🥀1. L'albero di Natale mostruoso🥀(Revisionato)


Pov Darcie

Era la vigilia di Natale e la mia casa di famiglia era nascosta tra i boschi innevati, sembrava un luogo uscito da un sogno antico.

Le cime degli abeti si chinavano sotto il peso soffice della neve, riflettendo così i raggi della luna in una danza di luci argentee.

Avevo insistito affinché i miei amici venissero qui, desideravo una pausa da quel caos della città, un rifugio che ci regalasse qualche giorno di pace e di allegria semplice, lontano dalle incombenze dell'università.

La casa stessa era un santuario di legno e pietra, una fortezza accogliente contro il gelo dell'inverno.

Le travi scure del soffitto sembravano delle mani protettive che ci avvolgevano, mentre le grandi finestre incorniciavano il paesaggio innevato.

Nella sala principale, accanto al camino crepitante, un albero di Natale maestoso troneggiava come un re.

Era decorato con palline rosse e argentate, stelle di vetro che riflettevano il calore del fuoco e delle luci scintillanti che sembravano respirare insieme a noi.

Eppure, nonostante l'atmosfera perfetta, c'era un'inquietudine sottile che mi serrava la gola.

Non era nulla di concreto, solo una sensazione fugace, come un'ombra nascosta appena oltre il limite della mia vista.

Mentre i miei amici ridevano e chiacchieravano, mi ritrovai a guardare Magnus più spesso di quanto avrei voluto.

Era impossibile ignorarlo, siccome la sua presenza riempiva la stanza senza alcun sforzo.

Aveva le spalle larghe e una statura imponente, ma c'era una grazia nei suoi movimenti, una precisione che trasmetteva tranquillità e che lo rendeva diverso da chiunque avessi mai conosciuto.

Stava sistemando un grosso tronco nel camino con le sue mani grandi, coperte da guanti di lana consumati.

I suoi capelli scuri erano arruffati, come se il vento li avesse spettinati poco prima di entrare, e il suo viso, scolpito come quello di una statua antica, portava una calma che mi faceva sentire al sicuro.

I suoi occhi, di un nero intenso, si sollevarono e incontrarono i miei per un istante.

Poi un sorriso sottile, quasi timido, piegò le sue labbra.

Durò solo un attimo, ma il mio cuore perse un battito.

Non me lo sarei aspettata da lui, sinceramente.

Era solo un sorriso... o significava qualcosa?

Magnus non era tipo da parlare molto, anzi non parlava quasi mai.

Osservava solamente, era questo che mi incuriosiva di lui.

Il fatto che osservi attentamente ogni mio movimento e ogni mia espressione.

La sua gentilezza si manifestava nei piccoli gesti, mi passava la coperta quando pensava che avessi freddo, o mi offriva una tazza di cioccolata calda senza che glielo chiedessi.

Ogni volta che lo faceva, sentivo un calore strano che non aveva nulla a che fare con la bevanda fumante.

Però... la cosa che mi tormentava era cercare di capire che cosa gli passava per la testa.

Notavo spesso che dopo qualche sguardo si perdeva nei suoi pensieri.

Per me era come un enigma e io amo risolverli.

Notai che...

Mi ero innamorata di lui, anche se non glielo avevo mai detto.

Non riuscivo a dirglielo, ogni volta che ci provavo c'era qualcosa che me lo impediva, ma non capivo cosa.

Era un segreto che custodivo come una fiamma fragile, troppo preziosa per essere esposta al vento.

La stanza era piena di vita.

Ma la mia si consumava molto in fretta, mi sentivo vuota e priva di ogni pensiero.

Jared, con il suo fisico asciutto e la sicurezza che traspariva da ogni suo movimento, rideva a una battuta di Cedric.

Aveva dei occhi marroni e penetranti, sempre attenti e pronti a cogliere il prossimo spunto per una battuta tagliente.

Avrei voluto essere così anche io, spensierata e allegra, senza badare a quello che succederà dopo.

Purtroppo però mi era impossibile, non riuscivo a togliere quel peso sul cuore.

Cedric, d'altra parte, era il vero centro della conversazione.

I suoi capelli rossi come il fuoco erano spettinati in un modo che sembrava studiato e il suo sorriso malizioso era quasi contagioso.

Ogni ragazza gli rivolgeva uno sguardo timido e lui non se ne accorgeva nemmeno.

E' un ragazzo dal cuore d'oro e farebbe di tutto per proteggere le persone che ama.

Daphne invece, rannicchiata sul divano era la dolcezza incarnata in persona.

I suoi lunghi capelli castani raccolti in una morbida coda incorniciavano il suo viso delicato.

Gli occhi nocciola, pieni di curiosità, brillavano alla luce del fuoco che scoppiettava.

Stringeva una tazza di cioccolata calda con entrambe le mani, come se volesse assorbirne ogni goccia di calore, mentre le sue guance arrossate dal calore sembravano petali di rosa.

Era una ragazza vivace e spensierata, ma quando si chiudeva in se stessa desiderava solamente sparire da tutto e da tutti.

Quelle sue iridi la raccontavano lunga, conoscevo perfettamente il suo passato e non era per niente rosa e fiori.

Infine c'era Suzumi, era un'ombra che traspariva eleganza.

I suoi lunghi capelli neri e lisci le cadevano sulle spalle come seta, incorniciando un volto pallido e misterioso, con due pozze nere che sembravano sapere molto più di quanto dicesse.

Era seduta vicino al fuoco, apparentemente assorta nei suoi pensieri, ma ogni suo movimento trasmetteva una vigilanza silenziosa, come se nulla potesse sfuggirle.

Lei più di tutti è tormentata dal suo passato, tanto oscuro quanto la sua anima in quel momento.

Voleva poter sparire da quel mondo, orrido e imprevedibile.

Eravamo molto simili, io non potevo dire di avere un passato che spiccava.

Ma cercavo di cicatrizzare ogni ferita, ogni giorno lottavo con me stessa con scarsi tentativi.

Non riuscivo a migliorare e questo mi distruggeva sempre di più.

Ero lì, in mezzo a loro, cercando di convincermi che tutto fosse perfetto.

Eppure, non riuscivo a liberarmi di quella sensazione.

Ogni risata sembrava riecheggiare troppo a lungo, come se la stanza stessa trattenesse qualcosa.

Ogni ombra, ogni sussurro, portava con sé un peso inspiegabile nel mio cuore.

Poi, quando l'orologio scoccò la mezzanotte, il silenzio fu spezzato da tre colpi alla porta.

Erano secchi.

Decisi.

E ci fecero sobbalzare tutti.

Il silenzio calò su di noi come un'ombra soffocante.

Ogni risata si spense, ogni respiro si fece più pesante.

Magnus fu il primo a reagire.

Si alzò con una rapidità che contrastava con la sua stazza imponente.

La sua figura dominava la stanza, era alto, con spalle larghe e muscoli che si delineavano sotto la maglia spessa, sembrava un bastione inamovibile.

Il suo volto, solitamente calmo, era adesso teso, quelle due pozze nere erano fisse sulla porta con un'intensità che mi fece rabbrividire solamente a quella vista.

Dietro di lui, Jared si mosse, era meno massiccio ma altrettanto deciso.

I suoi lineamenti scolpiti, sempre pronti a piegarsi in un sorriso sarcastico, erano ora altrettanto rigidi.

Serrò la mascella e le vene sulle mani si gonfiarono mentre afferrava l'attizzatoio dal camino, pronto a usarlo come arma.

I suoi capelli castano chiaro, solitamente spettinati in modo studiato, ricadevano sulla fronte, ma lui non si prese nemmeno il tempo di scostarli.

Mi sentivo paralizzata.

Le mie mani tremavano mentre afferravo la maniglia della porta, un gesto che mi sembrò infinito.

Le voci dei miei amici sembravano lontane, ovattate, come se la realtà si stesse ritirando, lasciandomi sola con quella paura crescente.

Quando finalmente aprii la porta, un vento gelido si riversò nella stanza come un fiume in piena, spegnendo le candele e facendo tremare le luci sull'albero.

Mi sembrò che il gelo mi attraversasse il petto, fermandomi il respiro.

E allora lo vidi.

Davanti a noi si stagliava la figura di un uomo.

Era alto, ma c'era qualcosa di sbagliato nella sua postura, come se le sue spalle fossero piegate da un peso invisibile.

Indossava un costume da Babbo Natale, ma era ridotto a brandelli, il rosso del tessuto era scolorito e macchiato di terra, mentre la barba, grigia e arruffata, sembrava più simile a un nido di sterpaglie che a qualcosa di umano.

Ma furono i suoi occhi a pietrificarmi.

Non c'era nulla in quei due abissi neri, solo un vuoto che sembrava risucchiare la luce stessa. Quando si posarono sulla mia figura, mi sembrò che il tempo si fermasse.

"Buon Natale, ragazzi," disse.

La sua voce era roca e stridula, come un vecchio carillon spezzato.

Le parole uscirono lente, cariche di una malizia che non poteva essere fraintesa.

Poi lasciò cadere a terra un sacco nero che teneva sulle spalle e il suono sordo del suo impatto fece eco nella stanza come un presagio.

Il sacco si mosse.

Un brivido mi percorse la schiena.

Jared fece un passo avanti, stringendo più forte l'attizzatoio.

"Cosa diavolo c'è lì dentro?" mormorò, ma nessuno di noi riuscì a rispondere.

Il sacco si aprì e ciò che ne uscì superò i miei peggiori incubi.

Era un albero.

O perlomeno, sembrava quello.

I suoi rami erano neri, contorti, simili a dita scheletriche che si allungavano nell'aria.

Le radici si muovevano come serpenti, strisciando sul pavimento in cerca di qualcosa da afferrare.

Le luci natalizie che lo avvolgevano non erano normali: brillavano di una luce malvagia, pulsante, come se fossero vive.

E le palline... Dio, le palline.

Non erano decorazioni: sembravano occhi, degli occhi che si aprivano e si chiudevano, fissandoci con uno sguardo famelico.

Magnus non esitò.

Si mosse con una rapidità che non avrei mai immaginato in un uomo della sua stazza, afferrando l'ascia accanto al camino.

I suoi movimenti erano decisi, precisi, ma nei suoi occhi c'era qualcosa che non avevo mai visto, paura.

Non per sé, ma per noi.

"Indietro!" ruggì con una voce che riempì la stanza.

Jared si affiancò a lui, l'attizzatoio sollevato come una lancia.

"Che diavolo è quella cosa?" gridò, ma nessuno aveva una risposta.

Daphne, seduta fino a poco prima sul divano, lasciò cadere la tazza di cioccolata calda. Il liquido si sparse sul tappeto, ma lei non se ne accorse nemmeno.

I suoi occhi erano spalancati, e le mani coprivano la bocca in un gesto istintivo. Era come una bambola di porcellana incrinata, fragile e terrorizzata.

Suzumi, invece, non si mosse. Rimase ferma accanto al camino, il suo volto pallido più immobile che mai.

I suoi occhi scuri, profondi e insondabili, fissavano l'albero come se lo riconoscessero.

"Non è possibile," sussurrò, ma le sue parole erano quasi inghiottite dal suono dei rami che strisciavano sul pavimento.

"Correte!" urlò Jared, con un tono così disperato che mi scosse dalla mia paralisi.

Ci disperdemmo nella casa, il terrore che ci spingeva a muoverci senza pensare.

Magnus e Jared rimasero indietro, pronti a fronteggiare quell'abominio.

L'ultima cosa che vidi prima di girare l'angolo fu Magnus, con l'ascia alzata, il volto scolpito in una maschera di determinazione feroce.

Poi il buio della casa mi avvolse, e il rumore dei miei passi si mescolò ai suoni spaventosi che provenivano dalla sala.

Magnus mi afferrò per il polso prima che potessi scappare troppo lontano. La sua presa era ferma, rassicurante, ma anche carica di urgenza.

"Stai dietro di me," disse con voce decisa, i suoi occhi scuri che brillavano di tensione sotto la luce incerta delle candele morenti.

Il suo volto, solitamente calmo e rassicurante, era ora rigido come una maschera, con la mascella serrata e il sudore che gli colava dalla fronte.

Non era il Magnus che conoscevo nei momenti di quiete; ora era un guerriero.

"Non posso lasciarti fare tutto da solo," sussurrai, il cuore in gola mentre cercavo di nascondere il panico che mi invadeva.

Lui esitò un istante, poi mi sfiorò la mano con le sue dita ruvide.

Quel gesto, semplice e fugace, mi trasmise più sicurezza di quanto le sue parole avrebbero mai potuto fare.

"Non mi interessa di me," disse piano, quasi sottovoce. "Mi interessa di te."

Il mio cuore si fermò per un attimo.

Volevo rispondere, dirgli qualcosa, ma non c'era tempo.

Un suono orribile, come legno che si spezza e radici che si trascinano, si fece sempre più vicino.

L'albero ci aveva trovato.

Il corridoio si riempì di oscurità.

I rami neri, contorti come artigli, si allungarono verso di noi. .

Magnus reagì immediatamente, spingendomi dietro di sé con una forza che mi fece barcollare.

"Indietro!" urlò, alzando l'ascia che aveva preso dal camino.

Un ramo si lanciò contro di lui, cercando di avvolgerlo, ma Magnus lo respinse con un colpo netto.

Il legno emise un suono simile a un urlo, e l'albero si ritirò momentaneamente.

◇◇◇◇

Stavo correndo verso le scale, il cuore che batteva forte, quando un urlo squarciò l'aria.

Mi girai di scatto, il sangue che mi gelava nelle vene.

Era Cedric.

Lo vidi, il suo viso contorto dalla paura, gli occhi spalancati, la bocca aperta in un grido disperato.

I rami dell'albero oscuro lo afferravano, strappandolo via con una forza che non potevamo combattere.

Le sue grida rimbombarono contro le pareti, riempiendo l'aria, finché non si spensero, inghiottite dal buio.

"No!" urlò Jared, il volto distorto dalla rabbia e dal dolore. Si lanciò in avanti, ma Magnus lo fermò con un gesto deciso, afferrandolo per la spalla con una forza che mi sembrò quasi eccessiva.

"Non possiamo fare niente per lui," disse con una calma inquietante, la voce grave, ma determinata.

Le parole di Magnus mi colpirono come un pugno nello stomaco. Non potevamo fare niente. Cedric era già perduto.

E poi, Suzumi.

La vidi, la sua figura fragile che lottava contro i rami che la avvolgevano.

I suoi capelli neri si muovevano come un fiume di inchiostro, ma la sua bellezza, solitamente così calma, ora era scolpita dalla paura.

I suoi occhi, che di solito mi sembravano così misteriosi, erano pieni di terrore. La sua voce, solitamente pacata e misurata, ora era straziata, "Correte!" gridò, ma non riuscì a liberarsi.

La oscurità la inghiottì in un attimo, come se nulla fosse mai stato.

Le lacrime mi bruciarono gli occhi, ma non avevo tempo di piangere.

Non c'era tempo. Magnus mi prese per il braccio, tirandomi via da quella scena che mi stava soffocando. "Non possiamo fermarci," disse con voce ferma, ma spezzata, piena di dolore.

Mi guardò con quegli occhi grigi che sembravano capire la disperazione che mi stava lacerando, ma al tempo stesso mi incitavano a non arrendermi.

La sua mano sul mio braccio era forte, ma non crudele.

Mi costrinse a correre, anche se il mio corpo sembrava pesante, come se volesse fermarsi.

Volevo urlare, volevo fermarmi a piangere, ma sapevo che non potevo.

Non avrei mai potuto fermarmi.

La figura di Suzumi scompariva nel buio, il suo corpo inghiottito dalla tenebra.

Eppure, mentre correvo, sapevo che c'era una cosa che non avremmo mai potuto cambiare, non avevamo perso solo Cedric e Suzumi.

Avevamo perso una parte di noi stessi.

Ma Magnus non mi lasciò fermare.

La sua determinazione mi spingeva in avanti, un passo dopo l'altro, mentre il freddo mi paralizzava, ma il suo sguardo mi diceva che dovevo andare avanti.

Non c'era tempo per fermarsi.

"Non possiamo fermarci," ripeteva nella mia mente.

E, nonostante il dolore che mi attanagliava, non c'era altro da fare che correre.

◇◇◇◇

Il piano superiore era immerso in una semi-oscurità che sembrava opporsi al nostro respiro affannato.

Ci chiudemmo in una stanza, la porta sbattuta con un'energia che non corrispondeva più alla nostra stanchezza, ma alla paura. Il silenzio che seguì sembrava pesante, quasi opprimente.

Solo il suono dei nostri respiri affannosi riempiva l'aria.

I miei polmoni bruciavano per lo sforzo, ma il peso che sentivo nel petto non era dovuto solo alla fatica fisica.

Jared era pallido, i lineamenti del suo volto scolpiti dalla rabbia e da una disperazione che non riuscivo a ignorare.

I suoi occhi erano scuri, come se avessero già visto troppo, eppure la sua mente non riusciva a staccarsi da quella visione terribile.

Mi fissò intensamente, come se cercasse un appiglio, una risposta che non trovava.

"Non possiamo lasciare che sia stato tutto inutile," disse, la voce vibrante di emozione.

"Se vogliamo fermarlo, dobbiamo distruggere il sacco." La sua voce tremò alla fine della frase, come se avesse paura di dirlo ad alta voce, di ammettere che quello fosse l'unico modo.

Magnus, come sempre, si ergeva come una torre di calma, la sua figura alta e solida come una roccia.

Lo guardai mentre si alzava lentamente, il suo corpo che sembrava non accusare il peso di tutto ciò che avevamo affrontato.

"Ci penserò io," disse, la sua voce bassa, ma straordinariamente sicura.

Sembrava già avere in mente tutto, ogni movimento, ogni passo che avrebbe fatto per distruggere il sacco. Era come se, in quel momento, fosse l'unica cosa che potesse realmente fare.

"No!" esclamai, il mio cuore che batteva in gola. Non ci avevo nemmeno pensato prima di urlarlo.

Mi lanciavo verso di lui, le mani tremanti mentre gli afferravo il braccio. La sua pelle era calda sotto le dita, il muscolo teso e solido, come se fosse fatto di acciaio. La sensazione mi fece sentire una morsa allo stomaco.

"Non puoi andare da solo!" Il mio sguardo implorante non riusciva a mascherare la paura che mi attanagliava. Sapevo quanto fosse determinato, ma non volevo perderlo. Non potevo.

Lui mi guardò, il suo viso così vicino al mio che il respiro diventò difficile da contenere.

I suoi occhi grigi, solitamente così inaccessibili e impassibili, si riempirono di una dolcezza che mi fece vacillare.

C'era qualcosa di vulnerabile in lui, come se il peso del mondo che portava sulle spalle fosse troppo per uno solo, eppure io ero la sua ancora.

"Darcie," disse, il mio nome che scivolava dalle sue labbra come una promessa che non avevo mai sentito prima.

Mi guardava come se volesse dirmi mille cose, come se avesse una vita da raccontarmi in quell'unico sguardo.

La sua mano si alzò delicatamente, sfiorando il mio viso con la leggerezza di un tocco che non aveva parole.

Era come se ogni suo movimento volesse trasmettermi tutto ciò che non riusciva a dire, una dolcezza che mi strinse il cuore.

"Tornerò," disse, le parole quasi impercettibili, ma potenti come un giuramento.

Mi sentivo come se stessi perdendo la presa su di lui, come se quel momento stesse sfuggendo tra le mie dita.

Non riuscivo a nascondere il tremito della mia voce quando dissi, con difficoltà, "Stai attento." La mia voce si incrinò, le lacrime che cominciavano a scendere, come una pioggia che non riuscivo a fermare.

L'emozione mi sopraffece, e la paura che non potesse tornare mi fece stringere il cuore.

Lui annuì, il suo sguardo mi penetrava come un faro nella notte oscura.

Non disse altro, ma c'era qualcosa nei suoi occhi che mi dava speranza, anche se la mente mi diceva che non c'era nulla di certo.

Poi, si voltò, e con un ultimo sguardo che sembrava carico di tutto il peso che avevamo sopportato, uscì dalla stanza, seguito da Jared.

Li guardai sparire dietro la porta chiusa. Il suono dei loro passi che si allontanavano si mescolò al battito del mio cuore, che sembrava accelerare a ogni secondo che passava.

Quel momento, quell'attimo di separazione, mi fece sentire più sola che mai.

Ma dentro di me, nonostante il terrore e il dolore, sapevo che dovevo fare affidamento su di loro.

Avevamo ancora una possibilità.

Avevo ancora la speranza che sarebbero tornati.

◇◇◇◇

Stavo fissando dalla finestra, il cuore in gola, mentre osservavo Magnus affrontare l'albero oscuro.

Ogni suo movimento era rapido, preciso, ma non privo di una feroce determinazione che rispecchiava la sua forza interiore.

Il suo corpo, teso e muscoloso sotto il giaccone, sembrava uno con l'ascia, uno strumento perfetto contro quella creatura maledetta.

Ogni colpo che infliggeva all'albero faceva tremare i rami, che si contorcevano come serpenti assetati di vendetta.

Eppure, Magnus non indietreggiava.

Il suo volto, normalmente impassibile, era ora segnato da una concentrazione feroce, ma anche da una stanchezza palpabile, come se ogni singolo movimento fosse il frutto di uno sforzo enorme.

Nel frattempo, Jared si stava avvicinando al sacco, il suo volto pallido ma risoluto.

La mano stringeva saldamente l'attizzatoio, la sua figura determinata, ma anche consumata dalla tensione.

La luce che filtrava dalla finestra sembrava scomparire intorno a lui mentre si avvicinava al nemico.

Con un colpo deciso, Jared colpì il sacco, e in quel momento l'aria si lacerò con un urlo disumano, profondo e straziante.

Un urlo che sembrava provenire dall'inferno stesso, come se la creatura stesse cercando di trattenere la sua stessa esistenza.

I rami dell'albero si contorsero, afferrando l'aria con forza, cercando di afferrare Magnus.

Ma lui non si fermò.

Continuò a battere con l'ascia, senza paura, senza esitazione. Ogni suo colpo era un atto di volontà, un atto che risuonava nella stanza come un eco di speranza, come se stesse sfidando l'oscurità stessa.

Poi, il sacco esplose.

Una luce accecante e ombre contorte travolsero la stanza, come un turbine di potere che inghiottiva tutto.

L'albero crollò in un istante, ridotto in cenere, la sua malvagità dissolta nell'aria.

Il silenzio che seguì fu pesante, quasi irreale.

Ma tra la polvere e la luce che lentamente svanivano, vidi Magnus cadere a terra.

Non sul pavimento, ma proprio a terra, come se la forza che lo aveva sorretto fino a quel momento fosse stata finalmente esaurita.

Il suo corpo crollò con un peso che sembrava aver accumulato per tutto il tempo.

Il respiro che gli sfuggiva era affannoso, il petto che si sollevava e abbassava con difficoltà.

L'ascia gli sfuggì dalle mani, rotolando via sul terreno, ma nessuna forza sembrava in grado di sollevarlo.

Le gambe tremavano mentre scendevo le scale, il mio corpo come paralizzato dalla paura e dal sollievo allo stesso tempo.

Quando raggiunsi Magnus, mi inginocchiai accanto a lui, il cuore che martellava nel petto. Lo guardai, il suo volto segnato dalla fatica, ma c'era una luce nei suoi occhi, quella che solo chi ha lottato fino all'ultimo respiro può avere.

"Sei ferito?" chiesi, la voce tremante, le mani che cercavano di toccarlo, come se volessi confermare che fosse davvero lì, che non l'avrei perso.

Lui scosse lentamente la testa, il suo sorriso comparve per un istante, debole ma luminoso, come una stella in una notte senza fine.

"Ti avevo detto che sarei tornato," disse, e quelle parole furono più forti di qualsiasi colpo d'ascia, più potenti di qualsiasi urlo o luce.

Le lacrime iniziarono a scendere, ma non erano lacrime di paura.

Non erano lacrime di dolore.

Erano lacrime di sollievo, di gioia che esplodeva nel mio cuore, come un fiore che sboccia nel gelo.

Lo abbracciai, sentendo la sua pelle calda sotto le mie mani, il suo cuore che batteva forte, più forte di qualsiasi guerra che avevamo affrontato.

In quel momento, il mondo sembrava essersi fermato. 

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