Ten


Dovette sbattere un paio di volte gli occhi per permettere alla sua vista di abituarsi a tutta luce presente in quella stanza. Gli sembrò di passare dalla notte dei cupi corridoi alla limpida luce dell'alba. La sua mente, fino a quel momento terrorizzata si svuotò all'istante, proprio come sembrava essere quella stanza davanti a lui. La grandezza e la forma sembravano essere uguali a quelli della camera che oramai aveva cominciato a considerare sua, adornata da una cupola superiore in vetro dal quale era possibile vedere la luna circondata dal cielo stellato e grandi finestre che affacciavano sul mare. Il pavimento era ricoperto da della ghiaia bianca. Fra questa dei mattoncini in gesso dalla forma piatta a rettangolare si affiancavano per formare un sentiero che, nella parte centrale della stanza, formava un cerchio perfetto. Dal cornicione che separava i vetri della cupola da quelli delle finestre vi erano delle sfere nelle quali brillava una luce bianca. Il ragazzo non aveva mai visto nulla del genere, a primo impatto non avrebbe potuto né conformare né negare che si trattasse di magia.

Possibile che qualcuno di loro sia in grado di utilizzare la magia?

Con quella domanda nella mente si allontanò piano dalla porta, percorrendo il piccolo sentiero davanti a lui fino a fermarsi in un punto preciso del grande cerchio. C'era qualcosa in quella stanza. Non riusciva a capire di cosa si trattasse ma sapeva, sentiva, che quella stanza non fosse veramente vuota come l'apparenza volesse lasciar intendere. Con un passo superò il cerchio e la ghiaia scricchiolò sotto il suo peso. I suoi occhi erano fissi verso il centro del cerchio. Come se qualcosa lo stesse chiamando si mosse lentamente e, ad un solo passo di distanza dal centro di tutto, si chinò. Sentì qualcosa premere nello stomaco, risalire, scorrergli nelle vene e raggiungere il cuore. Un intenso calore lo pervase mentre il suo cuore accelerò i suoi battiti. Le guance gli si arrossarono e il respiro si fece più affannoso.

Cosa mi sta succedendo?

Fu come se il cuore non rispondesse alla sua stessa mente. Come se, guidato da una forza incontrollabile, si muovesse autonomamente. Alzò la mano avvicinandola alla ghiaia. Il tempo sembrò scorrere con una lentezza quasi illusoria. Tutto intorno a lui divenne ancora più intenso. Sentì perfettamente il rumore delle onde del mare infrangersi contro gli scogli al di sotto del promontorio, sopra al quale si trovava il castello. I sussurri contenuti in ogni particella d'acqua, in ogni bollicina della schiuma di mare nata dal moto ondoso. Gli sembrò quasi di riuscire a riconoscere la voce di suo fratello Changyoon e quella di Jaeyoung, seppur ovattate. Probabilmente lo stavano cercando e la presenza di Changnyoon lasciava intendere che il mare su cui affacciasse il castello fosse proprio quello controllato dal ragazzo, il Mar Egeo. Nonostante quello però Jisung non sarebbe stati in grado di dire se i due si fossero trovati vicini al castello o se fosse stato il mare ad aver trasportato le loro voci fino a lui. Eppure tutta la sua attenzione era attirata da quella piccolissima porzione di pavimento davanti a lui, come se sotto la ghiaia vi fosse qualcosa che controllava la sua intera anima come una calamita. Il medio sfiorò uno dei piccoli sassolini e fu come se qualcosa, una strada vibrazione, lo attraversasse, risalendo per il braccio invadendo poi tutto il suo corpo.

<<Che cosa ci fai qui?>>

Quella voce grave rimbombò nel vuoto della stanza, tuonando nella mente del ragazzo come un fulmine che squarcia il cielo scuro e statico. Jisung sobbalzò, si rialzò voltandosi e si pietrificò sul posto. Per un secondo immaginò di ritrovarsi davanti Chan, Felix o persino Changbin. Tutti, ma non Minho. Il re di quel castello, il mandante del suo rapimento, colui che voleva utilizzarlo per controllare il mondo e i mari. Eppure il ragazzo davanti a lui non sembrava essere lo stesso re sicuro di sé, spavaldo, che aveva visto quando era stato trascinato fuori dall'oceano. I capelli neri erano leggermente scompigliati. Gli abiti in pelle neri erano stati sostituiti da dei pantaloni in tessuto marrone scuro, una camicia bianca lasciata leggermente aperta mentre ricadeva morbidamente sul suo corpo e i piedi erano nudi. Sul ponte della nave aveva conosciuto un re ma davanti a lui, in quel momento, sembrava esserci un semplice ragazzo.

Non lasciarti ingannare

<<Io...mi sono perso>>

Si disse di rispondere in modo deciso, di non farsi vedere spaventato, la sua voce uscì però in un lieve sussurro.

<<Ti sei perso>> ripeté il corvino, rivolto a nessuno in particolare <<E fra tutte le stanze presenti su questo piano sei entrato proprio in questa...>>

Minho camminò in avanti, entrando nel cerchio composto dai mattoncini e si sistemò davanti a lui. Lanciò uno sguardo al centro della stanza, come se stesse guardando oltre lo strato di ghiaia.

<<Cosa c'è in questa stanza?>>

Jisung pose quella domanda prima che la sua mente avesse potuto recepirla e serrare le sue labbra. Lo sguardo dell'altro saettò su di lui, si ritrovò ad ingoiare a vuoto mentre una fredda sensazione dietro al suo collo gli fece capire di aver posto una domanda sbagliata.

<<Io...>> sussurrò mentre lo sguardo su di lui diveniva sempre più intenso e profondo <<Io...ho sentito...>>

<<Tu hai sentito?>> domandò Minho, a denti stretti, abbassando nuovamente lo sguardo sulla ghiaia <<Cosa hai sentito? Cosa?>>

Il re lo afferrò per le spalle e lo scosse con poca eleganza, spronandolo a rispondergli, mentre i suoi occhi sembrarono aver perso ogni lucidità. Jisung trasalì quando dalla presa dell'altro si sprigionò un calore pari a quello di un'intensa fiamma che sembrò ardergli la pelle penetrando sino alle ossa. Non fu però una sensazione dolorosa, bensì sorprendente ed accogliente.

<<Io non lo so>> urlò di rimando Jisung, dopo l'ennesima scossa <<Non lo so>> ripetè, in un tono più basso.

Minho lo lasciò andare con tanta veemenza da farlo traballare all'indietro. I suoi occhi tornarono normali e il suo respiro, affannato, recuperò un ritmo calmo.

<<Va via>> ordinò.

Jisung non capì cosa stesse succedendo. Il suo sguardo provò a studiare il ragazzo davanti a sé in cerca di spiegazioni. Quasi non si accorse che la sua mano si era tesa verso l'altro, in un disperato, stupido, tentativo di toccarlo.

<<Ti ho detto di andar via>> urlò nuovamente <<Ora>>

Il tritone sobbalzò. Percorse alcuni passi all'indietro, lentamente, prima di voltarsi e correre fuori dalla stanza.

Minho guardò la porta richiudersi alle spalle del ragazzo mentre i suoi capelli blu sparivano risucchiati dal buio del corridoio, privando la sua vista di ogni sprazzo di colore. Una volta che la grande porta fu chiusa il ragazzo dai capelli corvini ricadde nel silenzio. I suoi occhi si spostarono lentamente al centro del cerchio e proprio lì, dove fino a poco prima non vi era altro che ghiaia, vide qualcosa che non si sarebbe mai aspettato di vedere.

Un germoglio si ergeva, piccolo e forte. Nel suo verde acceso spiccò fra i sassolini bianchi e candidi.

Lo sguardo di Minho si assottigliò, divenendo tagliente come lame. Guardò la porta da cui era uscito il ragazzo poi tornò sul germoglio.

<<Tu...Tu sei davvero germogliato...per lui?>> Ringhiò accusatorio <<Dopo tutti questi anni?...Per lui?>>

Il ragazzo sapeva che il piccolo germoglio non gli avrebbe risposto, nonostante quello gli sembrò si stesse prendendo gioco di lui. Ringhiò nuovamente. S'inginocchiò e alzò il pugno, punto a scaraventarlo su quelle piccole foglioline distruggendole una volta per tutte, la sua mano però ricadde sulla ghiaia al suo fianco mentre in un urlò riecheggiò per la stanza e all'esterno.

Jisung si fermò nel bel mezzo del corridoio e si voltò nel sentire quell'urlo, annaspò. Gli sembrò sentire pura ira e...dolore. 

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