2.
Pianure di Brassar, Pr. Di Ottone, 28 Marzo 1609 NL
La struttura dominava il fianco delle colline di vigneti a Nord di Brassar. Il complesso termale si estendeva in numerosi edifici, collegati tra loro da ampi e ventilati corridoi, coperti da vetrate finemente ornate e tralci di edere e fiori a decorare gli spazi dove i ricchi e i nobili potevano rilassarsi. Il sole colpiva le vetrate da Ovest, una sfera arancione dai bordi tremolanti che si stagliava sull'orizzonte basso delle pianure del Principato d'Ottone, sulle sue terre ricche di risorse e di paesaggi da contemplare.
Dopo il deplorevole incidente alla Festa dei Fiori, Seymor Wigg, un Nativo, Capitano della Guardia d'Oro, aveva aumentato la scorta attorno alla Lady di Ghiaccio, e ora cavalcava alla testa di un convoglio di tre carrozze. In quella centrale, la più imponente e maestosa, sedeva sola la Principessa Josephine, intenta a tenere le tendine scostate, a guardare all'esterno il mondo, come piaceva fare a lei, mentre il convoglio risaliva le ampie mulattiere immerse nel verde, sollevando un'imponente nuvola di fumo che annunciò con largo anticipo il loro arrivo. La modesta guarnigione che difendeva il perimetro del complesso privato, solitamente, sparava a vista su chi osava avvicinarsi senza invito. Tranne se gli ospiti inattesi vestivano armature dorate, venivano da Aurynn, e i loro vessilli con l'elmo d'oro annunciavano al vento il loro nome.
L'entrata delle quattro guardie con la cappa e l'armatura dorata rifinita d'argento spezzò la monotonia della quiete in cui gli ospiti erano immersi. Avvolto dal rumore dei tacchi degli stivali dei soldati e dello sferragliare delle armature, risuonava quello del passo deciso della Lady di Ghiaccio.
Josephine procedeva col suo solito rigore al centro della formazione, impettita nel suo bustino di raso color avorio, con le vesti che ondeggiavano rigide al suo incedere. Le sue personali guardie del corpo procedevano senza esitazioni tra gli ospiti del complesso termale, i quali, alla vista dei loro sguardi arcigni, facevano due passi indietro e cambiavano aria. A Josephine non interessava nulla di loro. Era certa che la maggior parte di quelli che incrociava la conoscessero e, se la conoscevano bene, sapevano anche che dovevano stare al loro posto. Anche tra i ricchi c'erano i ricchi.
Superata l'entrata e la zona delle sorgenti termali, i cinque si infilarono tra i mosaici delle piscine interne, spazi privati dove chi se lo poteva permettere organizzava qualsiasi tipo di festino, senza che i padroni facessero troppe domande o si curassero troppo di proteggere la comune decenza.
Nel pieno pomeriggio di quei primi giorni di Primavera, il sole che tramontava regalava un'esplosione di colori caldi i quali, rifrangendosi sulle vetrate dell'ampia piscina rendeva l'atmosfera calda e confortevole, ideale per passare il tempo a dimenticarsi del resto del mondo, bevendo assenzio e sniffando estratti di fiori di Loto. Josephine fece il suo ingresso aspettandosi di vedere sua figlia, ma lo spettacolo che si trovò di fronte le fece mancare il terreno sotto ai piedi.
Stesi sul bordo della piscina o sugli ampi materassi di piume a bordo vasca, c'erano una ventina di adulti tra donne e uomini, nudi e addormentati, circondati da coppe vuote e brocche di vino e di anice che per metà erano riversi a terra. Cesti di formaggio e frutta erano accatastati un po' ovunque. Josephine sentì una rabbia impulsiva annebbiarle la vista.
"Fateli uscire" sibilò al capo delle guardie.
I quattro soldati si prodigarono per svegliare tutti i presenti, senza badare troppo alle buone maniere, ordinando a tutti di lasciare lì i propri effetti e sparire il più velocemente possibile. Qualche testa calda, ancora confuso dalla nottata di eccessi, provò a protestare. Una delle guardie più grosse, con una lunga cicatrice che gli tagliava a metà l'occhio destro, sollevò uno di loro di peso e lo lanciò attraverso la vetrata. Quando questa andò in mille pezzi, tutti si svegliarono di soprassalto e, vedendo i quattro soldati in armatura che li squadravano con sguardi truci, raccolsero in fretta le proprie cose e sparirono dalla porta d'ingresso. Le guardie accompagnarono tutti fuori, uscendo in silenzio e chiudendosi la porta alle spalle.
Una volta rimaste sole, Lady Josephine prese un profondo respiro, tenendo gli occhi chiusi e lasciando che la rabbia si prendesse il suo spazio in quei brevissimi istanti. Poi riaprì gli occhi, con lo stesso sguardo severo e penetrante che aveva sempre. Si mise in ordine la giacca nera e il vestito verde petrolio, si diede una riavviata ai candidi capelli e, solo dopo tutte queste operazioni, quando la sicurezza del controllo l'aveva rasserenata, si avviò lentamente per raggiungere Adrianne.
Dalla parte opposta della piscina, sua figlia era ancora stesa sul suo materasso, raggomitolata sotto un asciugamano in posizione fetale. Aveva assistito alla solita entrata teatrale della madre, che, ormai, non la impressionava più. Anche in quel momento, percependo la sua presenza a qualche metro di distanza, continuò a far finta di dormire.
"Sei venuta a reclamare la tua autorità?" esordì Adrianne quando fu sicura che la madre fosse abbastanza vicina da poterla sentire.
Josephine ebbe un fremito. Distolse lo sguardo. Reggere la visione della sua eredità che veniva sperperata così le dava il voltastomaco.
"C'è stato il Consiglio di Primavera durante la Festa dei Fiori a Brassar, lo scorso fine settimana. E' un evento importante"
"Ho sentito che ci sono stati un po' di problemi, spero che Alis stia bene" Josephine si avvicinò alla vetrata in frantumi, piegandosi sulle ginocchia per raccogliere un pezzo di vetro. Guardò il suo riflesso, cercando per l'ennesima volta di capire cosa avesse di sbagliato quella stupida viziata di sua figlia. Fissava l'esterno, alle nubi di tempesta che si ammassavano ogni pomeriggio durante la stagione della rinascita, laggiù, dove il loro mondo finiva e cominciava il mistero del Mondo Esterno.
"Niente di irrisolvibile. Io sto bene comunque, grazie dell'interessamento" ironizzò la Lady di Ghiaccio. Non c'era nessun sorriso sulla labbra fini e tese. Adrianne, di tutta risposta, soffocò a malapena una risata.
"Se sei qui per accertartene allora no, non ero a Brassar, Madre. Ma immagino che lo sapessi già e che la cosa non ti abbia minimamente interessato"
"So che non eri presente, è il perché che ignoro. Hanno notato tutti la tua assenza, anche se io e tuo padre abbiamo spiegato che eri impegnata in un viaggio d'affari"
Adrianne, nel frattempo, si era rimessa la vestaglia di seta, un abito cucito a mano con motivi a fiori e ornamenti in filo d'oro.
"Oh, come siete stati premurosi. Se vuoi posso anche descriverti ora per ora cosa ho fatto, dove e con chi, ma a questo punto dovrei chiederti, ti interessa davvero? O è solo un modo per introdurre un'altra delle tue sviolinate sull'importanza del nome dei Valadour e tutte quelle sciocchezze che mi propini di solito?"
Josephine si voltò di scatto. Adrianne aveva la capacità di irritarla come nessuna persona al mondo riusciva a fare. Il collo teso e il mento alto per lo sforzo, la voce le uscì come uno spruzzo di veleno, l'ultimo avvertimento del serpente pronto a mordere.
"Sono quelle sciocchezze che ti danno la possibilità di spassartela con quei pezzenti dei tuoi amici in posti esclusivi come questo"
"Viva le sciocchezze, allora"
Josephine, in un gesto d'ira, diede uno schiaffo alla mano di Adrianne, facendo volare a terra la coppa d'argento e il suo contenuto. Il profumo floreale del vino si espanse attorno a loro, la chiazza rossa si allargò lentamente nell'acqua limpida della piscina, diluendosi pian piano mentre le due donne si affrontavano in silenzio. Josephine odiava perdere la pazienza, reagire d'istinto la irritava e questo, a sua volta, montava ancora di più la sua rabbia e così via, in una spirale che Adrianne era bravissima ad alimentare.
Adrianne allargò un mezzo sorriso. Non godeva particolarmente nell'irritare la madre, era il suo modo di fare che non sopportava, quel delirio di onnipotenza che guidava ogni sua azione e ogni sua parola, la scarsa considerazione che aveva di ogni altro essere umano al di fuori di se stessa.
"Tu e Bastian avete i vostri affari – sibilò il Cigno d'Oro – Io ho i miei. Ciò che faccio non ti deve interessare, esattamente come non ti interessa la mia opinione su nessun argomento di cui potremmo discutere. E' sempre funzionato così tra noi, vero? Tu mi lasci in pace e io non ti faccio fare brutta figura con i tuoi clienti. Potrai terrorizzare tutti con i tuoi modi da tiranno, ma con me non funziona. Dovresti averlo capito ormai"
Ora si trovavano faccia a faccia. Per l'ennesima volta, madre e figlia si affrontavano a viso aperto. Gli occhi grigi e screziati di un blu glaciale della Lady di Ghiaccio, inchiodati nelle iridi scure sfumate di nocciola del Cigno d'Oro.
"Non mi fai fare brutte figure? Guardati, hai l'aspetto di una puttana. Se tua sorella non si fosse rinchiusa ad Alte Terre a prendersi cura di quegli straccioni ti avrei lasciato alle cure di Lady Severa. Il fatto che ora sia tu la diretta discendente al Principato mi fa venire i brividi. Ma se pensi di sputtanare e distruggere l'impero che io e tuo padre abbiamo creato, ti sbagli di grosso sottospecie di sgualdrina succhia soldi" sibilò Josephine.
"E allora? Cos'hai intenzione di fare, Madre? Uccidermi?" ci fu un attimo di silenzio, di sospensione. Josephine si rese conto solo in quel momento di avere ancora la scheggia di vetro tra le dita. Presa dall'ira, non si era accorta di aver infilato la carne nei bordi frastagliati del cristallo.
Osservò per qualche istante il rivolo di sangue che gocciolava dalle unghie perfettamente agghindate, quella macchia scura che le imbrattava la pelle e scuriva le gemme sui suoi anelli. Gettò via il pezzo di vetro, mentre induriva i lineamenti e riprendeva il controllo.
"Ucciderti? – c'era disprezzo e delusione nella sua voce – Non hai imparato proprio nulla da me. Tutti adorano il Cigno d'Oro, la donna più bella dei Nove Principati, la ricca ereditiera che tutti vorrebbero montarsi come una giumenta – continuò allungando un mezzo ghigno e gesticolando in modo esageratamente teatrale – Mi fa fare più soldi il tuo bel faccino che tutti i commerci che gestisco. Sarebbe proprio una cosa stupida ucciderti. Tu sei una Valadour, non lo dimenticare mai"
"Allora, come puoi ben intuire, non hai nessun potere su di me, perciò, su cosa farai leva per costringere anche tua figlia a sottomettersi al tuo volere?"
Ma Josephine, a quelle parole, si sciolse in una composta risata.
"Ti sei sempre sopravvalutata" disse cercando di ridarsi un contegno.
Alla debole luce del crepuscolo, i suoi capelli bianchi e i suoi occhi chiari, risplendevano come fosse una creatura magica, una di quelle che si pensava vivessero al di fuori del Grande Muro Azzurro.
"Credi davvero che io non abbia alternative? E' questo il tuo più grande difetto, la scarsa lungimiranza. Piccola ingenua – Aveva ripreso la Lady di Ghiaccio accarezzandole i capelli mossi – Vivi nella confortante sicurezza della tua più grande forza, la tua bellezza, l'estasiante incanto che la tua presenza da a coloro che ti guardano. Ora, se il tuo ego te lo permette, guardami, osserva bene ogni mia ruga, ogni mia piccola e grande imperfezione, e ricorda, un giorno anche tu sarai così" sorrideva mentre lo diceva, un sorriso affilato come un pugnale.
"Il Cigno d'Oro appassirà, il suo radioso risplendere scemerà come una candela consumata dal tempo, e perderai tutto. Io lo so, perché ci sono passata. Io, forse, non ci sarò a godermi la scena, vero, ma ormai hai superato i quarant'anni, ormai cominci a sentirlo, lontano, quel lento ticchettare che ormai non puoi più ignorare. Cosa farai, allora, quando l'unica arma che possiedi non l'avrai più? Come ti ribellerai, quando non servirai più nemmeno a te stessa?" Adrianne ebbe un momento di esitazione, ma resse lo sguardo spaventoso di Josephine.
"Quando finalmente sarai morta, non dovrò più preoccuparmene. E potrò sperperare tutte le tue ricchezze e infangare il tuo nome, e vivrò il resto della mia vita con la consapevolezza che tu non ci potrai fare assolutamente nulla. E, almeno di questo, sarò felice, con tutte le mie grandi e piccole imperfezioni" detto questo, Adrianne raccolse il resto dei suoi vestiti da terra e si avviò verso l'uscita, lasciando la madre ai bordi della piscina, col sangue che colava da una mano e l'ira scintillante negli occhi.
"Ci vediamo tra un paio di giorni ad Aurynn Madre, fai buon viaggio"
Tenuta Valadour, Aurynn Pr. D'Oro, 1 Aprile 1609 NL
Poteva passare intere ore a farsi spazzolare i capelli. Le prime volte le sembrava una cosa innaturale, vedere il suo riflesso nello specchio, immobile, per ore, mentre un'altra persona si curava dei suoi lunghi capelli con una cura quasi maniacale. Si sentiva una bambola inerte nelle mani di qualcun altro. Tuttavia, Dyari, la sua nutrice, una Barbara educata nella casa dei Valadour fin da bambina, lo faceva lentamente, ci metteva una cura tale da sfiorare l'ossessione. Quando aveva finito, ogni capello scendeva dritto verso le spalle, risaltando l'intensità del colore castano chiaro, morbido e tenue come le sfumature del miele, facendo risaltare le solitarie ciocche argentate, brillanti come fili di perle.
Beatrix si guardava allo specchio con occhi nuovi, ora.
Seduta dritta e composta, come la nonna le aveva insegnato, contemplava con curiosità le forme dolci delle sue spalle, il collo fino e lungo, la pelle di perla sporcata nei punti giusti da piccoli nei. Nel tempo, contemplare la sua immagine allo specchio era diventato uno dei suoi passatempi preferiti, cullata dalle delicate mani di Dyari. Non per vanità, come le aveva insegnati Dyari, ma come esercizio, per essere sempre consapevole di chi era, qual'era il suo ruolo e l'importanza della sua famiglia.
"Dyari, pensi che potrei provare a truccarmi?" la donna sorrise. Quando sorrideva, gli occhi diventavano due fessure scure, e sull'esterno delle palpebre si increspavano un po' di rughe, rendendo il suo sorriso ancora più bello.
"Oh, cara. Le ragazze di sedici anni non si truccano, lo sai. Quando ne avrai compiuti ventuno ti insegnerò a truccarti come una vera signora, così sarai bella come la lady tua Madre. Anche se tu non ne hai bisogno, mia cara, sei già splendida così"
Beatrix sorrise e, in uno slancio di affetto che tenevano per loro, abbracciò al collo Dyari e le stampò un bacio sulla guancia.
Il ricevimento si tenne al tramonto del giorno seguente, nel giardino di Sud-Ovest del palazzo Valadour, nella capitale del Principato d'Oro, ad Aurynn. Adrianne Valadour era giunta prima della madre e della figlia Beatrix, accogliendo gli ospiti già presenti che si stavano servendo di tutto il cibo, il lusso e l'alcool della famiglia più ricca di Nuova Luce, sull'ampia terrazza con vista, attorno allo splendido chiostro fiorito. Adrianne decise di non cogliere le provocazioni della madre, come non aveva mai pensato di fare. Si limitò, invece, a fare ciò che sapeva fare meglio, farsi ammirare, tenere alto quel soprannome che per lei valeva più della corona d'Oricalco, presentandosi agli ospiti con un sorriso raggiante e mostrando al suo pubblico, soprattutto quello maschile, una ambigua ingenuità. Mentre alcuni eminenti professori delle Accademie di Brassar s'intrattenevano con lei per elogiare la sua eleganza, Adrianne vide finalmente Patrick, impegnato a rimbeccare un cameriera per la postura da contadina. Adorava torturare Patrick, fedelissimo tuttofare di sua madre, servo vessato della Lady di Ghiaccio. La cosa che le piaceva di più di quell'eccentrico uomo del Principato d'Ottone in uniforme nera con la camicia viola scuro, era il modo provocatorio e assolutamente inaccettabile che aveva nei suoi confronti, erede della fortuna Valadour e futura Principessa.
"Vedo che ti diverti anche oggi, Patrick" disse avvicinandosi a lui. L'uomo, pelle abbronzata e capelli scuri, di chiare origini Barbare, abbozzò un sorriso di scherno sul viso appuntito.
"Lady Adrianne, mi ero a malapena accorto della sua presenza. A onor del vero sono in fremente attesa che arrivi qualcuno di veramente importante da ricevere" le rispose sorridendo, rimanendo immobile all'entrata delle cucine, le mani dietro la schiena e un portamento degno di un leone che controlla il suo territorio di caccia. Anche Adrianne sorrise.
"Oh Dei, sei già così teso? Josephine deve averti stretto il collare di qualche buco dopo quello che è successo alla Festa dei Fiori, dico bene? Di solito ci scaldiamo un po' prima degli affondi" Patrick adorava quel lavoro, organizzare la vita di una personalità così importante nel minimo dettaglio era il motore che gli faceva scorrere il sangue nelle vene. Lavorava sodo e si prendeva delle soddisfazioni che nessuno dei cenciosi membri della sua famiglia di scalpellini e calzolai avrebbe mai nemmeno sognato.
Ma Adrianne, al solito, aveva colto nel segno. Il lato oscuro di quel lavoro era l'assoluta abnegazione che doveva mettere nel rapporto col suo unico superiore, come un cane legato a un paletto di fedeltà. Il motivo per cui Josephine l'aveva scelto come suo assistente personale, tuttavia, era la sua innata capacità di carpire le informazioni necessarie con cui fare pressioni su una persona, quel tipo di informazioni che ti permettevano, ad esempio, di poter lanciare frecciatine alla futura Principessa d'Oro. Pochi istanti dopo, infatti, fecero la loro entrata i Cavalieri della Luce, agghindati a festa, con la divisa da cerimonia di cuoio e finimenti d'argento, la cappa grigia e le innumerevoli spille apposte all'altezza del cuore e sulle spalline, che li distinguevano secondo il rango e l'onore. Per ultimo, con la sola spilla argentata dello scudo, veniva Constantine, più alto di tutti i suoi fratelli d'arme, più bello di tutti i presenti.
"Hai ragione, Adrianne, perdonami. La mia superbia mi ha dato alla testa. Pensavo di poterti tenere testa, ma sembra che vi teniate parecchio in forma con stoccate e affondi nella vostra famiglia. O, almeno, così dicono" lasciò che quelle parole aleggiassero tra loro, senza mai togliere lo sguardo dal giovane. Un colpo basso, atipico per il raffinato Patrick Dreyfuss. Adrianne non si perse d'animo.
"Ogni tanto immagino che faccia farebbe mia madre se sapesse quanto sangue scorre sulle tue mani, le stesse mani con cui fai qualsiasi cosa per lei" Patrick perse il suo sorriso sornione all'istante, congedandosi con un gesto del capo per andare a sfogare la sua irritazione con qualche malcapitato ai suoi comandi.
Non c'era odio nei loro sentimenti, non c'era rispetto. In qualche modo tra Adrianne e Patrick si era creata un'alchimia di queste due cose, che li portava a sfidarsi in continuazione, in punta di spada o sguainando le armi pesanti, ma senza mai ferirsi mortalmente.
Il tempo di gongolare per quella futile vittoria, tuttavia, durò poco.
Beatrix Valadour fece il suo trionfale ingresso nel giardino, al momento giusto e nel modo giusto, irradiando tutti come se portasse con se il sole della Primavera. Un passo dietro seguiva Josephine, figura imponente e autoritaria, appositamente ricoperta di brillanti e oro, conciata in tal modo che era impossibile non notarla. Furono entrambe accolte dal caloroso applauso dei presenti, dai composti Cavalieri della Luce ai raffinati eruditi di Brassar. Adrianne scivolò col suo passo leggero dietro le siepi adornate di fiori rosa e azzurri, in disparte, guardava da lontano l'odiata madre e la figlia prendere il suo posto al centro della scena. Patrick si era già accodato, da bravo cagnolino, alla folla di sorrisi e inchini. Mentre guardava Beatrix recitare la parte della giovane Valadour da esibizione, le sembrò di rivivere la sua giovinezza, quando Josephine la faceva presenziare ai suoi incontri d'affari per addolcire i suoi investitori. I fastidi del Cigno d'Oro, per quella serata, erano appena cominciati.
"Dubito che sia così, ma credo tu abbia imparato a stare al tuo posto, o sbaglio?" Quella voce la odiava, l'aveva sempre odiata, fin dal suo debutto in società. Ethienne Rhas, il più odioso donnaiolo del Principato d'Oro e, con tutta probabilità, di tutto Nove Troni.
"Lezione che, a quanto pare, fa ancora fatica a entrarti in testa" rispose lei senza girarsi. Sentì solo la sua risatina sarcastica.
"Oh, così mi ferisci"
"Che cosa vuoi, Ethienne? Hai finito i fenomeni da baraccone che ti porti a letto?"
"Gli Dei mi assistano se mai succedesse. No, volevo solo salutarti, e vedere come te la passi. E' tanto che non scambiamo due chiacchiere" disse accarezzandole una ciocca di capelli. Adrianne si ritrasse quasi subito, inorridita. Ethienne non fece una piega, non modificò quel suo ghigno di scherno nemmeno per un secondo.
"Cosa di cui sono immensamente grata" lo incenerì lei. Ethienne guardò Beatrix confondersi con la folla, mentre si amalgamava perfettamente con quella schiera di dignitari e nobili partiti, perfettamente a suo agio, pronta a diventare l'ennesima Valadour a dominare il regno.
"E' proprio bella. Ho sentito che anche Jasmine è di una bellezza quasi celestiale, e ormai, sulla bocca di tutti, Constantine viene chiamato il Cigno d'Argento" commentò Rhas quasi sovrappensiero. Adrianne indurì i lineamenti, inferocita.
"Mi sono fermato a farti un saluto perché volevo capire se eri rimasta una ragazzina viziata o avevi deciso di entrare a far parte del mondo dei grandi, ormai non ti rimane molta scelta"
"La mie scelte non ti riguardano da molto tempo ormai" Ethienne agitò il vino nel suo flute con noncuranza.
"Jasmine è rinchiusa ad Alte Terre ad aiutare i poveri, Beatrix sta per entrare in una prestigiosa Accademia di studi a Brassar, e Constantine, ormai, ha un brillante futuro come Cavaliere della Luce. Su chi scaricherà la sue tempestose ire la Lady di Ghiaccio?" Adrianne guardava la madre muoversi tra la folla, veleggiare come un imponente galeone tra gli invitati che sparivano all'ombra del suo passaggio.
Tutti temevano e leccavano il culo alla Lady di Ghiaccio.
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