4.
Porto di Nuova Luce, Pr. Di Legno, 5 Aprile 1609 NL
Le distese infinite del oceano lo intimorivano più del Mondo Esterno. Una frase dello scrittore Redjard Alamur lo aveva sempre inquietato
"Se temi il giudizio inflessibile di Luthanan, non tremerai di fronte alle orde di Mostri in agguato nei tuoi incubi"
Il senso di quelle parole era, nelle intenzioni del mediocre scrittore di Brassar, quello di motivare i Mori nella loro eterna battaglia contro le creature del Mondo Esterno. Stenjar, però, uomo di cultura e con un'innata passione per le elucubrazioni filosofiche e per il piacere della quotidianità, aveva sempre letto tra le righe.
I Mostri erano quanto di più deforme e terribile abitasse questo Mondo, che essi si aggirassero tra le praterie e le foreste della terra o scivolassero silenziosi nelle profondità degli abissi. Secondo Stenjar infatti, il risvolto più inquietante delle parole di Alamur era, nonostante i Mostri, il fatto che l'autore mettesse in allarme il cuore degli uomini su quanto fosse terribile il giudizio della Dea, così tremendo da superare di molto l'orrore di orde intere di quelle terribili creature. Il pensiero di una punizione tanto terribile aveva spesso turbato le sue notti. Cosa poteva esserci di peggio di essere sbranati vivi da un branco di Volklar?
Non si era mai trovato, a onor del vero, a camminare sui quasi duemila chilometri del Grande Muro Azzurro per ammirare con profondo orrore ciò che si sarebbe potuto nascondere fuori, nel Mondo Esterno, a stento riusciva a immaginare cosa spingesse uomini sani di mente ad arruolarsi come Esterni. Eppure, nel profondo della sua anima, qualcosa gli suggeriva che l'oceano celasse misteri ancor più inquietanti.
Dal palco a gradinate montato sulla scogliera del Porto di Nuova Luce, osservava l'acqua grigia e increspata confondersi con le nuvole grigie del cielo del Sud.
Diede un profondo respiro.
"Andrà bene" disse per motivarsi, impostando un sorriso convinto sulla sua faccia cordiale.
Dall'interno del cantiere spuntò Jakuus "Il Costruttore", inseguito da un nugolo di inserviente e attendenti che sembravano mosche attorno alla carogna.
"Ho capito, ho capito – stava dicendo il Principe di Legno – Il Gran Voce mi ha assicurato che si occuperà degli ospiti, se voi avete sistemato tutto per il rinfresco e la piccola festicciola che seguirà, potete andare ai vostri posti e fare quello che dovete fare" disse gesticolando, con la ferma intenzione di liberarsi in una volta sola di tutti loro. Più svelto che gli riuscì, raggiunse Stenjar.
"Ti vedo un po' stressato, mio vecchio amico – commentò quest'ultimo – Dovresti rilassarti e goderti la vista" Jakuus aveva il fiatone. Si riavviò il codino dei suoi capelli rossi come braci ardenti e si prese un attimo per raddrizzare la schiena affaticata.
"Rivestire la Seconda Carica del Regno non ti da l'autorizzazione a prendere in giro un Principe e, soprattutto, uno più anziano di te. Molto più anziano di te" Stenjar rise, con quella sua risata profonda e coinvolgente, tale che nemmeno l'ansioso Jakuus potè resistere.
"Andrà bene" concluse dando una pacca sulla spalla al Nano. Jakuus annuì, ma si guardò bene dal rivolgere l'attenzione a tutta quell'immensa distesa d'acqua che aveva attorno e che poteva inghiottirlo in un solo istante. Laina, prima assistente di Stenjar, arrivò quasi correndo. Dovette prendere fiato prima di parlare.
"Sono arrivati" disse ansimando sulle ginocchia
"Molto bene – disse Stenjar aggiustandosi il vestito d'ordinanza nero coi bordi verde petrolio – Sa cosa fare, signorina, ognuno ai propri posti" poi rivolse uno sguardo preoccupato al Principe di Legno. Jakuus ricambiò lo sguardo con una smorfia poco convinta.
"Io credo che osserverò il tutto dal cantiere, al sicuro, sulla pietra e tra mura solide, o rischio di vomitare su tutto quell'oro" commentò mentre prendeva congedo barcollando.
Mentre il Nano spariva tra le banchine del molo e le pareti a picco delle scogliere, verso gli ampi magazzini del Porto di Nuova Luce, sui cantieri che portavano, stampato a lettere cubitali, il nome Valadour, Laina seguiva il Gran Voce come un'ombra. Una cosa ormai l'aveva capita. Per fare quel lavoro, Il Gran Voce, la parola ufficiale del Re, il diplomatico e volto ufficiale della Corona, bisognava sapersi adattare. Bisognava essere consapevoli di dove ci si trovava, della persona con cui si parlava e della formalità dell'occasione, tenendo sempre bene a mente quali parole poter usare e quali argomenti era meglio evitare, il tutto con la consapevolezza del proprio ruolo e dell'importanza di non farsi mettere i piedi in testa da nessuno.
E Il Gran Voce Stenjar, in questo, era fenomenale. Il suo modo di porsi e di parlare, il suo linguaggio e la sua gestualità, pur adattandosi a ogni interlocutore, rimaneva sempre fedele a se stesso, dando un'immagine di forza e sicurezza. La seconda carica del Regno parlava per il Re, dava consigli ai Principi al posto del Re, e per questo doveva essere e dare l'aspetto di una persona onorevole.
Così, Laina prestava attenzione ad ogni mossa del suo superiore, notando particolari che ad altri sfuggivano. I rappresentanti del Principato d'Oro, su tutti i Valadour, avevano aiutato a finanziare l'impresa, e ricevettero un ampio sorriso formale, una stretta di mano con un'amichevole pacca sulla spalla e due baci sulle guance. Avevano messo soldi, tanti soldi, e andavano coccolati.
I Cavalieri della Luce, invece, Baroni del Principato d'Argento e dalle nobili discendenze, erano fieri E boriosi guerrieri, alcuni avevano anche prestato servizio sul Muro, oltre ad avere fornito gli armamenti montati a bordo della nave. Furono ricevuti da Stenjar a schiena dritta, una singola stretta di mano, breve e intensa, un sorriso appena accennato e un mezzo inchino. Rigidi, come era apprezzato dalla disciplina militare.
Concluse poi con i noiosi Eruditi di Brassar e i nevrotici Ricercatori di Glaxor, prendendo i più carismatici sotto braccio e accompagnandogli con sagaci battute verso gli spalti, assicurando uno spettacolo degno del viaggio ai primi, rassicurando i secondi sulla buona riuscita del loro minuzioso e stupendo lavoro.
Una volta accolti gli ospiti e guidati ai loro posti, Stenjar e Laina si ritrovarono in un angolo degli spalti, e il Gran Voce non perse occasione per una lezione alla sua assistente.
"Ci siamo. Valutazioni preliminari?" Laina, ormai, era abituata a quegli esercizi. Scrutò la folla, i volti, le espressioni, chi interagiva con chi. Come le aveva insegnato Stenjar, bisognava cominciare dal fatto più rilevante.
"Mancano i Valadour – cominciò ricevendo un cenno d'assenso di Stenjar – Sono il nucleo degli interessi che gravavano attorno all'impresa. Però ci sono altri investitori più piccoli, come i Rahs. Quando i lupi non ci sono gli avvoltoi banchettano. Tenteranno di prendersi tutti i meriti, immagino, o quel poco che ne resta. Tuttavia, sono tutti divisi in gruppi, non si mescolano, ognuno vuole mantenere il suo status. Non dobbiamo elogiare l'impegno economico di nessuno in particolare, e nemmeno tirare mai in ballo il nome dei Valadour, così si sentiranno lusingati anche se avranno il dubbio che non siano loro l'obiettivo delle lusinghe"
Stenjar annuì soddisfatto.
La dame erano le prime a osservare l'etichetta e lasciarsi avvicinare dai guerrieri, appesantiti da armature di raprresentanza e da anni di mancanza di esercizio fisico.
"I Cavalieri della Luce stanno uniti per non avere a che fare con i nobili. Percepiscono la mancanza dei Valadour come un problema che non sanno come gestire, fatto che annulla i loro personali attriti. Possiamo sfruttare questo particolare se avanzeranno pretese di qualche tipo, ma solo coinvolgendo tutti nel problema. Un Guerriero sa di non avere speranze quando è solo contro tutti"
In seguito, Laina allungò lo sguardo sui professori delle Accademie di Brassar. Molti di loro si muovevano lentamente data la veneranda età, e amavano conversare sulle loro questioni accademiche.
"I professori di Brassar e i Ricercatori di Glaxor sono al contempo annoiati e pronti a essere stupiti. Devono godersi il momento a modo loro, inutile interferire con la filosofia o con la matematica. Quindi – continuò facendo i suoi calcoli – dobbiamo cambiare i posti a sedere. I ricchi devono mescolarsi coi baroni. I primi avranno l'illusione di gestire il potere dei Valadour e i secondi avranno l'illusione di far parte di qualcosa di più grande di loro"
Stenjar concluse con un altro cenno d'assenso, arricciando i bordi delle labbra con soddisfazione.
"Molto bene. E noi, dove ci siederemo?" domanda difficile. In alto con i professori del Principato d'Ottone e i Ricercatori del Principato di Vetro o in prima fila con i ricchi nobili dei Principati d'Oro e d'Argento?
"In prima fila, vicino ai potenti, per confermare il posto della Corona" Stenjar scosse la testa sorridendo.
"In piedi, mia cara. Davanti a tutti, in bella vista. Ti sei mai chiesta perché il trono del Re è l'unico girato verso gli altri, perché il Re è l'unico che tutti devono vedere. La Corona non si mescola con nessuno. Ci sono due cose che dividono e due cose che uniscono coloro che vogliono mantenere il proprio status: Politica e Religione, Cibo e Musica. Per questo motivo ora siamo qui e dopo faremo un rinfresco" concluse poggiandogli una mano sulla spalla mentre guadagnava il centro della scena.
Il palco coperto riuscì a contenere abbondantemente la nutrita schiera di personalità. Stenjar dimostrò tutta la sua esperienza nel gestire gli ospiti, Laina ne era davvero impressionata. Gli alti dignitari di Silveren e Aurynn che avevano prestato il loro nome e la loro mano d'opera per la realizzazione del mastodontico progetto, sedevano qua e la, elargendo sorrisi e strette di mano come se la loro presenza contasse qualcosa. Come previsto da Laina e Stenjar, gli impettiti guerrieri di Silveren, senza la solita guida del Principe d'Argento, si ritrovarono spaesati, girovagando impazienti per trovare il loro posto a sedere. Gli unici che rimasero in piedi, in fila sul parapetto del palco, in fremente attesa, troppo nervosi per assistere comodamente seduti sugli scranni degli spalti, erano i Ricercatori di Glaxor, scomodi e impacciati nelle loro uniformi ufficiali azzurre e bianche, fatte di linee eleganti e di forme geometriche. Discutevano bisbigliando di carichi di contrappeso e bilanciamento statico, di resistenza alla trazione e capacità meccanica di assorbimento degli urti. Anche il paziente Stenjar si sarebbe annoiato a morte in loro compagnia.
Dopo quasi un'ora di estenuante attesa, riempita ad arte dal Gran Voce con parole di elogio e congratulazioni per il successo di ognuno dei presenti, il roboante suono di un corno attirò la loro attenzione. Stenjar si pose di fronte a tutti loro, allargando le braccia e invitando i presenti, da vero anfitrione, a prestare attenzione alle sue parole e allo spettacolo per cui erano giunti fin lì.
"Lord e Lady, benvenuti a Porto di Nuova Luce. Dopo lunghi anni, Re Maerthyr è lieto di consegnare a Nove Troni la prima nave che solcherà le acque sconosciute del oceano. Diamo oggi avvio a una nuova epoca di esplorazioni del misterioso Sud e dei suoi tesori. Re Maerthyr ci tiene, prima di mostrare il risultato dei nostri sforzi, a ringraziare ognuno di voi per l'apporto e la pazienza che si sono resi necessari per la realizzazione di quest'opera, prima, si spera, di una lunga serie" dal cantiere alla loro sinistra, lungo il fianco dell'imponente montagna che segnava il confine tra il Principato di Legno e il Principato di Vetro, un secondo squillo annunciò l'imminente apparizione della mastodontica opera dei cantieri Valadour.
"Signori, è il momento. Re Maerthyr è fiero di presentarvi, la prima nave della flotta reale, la Vicktoria"
L'imponente vascello scivolò in mare dolcemente, mentre file di operai e carpentieri la mantenevano ferma nel giusto assetto, appoggiata sulle corsie e tenuta da centinaia di canapi. Quando lo scafo affondò la parte inferiore della carena nell'acqua della baia, i rappresentanti del Principato di Vetro trattennero il fiato, sperando che i loro calcoli e i loro studi fossero valsi a qualcosa.
La Vicktoria riemerse trionfante dalle acque grigie e il corno risuonò una terza volta. Stenjar, più che dal trionfante ingresso della Vicktoria, fu soddisfatto di vedere le bocche spalancate dei presenti, in adorazione di quel colosso formato da tonnellate di legno, acciaio e ferro. La murata emergeva dall'acqua di una decina di metri, oscurando il pallido sole che ammiccava timidamente attraverso lo strato uniforme di nuvole. Dai tre alberi si srotolarono le vele imponenti col simbolo verde petrolio di Egwel, che diedero nuovo impulso alla spinta dell'imponente imbarcazione. Sfilata la polena con le sembianze di Luthanan, la Dea della Giustizia, tutti poterono ammirare i colori bronzei dei parapetti del castello di poppa e le venti bocche di cannone e le finiture argentate e dorate della fiancata. La costruzione della Vicktoria era stato il progetto più imponente e dispendioso che il regno avesse affrontato dalla costruzione di Egwel e dei suoi sette ponti. La parata della Vicktoria, una volta a distanza di sicurezza, si concluse con le venti salve di cannone, che ebbero l'effetto desiderato, suscitando nei presenti sorpresa e ammirazione, oltre a un caloroso applauso. Stenjar sospirò. In fondo, quello non era il giorno per celebrare la vittoria dell'umanità sull'oscurità da cui stava risorgendo. Qui si parlava di affari.
Jakuus osservò il varo della Vicktoria dal pontile, al sicuro, lontano da insidiosi scogli e altrettanto insidiose ondate di schiuma bianca. Il mare non era la sola cosa da cui voleva stare lontano il più possibile. Quella folla di uomini d'affari e gente senza scrupoli lo infastidiva. La carica di Principe di Legno per lui contava poco e niente. Nessun Nano aveva mai avuto piacere a sedersi al Concilio dei Principi nella Sala Bianca a Egwel, e lui non era da meno. Per sua fortuna, il buon rapporto con il Gran Voce e col Primo Difensore era di fiducia e rispetto, dandogli così la possibilità di defilarsi dalla maggior parte degli impegni ufficiali senza troppi problemi. Tutti quei ciarlatani, che ora si riempivano la bocca di complimenti, avevano messo piede al porto per la prima volta quel giorno, mentre lui, sovrano di quelle terre, aveva assistito alle varie fasi della costruzione dall'inizio. Non avevano idea di quali problemi avessero dovuto affrontare gli operai per rendere i loro soldi utili e il loro ego soddisfatto. Non sapevano quanti Nativi e quanti Nani erano morti al cantiere, ne che la ciurma, addestrata al Primo Settore del Muro, era formata da ex detenuti ai quali era stata commutata la pena all'ergastolo con qualcosa, a suo avviso, di molto peggiore.
Jakuus aveva fatto ben di più per quell'impresa.
Volse lo sguardo a Ovest, sui crinali brulli delle Terre Selvagge. Fu in quel momento che vide i sei cavalieri, immobili ad osservare l'imponente nave oscurare le loro terre sacre. Non era preoccupato per l'incolumità dei suoi ospiti. Tra i Cavalieri d'Oro, le Guardie di Oricalco e i Castigatori, nessun Barbaro delle Terre Selvagge avrebbe osato fare niente di stupido. Nel profondo della sua anima, però, cresceva una sensazione di profondo disagio per aver profanato le loro terre in nome del progresso. Odiava il Re per avergli imposto l'onere di dover spiegare ai fieri abitanti di quelle terre del Sud quali fossero le necessità del regno. A Jakuus non sfuggì l'abbigliamento da battaglia dei sei cavalieri. Non avevano mai digerito quell'affronto, anche se il regno li teneva al sicuro dai Mostri, e i Nani avevano costruito per loro templi e villaggi. La sacralità della morte non conosceva compromessi per i Barbari.
Mentre il sole ormai tramontava a Ovest, dopo una lunga giornata di chiacchiere, sorrisi e complimenti, gli ultimi invitati prendevano congedo per lasciare Porto di Nuova Luce sulle loro fortezze volanti. Stenjar era esausto, Jakuus glielo poteva leggere negli occhi, eppure, fino all'ultimo, mantenne la schiena dritta e un portamento da principe. Prese una bottiglia di liquore alle erbe e due coppe d'argento. Si avvicinò al Gran Voce solo dopo averlo visto stringere l'ultima mano per congedare l'ultimo ospite.
"Il sole tramonta" esordì il Nano versando due dita del liquido ambrato nella coppa. Stenjar espirò, sgonfiando il petto, e sembrava respirasse per la prima volta da quella mattina. Laina si unì a loro, presenza silenziosa, anche lei esausta da quella giornata infinita, la quale si limitò a raccogliere una sedia e fare compagnia.
"Siano ringraziati i Tredici" rispose il Gran Voce afferrando con gioia la sua coppa.
"E' andata bene direi"
"Si, è andata bene" a Jakuus non sfuggì l'amarezza nel suo sorriso mentre si sedeva su una delle poltroncine fino a quel momento occupate dai nobili invitati, slacciandosi la giacca e dando aria ai polmoni.
"D'accordo, non sono bravo in queste cose, ma ci voglio provare. Sei solo stanco o qualcosa ti da pensiero?" Stenjar rise. Faceva quel lavoro da talmente tanto tempo che ormai era diventato il suo modo di fare abituale, ridere, sorridere e parlare come se stesse intrattenendo rapporti diplomatici.
"C'è sempre qualcosa, Jakuus. Tra qualche mese ci sarà il Consiglio di Primavera. Ogni Principe, tu escluso, ovviamente, verrà a Egwel con le proprie richieste e le proprie assurde pretese, aspettandosi che Re Maerhtyr e io assecondiamo ogni parola. Ci saranno delle trattative, qualcuno alzerà la voce, io dovrò calmare le acque, e così via. Così, dopo estenuanti giorni di contrattazioni si prenderanno degli accordi i quali, dopo sei mesi, al Consiglio d'Autunno, andranno ridiscussi da cima a fondo. E ognuno se ne andrà scontento e furioso" Jakuus aveva sentito il tono disilluso, ma non se la beveva.
"E da quando tutto questo ti spaventa? Non prendermi per un pivello. Anche se non ho mai partecipato a nessun Concilio, so benissimo che c'è altro. Sputa" Stenjar si fece serio. Dopo essersi raddrizzato e aver bevuto un'abbondante sorsata, si rivolse a Laina.
"Puoi andare, per oggi abbiamo finito, hai fatto un buon lavoro" rimasero a fissarsi. Laina ci mise un istante a capire che volevano rimanere soli. Jakuus fu sorpreso di constatare che ci fosse così tanto sotto quel muso lungo. Una volta congedata, rimasero in attesa di vederla sparire tra gli edifici del porto. Stenjar fissava il tramonto.
"Il vento sta cambiando, amico mio" cominciò Stenjar versando da bere a entrambe. Jakuus sorseggiava in silenzio, incuriosito.
"Rogar vuole mollare"
"Rogar? Intendi, quel Rogar, il Primo Difensore?"
"Proprio lui, la terza carica del regno, il braccio destro del Re. E' da tempo che se ne vuole andare. L'ha comunicato al Re, ma lui gli risposto che prima deve fare il nome di un suo sostituto e Rogar a breve gli darà una conferma. A me manca ancora un anno prima di ritirarmi e Laina è più che pronta a sostituirmi.
"A breve perderà due dei suoi migliori consiglieri e sostenitori" commentò il Nano sbuffando.
"La Lady di Ghiaccio sta col fiato sul collo al Re per questa idea della navigazione e il Gran Maestro Pilion, come tutti i Gran Maestri prima di lui, ha il controllo sulle menti della popolazione e tiene il Re per le palle. La sua benedizione è fondamentale, qualsiasi decisione un Re debba prendere"
"Che i Valadour e il Culto stessero col fiato sul collo alla Corona lo sapevo già, ma se tu e Rogar lo abbandonate, non riesco nemmeno a immaginare cosa potrebbe scoppiare"
"E non è tutto – continuò il Gran Voce estraendo una lettera aperta con il sigillo in cera del Primo Difensore e dandola a Jakuus – Qualche giorno fa fuori dal Terzo Settore hanno bruciato uno degli ultimi nidi dei Mostri" Il Nano cominciò a leggere il rapporto, che spiegava nel dettaglio come le operazioni di sterminio mirato di quelle creature dalle misteriose origini avessero finalmente raggiunto un punto dove l'esercito del Principato di Bronzo si trovava, dopo secoli, in vantaggio.
"Non ci sono più nidi nel raggio di dieci chilometri dalle mura – ripetè Jakuus leggendo una delle ultime righe – Sembra una cosa buona" commentò senza capire le preoccupazioni di Stenjar. Il Gran Voce ripiegò la lettera e se la infilò nella giacca. Poi si poggiò sullo schienale imbottito, lasciando cadere la testa indietro e sospirando.
"Se il problema dei Mostri viene meno, viene meno la necessità di un esercito così imponente che difenda i duemila chilometri di Muro Azzurro. Se non servono più soldati, non serviranno più accademie che li addestrino e già con questo il Principato d'Argento si ritroverebbe con migliaia di uomini fermi, Baroni scontenti che si impoveriscono e tonnellate di ferro e acciaio ad arrugginire. Poi, visto che le armi non servono più, le fucine e le forge di Ironhide saranno spente e centinaia di operai perderanno il loro lavoro... capisci dove voglio arrivare?"
"Si potrebbe pensare di allargare il Muro, espandere la nostra zona d'influenza, darebbe lavoro a migliaia di soldati e operai" Stenjar si rimise composto. Nei suoi occhi c'era una preoccupazione più reale che mai. Era diventato serio come il Nano non lo aveva mai visto prima.
"Le riserve di Quar per produrre l'Oricalco stanno finendo, Jakuus. La miniera di Ochidna era praticamente la sola rimasta a sputarne ancora. Non possiamo allargare il muro e tantomeno riadattare quello vecchio. Ci siamo arrivati. Dopo milleseicento anni, ci siamo arrivati. Non possiamo più nasconderci dietro il Grande Muro Azzurro. Se vogliamo scoprire i misteri del Mondo Esterno, dobbiamo uscire allo scoperto e armarci di coraggio" A Jakuus "Il Costruttore" non servì una spiegazione sul perché l'Oricalco, il materiale più duro e resistente mai scoperto, non potesse essere riutilizzato più volte.
"Era?"
"E' scoppiata un'epidemia di qualche tipo, abbiamo dovuto chiuderla fino a che i Ricercatori di Glaxor e gli Agenti del Culto non hanno svolto le loro indagini"
Rimasero entrambe in silenzio, a contemplare quella spirale di problemi che rischiava di inghiottire il loro mondo, mentre il disco ardente del sole calava sulle onde del oceano dove, lontano, veleggiava l'ammiraglia della flotta reale.
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Luthanan e Luthanye ormai avevano lasciato l'orizzonte. Le due lune, gli occhi della Giustizia, danzavano ogni notte tra loro, avvicinandosi quasi al punto di scontrarsi, incrociando il loro cammino. Da quando aveva lasciato la banchina di carenaggio, la Vicktoria aveva solcato i mari per tutto il giorno. Quel viaggio di presentazione era anche una prova in mare. Il tragitto prevedeva l'arrivo all'Isola rocciosa del Pellegrino, un ammasso di pietre in mezzo alle acque scure del Vakuumlig, e da lì, solo il viaggio di ritorno. All'alba avrebbero fatto di nuovo porto e, una volta caricata la stiva con tutto il necessario, sarebbe partita la prima spedizione vera e propria. Il nostromo raggiunse il capitano, intento a scrutare l'orizzonte meridionale in quella che era la sua prima notte in mare su quella meravigliosa nave, concentrato a fare tutto come andava fatto, senza sbavature, senza dare la possibilità a nessuno di dire che non se lo era meritato. La formazione ricevuta ai presidi del primo settore dai comandanti delle fortezze volanti era valsa loro una seconda possibilità, e questo rendeva i quaranta membri dell'equipaggio, per la maggior parte stupratori e assassini, un gruppo eterogeneo di personalità disturbate che espiavano le loro colpe facendo qualcosa di pericoloso, che quasi nessuno aveva mai fatto prima e che era quasi una seconda condanna a morte.
"Dalla coffa hanno segnalato una temporale in avvicinamento, niente di cui preoccuparsi comunque" riferì in tono pacato il nostromo.
"...Signore – aggiunse il capitano in tono severo – devi concludere le frasi con 'Signore' quando ti rivolgi a me. Molto bene, dovremmo raggiungere l'Isola prima del temporale. Questa bellezza va che è una meraviglia, possiamo anche permetterci di osare qualcosa in più. Issate tutte le vele, raccogliamo ogni briciola di vento, voglio essere a casa prima del canto del gallo" il secondo annuì. Inutile dire il motivo di tanta fretta. L'oceano aveva affondato vascelli e navi di qualsiasi tipo, quasi nessuna imbarcazione aveva mai fatto ritorno al Porto di Nuova Luce nella brevissima storia della navigazione del regno. Quasi un millennio prima si era quindi deciso che l'esplorazione del vasto oceano poteva e doveva attendere tempi più maturi. Anche tra quelle acque scure, a quanto sembrava, si aggiravano terrificanti creature proprie dell'oscurità.
A vele spiegate, la Vicktoria procedeva come un Mommol lanciato in campo aperto. Dopo poche ore, dalla coffa giunse finalmente la notizia tanto attesa. Erano in vista dell'Isola del Pellegrino, tappa obbligata per chiunque volesse affrontare il mare col favore degli Dei.
"Prepararsi alle manovre di virata, ai posti" ordinò fiducioso il comandante. La manovra, in realtà, era semplice e piuttosto breve. Avrebbero dovuto rallentare, mettere le vele a riposo e girare attorno a quell'ammasso di rocce, per poi riprendere la strada per Nove Troni. Il temporale sopraggiunse lentamente, annunciandosi dapprima con coi bagliori del lampo e brontolii sommessi del tuono e poi, mentre si avvicinavano alle rocce, con le prime gocce che presero a ticchettare sul ponte. Il mare cominciò ad agitarsi, e il capitano della Vicktoria decise di tenersi a largo dagli scogli, procedere con cautela e ammainare le vele. Non c'era vento, solo lo sciabordio disordinato delle onde sullo scafo, sembrava in tutto e per tutto uno spiacevole contrattempo che un'ammiraglia come la Vicktoria poteva tranquillamente affrontare. Stava per ordinare di tirare fuori i remi e cominciare a girare attorno all'ammasso di rocce, quando, come un leggero soffio di vento, un bisbiglio simile a una voce umana, raggiunse l'orecchio degli uomini. Il Capitano Jon Wilkins si allontanò dal timone, dirigendosi a dritta, verso le rocce del Pellegrino, ora a poche decine di metri dallo scafo. Non era il solo ad averlo avvertito.
Nessuno parlava, mentre gli ultimi raggi della Luna dalle sfumature dell'acciaio, illuminavano quel piccolo ammasso di rocce grigia, resa quasi brillante da quell'affascinante danza di luce e ombra.
Anche il resto della ciurma lo aveva percepito. Gli uomini smisero di occuparsi delle loro mansioni, e tutti, da qualunque parte della nave, volsero lo sguardo all'Isola del Pellegrino, in un momento di angustiato silenzio. Qualcosa o qualcuno attirava la loro attenzione, mormorando bisbigli nel vento. Rimasero impietriti, a osservare, incapaci di fare qualsiasi altra cosa, mentre la loro volontà veniva inesorabilmente inibita. Il primo a muoversi fu la vedetta sulla coffa. Scese meccanicamente dalla sua postazione, dirigendosi poi verso la murata di dritta. Si issò in piedi sul parapetto, e si lasciò cadere in mare. Nessuno badò a lui, nessuno tentò di fermarlo.
Uno a uno, tutti i membri della Vicktoria abbandonarono ciò che avevano per le mani e, una volta raggiunto il bordo del ponte, si lasciarono cadere fra i marosi. Per ultimo, anche il capitano, con lo stesso sguardo serio e sereno del resto della ciurma, lasciò la sua nave e si tuffò verso morte certa.
La Vicktoria, quella notte, continuò ad andare silenziosa sul mare agitato, senza più nessuno a bordo.
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