17. La ruota (parte 2).

Il mio corpo fu circondato dall'acqua in un turbinio di schiuma e bolle. Il freddo dell'acqua m'investì mozzandomi il fiato, oppure era solo perché sott'acqua non c'è aria... ma vabbe'.  Sbattei contro qualcosa ed annaspai cercando di risalire in superficie. I vestiti, per quanto leggeri e sbrindellati, mi appesantivano ed io iniziai a perdere la speranza di riuscire a tornare su. Mi venne spontaneo di respirare, ero là sotto da più di dieci secondi, già mi sentivo la testa scoppiare. I miei polmoni sembravano volessero spaccarmi la gabbia toracica. Stavo letteralmente soffocando. Cercai di aprire gli occhi. Vidi solo bianco, bollicine e spuma che si muoveva da tutte le parti. Evidentemente l'impatto era stato talmente potente che la schiuma non si era ancora dissolta.

Era un lago d'acqua dolce. Il liquido attorno a me non bruciava come l'acqua salata del mare, ma dava comunque fastidio agli occhi. Mi imposi di resistere ancora un secondo, solo uno. Non sono mai stata una campionessa nel trattenere il fiato, ma in quel momento era esattamente "questione di vita o di morte". Intanto, mentre pensavo a quanto sarebbe stato doloroso morire di asfissia, le bollicine iniziarono a diradarsi. "Ma, cavolo, anche voi, non potevate fare la vostra parte un pochino prima che io soffocassi?". Pensai. Ed intanto sentivo l'acqua entrarmi nella bocca e nel naso, riempiendomi la gola ed i polmoni. Tentai di sputare. Ma, andiamo, provateci voi a sputare in acqua.

Nonostante stessi agonizzando e l'aria era totalmente assente continuai a dimenarmi agitando braccia e gambe a casaccio cercando di tornare su. Ormai non c'era più traccia della schiuma e potevo vedere la superficie. Uno strato verdastro e tremolante cosparso di piccoli bagliori acquosi sparpagliati qua e là. Sembrava irraggiungibile... Però non volevo essere salvata ancora una volta da Dylan. Eh cari miei, era una questione di onore. E se poi fosse diventata un'abitudine? No, non era accettabile. Sì, lo so, sono pensieri strani da fare mentre si sta soffocando, ma probabilmente non erano passati più di venti secondi da quando ero sott'acqua. Che campionessa dell'annegamento!  

Dicono che l'adrenalina cresce con la paura o con la rabbia. Non ero arrabbiata per nulla in particolare, ma ero terrorizzata quindi sono arci sicura che sia stato quello a farmi muovere le braccia nel modo giusto e a permettermi di raddrizzare il busto. Spingendo indietro l'acqua con i piedi annaspai verso la superficie... che probabilmente distava più di quanto pensassi e andò tutto a farsi friggere: pochi secondi dopo, allungare le braccia e muovere le gambe mi divenne sempre più difficile, le dita mi tremavano convulsamente e iniziai a vedere macchie giallastre tutt'intorno a me. Sentivo la mia testa ciondolare, nonostante fossi interamente circondata da acqua. 

Nemmeno se il mondo intero ce l'avesse con me. Che sfiga, ragazzi. Il liquido schifosamente putrido in cui sguazzavo mi entrò in bocca, nel naso, nelle orecchie... anche se non so come possa l'acqua entrare dalle orecchie... Fatto sta che mi sentii soffocare e riempita d'acqua, come se non lo stessi già facendo da mezz'ora, e tutto si fece nero. Avevo la sensazione di stare sprofondando sempre più giù... giurai di aver sentito la mia schiena toccare il fondo, ma fu solo un'impressione. Scivolai in quel liquido verdastro che avrebbe dovuto essere acqua, però dal sapore che aveva sembrava più melma liquida mischiata a piscio di gatto, e non ebbi la certezza di aver toccato il fondo finché il mio sedere non cozzò pesantemente contro qualcosa di duro e doloroso. Vi chiedete com'è morire? Prima di tutto si sente una voce che bisbiglia sommessamente il tuo nome e poi un tizio con i neuroni fusi che ti schiaffeggia... 

Spalancai gli occhi e presi a sputacchiare, premendomi le mani sul petto. Tutto il corpo mi faceva un male cane, i polmoni mi bruciavano da morire e la testa minacciava di esplodermi. Chiusi gli occhi e iniziai a respirare, cercando di inalare tutto l'ossigeno possibile. Provando ad ignorare il dolore persistente riaprii gli occhi. Tan tan taaan. Mi ritrovai il viso di Dylan a mezzo centimetro dalla mia faccia. Nasino all'insù, occhi marroni, capelli scuri appiccicati alla pelle a causa dell'acqua. 

- Meno male, sei viva. -

- Ah ah. Arrivare dieci secondi prima no? - 

- Prego. - sbuffò lui alzando gli occhi al cielo. 

- Sì, scusa... grazie mille. Di nuovo. - tentai di mettere il broncio ma non ce la feci con quegli occhi così teneri piantati nei miei. Sarà stato l'acqua ad entrarmi nel cervello e a bruciarmi qualche rotella , ma mi aggrappai al braccio di Dylan e mi tirai a seder in modo scomposto. Poi lo abbracciai. Cacciai indietro le lacrime e deglutii. Mi aveva salvato la vita, cavolo. Lui rimase paralizzato per alcuni secondi poi, timidamente, appoggiò le braccia sulla mia schiena. 

Mi staccai da lui, vorrei dire arrossendo ma non mi era stata concessa quella facoltà (per fortuna). Mi grattai il collo. Abbassai lo sguardo e presi a massaggiarmi le tempie, dolorante sia per la troppo lunga apnea che per la precedente scazzottata contro quei tizi. A fatica, Dylan si alzò e mi tese una mano. Io l'afferrai saldamente... nel senso che la presi e poi mi scivolò via. Da notare la mia forza bruta. Dato che era così gentile, forse anche troppo visto come l'avevo trattato l'ultima volta, girò dietro di me e mi mise le braccia sotto le ascelle, sollevandomi. Vidi i suoi bicipiti e tricipiti contrarsi... E poi mi dicono che sbavo. Ci trovavamo su una specie piattaforma di roccia a pelo dell'acqua. Le onde sciabordavano sulla riva, nonostante non ci fosse stato vento, almeno fino a quel momento.

- Ce la fai a camminare o ti porto in braccio? -

- Dovrei essere ancora in grado di arrivare a quella stramaledetta ruota gigante e di uscire dalla città, spero... - abbozzai un sorriso, una leggera curva all'insù della bocca. "Più impacciata di così si muore", pensai dopo essermi infastidita da sola con le mie risposte cretine. Il ragazzo mi tirò una pacca sulla schiena, abbastanza forte da mozzarmi il respiro e lasciarmi boccheggiante per alcuni secondi. Recuperata l'aria necessaria mossi il primo passo in avanti. Barcollai incespicando sui miei stessi piedi e raggiunsi Dylan. Non avevo nemmeno la più pallida idea di come stessi facendo a rimanere in piedi. Troppo concentrata su non cadere non mi accorsi che il ragazzo si era fermato, così gli arrivai addosso rischiando di far finire entrambi a terra. Stavo per chiedergli cosa avesse attirato la sua attenzione quando, sollevando so sguardo, spalancai la bocca.  

Una cosa alta almeno trecento metri, se non di più, si stagliava davanti a noi e sulle nostre teste. La ruota era a pochi passi da noi, immersa per alcuni metri dentro l'acqua (se era veramente acqua). Sembrava una ruota panoramica ingigantita e fatta di legno marcio. Ma andiamo per gradi. Un grande cerchio scuro, pieno di alghe, che nella parte bassa si immergeva nel liquido sottostante con il quale si riempivano delle specie di cabine. Tutta la struttura era retta da un'impalatura pericolante inglobata nella roccia. Guardando in alto si vedeva un'insenatura nel soffitto dell'immensa grotta da cui le cabine della ruota, quando raggiungevano la massima altezza, passavano attraverso uscendo alla luce. Inchiodai lo sguardo su una cabina che si era appena riempita e seguii il suo percorso. Ci mise parecchio tempo a raggiungere la superficie ed a tornare giù, però quando fu alla mia altezza non conteneva più acqua. Una cosa più strana dell'altra.

- Elena... Dobbiamo salire lì sopra se vogliamo andarcene. - disse Dylan. Ma io non mi muovevo. - Se vuoi uscire di qui e fare quello che devi fare per salvare tutto e tutti o cosa, dobbiamo... -

- Dylan - buttai lì, senza preavviso. - Voglio tornare a casa... Mi mancano i miei genitori... Io... io... immagino i miei genitori che mi cercano, setacciano la città in cerca della loro figlia scomparsa; non oso pensare al giorno in cui si arrenderanno, quando crederanno che non riuscirò più a tornare a casa. Magari secondo loro sono scappata o rapita... da un libro. Pff, rapita da un libro! Ti rendi conto? - la frustrazione, montatami nell'animo in meno di un secondo, si trasformò in pianto. Caddi in ginocchio nascondendo il viso tra le mani. In quel momento sentii freddo, come del vento che mi soffiava sulla pelle con l'aggiunta dell'umido che avevo addosso. Scoppiai in lacrime, scossa dai singhiozzi. Ma era tutto maledettamente vero... Anche se non volevo prendermela con Dylan. Non ce l'avevo con nessuno in particolare, ma l'unico modo per sfogare la rabbia, la tensione e in nervosismo accumulato era scaricarlo sulle uniche persone che stavano perennemente intorno a me in quel posto di cacca. Il ragazzo rimase un attimo impietrito a guardarmi, scioccato dalla mia scenata. Lo potevo vedere aprendo appena le dita.

- Hei... va tutto bene... tornerai a casa... -

- Non sono una bambina piccola! - Urlai tra i singhiozzi. - E no. Non riuscirò mai a tornare a casa... tutta colpa... colpa di... - smisi di lagnarmi perché Dylan mi strinse a sé. Restai immobilizzata finché lui non mi lasciò andare. 

- Forza, di devo aiutare a trovare quelle due e uscire di qui. Poi sarai libera di fare la ragazzina isterica tutto il tempo che vorrai. - credo che sarebbe dovuta suonare come una battuta, data la sua espressione divertita. La quale però si spense subito, visto che io non ero proprio in vena di scherzi. Mi porse nuovamente la mano e mi aiutò a mettermi in piedi. Sfogarmi mi aveva fatto bene, almeno in parte. Ora mancava solo da salire su una di quelle cose e tornare su. Guardandomi con occhi incoraggianti indicò con il mento una cabina che era a metà strada. 

- Quindi... saltiamo lì sopra e quando siamo sù usciamo? - domandai.

- Tecnicamente... - 

Mancava poco all'immersione della grande cassa di legno in acqua. Mi asciugai il naso con il polso e iniziai a correre verso il punto prestabilito. Era un salto di un metro circa, a prima vista, ma se non fossimo riusciti a saltare così lontano saremmo finiti in acqua, ammesso che quella fosse veramente acqua. 

- Tre... - iniziò a contare lui. La cabina si avvicinava sempre di più alla superficie. - Due... - stava iniziando ad immergersi. - Uno... - in quel momento era a portata di salto. - ORA! - Accelerai e saltai. Strinsi gli occhi, serrandoli. Non avevo la minima voglia di vedere il mio volo, anzi, ero sicurissima che sarei finita nuovamente in acqua. Però, all'ultimo secondo, sbirciai da sotto la palpebra destra prima di sbattere dolorosamente contro il legno. Ce l'avevo fatta. ce l'avevo fatta! Ma forse qualcun'altro no. Dylan si teneva con le mani al bordo di legno... Senza pensare due volte lo afferrai con tutte e due le mani, puntano i piedi per non essere trascinata giù. Cavolo se pesava. Stringendo i denti e gemendo per lo sforzo iniziai a tirare. Quando fu in salvo realizzai che io non avevo fatto un bel niente. Non ero abbastanza forte, si era praticamente tirato sù da solo. 

- Grazie... - ansimò.

- E di che... - mormorai senza pensare. Lui mi sorrise. Sollevai lo sguardo ed osservai la spaccatura nel soffitto. Era un grande buco con i bordi frastagliati e irregolari, molte crepe si diramavano su tutto il resto della pietra che ci circondava. Della luce giallastra filtrava da lì, illuminandomi il viso. Era bello non essere più al buio. Cavolo, quanto era rassicurante. Soprattutto dopo l'episodio con il libro e la caduta libera. Da sopra spostai lo sguardo verso il basso. Per un attimo pensai di stare per vomitare... Dopo uno scricchiolio sinistro la ruota traballò appena, quanto bastò per farmi girare la testa. In più, il movimento della cabina era una dura botta per il mio stomaco, diventato improvvisamente troppo imprevedibile per poter resistere a quella situazione.

Non mi ero accorta che fosse passato già così tanto tempo, ma nel giro di pochi attimi la mia testa sbucò fuori dalla spaccatura. Dopo essermi imbambolata ad assaporare l'aria esterna mi affrettai ad allungare le braccia e ad aggrapparmi alla terra. Reggendomi ad una pianta e spingendo sul bordo della cabina sotto di me riuscii ad uscire. Anche se ero in una città circondata da teste mozzate in un regno creato da me, la fortuna aveva deciso di schierarsi dalla mia parte, almeno per una volta. Un secondo dopo Dylan mi raggiunse, saltando via prima che la cabina continuasse il suo giro. 

- Io... non voglio più avere a che fare con quel posto, chiaro? - decretai respirando a pieni polmoni. Il ragazzo sollevò le mani in segno di resa. Poi, come due idioti, scoppiammo a ridere. Tutto quello era estremamente assurdo... Però, ci scommetto un occhio della testa, che era reale. A patto che non stessi diventando schizofrenica o cosa... Sì, be', forse avrei dovuto riconsiderare il fatto di vere le allucinazioni. "Oh, ma dai!" pensai. Un tizio con in dosso un mantello con un cappuccio che gli copriva  gran parte del viso si stava avvicinando correndo. Ti pareva... La lama argentata che stringeva in mano luccicò al sole. Avrei potuto cambiare il titolo del libro in: Maniaci incappucciati di nero perseguitano la povera Elena. 

Una scarica gialla, bianca, violetta, non riuscii a capirne bene il colore, partì da dietro di noi andando a colpire il tipo incappucciato, il quale, poveretto, venne sbalzato all'indietro e finì a terra con gli arti disposti modo scomposto. E intanto Dylan mi guardava con la testa inclinata da un lato e un sorrisetto di ammirazione stampato in faccia... Che aveva da guardare?

*Angolo Scrittrice* 

Buona sera muchachos! (ho adottato lo spagnolo ye) 
Vi sono mancata? Ho deciso di sbizzarrirmi un po' con questo fatto della "scarica gialla, bianca, ecc" perché non volevo fare una cosa tipo Winx, ma nemmeno tipo Doctor Strange... Una cosa più in stile Captain Marvel... Mi sembra una cosa abbastanza forte.
ENIUEI, anche se sono in ritardo di un giorno, diamo gli auguri a Bucky Barnes! (non vi spiego chi è per evitare di scrivere un monolgo grande quanto casa mia ahah). 
Quindiiii, baci muchachos! La vostra 
FigliaDeiDraghi.

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