18 -I tuoi ricordi- (parte 1)
-Cercare di dimenticare qualcuno che ami è come...cercare qualcuno che non conosci-
(Hiyori, Noragami)
È incredibile quanto possa essere potente il pensiero di una persona. È così volubile, mutevole, distorto, contorto, debole, incomprensibile a volte; sapete? In alcuni momenti sorge spontanea una domanda: perchè?
Oh lo so, è un quesito troppo vago, ha innumerevoli risposte inconcluse, e, per l'appunto, non ha risposte adeguate. In principio è facile farsi prendere da un dubbio insistente, il problema sta proprio nel sopprimerlo. Spesso appare impossibile la soluzione, spesso è inafferrabile.
Tornando alla domanda, essa sta al principio di ogni pensiero, sì, perchè l'animo umano brama la verità e la teme e rifiuta al contempo...che cosa contorta, come una terribile ed affascinante contraddizione. Si attorciglia di continuo su se stessa, la verità, lo fa sempre, e sfugge sempre.
Così, era questo il rimorso che si portava dietro, era questa la sua debolezza. Che cosa divertente, sono sicura che se esistesse veramente qualcuno in grado di comprendere e controllare tutto, riderebbe di ciò, come se fosse il risultato di un suo nascosto, ma visibile in trasparenza, piano.
E quel sentimento? Quello che ti fa sentire così indifeso, quello che non ti lascia respirare, quello che ti divora vivo...potreste chiamarlo affetto, amore, odio, ne esistono tante di definizioni. Beh, quello è uno scherzo diabolico.
Ecco, quando questo entra in gioco, l'uomo diventa preda del proprio pensiero.
-Aki.- l'aveva chiamato una sola volta, se lo ricordava bene, era la prima settimana che stava lì, in quella base così confusionaria con le innumerevoli persone che andavano avanti e indietro.
È spiazzante, davvero, trovarsi lì in mezzo e non sapere se fare un passo a destra, a sinistra, indietro o in avanti. Ma quel giorno lo aveva sentito, il suo nome.
È disarmante come una parola possa essere così intrinseca di malinconia. Se ne era reso conto con il passare del tempo, vale a dire troppo tardi. Perchè non aveva potuto provare quel dolore prima? Avrebbe preferito durasse poco, anche se fosse stato insopportabile, al doversi contorcere tra le lenzuola stropicciate ogni sera in preda a incubi, tremiti e gocce cristalline che rigavano la sua pelle pallida, inumidendogli le guance, avrebbe quasi preferito la morte, ma era troppo egoista e si sentiva privo di coraggio per poter anelare a qualcosa di simile. Molti considerano il dolore veramente con superficialità e la verità è che pochi sono coloro ad aver sperimentato quella stretta così forte al cuore da farti piegare in due, non per il dolore fisico, quello è troppo scontato, ma per frustrazione, per rabbia, per tristezza, per quelle emozioni che urlano dentro la testa e gridano, a squarciagola, consumandoti.
-Aki.- ti prego, ripetilo, ripetilo all'infinito, fa che prenda il controllo, costringilo a prendere il sopravvento, ma ti prego, ricordalo.
Il ragazzo lasciò cadere il proprio corpo su una sedia, vicino al tavolo olografico, a peso morto, strinse i pugni, conficcando le unghie nei palmi.
-Devi parlarne. Devi...- Leia si appoggiò al bordo del tavolo, in attesa.
-Non è...-
-Facile? Che cosa banale da dire, tuttavia, tu meglio di chiunque dovresti sapere che raramente qualcosa lo è.-
Aki sollevò il viso, mostrando un volto stanco, contornato da ciocche disordinate di capelli chiari, un color quasi argento, che a Leia avevano sempre ricordato i raggi del sole sulla neve, in particolare quelli di un'alba gelida, ma spettacolare. Poteva parere un viso stremato da numerose notti insonni, ma il generale vi vedeva qualcosa che nemmeno lui riusciva a riconoscere: quegli occhi racchiudevano una forza devastante.
Aki inspirò, sentendo l'aria fredda congelargli i polmoni.
-Ok.-acconsentì, lasciando cadere la testa in avanti, chinando il capo e osservando con curiosità le proprie dita contorcersi e stringere il tessuto della maglia, per poi fermarsi improvvisamente.
-Vede? Io non sono molto bravo ad orientarmi, rischio sempre di perdermi, lei lo sa, mi conosce.
Si ricorda il mio primo giorno alla base, quella vecchia?...ero così smarrito, avevo appena perso il mio equipaggio, la mia famiglia, i miei amici per mano del Primo Ordine. La guerra non è solo una battaglia, non è fatta solo di scontri, vittorie e sconfitte; molto spesso ti trascina a forza con sè, anche se non ne fai parte.
Ecco, quel giorno la mia testa si era spenta, forse per stanchezza, ma avevo deciso di dedicare almeno qualche ora al non pensare. È bello quello stato di quiete, lo sa? Ti fa sentire come se il dolore non esistesse.
Tuttavia, non posso ringraziarla per essere qui, vivo, non adesso e temo che non ne sarò mai in grado. Generale, non fraintenda, ma io non so nemmeno se quello che provo sia nostalgia o odio, è complicato capire se stessi.
Yoori era una persona piuttosto semplice, non so se lei lo conoscesse a fondo, ma io vi vedevo una bellezza sorprendente, in ogni suo aspetto.
Non era stato un incontro particolare il mio e il suo, il nostro, non come si potrebbe immaginare, ma era stato un affetto cresciuto con il tempo, qualcosa di così puro e fragile. Una volta mi aveva strattonato, afferrandomi per la giacca, sbattendomi contro il muro, chiedendomi urlando se volevo morire, se ci tenevo tanto. Io avevo ancora lo sguardo perso di un ragazzo distrutto, me l'aveva fatto notare lui, mi sembrava che quasi lo disprezzasse.
Quella volta non gli risposi, non lo feci nemmeno la seconda o la terza, poi lui non urlò più e mi lasciò andare.
Lo odiavo e forse lo odio ancora, non riuscivo a sopportare il suo essere così speciale nella sua semplicità. E un giorno mi disse che mi amava e no, non disse una sillaba, per quanto le sue parole fossero in grado di esprimere con una sincerità spiazzante i suoi pensieri, mi prese semplicemente per il colletto e mi baciò, all'improvviso e senza spiegazione, in una mattina di primavera particolarmente nuvolosa. Rimasi spiazzato. Subito dopo mi disse che adorava i miei capelli, gli ricordavano tanto le stelle, quelle di una notte buia, persa e silenziosa. Le stelle. Potevo davvero essere paragonato ad una cosa del genere? Sorrisi.
Non lo sopportavo, era fissato con l'ordine e con i miei capelli, un mix assurdo.
Le persone ferite sono così tragicamente stupende ed io, ai suoi occhi, ero tremendamente affascinante.
Non ho mai visto debolezza in lui, ma il dolore, quello sì, l'ho visto, come una tempesta improvvisa che non lascia niente se non un terreno fangoso in cui affondare. Ecco, quella mattina pioveva a dirotto; una maledetta missione, in un posto così inospitale.
Eravamo inseguiti, correvamo da ore verso Nord, con il fiato corto, la nave danneggiata lasciata indietro. Ci fermammo, scontrandoci bruscamente contro una parete umida di roccia, lui mi guardò e per la prima volta in vita mia provai un terrore assurdo. Avevo una paura tale che quasi mi sentivo soffocare, ma non volevo smettere di guardare i suoi occhi scuri, intensi, color del mare e, in quel momento, li vedevo tremare, velati dalle lacrime accumolate e non fatte scendere.
Lì il primo sparo, un rimbombo nell'aria, le rocce sgretolate poco sopra le nostre teste.-
Aki alzò lo sguardo, facendo smuovere la chioma chiara, non curandosi delle varie ciocche che gli erano finite sugli occhi, che in quel momento fissavano quelli del generale. Avevano una luce strana, triste e quasi terrorizzante.
In quel silenzio, si sentiva il suo respiro irregolare.
-Siamo così deboli, eh? Hanno paura del buio e non vogliono affrontarlo, quindi cercano di dimenticarlo scappando temporaneamente da esso. Gli umani sono creature molto deboli. Sono sempre così indifesi, l'unica cosa che possono fare è scappare; sono estremamente fragili, dovresti saperlo. - intervenì improvvisamente Leia, guardando il suo sottoposto con apparente calma.
-Non Yoori.- sussurrò Aki.
-No! Lui non lo era!- urlò.
-Debole? Lo siamo tutti, Aki.-
Aki si zittì, non sapendo come controbattere.
-Non fermarti, raccontarlo ti alleggerirà di un peso che porti da troppo tempo.-
Seguì un lungo silenzio, forse Aki stava cercando di capire.
-Cadiamo vittime delle più grandi banalità, e non siamo in grado di rialzarci. È questo che mi sta dicendo? Che non c'è modo di dimenticarlo?- Leia non rispose.
-Se è così, mi rifiuto di vivere in questo modo, sto lottando inutilmente dopo tutto.
Mi lasci finire.
...dopo quello sparo, mi sembrò di sentire un fischio continuo, quel colpo doveva essere ravvicinato, poichè fu facile, poco dopo, per i soldati afferrare un corpo a qualche metro di distanza da me.
Non smetto di chiedermi...se avessi fatto qualcosa, se avessi reagito, sarebbe cambiato qualcosa? -
Potremmo anche essere deboli, io potrei esserlo, ma è per questo che non mi arrendo.
-Ho visto spesso la morte e ancora adesso non riesco ad accettarla, ma se penso ad essa come parte del flusso che tiene legato quest'universo, in qualche modo, il dolore si allevia. All'improvviso, questo mi ha terrorizzato.-
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