3.
Fattoria dei Gert, Pr. Di Legno, 2 Aprile 1609 NL
Dominique vide il convoglio da diversi chilometri di distanza. Nella campagna del Principato di Legno, fuori Oldwood, dove la vita sembrava scorrere più pigramente, al ritmo lento della terra e dei suoi frutti, senza la frenesia della città che avvelena i cuore delle persone.
In quel momento, Dom si trovava sotto il porticato di casa sua, seduto su una delle poltrone in pelle, gobbo sull'ingombrante cesto in vimini che usava per raccogliere le noci dagli alberi dietro casa, intento a ripararlo alla meglio. Non aveva paura a sporcarsi le mani, passava le sue giornate immergendole nella terra o facendosi venire i calli con tutti quei piccoli lavori che una fattoria richiedeva costantemente. Era un lavoro che esigeva una certa perizia, e una maestria tale che, solitamente, faceva si che questo tipo di lavori venissero lasciati alle esperte mani dei Nani.
Dom, di tanto in tanto, con noncuranza, dava un'occhiata alla carovana che si avvicinava, ancora lontana, mentre punzecchiava il palato con lo stuzzicadente che usava dopo aver mangiato pollo alla brace. Cinque cavalieri con le vesti grigie e nere del Culto in formazione, imbalsamati nelle loro tuniche strette, quattro cavaliere a quadrato e una carrozza di rappresentanza al centro. Scosse la testa, infastidito. Già si immaginava cosa potevano volere da lui le vesti nere dell'Alto Inquisitore. Aveva deciso da tempo di abbandonare quella vita. Troppo sangue, troppo orrore. Ficcare il naso nella follia delle persone era un passatempo che non poteva che avvelenarti la vita, corrompere quel barlume di speranza che una persona poteva avere nell'umanità. La vita era troppo breve per passarla a trovare i responsabili di orrori inenarrabili, una corsa a inseguire la follia che, alla fine, chiedeva il conto, e quel conto lo aveva già pagato, col fallimento del suo matrimonio, con l'annientamento della sua volontà di dare un senso a quello che faceva. Se una persona voleva vivere nell'orrore, bastava arruolarsi come volontario negli Esterni.
Tuttavia, sembrava che Ser Derban Mallister, l'Alto Inquisitore, avesse tutta l'intenzione di fregarsene delle sue scelte di vita.
La carrozza arrestò il suo incedere fuori dalle stalle, quasi sulla porta di casa di Dominique. Dom si alzò lentamente, infilandosi una mano in tasca a tormentare i piccoli cacciaviti di precisione che si era costruito da solo, mentre con l'altra continuava a tormentare lo stuzzica dente. Quando la vide scendere dalla carrozza il suo umore mutò, diventando inevitabilmente più cupo.
Mentre gli iniziati del Culto si occupavano dei cavalli, la donna, dopo aver messo in ordine le vesti, lo raggiunse con passo deciso. Si conoscevano da molto, si vedevano molto di rado. Le labbra sottili si appiattivano in un sorriso tirato, uno di quelli che vorresti fossero più solari, ma le circostanze te lo impediscono.
"Dom" lo salutò lei. Quelle increspature curve ai lati della bocca, le sue sopracciglia fine, ondulate, nere come i lunghi capelli.
"Helen. La solita entrata sobria e discreta" La donna fece un lieve inchino.
"Possiamo parlare?" Dom squadrò per qualche istante quel fisico asciutto e flessuoso. Il tempo sembrava non passare per lei.
"Mallister non ha ricevuto la mia lettera di dimissioni?" Helen sorrise.
"Si, l'ha letta qualche anno fa credo, prima di farci una pallina e gettarla nel fuoco. Che ne dici se saltiamo la parte dove cerchi di oppormi un rifiuto e andiamo al sodo" Dom sapeva che non c'erano altre alternative, la conosceva troppo bene per sperare fosse così facile. La invito a sedersi su una delle comode poltrone sotto il porticato prima di entrare in casa. Aveva un fare elegante, quel tipo di movenze in cui di solito venivano istruiti i rampolli dell'alta società, ma che lei riusciva a rendere semplici e naturali. Dei come le scivolava bene la brezza del tramonto tra i capelli.
Dom tornò con due coppe di sidro.
"I tuoi uomini hanno bisogno di qualcosa?"
"No, ti ringrazio, non ci fermeremo molto. Sai perché sono venuta fin qui" nessuno dei due era amante dei convenevoli, per questo avevano formato una grande squadra, in passato.
"E' così grave?" Helen annuì, estraendo da una delle tasche della tunica rossa un cilindro di ottone con diverse ghiere numerate che facevano il giro di tutto il tubo. Uno scrigno a combinazione. Doveva essere qualcosa di dannatamente serio.
"La combinazione è il giorno in cui lo abbiamo fatto la prima volta" sorrise lei con malizia, coprendo le labbra arricciate con l'ottone della coppa, mantenendo uno sguardo di sfida incollato su di lui. Una donna così, pensava Dom, la si trova una volta nella vita, e solo se si è veramente fortunati, o incredibilmente sfortunati. Dom stava già per inserire il codice, ma la mano di lei si poggiò sulle sue. Delicata, gentile Helen.
"Non c'è fretta" gli sussurrò prima di alzarsi ed entrare in casa. Dom la seguì con lo sguardo.
I suoi fianchi, il suo seno piccolo appena visibile sotto la tunica, quella pelle nivea, leggermente sporcata sotto gli occhi da qualche lentiggine, lo mandava in estasi. Diede una breve occhiata agli uomini del Culto. Se ne stavano tranquilli alle stalle, impegnati a dar da mangiare ai cavalli e ad ignorare in quali attività fosse impegnata la Castigatrice.
La mattina seguente, dopo un'abbondante colazione a letto, la accompagnò fino alla fine del portico.
"Riguardo all'incarico – disse Helen sistemandosi i capelli e riassumendo un tono autoritario – Ho richiesto la tua presenza perché sei il migliore in quello che fai, oltre al fatto che sei rimasto il solo a sapere come farmi venire un orgasmo. Tuttavia, sento di doverti avvisare. Non è un bello spettacolo, e l'indagine potrebbe richiedere molto tempo. Pensaci bene prima di accettare, lo sai come la pensa quel coglione di Mallister su quelli che non tengono fede a un contratto" Dom si limitò ad annuire, quasi impercettibilmente, mentre lei si era già avviata verso il resto del convoglio.
A sera, dopo aver terminato le sue attività quotidiane alla fattoria, si sedette su una delle poltrone, quella che dava a Sud Ovest, dove le montagne di Alte Terre non sovrastano la linea dell'orizzonte con le loro impervie vette, e le pianure del Principato offrivano un'ampia vista sullo scorcio del Mondo Esterno più bello di tutto il regno, a sua detta.
Inserì la sequenza e il tappo dello scrigno si aprì rotolando a terra. All'interno c'era una pergamena involta e chiusa con la cera lacca, su cui era affisso il simbolo del Re, il sole con la sagoma di Egwel al centro. Rimase per qualche istante a riflettere su quello che stava facendo. Rompere quel sigillo era una strada a senso unico per accettare l'incarico e sporcarsi di nuovo le mani con quella vita che lo aveva nauseato. Si chiese, per un singolo istante, quanto tempo ancora avrebbe passato a mentire a se stesso, a convincersi che quella vita passata a mungere vacche, dissodare terreni e piantare grano, era la sua vita.
Rimase così per quasi un'ora, a fissare quel bellissimo tramonto screziato di colori caldi.
Il giorno seguente, con la pergamena ancora arrotolata dentro il cilindro e buttata da qualche parte nel disordine della sua vita, partì per Oldwood, come aveva già programmato di fare.
La capitale del Principato di Legno era un prospero villaggio dove il Nano e Principe di Legno, Jakuus Il Costruttore, aveva trasformato la vita dei suoi abitanti e, di conseguenza, dei suoi sudditi. Il Principato di Legno, il granaio del regno, dove veniva prodotta la maggior parte delle derrate alimentari, per secoli era stata una landa solitaria di contadini e allevatori, il nucleo da cui era ripartita la ricostruzione dopo il Grande Buio. Jakuus aveva costruito strade, ponti, bonificato paludi. Il tutto con l'aiuto dei Ricercatori di Glaxor e il loro incessante studio della Magia Nuova, la protezione dei Mori del primo Settore, rispettando le tradizioni e le usanze delle varie genti, come i Barbari del Sud. Uno dei Principi di Legno più amati di tutta la storia di Nuova Luce.
Dom entrò in città attraverso la porta Est, assieme a carri che trasportavano carne, frutta, pelli e tutta la varietà di sementi delle migliaia di ettari quadrati di campi del Principato. Oltre le ampie stalle all'ingresso si sviluppava un intricato labirinto di stradine e vicoli di terra battuta, impregnate dell'acre odore di fango e di sterco che producevano i carri, nelle quali c'era un mercato perenne e perennemente abbozzato, senza una vera e propria idea di fondo che ne regolasse la fisionomia. E, stranamente, era stato proprio il metodico e preciso Jakuus a volerlo preservare tale. L'ordine, parole sue, non era altro che una coordinata e mutevole gestione del caos.
Dom aveva portato con se un sacco pieno di erbe officinali del suo giardino personale, alcune uniche e prelibate, da scambiare con sementi primaverili e attrezzi che gli servivano per l'allevamento. Lasciò il cavallo alle stalle, e raggiunse l'unica persona di cui si fidava, l'unico mercante di quel caotico incrocio di umanità con cui riusciva ad avere un dialogo che avesse il minimo valore. Helior gli riferì che Jakuus stava al ponte di Berenburg, una delle più imponenti e avanzate strutture mai realizzate nel Principato, e che avrebbe permesso di risparmiare diversi giorni di viaggio per mercanti e battitori.
"Dominique, che bella sorpresa. Sei venuto a darci una mano?" lo accolse il Principe di Legno. L'uomo ammiccò e fece una smorfia eloquente. Il ponte era un'immensa struttura di travi d'acciaio e bulloni cromati, argani e motori a vapore che muovevano le varie parti di ferro che andavano giustapposte e saldate assieme. Una nutrita schiera di decine di operai, neri di fuliggine e olio da testa a piedi si prodigava nell'incessante opera di costruzione.
"Avrei bisogno di parlarti in privato, se ti è possibile" Jakuus se ne stava in piedi su una pila di assi di legno, i pugni sui fianchi, il fiatone, e il viso sporco di grasso.
"Aspettami al campo, mi do una sciacquata e arrivo"
Il campo si trovava appena fuori il cantiere, dove Jakuus aveva ordinato fossero montate una serie di tende che fungevano da villaggio temporaneo, dove addetti cucinavano per gli operai e li rifornivano di qualsiasi bene necessario. Jakuus aveva costruito una cittadina temporanea per dare vita a quel lavoro. Seduto alla mensa, Dom attese a lungo l'arrivo del Principe. Quel posto era l'ultima rappresentazione di cosa Nuova Luce avrebbe dovuto essere, l'ultimo focolare dell'umanità che lottava per non estinguersi nel Grande Buio. Lì, attorno alle assi di legno e alle imponenti travi di ferro e acciaio, c'erano operai dei Principati di Ferro e di Ottone, Nativi, Barbari e Nani che sudavano, lavoravano e faticavano fianco a fianco, giorno dopo giorno. Per rendere il mondo un posto migliore. Perché la luce della speranza non si spegnesse nel Grane Buio del destino.
Jakuus giunse di corsa, col suo solito sorriso genuino, lo sguardo vispo, e due boccali di ferro traboccanti di birra.
"Hai fame? Mangiamo qualcosa" esordì sedendosi sulla panca accanto al suo ospite e agitando le dita verso le cucine per ordinare da mangiare. Si conoscevano ormai da molto tempo e tra loro c'era sempre stato un profondo rispetto, nato soprattutto dal fatto che stavano entrambe dalla stessa parte della barricata, e il Nano sapeva che Dom non era uno da convenevoli.
"Ho saputo che hai parlato con Helen – esordì Dom pulendosi i baffi neri dalla schiuma. Il Principe annuì – Lei e i suoi hanno fatto visita anche a me. Sai di che si tratta?" Una ragazza bionda, una Nativa giovane e bella, giunse portando del cibo.
"Jane, puoi farmi un favore, se non ti dispiace? Nella mia tenda c'è della grappa al ginepro, me la porteresti? Grazie – disse Jakuus congedando la ragazza – abbiamo bisogno di qualcosa di più forte" Dom aggrottò la fronte.
"Ti ascolto"
Il Nano perse il suo sorriso gioviale, al posto del quale ora si scuriva un'espressione angosciata.
"E' sempre la stessa storia, Dominique. Una cosa orribile. A quanto ho capito, sono morte delle persone, tante persone, una di quelle cose di cui ti occupavi tu – rimase a fissarlo per diversi secondi – Non hai ancora aperto la lettera, vero?" Dom scosse la testa.
"Ho lasciato quella vita, lo sai, e sai anche perchè. E come mai Helen non è venuta direttamente da me?" Arrivò la grappa e Jakuus ne verso subito due bicchieri.
"Alcune delle vittime erano di Oldwood, Helen voleva dirmelo nel caso ci fosse qualche familiare da avvisare. Dom, posso essere onesto?" Dom annuì, con la stessa espressione indecifrabile di sempre.
"Come contadino fai schifo. Sul serio. Questo non è il tuo posto. Non mi fraintendere – si affrettò a precisare – qui sei sempre il benvenuto e la vecchia fattoria dei Gert è tua e lo sarà finchè vorrai. Dico solo, che questa non è la tua vita, la campagna non è il tuo posto" Dom sorseggiò la grappa in silenzio, posando lo sguardo sul ponte in costruzione, sul silenzioso lavoro di quelle persone semplici che facevano qualcosa di meraviglioso. Creavano. Col sudore della loro fronte e la fatica e i sacrifici, stavano costruendo qualcosa, qualcosa che avrebbe avuto uno scopo, un'utilità per tutti, una storia da raccontare quando, tra qualche secolo, sarebbe stato distrutto o ricostruito da qualcun altro.
Jakuus si rese conto di quali pensieri attraversassero la mente di Dom. Quando gli aveva venduto la proprietà della fattoria dei Gert ne avevano parlato a lungo.
"So a cosa pensi – continuò Jakuus – purtroppo per te, però, quello che facevi e quello che facciamo qui sono la stessa cosa. Creare ordine e combattere il disordine sono due facce della stessa medaglia, e tu, da quello che mi ha raccontato Helen, sei molto ferrato nella seconda"
"Mi stai consigliando di accettare?" Jakuus scosse la testa, indeciso.
"Figliolo, considerando quello che mi ha raccontato la Castigatrice e quello che mi hai detto tu sul perché hai mollato il mestiere di Agente del Culto, non saprei davvero cosa consigliarti, francamente. Quello che è successo lì è terribile, e chi perde una persona in quel modo non può trovare nessuna consolazione, ne nelle parole ne nella vendetta. A malapena possono dargliela gli Dei, Grande Buio. Credo, però, che se fossi uno dei parenti delle vittime mi sentirei più sereno sapendo che ci sei tu a guidare le indagini" Dom guardava lontano, e Jakuus non era bravo a lasciar stare una persona in difficoltà.
"Quando sono venuto qui sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, eppure ero sicuro di come avrei reagito. Ero certo della mia scelta, ero certo che rovinarsi la vita come Agente non ne valesse la pena" aggiunse Dom assottigliando lo sguardo sui suoi dubbi.
"Evidentemente sei ancora troppo giovane per rendertene conto, ma combattere per ciò che è giusto è sempre una battaglia persa. E non perché non ne valga la pena, ma per il semplice fatto che richiede una vita intera di sforzi, e spesso senza nessuna ricompensa se non la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta" Dom apprezzava i consigli del Nano, per questo ora rimaneva in silenzio.
"Guarda quel ponte – continuò allungando il dito nodoso verso il cantiere – Quel ponte non è niente, non verrà esaltato come la magnificenza della fortezza di Egwel, ne verrà temuto come Torre Alta. E' soltanto un ponte. Eppure, ho voluto costruirlo per semplificare la vita della mia gente, per dar il mio contributo con qualcosa di piccolo che può servire a costruire qualcosa di grande. Tuttavia, per recuperare la mano d'opera e i materiali, ho dovuto chiedere i fondi ai Valadour, alla Banca di Aurynn. Prima o poi potrebbero richiedere un pedaggio, e quel ponte diverrebbe una fonte di spesa in più per i miei cittadini. Più soldi, più tasse, e via così, e quando si parla di soldi i Valadour non conoscono coscienza. Come vedi, anche con le migliori intenzioni si può comunque perdere di vista l'obiettivo principale. Rendere migliore la vita degli altri"
Poi si alzò, quando percepì del trambusto al cantiere, sistemandosi i pantaloni alla buona.
"Se decidi di accettare il lavoro manderò qualcuno di fidato alla fattoria. Si terrà una parte dei guadagni ma la tua proprietà e la tua rendita sarà al sicuro. E magari produrrà qualcosa di commestibile" concluse col suo solito sorriso, prima di congedarsi e tornare al lavoro.
Dom, nei giorni seguenti, ci pensò in continuazione, quello che faceva prima di giungere a Oldwood serviva proprio a quello, rendere migliore la vita delle persone, togliendo dalla circolazione criminali e farabutti che meritavano la forca.
E ricominciò ad avere degli incubi. Sempre lo stesso incubo, a essere onesti. Sprofondava in un pozzo, cadeva nel buio mentre degli arti ricoperti di piaghe e ferite purulente cercavano di afferrarlo, gridando, piangendo, implorando il suo aiuto, imbrattandolo di sangue da testa a piedi. Ogni volta si svegliava di soprassalto, ogni volta sudato e ansimante.
Una sera, rincasando dopo l'ennesima dura giornata di lavoro, dopo aver congedato il giovane Vince, il suo aiutante, si lavò e si preparò a mettere qualcosa sotto i denti, quando, urtando il tavolino del salotto, il cilindro d'ottone cadde a terra, rotolando per diversi metri sul pavimento di legno. Dom lo fissò per interminabili istanti. Era ancora lì, come lo aveva lasciato.
Andò in cucina per mettere qualcosa nello stomaco e riflettere.
Quando finalmente si decise a raccogliere il tubo da terra era calata la sera. Un cielo terso, coperto da un manto di stelle, e le due lune gemelle, alte e brillanti in cielo, con il pianeta rosso appena visibile sullo sfondo. Una perfetta e serena serata di inizio Primavera.
Perché mai avrebbe dovuto rinunciare a tutto questo? Alla pace, alla serenità.
Ne aveva abbastanza del sangue e dell'orrore, di scavare nella mente di gente malata.
'sei il migliore in quello che fai'
Dom scosse la testa. Alla mente riemersero i ricordi di quanto miserabile fosse la sua vita dopo anni passati a indagare su quegli eventi terribili. Tutti casi risolti, tutti i colpevoli rinchiusi dietro le sbarre o condannati a morte. Aveva mollato perché voleva vivere nella pace della campagna, voleva creare qualcosa, e farla finita con la morte.
'se fossi uno dei parenti delle vittime mi sentirei più sicuro sapendo che ci sei tu a guidare le indagini'
Si rigirò la pergamena tra le dita ancora un paio di volte. E se avessero davvero bisogno di lui?
Ruppe il sigillo quasi d'istinto. Srotolò la pergamena e cercò di controllare il tremore alle mani.
Il giorno seguente si imbarcò sulla fortezza volante che partiva da Oldwood e rimase in silenzio per tutto il viaggio, perso nei suoi pensieri per ore, assieme a studenti delle Accademie, Ricercatori della Magia Nuova del Principato di Vetro e altri viaggiatori saltuari, fino a che, giunto a Brassar, dopo una lunga notte di riposo, non si dovette scontrare col suo passato. Ad aspettarlo, alla sede dei Castigatori, c'era Helen.
"Ho paura che la tua vecchia divisa ti stia un po' stretta" lo accolse col suo irresistibile sorriso affilato. Dom la raggiunse cercando di non cedere alle sue stoccate.
"Niente divisa. Non sono qui per prestare nuovamente giuramento. Voglio aiutare, alle mie condizioni" Helen annuì, incuriosita.
"Mallister è impegnato altrove, quindi decido io. Posso concederti di aiutarci come consulente esterno, ma se le indagini proseguiranno dovrai ufficializzare la tua posizione"
"Bene, se non ti dispiace gradirei cominciare questa cosa il prima possibile"
La sede dei Castigatori a Brassar era un palazzo di tre piani, nella periferia Nord, dove sorgeva il tribunale e altri edifici istituzionali, un ampio quartiere al di fuori dell'imponente rete di canali navigabili che ospitava la quasi totalità degli altri edifici. Helen ragguagliò Dominique per strada, mentre raggiungevano in carrozza il luogo del crimine.
"Una settimana fa abbiamo ricevuto una chiamata da un piccolo villaggio a Nord di Aurynn, uno di quelli che rifornisce i presidi del Terzo Settore del Muro. La chiamata di soccorso veniva da una guida di montagna che ha fatto tappa lì per andare verso la zona delle miniere a Est di Brassar"
"Non dagli abitanti?" Helen non rispose, si limitò a scuotere la testa.
"Vittime?" chiese Dom, ormai immerso nella contemplazione delle carte che Helen gli aveva passato, nelle quali era riportata la dichiarazione dell'unico testimone e il verbale del primo sopralluogo. Nella lettera d'incarico non c'era scritto niente di quello che leggeva ora.
"Stiamo ancora tentando di determinarne il numero"
Dominique smise di analizzare le prove e la squadrò con sguardo enigmatico. Helen aveva lo sguardo perso nelle campagne di Brassar, immerse in una lieve foschia che andava addensandosi di ora in ora, avvolgendo lentamente le forme scheletriche degli alberi spogli della brughiera.
"Com'è la vita in campagna?" lo chiese come se fosse una curiosità fine a se stessa, col mal celato intento di non voler più parlare di lavoro. Dom arrotolò le pergamene e si ravviò i corti capelli castani.
"Ha un buon sapore" Helen chiuse gli occhi e allargò un sorriso. Le piaceva quel suo modo di leggere la realtà, quella nota malinconica e amara con cui interpretava la vita. Si era messa il rossetto, quello rosso brillante, con una debole sfumatura indaco che appariva solo come un lieve riflesso.
"Ne è valsa la pena?"
"Non è mai stata una pena" rispose Dominique con un'alzata di spalle. Helen riaprì gli occhi e roteò lo sguardo su di lui. Lentamente, si alzò in piedi e si tirò su la stretta gonna rossa, per allargare le gambe e potersi sedere sulle sue. Prese il suo volto tra le dita lunghe e affusolate.
"Quante puttane ti sei scopato in quel letamaio di Oldwood?" Dom stava per cedere, e, anche se non sapeva bene per quale motivo aveva provato per anni a resistere alla tentazione del suo corpo, provò un ultima volta.
"E se i tuoi uomini ti beccassero? Hai preso i voti di fronte al Gran Maestro, Helen, rischi la testa per una cosa del genere" Helen, di tutta risposta, lo baciò con un'intensità tale che, per qualche interminabile secondo, Dom non riuscì più a pensare.
"Fanculo i voti, fanculo il Culto, i Tre e il Gran Maestro" sussurrò lei sfilandosi le spalline. Prese le mani di lui e le poggiò sul seno nudo. Dom, ormai vinto dalla passione, non si perse in ulteriori chiacchiere.
Il viaggio durò tutto il giorno e la notte che seguì. All'alba giunsero all'avamposto creato dai Castigatori per tenere sotto controllo la situazione. Dom scoprì subito di aver fatto la cosa giusta. Non lo diede a vedere, rimanendo quella maschera dura e impassibile che ormai era la sua sola espressione, senza cedere alla tentazione di distendere i nervi e accettare che quello era il suo posto. Si ritrovò inquietantemente a suo agio in mezzo alle tuniche nere del Culto, alle tuniche rosse dei Castigatori, alle Guardie d'Oricalco, la squadra di Ricercatori della Nuova Magia con i loro bizzarri strumenti. Nonostante avesse mollato quelle vita da tempo ormai, riconobbe l'odore delle tende da campo, l'andare e venire delle cavalcature, l'inquietante assenza di quei rumori che rendevano un villaggio tale. A rendere ancora più angosciante il tutto, una copertura di nuvole uniforme che si estendeva da Nord a Sud senza soluzione di continuità pesava su di loro dalle prime luci dell'alba, come se dall'alto i Tre volessero nascondere quello scempio.
Il villaggio si sviluppava in una sola ampia strada di terra, ai lati della quale erano state costruite botteghe, abitazioni, una locanda e una scuola. In tutto, quel villaggio ospitava un centinaio di abitanti, allevatori e contadini delle campagne compresi. All'estremo della strada dov'erano arrivati c'erano le stalle, attorno alle quali avevano allestito il campo base. All'estremo opposto, invece, sorgeva una modesta chiesa a singola navata. L'edificio in pietra non rivaleggiava con le cattedrali delle sette capitali dei Principati maggiori, eppure, con i suoi colori cupi, torreggiava sugli altri edifici, incombente e lugubre come lo erano quasi tutti i luoghi di culto.
Tuttavia appena sceso dalla carrozza, dovette confrontarsi subito con la più sgradevole di quelle sensazioni che lo avevano convinto a darci un taglio con quella vita. Ormai, tra gli Agenti del Culto, Dominique si era fatto un nome, ed era talmente famoso e conosciuto, che il suo arrivo era atteso come quello di un nobile o di un personaggio famoso, come un attore di teatro, uno scrittore o un valoroso guerriero del Muro. Soprattutto in questa occasione, sentiva gli occhi di tutti che lo osservavano, lo squadravano per carpire parte di quel segreto che lo aveva trasformato in una leggenda vivente.
Helen si affiancò a lui pochi istanti più tardi, col suo solito portamento regale, reso ancora più dignitoso dal tono serio da Castigatore che aveva assunto una volta scesa dalla carrozza nera.
Giunti alle porte della chiesa, incontrarono Jesper, e Dom dimostrò da subito di non esserne affatto felice.
"Il leggendario Agente Durbant. Dovevo vederlo con i miei occhi" ironizzò l'uomo. Jesper era l'incaricato della Corona a sovraintendere alle indagini, il più fastidioso e tedioso tirapiedi di Mallister, con quei suoi occhi grandi di un azzurro slavato, le sopracciglia e i capelli chiari di un biondo spento e indefinito.
"Jesper. E' sempre un dubbio piacere vederti" Jesper rise sonoramente.
"Il sentimento è reciproco – rispose questo rivolgendo, poi, l'attenzione su Helen – Non oso immaginare cosa ti abbia convinto ad abbandonare la tua vita di campagna, così piena e soddisfacente" Dominique, nemmeno in quel caso, aveva modificato espressione, o allungato un sorriso o un broncio.
"Ho sentito che c'era bisogno di qualcuno di competente per questo caso, considerando il personale mandato dalla Corona" Jesper rise di nuovo, questa volta con meno gusto. Poi, dopo essersi tolto di mezzo, invitò i due a proseguire.
"Non ti trattengo oltre. Ah, Durbant. Visto che sarai un po' fuori forma, un avvertimento, non vomitare sul pavimento della chiesa, se ci riesci. A Luthanan non è gradito" concluse con un ghigno di sfida prima di accodarsi.
Dominique non gli diede retta e procedette per entrare in chiesa. Il portone d'ingresso era socchiuso e, all'interno, l'oscurità era fredda e impenetrabile. Quando socchiuse l'uscio e fece un passo all'interno, dovette fermarsi, immediatamente. Il suo passato era tornato, lo travolse in pochissimi istanti e ogni sua certezza venne meno.
"Non potevo affidarmi a nessun altro, Dom – sussurrò Helen quasi a giustificarsi – Capisci perché?"
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top