12. Apeirofobia.
Stanza nera, buia, non un soffio di vento o altri rumori. Tutto morto. Tutto nero. Cascai a terra ed un dolore lancinante al petto prese possesso della mia mente, costringendomi a strappare i bottoni della camicia che indossavo... "Camicia!? E quando mi sarei cambiata?", pensai tastando il mio petto. Uno specchio, alto e largo quanto me (non molto dato che non ero un gigante ed ero praticamente uno stecchino) comparve davanti a me. Nonostante quell'oscurità riuscivo a vedere alla perfezione la cicatrice che ormai da giorni mi deliziava con la sua comparsa repentina ogni due per tre.
L'oscurità attorno a me era opprimente, talmente opprimente che l'ansia mi assalì tutto d'un fiato, manco fossi claustrofobica. Be', almeno, in quel momento capii perché il mio istinto mi aveva detto di chiamare il libro proprio "Darkness", anche se tuto quel buio stava iniziando a farmi saltare i nervi.
Pochi minuti dopo, o potevano anche essere passate delle ore, riuscii a vedere qualcosa, grazie alla luce fioca di una candela poggiata a... terra? Ancora ferma nel punto in cui ero stramazzata come un sacco di patate, mi feci coraggio e arrancai verso la candela. Dovevo pur muovermi.
Ero a meno di due metri dalla fiammella quando questa esplose in una miriade di scintille rossastre. La luce rimase sospesa nell'aria, permettendomi di vedere un'alta cancellata dalle sbarre di metallo nero. Le sfiorai e il cancello si spalancò da solo. Tutto era nero, perfino il cielo. Iniziai a tremare e a scuotere spasmodicamente la testa... Quel posto mi era familiare... Era il luogo in cui si era svolta una storia che avevo scritto per la scuola. Ed era un tema degno di essere chiamato Horror...
Una volta rialzatami in piedi, attraversai con passo malfermo una specie di cortile, spoglio e macabro, e, come solo una protagonista fessa saprebbe fare, bussai al portone. Le alte guglie di pietra scura si stagliavano su uno sfondo ancor più lugubre e minaccioso. Dei passi rimbombarono all'interno dell'edificio, poi la porta si spalancò.
Ma dentro non c'era nessuno. Una luce tenue e arancione si accese sopra la mia testa, quando mi ritrovai al centro di quello che doveva essere un salone. Barcollando feci un altro passo in avanti, aspettandomi un'enorme sala principesca o robe del genere. Ma tutto quello che mi si presentò davanti era altro buio e, nonostante la fiammella tremolante, le pareti non si vedevano. Ammesso che ci fossero delle pareti, se c'era una cosa che avevo imparato era che tutto, il quel libro, era imprevedibile.
Dei mormorii provenienti da tutto lo spazio intorno mi costrinsero a girare su me stessa. Schiocchi raccapriccianti arrivavano alle mie orecchie. Delle ombre indistinte si avvicinarono a me, entrando nel cerchio di luce. I mormorii di quegli esseri striscianti erano abbastanza fastidiosi da eguagliare il tormento dei ricordi inoculatimi dagli spettri durante la piacevole e decisamente poco pericolosa passeggiata nella Foresta.
Ma tornando agli esseri striscianti: erano delle... come chiamarle?, creature? creature raggrinzite e scheletriche. Senza occhi e naso, le palpebre erano cucite, risultando due strisce nere. Producevano dei rumori umidicci come quando si schiaccia una lumaca, raccapriccianti versi spettrali o addirittura sussurri che, se ti soffermavi qualche secondo ad ascoltarli attentamente, potevano sembrarti addirittura umani. Sembravano una versione più mostruosa e meno svolazzante degli spettri della foresta. Indietreggiai e incespicai, e per poco non caddi. La pelle di quelle creature era piena di cicatrici e piaghe, ricoperta di sangue e lacera in alcuni punti lasciando scoperti i muscoli e le ossa. Ero circondata. Stavano restringendo il cerchio, ed erano sempre più vicini.
Un cigolio proveniente dal soffitto, poi un rumore simile ad uno strappo... Davanti a me c'era Regina, gli occhi spalancati e persi nel vuoto. Un rivoletto di sangue denso e rosso le colava dalla bocca. Una corda massiccia calata dal soffitto le cingeva la vita. Là dove la fune premeva, la pelle era divenuta di un colorito violaceo. Aveva i vestiti strappati, ma nessun segno di ferite. Solo pallida, troppo pallida perché riuscissi a tenere dentro la bile che mi stava salendo in gola. Distolsi lo sguardo, in balia dell'orrore e lo schifo, la paura e il terrore. Ero sconcertata. Che ci faceva Regina in un posto così? Ma poi, che ci facevo io, in un posto così?
Un altro cigolio, un altro corpo. Malefica. Stessa situazione. Be', più o meno. Lei aveva un grosso, sbrindellato, orrendo, rivoltante, sanguinolento, maciullato, ok la smetto, squarcio nel petto. Avrei detto che era stato un coltello bello seghettato e di proporzioni esagerate a procurarle una tale ferita ma... Povera! Per quanto quelle due potessero essere state chiuse in loro stesse, forse un po' brusche o addirittura antipatiche... erano mie amiche. Mi ero affezionata. Ma non si sarebbero mai fatte catturare o uccidere. Credo.
Il mio caro amico bruciore ritornò a farmi visita non appena mi voltai dall'altra parte. Ero talmente ansiosa di posare la vista in un qualsiasi punto che non fosse le mie compagne di viaggio morte stecchite per un'ignota causa, che mi ero dimenticata degli esseri spregevoli e ributtanti che mi si accalcavano attorno. Il bruciore, lancinante come sempre proveniva dal punto esatto in cui avevo la cicatrice sul petto. Era come un marchio.
Presto quelle creature mi furono addosso. Mi stavo semplicemente abbandonando alla morte certa (impossibile dato che ero immortale, ma spesso tortura e morte si avvicinano) quando udii la voce di mia madre che mi gridava nella testa. "Se non vuoi farlo per te, fallo per lei" mi dissi. Sì, ok, ma "lei" chi? Mi rammaricai di non avere un taccuino a portata di mano, in modo tale da poter aggiungere questa domanda alla lista delle altre ancora senza risposta. Ma nonostante la mia mente era ancora abbastanza lucida per formulare pensieri sarcastici, il mio corpo fu scosso da uno spasmo di dolore. Presi a scalciare e dimenarmi, ma ogni volta che mi levavo di dosso uno di quei cosi, due altri si aggiungevano.
Così decisi di cambiare tattica. Cercai una via d'uscita in quell'ammasso informe. Strisciai sotto i corpi accalcati, imitando il loro stesso modo di muoversi. Quando anche il mio piede sinistro fu fuori da quel groviglio che si contorceva in cerca della preda, mi misi a correre fino a perdermi nell'oscurità. Una lucina, flebile, comparve. Davanti a me si apriva un corridoio che si estendeva all'infinito. Mi voltai e feci per tornare indietro ma il mio naso sbatté contro una superficie dura e nera. Ero in trappola... E che cavolo.
Iniziai a camminare verso l'oscurità, continuando a vedere i mostri che i bambini vedono sotto il letto ovunque spostassi lo sguardo. Non che avessi molte alternative: il corridoio era nero, buio, non si vedeva niente se non la piccola porzione di pavimento che veniva illuminata dalla candela che aveva deciso di entrare club. Dei rumori raccapriccianti provenivano da dietro le pareti. Stavo impazzendo. Mi chiesi se quel corridoio avesse una fine. Poteva essere una cosa positiva o negativa. Positiva nel caso in cui fossi arrivata ad una porta da aprire e ritrovarmi felice e contenta a casa mia. Negativa se fossi arrivata ad un vicolo ceco.
Di colpo ebbi paura dell'infinito. Ma non una paura qualunque. Un terrore profondo e innato. Se solo pensavo a quanto fosse sconfinato l'universo...
Scossi la testa. Quella paura non aveva senso! Anche se a pensarci bene, nulla aveva senso. Dovevo uscire di lì, andarmene. Smisi di camminare e mi fermai un attimo per riprendere fiato. Inspirai a fondo quell'aria che sapeva di chiuso e osservai l'oscurità. Non vidi niente. Trassi un ultimo respiro e un passo dopo l'altro iniziai a correre, il più velocemente possibile. Non sentivo l'aria che mi sbatteva in faccia mentre correvo, né il freddo del pavimento sotto i miei piedi, a patto che ci fosse un pavimento e non stessi solo fluttuando nel vuoto. Tutto intorno a me sembrava... inconsistente. Continuai la mia corsa da forsennata fino allo stremo delle forze e anche oltre, ansimando con il petto che si alzava e abbassava velocemente ed il cuore che mi batteva a mille.
Non si udiva alcun rumore, nemmeno il mio respiro affannoso o lo scalpiccio dei miei piedi, un silenzio opprimente e surreale. Era talmente muto, quel corridoio, che stavano per scoppiarmi le orecchie, come se ci fosse un rumore troppo alto per essere sentito ma abbastanza doloroso per essere captato.
Dopo quelle che mi sembrarono ore di corsa sbattei il naso contro un maledetto muro invisibile. Oppure era visibile ma talmente nero da confondersi con il resto, dato che anche la lucina sopra di me era sparita. Anche lei uscita dal club come tutte le lucine che avevo incontrato fino ad allora. Massaggiandomi distrattamente il naso, la testa traboccante di domande perfino dalle orecchie, tastai la superficie nera in cerca di un'eventuale serratura o apertura o cose così. E la trovai. Una piccolissima fessura all'altezza delle costole. Passando la mano sul muro liscio avevo sentito qualcosa di rientrante e freddissimo. Mi tolsi dal collo la cordicella con la chiave e la provai. E ti pareva. Nessuno scatto. Per la frustrazione tirai un pugno contro la superficie piatta e magia, quella si abbatté all'istante.
Caddi direttamente in avanti, senza nessun pavimento ad arrestare la mia caduta. Iniziai a precipitare verso... Semplicemente verso il vuoto. Nero più assoluto. Solo oscurità. I miei capelli rimanevano al loro posto, senza muoversi. E magari neanche io mi stavo muovendo. Magari ero ferma in un punto, fluttuando nel vuoto, e mi pareva di stare precipitando... Poteva essere solo un'illusione. O addirittura tutto quello poteva essere frutto della mia immaginazione, non si sa mai che scherzi potrebbe giocare il cervello.
Fatto sta che a me sembrava di cadere nel vuoto, con una lentezza esorbitante ma era come se stessi precipitando. Avevo sentito dire che quando si è in prigione, se non si ha un orologio o un qualsiasi modo per contare il tempo si può impazzire.
Ed era quello che sarebbe successo a me se non avessi iniziato a contare i secondi che passavano. O quasi...
1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10... Arrivai al cento. Arrivai al cento ed era come se fossi ancora all'uno. 102, 103, 104, 105... Duecento. Ed ero ancora all'uno. 205, 206, 207... Mille. Sembrava non fosse passato neanche un secondo da quando avevo iniziato a contare. Ma proseguii. 1001, 1002, 1003, 1004... Niente da fare. 9999... Novemilanovecentonovantanove. Un grande numero. Novemilanovecentonovantanove... Diecimila. Quando provai a continuare sentii una cosa scattare dentro di me... Come la lancetta di un orologio che passa dall'uno al due. Uno, due... La mia mente non riuscì neanche a pensare al Diecimila ed uno. Scattò direttamente al due. Così 2, 3, 4, 5, 6... Fino al 20'000. Stessa cosa. Nessun Ventimila ed uno. Subito ricominciò dal 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9... Trentamila. 4, 5, 6, 7...
Quasi quasi ci prendevo gusto, a contare. Solo che poco alla volta i numeri aumentavano in grandezza. Finché non arrivai al Centomila. Centomila e probabilmente avevo contato solo fino a dieci. Là il tempo andava a rallentatore. Una cosa insopportabile. Mi sembrava di impazzire... E intanto io continuavo a precipitare... Sempre ammesso che io stessi realmente precipitando. Mi sentivo Alice nel Paese delle Meraviglie.
Poi mi fermai. Oppure ero già ferma. Solo che questa volta sentivo una superficie fredda sotto i miei piedi. Ruotai su me stessa. Ancora l'oscurità più totale. Poi, come per magia, una lucina si accese. (Yee, nuovo membro del club!) Era distante chissà quanto... ma c'era. Come delle luci a neon che si accendono partendo dalla fine di un corridoio fino ad arrivare a me, quel bagliore biancastro si allungò, protendendosi verso di me attraverso quell'oscurità straziante.
Sotto di me non si vedeva alcun pavimento... Era una cosa strana. Troppo strana da descrivere. Ma ecco ciò che vidi.
La luce creava sopra di me una cappa biancastra, invece ai miei piedi era come se non ci fosse niente. Proprio come se quel bagliore mi avesse completamente avvolta e io stessi camminando sulla luce stessa. Invece a destra e a sinistra non c'era niente. Niente! Attraverso la luce vedevo solo una cosa incolore. Il nulla. Non era nero, né bianco, e neanche trasparente... Nessun colore. Una parola: NULLA. Proprio come il Nulla della Storia Infinita.
La fine di quel tunnel luminoso non si vedeva. Per niente. Non si riusciva a scorgere una qualche parete. Solo bianco. Un bianco sfocato e semi-fosforescente. Con le mani che mi sudavano e la testa che mi scoppiava per i troppi pensieri mossi il primo passo, barcollando. Troppe domande mi offuscavano la mente. Troppe domande e, per il momento, nessuna risposta... Sì, avevo proprio bisogno di quel taccuino.
Un piede davanti all'altro, la testa che mi girava, gli occhi infastiditi dalla luce e il respiro pesante... Un passo, due passi, tre passi... Continuai a contare i miei passi fino a quando persi il conto. Non avevo idea di quanto tempo fosse passato. Non capivo più niente. Paura, terrore, ansia... Tutte le emozioni possibili mischiate a formare una poltiglia di sentimenti incomprensibili. Poi vidi qualcosa. Un puntino nero nella luce. Affrettai il passo.
Con le braccia che mi sfioravano i fianchi e la camicia apparsa da chissà dove che saltellava ad ogni passo, vidi il puntino nero ingrandirsi poco alla volta. Man mano che mi avvicinavo più mi eccitavo, spinta dall'adrenalina.
La macchia scura non aveva ancora preso una forma distinta. Però più mi avvicinavo più assomigliava ad... una scrivania!
Passavano i minuti, ammesso che il tempo non scorresse ancora a rallentatore e non fossero passati solo due secondi da quando si era accesa la luce, e le mie forze diminuivano poco a poco. Sentivo le gambe sempre più pesanti e difficili da muovere, ma non mi detti per vinta e proseguii, anche se rallentavo sempre di più. Finché non mi fermai, ormai allo stremo delle forze. Finché non mi fermai e mi ritrovai davanti alla scrivania.
Era alta come una scrivania qualsiasi, di legno scuro e con una candela poggiata dietro ad un libro. Anzi un mega libro. Sarà stato grande quanto tre dizionari da duemila pagine impilati insieme! La copertina era di pelle marrone e a caratteri grandi e placcati d'oro c'era scritto: APEIROFOBIA. E poco più sotto, con caratteri più piccoli: paura dell'infinito. Sembrava che però mancassero altre tre parole, perché si vedeva, seppure poco chiaramente, l'ombra di alcune lettere.
Accarezzai la rilegatura. Era stranamente morbida. Non sembrava pelle, più che altro pareva come velluto. Agli angoli, inoltre, c'erano alcune borchie d'oro.
Sollevai la copertina e lessi ciò che vi era scritto sulla prima pagina. Sempre la stessa cosa. Voltai ancora il foglio di carta sottile e lessi il titolo del capitolo. Ma non c'era scritto niente. Anche se sembrava che in passato ci fosse stato scritto qualcosa... Sembrava come... Cancellato.
Così iniziai a leggere ciò che invece vi era scritto:
Apeirofobia, paura dell'infinito...
Achluofobia, paura del buio...
Acousticofobia, paura dei rumori...
Agliofobia, paura del dolore...
Aichmofobia, paura degli oggetti appuntiti...
Algofobia, paura ossessiva di soffrire...
Amnesifobia, paura delle amnesie...
Anginofobia, paura di soffocare...
Aphenphosmfobia, paura di essere toccati...
Atelofobia, paura del tutto...
Automatonofobia, paura di tutto quello che può rappresentare falsamente qualcosa...
Continuai a voltare le sottili pagine giallastre di quello strano libro. Ad ogni fobia corrispondeva una pagina. Andai avanti così per un po', finché non mi stancai di leggere tutte quelle paure assurde... Anche se avevano in comune qualcosa. Avevano a che fare col dolore o cose del genere. Avevo sfogliato i primi tre paragrafi, le lettere A, B, e C. Mi stupii di quante fobie esistessero. O può darsi che alcune fossero addirittura inventate; non riuscivo più a capire cosa, in quel luogo, fosse o non fosse reale.
Osservando il libro notai di essere arrivata quasi a metà... Com'era possibile dato che avevo letto solo i primi tre paragrafi quando probabilmente ce n'erano ventuno? Presi a girare le pagine al contrario, per tornare all'inizio. Più pagine sfogliavo, più mi pareva di rimanere sempre alla metà del libro. Allora provai a voltare direttamente la copertina. Infinite copertine si susseguivano a quella precedente. Niente da fare. Continuavo a rimanere a metà, senza poter andare avanti o indietro.
Sbirciai la pagina a cui ero rimasta, la prima del paragrafo D, e una scritta attirò la mia attenzione: arriva alla fine o resterai qui all'infinito. "Che incoraggiante..." pensai. Sfogliai la pagina senza neanche guardare cosa vi era scritto. La pagina era uguale a quella precedente. O ero capitata in un brutto incubo, o tutto quello era reale e quel libro era una cosa vivente che capiva se leggevo o meno. Tentai di aspettare il tempo che mi sarebbe bastato per leggere una pagina e la voltai. Come prima. Non avevo scelta. Iniziai a leggere dentro di me con la paura che si faceva strada nel mio animo. Finii la pagina e la girai per l'ennesima volta. Stava iniziando a girarmi la testa, con tutti quei paroloni che iniziavano per la stessa lettera.
E fu così che i nervi mi cedettero e urlai per la frustrazione, per poco non scaraventai il libro per aria. Ultima chance e lo avrei veramente fatto. Lessi ad alta voce tutte le fobie del paragrafo, cose strane tipo:
Dementofobia, paura della follia...
Demonofobia, paura dei demoni...
Dermatofobia, paura delle malattie cutanee... "Aspetta, paura delle malattie cutanee? Seriamente?", pensai sconcertata.
Dextrofobia, paura delle cose alla destra del corpo... "Andiamo di bene in meglio, direi. Questa cosa non ha senso", presi a commentare nella mia mente.
E andava avanti con cose talmente strane che non oso neanche ricordare.
Arrivai alla Z con la nausea e la testa che sembrava stesse per esplodermi. Non credevo neanche potessero esserci delle fobie con la Z, ma a quanto pareva mi sbagliavo. E tutte avevano a che fare con i dolore... La gola era secca e mi bruciava parecchio. Voltai l'ultima pagina leggendo anche l'ultima fobia: Zeusofobia, paura degli dei... "Paura degli dei? Sul serio!?" pensai quasi divertita. Non centrava moltissimo col dolore.
Era rimasta solo un'ultima pagina. Una facciata bianca e l'altra con scritto:
Manifestazione psicopatologica che crea un senso di angoscia nel fobico, irrazionale e persistente paura legata al dolore.
Era la definizione corretta di fobia, tranne che per le ultime tre parole. Non mi risultava che fosse necessariamente "legata al dolore", ma leggendo quelle scritte sul libro poteva anche essere più che giusto.
In basso, alla fine della pagina era scritto con una calligrafia tondeggiante: Skylar Domwrith, fobia: paura della distruzione.
Chi era?
Una piuma d'oca comparve sul tavolo. La presi e ne intinsi la punta nel calamaio comparso a poca distanza dal libro. La mia mano si mosse da sola costringendomi a scrivere il mio nome, Elena Wood, e dopo "fobia" proprio Apeirofobia, la paura dell'infinito.
Non sapevo neanche perché avessi scritto quello o l'avessi detto persino ad alta voce, ma di tre cose ero certa. Era vero, che avevo paura dell'infinito, in un certo senso; il libro in qualche modo strano si aspettava che io scrivessi quello; una sensazione definibile solo con "strana" che mi fece pure formicolare la pelle delle braccia, mi disse che altre persone avevano scritto il loro nome e la loro paura. E non sbagliavo: Clarissa Taylor, Edward Jonhston e Michael Right. Questi nomi comparvero sotto quello della misteriosa Skylar Domwrith.
Con un disgustoso sapore amaro appiccicato alla lingua, decisi che non volevo avere più a a che fare con quelle persone o con tutto ciò che riguardasse il libro. Per lo meno non vedevo più esseri spaventosi e raggrinziti. Finalmente chiusi quel maledetto libro, un po' sospirando e un po' sbuffando. Mi rimase solo un secondo per guardarlo un'ultima volta, poi scomparve in una nuvola biancastra. Ma non fu l'unico ad andarsene. Anche la luce si spense, lasciandomi al buio.
*Angolo Scrittrice*
Buonsalve muchachos! Eccomi tornata con un capitolo di 3300 parole! Penso che ce ne saranno altri belli lunghi come queste due eccezioni. Il motivo? Avevo una certa ispirazione... che non ha nulla a che vedere con un tema per la scuola *cof cof cof* Anyway, Come vi è sembrato this chapter? A me sinceramente è piaciuto scriverlo... L'ho trovato emozionante!
Ho notato che alcuni di voi mi hanno addirittura richiesto il film di Darkness! Bene! Io conosco un ragazzo che ama costruire sceneggiature perciò, quando il libro sarà pubblicato in cartaceo ( sì, mi faccio idee folli per il futuro...) provvederò anche per il film!
Ma per ora dovrete accontentarvi del trailer a fine libro (spero)^^
Perciò ora vi saluto e inizio i prossimo capitolo, impegni permettendo!
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