Capitolo 2 - La mia luce

~ Finirà anche la notte più buia e sorgerà il sole. ~
Cit. Vicrot Hugo (Les Misérables).

Capitolo 2

La mia luce.


Nessun nome, nessun ricordo, nessuna vita.
Aprii gli occhi. Non vidi nulla. Poi ricordai dove mi trovavo. Mi alzai a sedere con non poche difficoltà, mi sentivo stremato.
« Ti sei svegliato! » ricordai quella voce calda, roca e rassicurante.
« Si, cosa è successo? » chiesi.
« Hai avuto un attacco di panico, ho cercato di tranquillizzarti ma non... »
« Capisco » lo interruppi. « Non sei stato tu a dire che è questo posto a farci impazzire? Non ti preoccupare. A proposito che posto pensi sia questo? » continuai.
« La chiamano la prigione del Dio Folle altri, le celle della pazzia » mi rivelò. Non mi aspettavo realmente una risposta. Pensavo che nemmeno lui sapesse niente. Quando sentii, però, la sua risposta mi agitai sul posto, in quel momento tutta la mia attenzione fu concentrata sulle sue parole.
« Come lo sai? Chi le chiama cosi? ».
« Le persone che portano il cibo. Dicono anche, che nessuno resiste più di un mese qui dentro » spiegò.
Riflettei su quello che mi stava dicendo. « Non ho mai visto nessuno portare il cibo » acuii, sciogliendo l'espressione interrogativa.
« Si, perché rilasciano uno strano gas da qualche foro presente nella roccia. Ci addormentano, non vogliono farci avere alcun contatto con nessuno, pensano che la solitudine ci porti ad impazzire più velocemente ».
« È orribile » e tragicamente vero constatai afflitto. « Ma allora tu come fai a sapere queste cose? » chiesi dubbioso.
« Il narcotico ha un odore particolare, diverso da questa insopportabile puzza di umidità, escrementi e animali morti. Appena lo sento smetto di respirare e tengo gli occhi aperti, il gas ha la capacità di farli irritare leggermente. Quando la sensazione sparisce li chiudo e torno a respirare, così quando entrano faccio solo finta di dormire ».
« Da quanto sei qui dentro? » chiesi stupito da tutte le cose di cui era a conoscenza.
« Non so, non credo portino il cibo a intervalli regolari. Non riesco a capire quanto tempo sia passato »
« Non so, ma se te lo stai chiedendo, non sei qui da molto. Prima di te ho parlato con altre tre persone nella tua cella. Quindi massimo sarai qui da qualche giorno » si ricordò di qualcosa, perché subito dopo fece un verso di esclamazione dicendo: « A proposito, mentre dormivi hanno portato il cibo ».
Mi misi a carponi di scatto e iniziai a cercarlo. Non lo trovavo, era impossibile individuarlo dentro quelle celle.
« Non trovo il vassoio » dissi sconfortato ma allo stesso tempo furente. Sbattei il pugno a terra per sfogare la frustrazione. Costeggiai le pareti in cerca di una porta. Mi avevano fatto entrare in quella cella da qualche parte doveva esserci un accesso. Battei nuovamente mani e i piedi contro il muro, mentre urlavo. Urlai e inveii contro di loro, chiunque essi fossero.
« Vieni verso la mia voce e calmati » urlò. Feci quello che chiedeva. « Quando mi sono svegliato, all'inizio, passai ore, se non giorni, a urlare, sbattere i pugni e tirare calci in ogni punto della parete, ma nessuno si è mai avvicinato o ha aperto un passaggio. Non ho mai aperto gli occhi quando entrano qui o mi avrebbero scoperto, quindi non ho nemmeno idea di dove sia il varco da cui entrano».
« Va bene ci sono » sorrisi amaramente alla mia stupida impulsività.
« Perfetto. Le stanze sono speculari, l'ho scoperto con i vecchi inquilini » gli si incrinò la voce « Procedi verso la tua sinistra seguendo la parete, per dieci passi. Successivamente fai quattro passi verso il centro della stanza. In quella zona troverai il vassoio, spero » disse sussurrando l'ultima parola.
Seguii le sue indicazioni, mi misi a carponi e iniziai a cercare intorno. Dopo qualche minuto le mie mani toccarono il vassoio metallico.
Esultai avvicinandomi alla Sua parete.
« Grazie mille... » non conclusi la frase, ricordando di non sapere il suo nome.
« Chiamami Pane » intuì la mia incertezza.
« Pane? » chiesi stupito.
« Sì, mi piace il pane, è una delle poche cose che ci danno qui. Quindi puoi chiamarmi così » rispose con una punta di allegria. Non capivo come facesse ad essere tranquillo in quel momento ma riuscì a contagiarmi. Risi, e quella fu la prima risata che uscì dalla mia bocca da... da sempre per quanto ne sapessi.
Sorseggiai un po' di quella zuppa con qualche chicco bianco dentro e mi venne un'illuminazione. « Io sono Riso, è un onore conoscerti, Pane » lo sentii sorridere. E mi dette piacere quella piccola sensazione di benessere. Di vita. Di luce.
« Anche per me ».

Rimanemmo in silenzio mentre finivo di mangiare. Gli unici rumori erano quelli del brodo caldo, che gorgoglia tra le mie labbra e il gocciolare continuo.
« Va bene, è davvero impossibile che quella goccia non smetta mai di cadere » esclamai di nuovo infastidito.
« Credo sia fatta apposta anche quella. C'è anche nella mia stanza ».
Pensai fosse del tutto surreale.
Portai nuovamente la ciotola di zuppa alle labbra ma nel mentre un suono acuto e straziante rimbombò nella stanza, talmente forte che non mi resi nemmeno conto di aver iniziato ad urlare follemente. La ciotola ormai a terra, il suo contenuto si riversava sulla pietra, tra le mie gambe, bagnandomi. Non mi resi conto di nulla, avvertivo solo i muscoli vibrare in tutto il corpo e la gola bruciare. Sembravano lastre d'acciaio affilate che stridono tra di loro. Quei rumori arrivavano ai miei timpani, amplificati dalle alte pareti della cella. Fu come se un demone di metallo lanciasse grida di dolore.
Paura. Questa era la sensazione che trasmetteva quel suono. Paura con la forma di migliaia di aghi che penetravano la carne fino a trapassare le ossa, dando fitte intense di dolore a tutto il corpo. Durò ore, o almeno così mi sembrò. Urlai, inizialmente terrorizzato, incapace di pensare a qualsiasi cosa, ogni pensiero veniva soffocato dalla preponderanza di quel suono. Poi, urlai disperato convinto dell'eternità di quest'ultimo. Piansi senza accorgermene. Tutto quello che riuscii a fare fu coprirmi le orecchie con i palmi.

Quando tutto finì e la calma tornò, un conato si fece largo prepotentemente nel mio esofago. Vomitai violentemente quel poco che avevo nello stomaco e non contento, continuai rimettendo anche la bile. Vomitai tutta la tensione accumulata.
Quando mi placai la testa mi faceva male per lo forzo. Notai di provare dolore ovunque a causa del costante irrigidimento dei muscoli. Mi sembrò davvero, che quegli aghi mi avessero penetrato la carne.
« Stai bene? » mi chiese con la voce spezzata. La sua voce mi fece riemergere dai pensieri e silenziosamente piansi, di nuovo, ma questa volta di felicità. C'era qualcosa nella sua voce che mi rincuorava.
« No, non sto bene » mi resi conto di essere in affanno, e lui con me.
« Cos'è stato? » domandai con fatica.
Debolmente mi spiegò che quel rumore si ripeteva nel tempo e che, probabilmente era pensato per interrompere il sonno dei prigionieri.
« Non capisco, perché ci fanno questo? » poi una domanda, impetuosa, si fece largo nella mia mente, più importante di qualsiasi altra. « Ma... noi siamo criminali e stiamo scontando una pena oppure... siamo stati catturati e siamo prigionieri di un gioco perverso? ».
« Non lo so davvero, ho pensato e ripensato ma la memoria continua a sfuggimi. È come una caccia, dove la preda è molto più abile del cacciatore ».
Ripensai a tutto ciò che avevo vissuto da quando avevo aperto gli occhi per la prima volta.
Il buio, l'odore, la goccia perenne, il cibo, quel rumore. Tutto porta a dissolverti, sgretolarti, ad annichilirti.
« Quale mente malata può aver ideato tutto questo? » chiesi, retorico, parlando verso l'alto.
Lui rimase in silenzio.
« Non lo so » ripeté nuovamente. « Me le sono fatte anche io tutte queste domande. Ma più ci pensavo, più le risposte mi schivavano e perdevo lucidità. Fino a quando sentii una voce chiamarmi al di là della pietra, proprio dove sei tu ora. Capii di poter parlare con un'altra persona, attraverso un piccolo buco qui in basso, potevo distrarre la mente. Fu più facile sopportare tutto » disse.
« Così sono riuscito a non impazzire. Almeno non del tutto ».
« Poi, altre due l'hanno seguito prima del tuo arrivo ».
Rimasi in silenzio per un po'. Rimuginai su tutte le informazioni assimilate dal cervello e in elaborazione. C'era una domanda, la quale nacque spontanea. Allo stesso tempo, però, avevo paura della risposta.
« Che fine hanno fatto tutte le persone che mi hanno preceduto? » cedetti infine.
« Non lo so, le hanno solo portate via » disse triste « Non so se le abbiano liberate oppure... » si interruppe.
« Se siano morti ».
« Non voglio morire » iniziai di nuovo ad ansimare senza controllo. Mi stavo chiudendo, di nuovo, in quella piccola stanza nella mente. Le lacrime scesero senza consenso e il panico si impossessò nuovamente del corpo.
« Ascolta la mia voce, Riso » mi urlò « Tu non morirai, capito? Non ti capiterà nulla, lo giuro » disse dolce.
« Ascolta il mio respiro... » continuò inspirando rumorosamente « Respira con me ».
« Appoggia la mano destra sulla parete, io faccio lo stesso. Se ti concentri sentirai il calore della mia mano e la mia pelle a contatto con la tua » disse con tono roco e rassicurante.
« Lo hai fatto, vero? ».
« Si » risposi affannosamente.
« Lo so perché io riesco già a sentire il tuo tocco. La tua mano è calda e morbida, mi piace ».
Cercai di imitare il suo respiro e mi concentrai sul punto in cui immagino si trovasse la sua mano, cercai di sentirla.
Lentamente, dopo qualche minuto mi calmai.
Mi sentivo spossato.
« Come ci sei riuscito? » chiesi.
« Ho fatto concentrare la tua mente su qualcosa che non fosse la causa del tuo attacco ».
« Grazie, sei pieno di risorse » sorrisi ansimante.
« Lo so » disse con finto tono saccente, per poi passare a una lieve risata.
« Credo che dormirò un po', mi sento prosciugato » dissi mentre mi accasciavo sul pavimento.
« Dormi piccino non piangere più
la mamma ti compra un pappagallo blu,
ma se il pappagallo non sa cantar
allora un pulcino ti comprerà,
ma se il pulcino poi dormirà
allora con lui noi si sognerà...
NA NA NA NANA NA NA NA NA....
NA NA NA NANA NA NA NA NA.... » cantò.
« Che cos'era » tonai a chiedere, mentre sentivo Morfeo accogliermi tra le braccia. Aveva fatto effetto.
« È l'unico ricordo che possiedo della mia vita. Sento nella testa il canto di una giovane donna ».
« È bellissima » dissi prima di addormentarmi.

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