Capitolo 6 - Il tuo tradimento
~ "perché dolore è più dolor, se tace." ~
Cit. G. Pascoli (il prigioniero).
Capitolo 6
Il tuo tradimento
Aprii gli occhi e non vidi nulla, come alla fine di quel sogno.
Mi ero convinto fosse reale. Lo sembrava. Il suo tocco, il respiro sulla mia pelle, i suoi occhi. Quegli occhi. Con le dita sfiorai il collo, nel punto in cui mi aveva baciato, poi al petto e in fine alle labbra. Grosse lacrime sgorgarono e caddero a terra pesanti.
Non ce la facevo più, non riuscivo più a rimanere in quella solitudine.
Mi sdraiai, raggomitolandomi su un fianco. Nel farlo toccai un oggetto di metallo, avevano posizionato il vassoio vicino a me, come a farmi capire che dovevo nutrirmi.
Lo presi in mano e lentamente rovesciai il contenuto a terra.
Rimasi immobile a piangere senza sosta, gli unici movimenti erano prodotti dagli spasmi del singhiozzo.
Dopo pochi minuti la mia mente si illuminò, l'unico modo di porre fine a tutte quelle sofferenze e tornare per sempre alla mia utopia era esaurire il sangue nel mio corpo. poggiai il polso alla fredda e ruvida parete, lo afferrai con l'altra mano, premetti con forza e con uno scatto lo trascinai su di essa. Alcune piccole ferite si aprirono, non era abbastanza, avrei dovuto ripetere il movimento più volte per ottenere l'effetto desiderato. Il gas, però, tornò a farmi compagnia, pensai non fosse possibile, era passato troppo poco tempo dall'ultima volta. Non avevo neppure più la forza di provare a trattenere il respiro per rimanere di sveglio, al contrario la mia mente bramava di addormentarsi e vivere qualche ora nei sogni. La mia nuova missione avrebbe atteso il risveglio.
Mi svegliai urlando, i suoni erano tonati, prepotenti come ogni volta. Ma c'era qualcosa di strano, non riuscivo a muovermi. Scossi la testa da una parte all'altra, senza mai arrestare le grida. Ero legato a un tavolo con manette metalliche.
Mi veniva da vomitare, girai la testa di lato, vidi il polso ferito fasciato da una pezza sporca. Vomitai null'altro che bile acida.
Non capivo cosa stesse succedendo.
Gas soporifero e, di nuovo, più nulla.
Aprii gli occhi, qualcosa mi ferì la vista. Una luce era presente nella stanza. Troppo tempo i miei occhi erano rimasti nell'oscurità. La luce penetrava come spilli arroventati nelle pupille e malgrado il tempo passasse, il dolore non sembrava attenuarsi. Sogni a parte, non ricordavo neanche più cosa fosse la luce.
Ci vollero diversi minuti prima di abituarmi alla tenue luce di una candela.
Quando riuscii a mettere a fuoco ciò che avevo davanti, acuii la motivazione del persistente odore di morte, presente nella stanza.
Urlai, fuori di me.
Tre cadaveri pallidissimi penzolavano, appesi al soffitto.
E il panico si impossessò di me.
I pensieri scorrevano nella mente come lo spartito di un compositore pazzo.
Vidi il mio corpo penzolare lassù e vidi il corpo del mio dolce pezzo di pane. Urlai e urlai.
« Buonasera cinque-otto-due » esclamò una fredda, crudele e arcigna voce. Lo spartito si interruppe lasciando spazio a un panico paralizzante. Una figura si stagliava, immobile, ai miei piedi.
« Ti piacciono i miei drappeggi? Ti presento cinque-sette-nove, cinque-otto-zero e cinque-otto-uno, i tuoi predecessori. Sono stati dissanguati apposta per durare a lungo. Inspira questo profumo » si morse le labbra. Mi divincolai freneticamente, dalla gola uscivano solo versi sommessi di un animale in agonia.
« Ti prego ... » mi morì la voce.
« Buono, buono. Stai calmo, rilassati » cercò, malamente, di imitare una voce materna. « Ahimè, tu non ti unirai a loro. Non mi hanno concesso il diritto di possesso sul tuo corpo, verrai giustiziato pubblicamente » disse malignamente triste.
Sbarrai gli occhi e tornai a divincolarmi, le lacrime sgorgarono nuovamente.
« Non ti sarai aspettato che saresti potuto uscire di qui vivo, vero? Per l'atto di cui ti sei macchiato, nessuna corte ti lascerebbe in vita, senza contare il modo in cui lo hai fatto » rispose alla mia reazione. « Sai, per i crimini come il tuo, normalmente, il verdetto viene deciso dal Consiglio Reale ma le circostanze ti hanno condotto direttamente qui. La prigione del tribunale dell'inquisizione ».
I suoi occhi si allargarono, come se gli fosse venuta in mente una semplice verità « Oh, già. Perdonami, tu non ricordi nulla ». Fu una perfetta interpretazione di sorpresa, stava giocando con me. Sapeva cosa rivelarmi e quando farlo ma niente mi importava, una sola domanda martellava nella mente: dov'è il mio amato pezzo di pane?
« Basta perdersi in quisquilie! » mi riportò alla realtà « È l'ora della pappa, dolce tesoro. Non puoi certo morire prima del tempo » disse preoccupato. Quella recita doveva divertirlo molto. « È vietato! » sussurrò con una mano tesa a lato della bocca, come a voler confidare un segreto « Dato che non vuoi mangiare di tua volontà, lo faremo noi. Vieni avanti! » ordinò, non più rivolto a me.
Guardai alle sue spalle e, ai lati di un'apertura nella parete, vi erano due uomini incappucciati e con una maschera dei medici della peste. Immagine terrificante.
Uno dei due si mosse in avanti, girò attorno al tavolo e si fermo all'altezza del viso. Quest'ultimo mi bloccò la testa con le mani possenti. L'altro mascherato prese qualcosa da terra e si avvicinò, passando un tubo di pelle di animale al primo, salito sul tavolo e posizionatosi a cavalcioni sul mio ventre, sul quale ricadde a peso morto.
« Apri la bocca Tesoro » al contrario serrai la mascella.
Per buona misura, afferrò il viso all'altezza delle guance e premette con forza inaudita. La carne venne schiacciata contro le fila dei denti, provocandomi fitte di dolore fin su alle tempie. Ma non desistetti, l'uomo fece un cenno e sul mio viso venne scaricato un intero secchio d'acqua. Mi mancava il respiro, e all' istinto non si resiste, aprii la bocca sputacchiando in cerca d'aria.
Sentii il tubo scendere giù per la gola e graffiarmi l'esofago. Conati di vomito mi colsero. La mascella venne tenuta aperta da un divaricatore di metallo. L'estremità della sonda terminava con un imbuto nel quale venne versato un liquame giallognolo.
« Non ti preoccupare, e solo il tuo solito pasto reso liquido ».
Sentii il tubo ingrossarsi nella gola e un attimo dopo la poltiglia scese giù liscia dal fondo della gola, fino allo stomaco. Mai avevo provato una sensazione tanto spiacevole. Ben presto mi trovai in assenza d'aria e iniziai a muovermi spasmodico. L'uomo che mi immobilizzava la testa se ne accorse e la ruoto leggermente indietro, cosi che le vie respiratorie potessero liberarsi. Boccheggiai con forza e provai a catturare tutta l'aria possibile.
Il sadico cambiò quel liquame, all'acqua più volte. Se possibile quest'ultima fu ancora peggio. La sua naturale fluidità le permetteva di colare con maggiore velocità. I polmoni bruciavano come se andassero a fuoco.
Spasimavo di respirare.
Una goccia scivolò dal volto dell'uomo chinato sul mio viso e mi atterrò sulla guancia. Doveva sudare molto nel tentativo di tenermi immobile, dopotutto non controllavo più i movimenti. Il corpo era scosso da spasmi e scatti violenti.
Intravidi i suoi occhi nella penombra della maschera. Erano liquidi, forse provava eccitazione sessuale nel dolore altrui. Ne rimasi ipnotizzato, avevano il colore verde dell'erba colpita dal sole di primavera. La mente era alla ricerca di una distrazione dal dolore.
Il busto si inarcò freneticamente più volte per poi sbattere contro il tavolo. Dagli occhi continuarono a scaturire gocce salate. Le mani si strinsero a pugno e le gambe cercavano di divincolarsi. Non ce la facevo più, sentii il sangue pulsare ai lati della gola e sulle tempie a causa della mancanza d'aria e dello sforzo. Stavo per perdere coscienza, ma in un attimo la canula venne sfilata.
Aria. Finalmente respiravo. Tanto fu l'impeto che sentii bruciare la gola al suo passaggio.
Gradualmente ripresi a ragionare razionalmente.
L'uomo sul ventre si stava muovendo ritmico avanti e indietro. Se dell'uomo dagli occhi d'erba avevo dei dubbi, del sadico non ce n'erano. Si eccitava nel sottomettere e procurare dolore a qualcuno. La sua erezione dentro i pantaloni era una prova inconfutabile.
Distolsi lo sguardo verso quegli occhi. Si era avvicinato e al mio orecchio sussurrò di rimanere immobile, non dire niente e continuare a ansimare. « Fai così e presto finirà » aveva concluso con voce affannata dallo sforzo. Malgrado la voce fosse resa scura e roca dalla maschera, risultava gentile.
L'altro continuava a muoversi, sempre più frenetico, sfregando il gonfiore sulla pancia. Finché non produsse un urlo spaventosamente basso, quasi animalesco.
« Grazie! Credo proprio che ci divertiremo io e te, ci vedremo più tardi » scese velocemente dal tavolo, sistemandosi i pantaloni in mezzo alle gambe soddisfatto.
Il terzo uomo rimasto in disparte si leccò le labbra, famelico, alle parole del capo.
Mi slegarono ma rimasi immobile. Senza degnarmi di altre attenzioni si allontanarono verso l'apertura nella roccia.
Misi di nuovo a fuoco le salme appese.
« Dov'è Pane? » alzai la voce.
Il sadico si girò e parlò, mentre occhi verdi arresto il passo immediatamente « Oh, mio caro, non ti nutrirai più di tua spontanea volontà » pronunciò senza capire a cosa io mi riferissi.
Rimasi immobile quando uscirono e l'apertura venne chiusa, lasciandomi nuovamente nel buio.
Era stato orrendo ma sapevo, dall'espressione del sadico, che era solo un leggero soffio rispetto all'uragano che si sarebbe abbattuto su di me.
La sensazione di quel liquido viscido che colava nella gola, l'inserimento del tubo, la mancanza d'aria.
Ero spaventato e lui non era lì ad aiutarmi, ero solo e sapevo che lo sarei stato fino alla fine.
Piansi per la vita che avevo vissuto.
Piansi per la vita che stavo vivendo.
Piansi per la vita che avrei voluto vivere con il mio Pane.
Piansi per la sua mancanza. Anche se, il solo pensiero del suo nome mi faceva stare male.
Piansi per quei tre cadaveri, ora invisibili, che non avrebbero avuto un degno riposo.
Con quei pensieri e quelle lacrime mi addormentai.
Era completamente buio, come sempre d'altronde.
"Voltati" echeggiò una voce.
Mi voltai e vidi Pane, lì in piedi, che tendeva una mano verso di me.
Il suo corpo produceva una fioca luce, riuscivo a vederlo chiaramente anche nell'oscurità.
"Vieni da me " sussurrò nuovamente.
Anche i passi echeggiavano ovunque, come se stessi camminando su un velo d'acqua.
Appena fui abbastanza vicino mi lanciai tra le sue braccia. Non c'erano lacrime sul mio volto solo un sorriso incondizionato destinato a perdurare.
Mi contraddissi velocemente, al senso di pace si sostituirono l'angoscia e l'inquietudine.
Staccai il volto dal suo petto e vidi il corpo letteralmente scolorirsi, diventare totalmente grigio quasi perlaceo.
D'un tratto le braccia stingevano il vuoto. Mosso dall'istinto, alzai il viso e i cadaveri penzolavano su di me, ma non erano più tre, Pane si era unito a loro.
Le salme erano quattro.
Urlai nel sonno, svegliandomi.
« Abbiamo fatto sogni d'oro? » chiese, sarcastica, una voce dietro una forte luce. Quando quest'ultima venne allontanata dal viso vidi il sadico sorridermi.
Ero di nuovo sul tavolo ma questa volta le mie gambe scendevano fino a terra, divaricate e legate alle omonime del tavolo. Il ventre poggiava sul graffiante legno ruvido. Ero nudo, completamente.
« Siamo tornati a divertici, tutti insieme. Dopotutto te lo avevo promesso » continuò sardonico. « Se farai il bravo non soffrirai molto. Ora, vorrei che non urlassi. Voglio sentire i tuoi gemiti sommessi. I miei subordinati, ai tuoi lati, ti colpiranno schiena, natiche e cosce con questo particolare oggetto. I romani lo chiamavano Flagrum » disse mostrandomi una specie di frusta con più estremità di cuoio. «Le funi solitamente erano adorne di pezzi di metallo o ossa di animali. Tranquillo le mie sono di solo cuoio, non sia mai che tu possa morire dilaniato da esse. I colpi non lacereranno in profondità la pelle, l'accarezzeranno dolcemente. Iniziate.» concluse guardando i suoi sottoposti.
La prima sferzata si abbatté sulla schiena e fu ben lontana da una carezza. Inevitabilmente urlai.
« No, no, no, così non va bene Tesoro, se urlerai alla fine dovrò punirti e la punizione, credimi, non ti piacerà ».
« Vi prego » alzò una mano in segno di ammonizione, non avevo il permesso di parlare. E la seconda frustata arrivò violenta come la prima, o forse meno. Non riuscivo a razionalizzare. Trattenni le urla, lottando contro quella imponente forza che era l'istinto.
« Mh così, bravo. Voglio sentire i gemiti » disse toccandosi il basso ventre, senza mai distogliere lo sguardo dai miei occhi lucidi di lacrime.
Fu il turno della terza ma a differenza della seconda la sua intensità fu sicuramente maggiore, come la prima forse.
Urlai.
« E punizione sia, allora. » guardò alla mia sinistra « Usa il manico come sai » ordinò seducente.
Il suddetto manico si fece largo tra le mie viscere. Solo allora capii il genere di dolore di una "vera punizione", come la definì il sadico. Non un solo rumore scaturì dalla mia gola, il dolore fu di tale grandezza da togliermi letteralmente il respiro e far aprire la bocca in un grido muto.
Ad un solo cenno del torturatore il bastone irregolare venne estratto. Mi diressi verso il mondo degli incubi, svenendo, ma uno schiaffo sulla guancia mi fece riprendere lucidità. « Non sverrai senza il mio consenso ». Le flagellate ripresero ma non un solo urlo uscì da me. Conclusa la schiena fu il turno delle natiche e delle cosce. Alla fine la pelle grondava di sudore e qualche goccia di sangue delle piccole ferite createsi.
« Speravo ne traessi più piacere » disse guardando il viso sconvolto dall'agonia.
« Vediamo se riusciamo a soddisfarti, so che preferisci la compagnia maschile... ».
« La sodomia è vitata dalla sacra inquisizione » disse un terzo uomo con voce profonda.
« Se la congregazione non lo saprà, non ne soffrirà. Procedi » ordino al subordinato di sinistra, fulminando l'altro.
Una mano pesante si posò sull'osso sacro e di nuovo qualcosa si addentrò, impetuoso, tra le mie carni lacerate. Di nuovo quella terribile fitta al basso ventre che irradiava lampi di dolore in tutto il corpo, fin su alle tempie pulsanti. Di nuovo si ripresento l'urlo morto dentro la gola, come la mia anima. Spinta dopo spinta, un pezzo della mia quest'ultima si staccò e avvizzì.
L'uomo di fronte a me godeva della scena e l'unica cosa a cui riuscii a pensare, fu che i suoi lineamenti affilati si addicessero perfettamente al sadismo necessario a un torturatore.
Ben presto, a discapito di ogni mia volontà, il corpo iniziò a provare piacere. Non capivo come fosse possibile. Era come se le sensazioni fisiche fossero completamente separate da quelle mentali. Dentro di me stavo ancora morendo poco alla volta, ma il mio corpo malgrado provasse ancora molto dolore venne colto dall'eccitazione nel basso ventre. Fu li che capii che il mio membro era stato costretto in un oggetto, e un nuovo dolore si fece strada mandando scosse spiacevoli alla spina dorsale.
Dopo quelle che sembrarono ore l'uomo venne dentro al mio corpo e involontariamente, a causa del continuo stimolo di un punto preciso al mio interno, venni anche io. Quando uscì da me sentii colare sulla coscia quello che ipotizzavo essere il suo seme e il mio sangue.
Dolore, era l'unica cosa rimasta.
« Mai visto nulla di più erotico » disse mordendosi il labbro. « Ci vediamo più tardi. Ora puoi svenire » e con il suo permesso lo feci.
I due "trattamenti" si susseguirono. Ingozzamento poi tortura, non che il primo non lo fosse.
Quando tornò per l'ennesima tortura, mi comunicò che l'inquisizione pretendesse più dolore di quelle che lui chiamò "dolci torture sessuali". Ovviamente non parlava per l'inquisizione ma per se stesso, più dolore provavo più piacere lui provava. La degna personalità di un sadico. Alle torture sessuali si alternarono falsi annegamenti, sospensioni, percosse, soffocamento e torture mentali.
Le uniche volte che riuscivo a vedere l'uomo dagli occhi d'erba erano quando venivo ingozzato. I suoi occhi sembravano, di volta in volta, diventare sempre più scuri, come fossero pieni di rammarico e di tristezza. Iniziavo a credere che non fosse come gli altri. Ogni volta cercava confortarmi e sostenermi bisbigliando parole rincuoranti ma, malgrado le sue buone intenzioni, la sua voce filtrata dalla maschera produceva sibili inquietanti.
Ogni momento passato senza di lui, ogni momento trascorso da solo, ogni momento vissuto con quegli uomini perdevo sempre di più coscienza di me. Non seppi dire per quante volte il procedimento si ripeté prima che essa mi abbandonasse, lasciando solo un corpo vuoto.
Ogni volta che svenivo, con il consenso di quello che era diventato il mio padrone, e mi risvegliavo mi trovavo incatenato alla parete, così che non potessi auto procurare la mia prematura dipartita.
Ormai rimanevo catatonico per quasi tutto il tempo, solo quando loro entravano nella stanza e si avvicinavano cercavo di oppormi. Ogni atto di ribellione, però, veniva punito con la violenza.
Le torture continuarono imperterrite. Tutte le volte che il corpo sviluppava una certa resistenza al dolore, quest'ultimo veniva incrementato e inasprito.
Mi resi conto del lento svanire dei pensieri. Le emozioni svanirono, i sogni svanirono. Finché fui completamente vuoto.
Passavo le ore immobile, nella stessa posizione in cui mi svegliavo dopo le violenze. Guardavo in alto. Non controllavo neanche più le mie lacrime; esse scorrevano ininterrottamente, come se esulassero dalla mia coscienza.
Morivo lentamente.
Le ore si susseguirono e si tramutarono in incalcolabili giorni. Non seppi per quanto andò avanti prima che il varco si aprisse, rivelando uno degli uomini mascherati, con in mano una torcia.
Per la prima volta, dopo tempo, provai stupore. Nessuno era mai entrato nella stanza da solo e nessuno lo aveva mai fatto senza la presenza del sadico.
Fece un passo, maldestramente strisciai i piedi a terra, cercando si appiattirmi contro la parete. C'era qualcosa di strano in quella situazione. Mi raggomitolai come un animale ferito e mi aggrappai alla fredda roccia, come a volermici fondere.
Vedendo la reazione si arrestò e rimase fermo per un po', alzò poi la mano e tolse la maschera.
I suoi occhi.
Erano del colore dell'erba. Appartenevano all'unico uomo che sembrava provare compassione e rammarico per quello che subivo.
Si avvicinò, si inginocchio di fronte a me e con la mano girò il mio volto delicatamente. Tremai.
I nostri sguardi si incrociano, poi parlò.
« Come stai?... » chiese. La sua voce risultò chiara e non più storpiata dalla maschera. I miei occhi si spalancano inorriditi, spaventati e immensamente tristi.
Quel suono lo conoscevo.
« ...Mio piccolo chicco di riso » finì la frase.
Non riuscivo a respirare.
Fu come se mi si fosse sbloccata la mente. Non poteva essere vero, quello fu l'unico pensiero che rimbalzò nella mente, ma lui era li davanti e si era tolto la maschera.
Dimenticai di introdurre aria nei polmoni, l'unica cosa che riuscii a fare fu piangere. Appena sentii la prima perla salata solcare la guancia ricordai di incamerare aria, la situazione si ribaltò velocemente, da apnea passai a uno stato di iperventilazione incontrollabile.
« Lo sai cosa devi fare quando hai un attacco di panico, piccolo... » mi ammonì « chiudi gli occhi ».
« Stai zitto » lo interruppi con voce flebile e rotta. Era da un po' che non parlavo e feci fatica.
« Sei uno di loro? » gracchiai.
« Si ».
« Perché? » chiesi, minimamente più calmo, con ancora problemi a controllare le lacrime.
« Devo fare ciò che permette a me e alla mia famiglia di sopravvivere, non ho scelta ».
« Distruggi l'anima delle persone per sopravvivenza? ».
« Non pensarla così, ti prego. Io non volevo farti del male, non sono come loro, sono stato obbligato. Malgrado la loro imposizione di diventare una figura importante per i detenuti delle celle: un padre, un figlio, un fratello, un amico... un amore, cerco di regalare un po' di felicità e speranza » spiegò fortemente afflitto. A ogni parola mi sentivo sempre più avvilito.
« Ogni cosa che dicevi era giusta e mi faceva stare bene, com'è possibile? ».
« Prima di entrare in contatto con te mi hanno fatto studiare la tua personalità e il tuo passato, in modo che mi fosse più semplice compiere il lavoro. Vedi, malgrado vi cancellino la memoria tutto ciò che fa parte della vostra personalità e sfera emotiva rimane inalterato » esitò un po' in quella spiegazione. Sembrò essere in conflitto con se stesso.
Non avevo parole, la bocca ormai arida.
« Poi loro mi ordinano di sparire, cosi che la disperazione vi assalga » tutto era pensato nei minimi dettagli.
« Era tutto falso? » balbettai tornando al mio stato di panico iniziale.
« Sì... » confermò « ...Cioè, no. La maggior parte di quello che ti ho detto in quei giorni era vero. Mi sarebbe davvero piaciuto vivere con te in quella baita. Sei... speciale per me. Vorrei solo essermene reso conto prima » mi rivelò abbassando la voce.
« Non mentire, vai via ti prego ».
Si alzò e si diresse verso l'uscita fermandosi poco prima. « Mi dispiace » e uscì.
Lanciai un urlo lancinante che mi squarciò l'anima.
« Non ti era concesso farlo, ti ho sentito » disse una voce in lontananza.
« Ha sofferto abbastanza, non credi? Ti sei divertito abbastanza con lui, più che con chiunque altro ».
« Taci, metti la maschera e rimani indietro. Non gli rivolgerai più la parola » con queste ultime parole il sadico fece la sua entrata nella cella.
Le lacrime ancora viaggiavano sul viso e boccheggiavo.
« Buongiorno Tesoro, sei pronto? È arrivato il tuo giorno » disse sprizzante di gioia il mio aguzzino.
« È un peccato, sei il mio preferito » si leccò le labbra con fare famelico. « Mi duole lasciarti andare ».
Dal mio viso trasparì solo disgusto.
« Prendetelo » ordinò.
Mi afferrarono e trascinarono fuori dalla stanza. Scoprii, essa, comunicare con decine di altre celle grazie a un lungo corridoio tempestato di torce.
Gli occhi faticavano ancora a rimanere aperti senza dolere di quella luce.
Arrivati in fondo, al limitare dei nostri piedi, ribolliva un liquido nero sul letto di un largo canale, il quale costeggia un cerchio di terra. Al centro di quest'ultimo si ergeva un'alta torre di pietra.
Alzai gli occhi e capii il motivo della mancanza assoluta di luce nelle celle. Mi trovavo sul fondo di un enorme gola scavata nella terra.
« Se te lo stessi chiedendo, ti trovi a seicentoventi piedi sotto terra » rise alla mia faccia attonita.
Il corridoio in cui stanziavamo non era l'unico accarezzato dalla pece bollente, ne contavo dodici per la precisione. E quello non era il solo piano della prigione, sopra le nostre teste ve ne erano altri, tutti collegati con la torre centrale da ponti mobili.
Il mio aguzzino portò una torcia sopra la testa e, con movimento oscillatorio, la mosse per sette volte.
Due uomini uscirono dal torrione e si avvicinarono al bordo del canale, dove vi erano erette due magre colonne. Con forza, fecero ruotare le manopole, in cima a esse. Un rumore infernale si propagò e una piattaforma emerse dal liquido creando un passaggio sicuro per il centro della prigione.
Mi dettero una leggera spinta, segno di dover iniziare a camminare.
Arrivati all'enorme porta della torre, con un altro cenno di torcia la porta si aprì. Varcata quella, un'altra sbarrava la processione. Ne attraversammo tre prima di accedere al cuore della struttura.
Dentro vi era solo una infinita scala circolare.
« La gradinata dell'espiazione, in base alla colpa viene scelto un piano, dal quale poi il condannato deve risalire » echeggiò la voce del torturatore.
Iniziammo a scalare. A intervalli regolari, l'uomo con ghigno soddisfatto, mi colpiva sui polpacci con un sottile bastone, facendomi cadere ripetutamente.
Di volta in volta fu sempre più difficile alzarsi, le ginocchia sanguinanti e i polpacci feriti peggioravano ad ogni colpo e caduta. Iniziai a capire cosa intendessero per espiazione. Dolore.
Qualsiasi cosa mi aspettasse al termine del cammino, ero pronto, stanco di tutto quello.
Frequentemente incrociammo guardie armate fino ai denti. Doveva essere impossibile uscire da quel posto di propria volontà.
Passo dopo passo ci avvicinammo alla cima, sempre più a corto forze.
Rimase solo l'ultimo scalino. Il corpo ormai completamente tumefatto, vessato delle altre guardie incontrate, spronate a colpirmi dal mio aguzzino.
Un ennesimo varco venne aperto e mi ritrovai in una stanza vuota, escluse le centinaia di catene appese alle pareti.
Venni costretto a mani e caviglie e collo.
Sentii il mio incubo avvicinarsi alle mie spalle.
«Mi mancherai Tesoro » fece con voce viscida. « Cinque-otto-due rimarrai nelle mie fantasie per sempre, era così eccitante torturarti» disse leccandomi l'orecchio mentre infilava il manico del bastone tra le mie gambe.
Sussultai alle sue azioni.
Si staccò da me, riluttante, e gli altri mi spinsero verso quella che presunsi essere l'ultima porta visto il ritrarsi del sadico. Quella era la soglia del mio ultimo viaggio verso la morte.
Venne aperta e la luce del sole inondò la stanza accecandomi.
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