Capitolo 1.

Un'altra delle solite giornate sta per iniziare, ma questa città, questa vita e tutti i ricordi che vi appartengono, ormai non hanno più niente a che fare con me. Devo andarmene, e anche al più presto. Ho bisogno di sparire e allontanarmi da qui, e per farlo dovrò immedesimarmi come le comuni adolescenti di questo mondo, sarà molto difficile, ma ci riuscirò! Devo riuscirci assolutamente o la mia vita non sarà più sicura.

Ero sdraiata sul mio bellissimo e adorabile letto da ormai due giorni, non mi andava di fare niente se non restarmene qui a rimuginare sui miei millesimi errori. Questa casa e tutto il calore che essa trasmetteva un tempo, ormai era sparito portandosi dietro di se, tutti i ricordi di una vita.

<< Pigrona, alzati da quel fottuto letto e vieni giù. O altrimenti vengo a prenderti io, e sai che non sono affatto delicata! >> ad interrompere i miei pensieri è una vocina alquanto famigliare, ed è proprio la sua finezza ad essere irriconoscibile: Jennifer.

Bene, mi ero completamente dimenticata che oggi sarebbe tornata dal suo viaggio. Poteva avvisarmi un pochino prima, mi sarei preparata psicologicamente per parlare seriamente.

Dovevo informarla sulle decisioni che avevo preso in questi giorni, so al cento per cento che non le staranno bene, ma non mi interessa devo proteggerla, tenerla lontano dai guai e sopratutto non è più sicura accanto a me. Perciò dovrà accettare per forza.

<< Arrivo, arrivo. >> urlo in risposta alla mia dolce amica, con un sorrisetto che già stava spuntando sul mio volto, la mia raffinata migliore amica non amava per niente aspettare e se non scendo tra due minuti sale su lei e chissà cosa usa per farmi alzare, e al momento non ne ho voglia. Così mi precipito di sotto e nella corsa per le scale, per poco non faccio un volo rischiando di finire a testa in giù, suscitando le forti risate di Jennifer che dopo viene in mio soccorso abbracciandomi forte.

Quanto mi erano mancati i suoi abbracci, gli unici che potevo ancora ricevere per sentirmi meglio.

<< Solito equilibrio di un elefante all'interno di un negozio di cristalli. >> dice con il suo sorriso divertito dipinto in viso. Nonostante le sue battute, alle volte molto stupide e squallide, riusciva sempre a farmi spuntare un sorriso anche quando non avevo nessun motivo di farlo.

<< Gentile come sempre vedo. >> le rispondo cominciando a ridacchiare anche io, staccandomi da lei per sedermi subito dopo sullo sgabello della mia cucina, e lei fa lo stesso squadrandomi a fondo il viso per poi parlare: << Che cazzo hai fatto all'occhio? >> mi dice sussultando e aspettandosi una mia risposta.

Per non rovinare la vacanza a Jennifer non le avevo detto niente di quello ch era sucesso in quella maledetta sera, ma era la mia migliore amica, e aveva tutto il diritto di saperlo. Così le racconto tutto per filo e per segno. 

FLASHBACK.

Ormai Jennifer faceva parte della mia famiglia, l'unica realmente che avevo. Mi teneva compagnia ogni giorno, e mi voleva bene e io ne volevo a lei. Sentimenti per me sconosciuti fino al suo arrivo.

Quella sera le avevo chiesto di restare da me per guardarci un film horror, e ovviamente lei aveva accettato, ma durante la serata non ero riuscita a seguire neanche per un po' il film, mi sentivo strana come se qualcosa stesse per accadere, qualcosa di brutto intendo.. e Jennifer capì subito che c'era qualcosa che non andava.

<< Char, tutto bene? >> mi chiese lei mettendomi una mano sulla spalla in segno di conforto.

<< Certo tutto bene.>> risposi io non distogliendo lo sguardo dal televisore, sapevo benissimo che se l'avrei guardata negli occhi anche per un solo secondo, avrebbe capito capito tutto. 

Jennifer non aveva creduto al mio “tutto bene” sapeva tutto di me, ogni minima cosa e sapeva benissimo, sopratutto che avevo periodi strani in cui ero in un altro pianeta e non pensavo a niente. Come se staccassi per un po' il cervello, a volte capita, ma ultimamente succedeva più spesso.

Passammo il resto della serata alla visione del nostro film, e con delle semplici parole riuscii a tranquillizzarmi, finché verso mezzanotte dovette andare via perché l'indomani sarebbe dovuta partire per due giorni con i suoi genitori, si erano offerti di portare anche me, ma avendo una famiglia fuori, e sperando in un loro ritorno rifiutai la proposta, anche se con molto dispiacere.

Non riuscì a dormire e così mi misi a sistemare il salone, buttando le lattine di coca-cola che ci eravamo bevute, i pop corn finiti a terra dallo spavento di alcune scene e le varie cartacce. Amavo l'ordine e la pulizia perciò ogni cosa doveva essere al suo posto.

Poco dopo sentì una piccola esplosione provenire dal giardino, e la finestra frantumarsi in piccoli pezzettini di vetro che raggiunsero poco dopo il pavimento molto vicino a dove mi trovavo io, e uno in particolare mi colpì proprio sotto l'occhio; seguito da una folata di vento. D'impulso mi allontanai dalla finestra ma venni raggiunta da un uomo sconosciuto, saltato poco prima dalla finestra rotta. Indietreggiai all'istante, leggermente preoccupata ma quell'uomo si avvicinò a me.

<< Sei Charlie, non è vero? >> chiese con voce piuttosto bassa, chi era questo sconosciuto, e che cosa voleva da me?

<< Chi sei? >> risposi semplicemente ancora intimorita incrociando poi le braccia al petto e alzando lo sguardo fisso sul suo, per mostrarmi sicura..

<< Non ti deve importare chi sono, sappi solamente che i tuoi genitori sono morti in un incidente stradale poco fa e la macchina è esplosa, dei corpi ne è rimasta solo polvere.>> dice lui, alle sue parole spalancai gli occhi che divennero in poco tempo lucidi lasciando uscire una piccola lacrima che mi rigò la guancia.

<< Chi sei tu? E come fai a sapere dei miei genitori? >> ripetei cercando di mantenere una voce più calma possibile.

<< Non devi sapere chi sono, presto ti troveremo e farai la stessa fine dei tuoi genitori, così finalmente potremo governare noi, senza più nessun Johnson tra i piedi!>> rispose lui con una risata raccapricciante, c'era altro sotto, non era possibile una cosa del genere, mi rifiutavo di crederci. Ma poco dopo mi porse un bracciale con un ciondolo a cuore e incisi sopra le iniziali “C”, “S” e “J”.

Strappai il bracciale dalle mani di quell'uomo, stringendolo forte nella mano chiusa a pugno. Non credevo a ciò che aveva detto, non erano morti in un incidente d'auto, qualcosa mi diceva che era stato lui ad ucciderli. E dovevo scoprire come, la verità presto dovrà venire a galla.

Infilai velocemente il bracciale nella tasca dei pantaloni e mi avventai su quell'uomo reggendolo per il colletto della maglietta e spingendolo, finché non cadde sul pavimento, lo tenni fermo con le braccia perché non potesse scappare, ma era un idea stupida sfidare un uomo molto più grosso di me, sicuramente era più forte.

<< Non è vero che sono morti in un incidente, sei stato tu vero? Rispondimi o ti ammazzo. >> dissi con voce da dura, guardandolo con aria da sfida. Dal collo spuntava un tatuaggio di una pistola, simile a quella che avevo visto nascondere a mio padre.

<< Senti ragazzina, non sono affari tuoi pensi che mi fai paura è?

Sei solo una stupida ragazzina, non sei più al sicuro e ben presto succederanno cose molto brutte per te, e per le uniche e rare persone che ti staranno accanto, ad esempio... >> si interruppe solo per fare una piccola risatina, divertito su ciò che stava dicendo, mi fece arrabbiare ancora di più, ma dovevo mantenere la calma.. << com'è che si chiama quella tua amica.. mh? Jennifer, ecco lei. E poi non avrai nessuno che potrà difenderti. >> ride, rispondendo a sua volta.

Non deve neanche azzardarsi a toccare Jennifer, ne lui, ne nessun altro!

A quelle parole gli lanciai uno pugno, mirato in teoria sul naso, ma che schivò con molta facilità rigirandomi il braccio e spingendomi talmente forte che finì con la schiena atterra facendomi male. Dopo poco scomparve lasciandomi lì a terra con un taglio vicino all'occhio e la schiena dolorante.

Rielaborai quello che mi aveva detto, avevo perso definitivamente i miei genitori e quanto pare quell'uomo sapeva delle “brutte cose” che mi sarebbero successe, era tutto troppo dannatamente strano, ma dovevo mostrarmi impassibile davanti a tutto.

La notte però non andò per niente meglio, anzi la passai rinchiusa nella mia camera, sotto le coperte mentre le lacrime imperterrite scendevano lungo le guance. 

Odiavo questa vita, odiavo tutto, tutto quanto, mi sento come se la vita volesse vedere fino a che punto riuscissi a sopravvivere, e se continuerà così, non penso di riuscirci per molto.

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