che, in realtà, è celato in tutti noi...
Il biscotto si spezzò cadendo dentro la tazza e schizzandomi il viso, riportandomi alla realtà.
Odiavo quando succedeva. Mi sentivo come se l'universo si fosse rivoltato contro di me.
«Buongiorno! Come va? Come mai già sveglia?»
Riconobbi la voce, ma non alzai lo sguardo finché non ebbi recuperato il cadavere del biscotto dal mio tè.
«Non avevo sonno» mentii, alzando in fine gli occhi ed incrociando il verde dei suoi «E voi, come mai già svegli?» proseguii, vedendo dietro di lui entrare tutti gli altri.
«Prima partiamo e meglio è» fu la risposta «Sicura che vada tutto bene?»
Veramente non ho mai detto che va tutto bene, pensai.
Ma, nonostante questo, indossai uno dei miei sorrisi e gli risposti: «Certo, tutto bene. Sono solo un po' dispiaciuta perché mi si sta per scaricare l'iPod.»
Speravo di essere stata abbastanza convincente.
«Tu piuttosto? Come ti senti?» rivolsi le ultime due domande ad Ilan.
«Sono stato meglio. Ma non posso lamentarmi troppo, altrimenti perderei la mia credibilità» mi rispose col suo tono gentile, facendomi l'occhiolino.
«Qual è il piano?» intervenne April.
«Hai preso la mappa?» le chiese Chris.
La ragazza annuì decisa, per poi chinarsi a terra per aprire il suo zaino.
«Ah, menomale che qualcuno è riuscito a svolgere il semplice compito che gli avevo assegnato» disse in tono provocatorio Chris, sfoggiando uno dei suoi soliti sorrisetti.
Ma cosa vuole? Sì, ieri sera ho rovesciato un po' tutta la spesa a terra quando sono andata a sbattere, ma, oltre a qualche ammaccatura, il cibo non si è fatto nulla.
Ero già pronta a rispondergli quando un rumoroso sospiro esasperato di Octavia, seguito da un'alzata di occhi, mi precedette.
Forse non si sta riferendo a me...
«In che senso?» domandai incerta.
«Ero stanca e il signorino qui stava bene» sbuffò, indicando con un breve gesto Ilan.
Non capivo.
Vedendo il mio sguardo confuso, Chris continuò: «Ieri avevo lasciato Octavia a fare la guardia a Ilan. Ritorno dopo mezz'oretta e trovo la nostra signorina qui presente addormentata sulla spalla di Ilan, mentre lui è vigile a fare la guardia.»
Lo sguardo di odio che Octavia gli lanciò dalla parola "signorina" in poi fu impagabile.
«È stato» continuò Chris «interessante» concluse, notando anche lui gli occhi gelidi della ragazza.
«Eccola!» esclamò in quel momento April, rialzandosi si scatto e sventolando la mappa che aveva trovato.
«Perfetto, è uguale alla mappa che avevamo noi» disse Ilan.
«Dobbiamo arrivare ad Ynda» disse Chris, indicando una strada che partiva da Eira.
«Veramente la strada per Ynda è questa» lo corresse April.
Santa donna. Se non ci fosse stata lei saremmo già tutti morti (letteralmente, in effetti).
«Giusto. Il punto fondamentale è comunque che Ynda è nei confini del Regno della Foresta e noi dovremo oltrepassarli. Quindi, per ora il piano è seguire semplicemente la strada, ma, una volta avvicinati, dobbiamo trovare un modo per aggirare la sicurezza del confine.»
«Questo non è esattamente un piano» intervenne Octavia.
Non aveva tutti i torti.
«Il piano ci verrà strada facendo» disse Chris, richiudendo la mappa «ll vero nostro problema a questo punto è uno: non abbiamo abbastanza soldi per pagare la locanda. Pensavamo bastassero quelli di Kari, a proposito, scusaci, ma a quanto pare il locandiere ha deciso di alzare il prezzo della camera perché, pur avendo preso una camera da tre, alla fine eravamo in cinque.»
«Cosa?!» esclamò April.
«Ma vogliamo scherzare?» rispondemmo in contemporanea io ed Octavia.
«Lo so, i patti non erano questi, ma non usciamo di qui se non troviamo quei soldi.»
«Non possiamo dargli qualcosa in cambio, tipo un baratto?» propose Ilan.
«Sì, ma cosa? Non abbiamo nulla se non qualche vestito usato» detto ciò Chris si bloccò «A meno che...» aggiunse, voltandosi verso di me e facendo la faccia da angelo; troppo da angelo.
Rimasi confusa per qualche secondo, poi capii.
«Oh no, te lo puoi scordare! Dovrai passare sul mio cadavere piuttosto!»
«E dai, lo hai detto tu stessa che è quasi scarico!»
«Io non lascio su questa terra il mio iPod, piuttosto mi faccio amputare un braccio» risposi convinta.
Assolutamente convinta.
Così convinta che dieci minuti dopo mi ritrovavo di fronte al proprietario dei Sette Cerchi con Chris, mentre gli altri si stavano già dirigendo fuori dalla città.
«... è qualcosa di mai visto, che presto rivoluzionerà l'intera Ddaear Arall!»
Alzai un sopracciglio, come a dire "Addirittura?", mentre ascoltavo Chris che cercava di persuadere il locandiere.
«Non se ne pentirà, glielo garantisco» concluse Chris deciso, ma vedendo la faccia dubbiosa dell'uomo continuò rivolto a me «Mostragli come funziona!»
Accesi il piccolo apparecchio metallico e porsi una delle cuffiette al signore mentre pregavo con tutta me stessa che il mio piccolo amore elettronico non morisse di punto in bianco.
Premetti il tasto play e vidi le pupille del locandiere ampliarsi a dismisura, mentre con gli occhi correvano da me all'iPod e ritorno.
Gli mostrai l'uso dei vari tasti, le playlist, i brani, gli artisti e, quando pronunciò le tanto attese parole "Ok, affare fatto", tirai un sospiro di sollievo, probabilmente fin troppo rumoroso.
Con calma, ma non troppa io e Chris ci avviammo verso l'uscita e, non appena stavamo per aprire la porta, sentimmo il proprietario richiamarci.
Ecco, si è sicuramente scaricato.
«Signori?» ripeté, con voce ancora abbastanza calma.
Chris finse di non aver sentito ed aprì la porta.
«Signori?» il tono si fece più serio ed arrabbiato.
Mi voltai a guardare il mio compagno che, facendo lo stesso, abbozzò un sorriso complice e, prendendomi la mano, esclamò:«Corri, corri, corri!»
Non aspettammo un secondo di più. Iniziammo a scappare il più velocemente possibile, prima che il signore ci raggiungesse. E, mentre i piedi si susseguivano ininterrottamente ed il fiato si faceva sempre più pesante, una risata mi partì dallo stomaco, riscaldandomi la gola e fuoriuscendo dalla bocca forte e sincera; e tutta la paura, che mi aveva incupito fino ad allora, almeno per un istante, scomparve completamente.
Angolo autrice
Si lo so, sono stata tremenda, è veramente da troppo tempo che non aggiorno, ma non mi sono gestita bene il tempo e quel poco che sono riuscita a ricavarmi l'ho usato per leggere le one-shot del concorso di cui sono giudice. Lo so non è una giustificazione sufficiente, ma spero riusciate a perdonarmi.
Non ho riletto il capitolo, spero non troviate troppi errori. domani mattina lo rileggerò, promesso!
Anche questo capitolo è stato dal punto di vista di Lydia. Si forse ne ho messi un po' tanti, ma almeno siamo riusciti a scoprirla meglio e forse a capirla un po' di più. Il bello dei libri è che piano piano, pagina dopo pagina si scoprono lati anche inaspettati di certi personaggi (è un discorso generico, non mi sto riferendo a questo libro ;) )
Domanda random della giornata: anche voi odiate quando si spezza il biscotto nella tazza? Io mi ritrovo in quel momento la pazienza sotto le scarpe, ed è meglio non rivolgermi la parola, hahaha lo so, potete giudicarmi.
Non so se lo avete notato, ma in questo capitolo ho messo un po' di citazioni, molte delle quali involontarie in realtà, come il "Corri, corri, corri" finale che mi ha fatto subito pensare a "Cercando Alaska".
Ok come sempre avevo mille mila cose da dirvi e poi me le sono scordate come una tonna appena ho inizio a scrivere, quindi vi auguro un bellissimo sabato e vi lascio per andare a cena (anche perché anche io, come Lydia, ho sempre fame).
Ciao ciaooo
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