Capitolo 9
«Violet? Ti ho detto di stare ferma.» una frustata la colpì sulla natica. Lacrime scesero sul suo viso. La violenza bruciò sulla carne, un livido viola apparve rapidamente.
«Scusa... perdonami.» gemette l'adolescente con gambe tremanti, senza potersi alzare dal letto.
Sentiva il terrore scorrere nelle vene, era uno di quei giorni dove Jade era particolarmente sadica. Stavano diventando sempre più comuni dopo la scoperta del fascicolo.
L'insegnante la tirò bruscamente a se, prendendola per i fianchi, spingendo il proprio bacino contro il suo sedere nudo.
«Sei proprio troia.» la voce gelida.
Un dito stuzzicò la sua entrata penetrandola piano per poi uscire, le strappò un sospiro di sorpresa.
West le prese il volto cercando il suo sguardo. «Dillo.» ordinò. Il suo sorriso malato scintillò trovando la paura nelle sue iridi verdi.
«Dillo che sei solo una puttana. Un' inutile, disgustosa troia. Dillo.»
West voleva solo sfogare la violenza, essere la violenza. Non vedeva nessuna persona, non aveva interesse nel vederla. Voleva solo un corpo su cui esercitare il proprio potere, per soddisfare i propri bisogni. Voleva distruggere e non riusciva a fare a meno di odiare Erika per aver scoperto la verità, per aver scoperto quale mostro malato fosse, rovinando tutti i suoi piani.
La mano andò a stringerle la natica, sugli stessi lividi violacei. Le unghie premettero nella carne. La ragazza urlò di dolore.
«Ja-Jade mi fai paura. Fa male...»
Le mani legate dietro alla schiena, il cuore che batte in gola, le emozioni che scoppiano in petto ribellandosi al piacere carnale.
Jade passò le unghie salendo lungo la schiena, dandole la pelle d'oca. Erika non poteva vedere il sorriso sul volto della professoressa.
Le afferrò i capelli avvicinandosi al suo viso. «Shh, ma a te piace.» le sussurrò con una smorfia.
«Sai perché? Perché sei solo una disgustosa troia. Mi fai schifo.
Vuoi andare via? Vuoi che ti lasci andare?
Va bene. Vai! Ne trovo mille che non vedono l'ora di sostituirti.
Ma tu? Chi ti vorrà Violet? Perché qualcuno dovrebbe amare una puttana schizzata ed incoerente? Non frega un cazzo nemmeno ai tuoi genitori.» parole gelide a strappare fuori ogni insicurezza.
Jade disse ad alta voce tutto ciò che Erika già pensava di se stessa. Aveva sacrificato tutto per West, aveva già perso se stessa per amarla, quel sacrificio doveva pur significare qualcosa. Senza di lei non avrebbe più avuto niente, non sarebbe più stata nessuno. Solo una disgustosa troia, a nessuno sarebbe più importanto di lei, a nessuno era mai importato di lei, nemmeno ai suoi.
La paura dell'abbandono bruciò nel suo cuore.
Conosceva fin troppo bene quel dolore, aveva bisogno di non rimanere sola o sarebbe stata divorata. Aveva bisogno di sentirsi stringere o sarebbe scivolata via.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per un briciolo di quell'amore seppur tossico, seppur fosse diventato solo l'ombra, il fantasma di un illusione, di una dolce fantasia adolescenziale.
Jade osservò il volto della ragazza fissare il vuoto, vide la sua sofferenza rimanendo ammaliata. La trovò affascinante.
Sorrise accarezzandole il sedere, le cosce, l'inguine.
«Sai cos'è divertente?
Che tu non sei nessuno senza me, che hai bisogno di me. Che non riesci a vivere senza essere la mia puttana. Che senza di me moriresti. Perché, altrimenti, chi saresti?
Chi è Violet Erika? Nessuno. Non è così?
Tanto non riesci ad andare via...
Quindi Violet, vuoi che ti tolga queste manette e ti mandi a fanculo da quella porta, o vuoi godere tra le mani dell'unica persona disposta a toccarti, a prendersi cura di te, come piace a te?» le carezze scivolarono dandole i brividi. Le parole, come sempre, dissero ad alta voce i pensieri più oscuri della ragazzina.
L'altra mano scivolò sul suo ventre per poi salire a stringerle un seno. Le dita premevano sulla pelle, riempiendola di piacere. Delicatamente toccavano tratti umidi e sporchi di lussuria, accendendo tutto il suo corpo contro la sua volontà.
Provò vergogna. Il suo corpo non collaborava con l'atrocità di quel momento.
Il piacere scorreva, mentre la sua mente veniva riempita da crudeltà, paure e debolezze.
Lo smarrimento le tolse l'aria nei polmoni, come il fiato pesante nei sospiri. Il dolore le trapassò il cuore, tra le fitte calde del piacere fisico. Il terrore della solitudine si mascherò per amore, per bisogno viscerale di amare.
Sembrava quasi che fosse la sofferenza mentale, la causa di un piacere tanto intenso, che l'umiliazione fosse una carezza piena d'affetto, per lo meno in confronto al gelido nulla.
La mente di Violet si tinse di un colore malato, vorticó e si sgretolò su mancanze troppo profonde, si piegò strappandosi le membra, sotto il peso della violenza. Una scarica e la distanza. Eccitazione artificiosa. Solo sesso. Per il bisogno di sopravvivere, di sopportare, di rendere accettabile il dolore e salvarsi dal vuoto.
«Dillo Violet.» un sorriso malato ad aspettare che il potere fosse confermato, fosse accettato e giustificato.
Il corpo tremante, coperto nel sudore, le dita che dolcemente entrano ed escono, scivolano, a promettere una ricompensa.
Il cuore che trema, la voglia di piangere e fuggire lontano, e tutto che si sfracella al suolo con fracasso. L'odio per se stessa che avanza come una bestia e aiuta l'orgasmo di una masochista.
«Sono... solo una... puttana.» una lacrima scivolò sulla sua guancia.
Piangendo dignità. Odiandosi troppo a denti stretti.
Le dita che attentamente scivolano dentro facendo schiudere le labbra dal piacere. Dentro e fuori.
«Sono la tua disgustosa troia.» un'altra lacrima e poi colpi sempre più intensi a distrarla da tutto quel dolore. A portarla via dall'odio, trascinandola in alto. Lontano dalla propria mente, lontano dai pensieri. Via da qualsiasi realtà. Immersa nel calore per un breve attimo, nella goduria. Senza più sofferenza, senza alcun vuoto. Solo sesso, solo piacere.
«Sono solo una-ah put-ah!» parole magiche che se dette ad alta voce hanno il potere di fare stare così male, ma così bene, così bene da volerne sempre più.
«Brava. Brava Violet.» un bacio sulla spalla a premiarla, a renderla giusta, amata, perfetta così per un breve, intenso istante.
Per quell'attimo che ne vale la pena.
Affamata di amore, a gemere e sospirare, per ringraziare, per pregare le attenzioni che non ci si sente di meritare. Odiarsi per farsi odiare al meglio; nel modo meno doloroso.
Jade continuò a far entrare e scivolare la lussuria dentro di lei. Trascinando via tutta la lucidità.
«Vuoi ancora andare via?» una risata stronza, la mano che scivola a prenderla per il collo, per tenerla meglio, per penetrare meglio le sue insicurezze.
Erika urlò di piacere.
«Rispondi troia.»
«No. Non voglio andare via...» sospiri profondi a supplicare per una dose più pesante, che porti ancor più lontano dal senso di inutilità.
Sapendo di star peggiorando tutto, di starsi gettando in una dipendenza, di avere un attimo di sollievo, lontano dall'astinenza.
«Cosa vuoi Violet? Vuoi che la tua padrona ti faccia godere, vero? Vuoi supplicarmi di fotterti?» le dita che rallentano, giocando a prendere tutto e dare nulla. Guadagnando il potere di distruggere o salvare una mente.
«Sì... ti prego. Fottimi. Sono tua.
Fammi godere ti prego.» la disperazione a pregare di non essere lasciata sola e insoddisfatta, a promettere di essere brava ed obbediente, di essere desiderabile, amabile, utile.
«Ma tu volevi andare via... via da me...» Elizabeth marcò quelle parole con falso dispiacere, stuzzicandola, passando lentamente le dita sul suo sesso bagnato, facendo distorcere il suo corpo tra le fitte.
Il tono serio e freddo, divertito da quello spettacolino.
«Pensi davvero di potertene andare?
Tu sei mia e non puoi scappare.
Perché io sono nella tua testa e non riuscirai mai a farmi uscire. Mai. Ci scommetto.
Rimarrai per sempre la mia devota troia. Nessuno ti farà stare bene come ti faccio stare io. Nessuno rimarrà dentro di te... come me.» due dita marcarono quel doppio senso scivolando nel profondo, strappandole un sospiro.
«Dillo Violet.» un altro colpo a travolgerla.
«S-cusa. Scusa. S-sì . Non poss-
Non posso resistere. Non posso andare via.» con voce sommessa, alla ricerca delle giuste parole per farlo finire, per farlo continuare, per non avere di peggio, per prendere il meglio.
«Brava, non andrai via.
Perché io ho bisogno di te, Violet.
Ci sarai, vero? Obbedirai? Non vuoi deludermi, no? Sei brava, io lo so, sei sempre brava. Tornerai quando te lo ordino. Non mi lascerai sola. Perché sei la mia cagna e i bravi cani obbediscono sempre ai padroni.
Vero Violet?» West godeva di un potere immenso. Quello di odiarsi tanto da poter distruggere un altro essere umano senza testimone la propria coscienza.
La sua vittima, godeva sotto di lei. Dunque era colpevole. Perché se al corpo piaceva, allora se lo meritava. Se obbediva allora se l'era cercata.
Un'altra frustata colpì la ragazza sulla schiena facendola gridare di dolore.
«Aaaaah! Obbedisco.» il piacere tra le gambe si avvicinó.
«Ah! Sono brava...» un bisbiglio confuso tra mille pensieri intrecciati tra loro.
Jade rise guardandola sotto di sé, soddisfatta del proprio lavoro.
«Sei una brava cagna, mh?
Ma i cani mostrano la lingua, abbaiano...
Non ti sento...» un sorriso deliziato da tutta quella cattiveria.
Le spinse un terzo dito dentro schiacciandole il volto contro le lenzuola. Erika soffocó le urla contro al materasso, tirò fuori la lingua ed ansimare come un cane.
Era quello che la sua aguzzina voleva, era quello che la sua malattia mentale cercava.
Una scarica di eccitazione fece bagnare West. Viveva per quei momenti. Per la fragilità e l'umiliazione.
«Owh.» la derise.
«La mia cagna. Ti eccita? Sei così larga e bagnata. Ancora non ti sento...» un altro piccolo colpo sui segni violacei.
La ragazza pianse per la vergogna, per il calore.
Erika ansimó, con la lingua fuori dalla bocca, sbavando tra un colpo e l'altro. Sarebbe stata premiata se avesse fatto la brava. E lei voleva essere brava. Doveva esserlo. Non aveva altra scelta.
«Mh... Woof! Aah, w-woo-ohf.»
Elizabeth rise. Rise di lei. Infine ghignò soddisfatta.
«Non lasciarmi mai Violet. Ci tengo a te.
Lo sai... che ti amo. Ti amerò per sempre.» un bacio sporco sulla spalla firmò quella falsa promessa.
Jade le strinse il collo e come ricompensa concesse alla sua illusione la parola amore, ed al suo corpo dolore ed orgasmi, proprio come voleva, per distrarsi e non sentire più niente.
Erika si riprese dal vuoto.
Il caffè sulla superficie del pavimento formava una piccola pozza scura, che sembrava volerla aggredire, con il riflesso nero del mondo. Si precipitava vorace a macchiarle le scarpe.
Lentamente fece un passo indietro. Guardò la propria mano, tenere la presa sul bicchiere inconsistente, che ormai ciondolava al suolo.
Era da minuti che Violet era rimasta immobile a guardare il nulla, finché l'impatto del bicchiere a terra non l'aveva riportata alla realtà.
Era stata bruscamente strappata da quel flashback senza alcun preavviso. Credeva di essere lì, nel passato. Lo aveva scordato e poi lo aveva rivisto intorno a sé, finendoci dentro, come in un film.
Era così da giorni: cose di cui si era completamente dimenticata tornavano a galla senza alcun motivo, strappandola dalla quotidianità.
Confusa si guardò attorno, la bidella si precipitò da lei con lo straccio.
«Mi scusi... Non so cosa mi è preso. Sono così imbranata...» abbassò la mano che ancora sosteneva l'aria.
«Ma no, non si preoccupi, signorina! Non è nulla. Non mi sembra il caso di piangere per così poco, ci penso io.»
Violet si toccò le guance sentendo le lacrime sporcarle il viso. Il cuore le batteva a mille. La vergogna la portò a girarsi e coprirsi il volto con una mano.
«Mi scusi...» bisbigliò soltanto prima di precipitarsi nel bagno dei docenti.
Come poteva finire a piangere davanti alle macchinette, in mezzo a tutti? Cosa le stava succedendo? Violet osservò i propri occhi piangere allo specchio. Vedersi così le diede ancora più voglia di crollare.
'Tornerai quando te lo ordino. Non mi lascerai sola.'
Due conati di vomito si arrampicarono lungo la sua gola. Bloccandosi la bocca con una mano li rigettò indietro.
Lo schock di quel ricordo la fece tremare. Era abuso, era violenza, o forse era solo colpa sua.
Era il terrore e il desiderio. Era in ogni caso qualcosa di terrificante, di troppo malato per essere accettato.
Voleva dimenticare. Di nuovo. Per sempre.
'Lasciami stare.' pensò disperata aprendo il rubinetto per sciacquarsi la faccia.
'Tu sei mia e non puoi scappare.
Perché io sono nella tua testa e non riuscirai mai a farmi uscire. Mai.'
«Ti prego. Smettila. Io non ce la faccio più. Esci dalla mia testa...» lacrime silenziose battezzarono quei sussurri consumati.
Erika ne era certa. Non sarebbe mai stata libera. Non del tutto. Non da un giorno all'altro.
Non se Jade non l'avesse lasciata andare. Non se Jade non le avesse ridato quella parte di lei che aveva perso. Non senza un confronto. Non senza una motivazione.
Perché trattare così un altro essere umano, uno qualsiasi? La sua mente non aveva pace, non poteva accettarlo. Non trovava un perché.
West era stata l'amore della sua vita. Era stata fiducia e dolcezza. Era stata mesi di parole e romanticismo, per infine trasformarsi in un mostro, in qualcosa che del suo amore aveva solo la forma. Non poteva capacitarsene.
Dove iniziava la finzione e dove finiva l'amore? Cosa aveva sbagliato? Come poteva evitare succedesse di nuovo?
Non c'era stata alcuna chiarezza, alcun confronto. Solo cicatrici.
Lo sapeva, per tutti quegli anni che ci aveva provato, che non erano serviti a nulla.
Era visceralmente legata a West, e per quanto lo odiasse, non avrebbe mai potuto smettere di esserne ossessionata.
«Liberami ti prego.» con il palmo della mano asciugò le lacrime, prima di uscire dal bagno esausta.
*
«Non posso presentarmi così...» bisbigliò Liz a sé stessa, guardando le proprie mani vuote con aria confusa.
Stava camminando lungo la strada, verso l'ospedale. Aveva deciso fosse meglio non guidare. Non voleva che le venisse la nausea, e per quanto si sentisse stanca era meglio camminare per smaltire la sbronza.
'Mi odierà. Cosa starà pensando?
Cosa devo dirle? Che figura ci faccio?
E se ci sono i suoi, devo farle capire che mi dispiace, senza far intendere nulla a loro...
Perché deve essere così difficile?' sbuffò frustrata dai propri pensieri. Non era abituata a non avere le cose sotto controllo, o a doversi preoccupare di qualcun'altro oltre se stessa.
'Complimenti West, si vede che sei storta. Non riesci manco a pensare ad una sola cosa sensata. Se non l'avessi spinta al suicidio magari, magari non sarebbe così complicato, eh? O se ti fermavi al terzo e non al decimo drink, forse, dico forse, una frase sensata la sapresti pensare. ' prese ad ironizzare contro se stessa.
Un forte profumo le accarezzò i pensieri. Stava passando di fianco ad un negozio di fiori. I diversi mazzi erano esposti sul marciapiede, sotto al naso dei passanti. Posando lo sguardo su.um boque trovò fosse stupendo l'abbinamento dei colori. Per la prima volta il suo primo pensiero davanti a dei fiori non fu Adeline.
Si soffermò sulle rose dello stesso identico rosso dei cappelli di Valentine, le margherite che le circondavano rendevano il mazzo semplice, ma originale. Affascinante proprio per la semplicità. Nuvole bianche a contrasto con il colore del tramonto.
Pensò che se un mazzo di fiori avesse dovuto rappresentare Katherine sarebbe stato sicuramente quello; semplice ed affascinante.
«Potrei prenderli per lei. Sono bellissimi, ed è un gesto... carino. Immagino...» stortó il naso riluttante.
West si ritrovò a camminare per strada con un mazzo di fiori in mano, ed un'espressione confusa sul volto.
«Perché le ho preso dei fiori?» chiese a se stessa scocciata dallo scorrere incontrollato degli eventi.
«Ha tentato il suicidio per colpa mia, come penso di migliorare le cose con dei fiori?» osservò i petali delle rose. Apprezzò come il rosso fosse sostenuto ed accarezzato dalle margherite.
'Almeno sono belli...' L'ultima a cui aveva regalato fiori era Adeline, sette anni prima. Pensarci le diede una strana, fastidiosa sensazione.
Scacciò quel pensiero.
«Kat non è una da fiori. Le farebbe più piacere ricevere del cibo conoscendola...» un sorrisetto malizioso le schiuse le labbra.
Il ricordo dei loro baci sulla panchina era così vivido sulla sua lingua. Improvvisamente sentì il forte bisogno di baciare Kat, ma non era lì.
Inghiottì la saliva.
Le mancava baciare Valentine.
Era difficile da ammettere. Che a qualcuna come West, potesse mancare qualcuno o qualcosa, qualunque cosa.
Cercando di evitare al più presto i propri pensieri si inserì in un piccolo bar-pasticceria, ci si precipitò dentro senza nemmeno leggerne il nome. In preda al proprio disagio personale, si avvicinò confusa al bancone, osservando una serie di scatole di cioccolatini.
Senza farsi problemi ne afferrò una per studiarne il contenuto. La scatola nera, a forma di cuore, con ghirigori dorati conteneva una ventina di cioccolatini diversi.
«È di qualità...» pensò ad alta voce.
Lei lo preferiva fondente, amaro, ma sapeva quanto fosse deliziosa quella marca.
«Quello è ottimo, signorina.
Lo prende?» chiese la commessa, avvicinandosi sorridente.
«Va bene .» rispose con un cenno distratto della testa.
«Fiori e cioccolatini, chi è il fortunato?» ammiccò la donna con fare gentile.
West si bloccò per l'imbarazzo di vedersi da fuori, dagli occhi di una sconosciuta.
«No, ecco...» farfugliò presa alla sprovvista.
'Ma che cazzo sto facendo? Non posso prendere una cosa del genere. ' si riproverò sentendosi stupida.
Poche volte in vita sua si era sentita tanto impacciata come quella mattina.
«No, ecco... Ci ho ripensato!» ritirò la mano con la scatola di cioccolatini.
«Avete la stessa marca, ma una scatola quadrata, rettangolare? Non... questa.» la appoggiò sul bancone abbassando lo sguardo a disagio.
La commessa non riuscì a trattenere una risata complice, che bastò perché Jade la disprezzasse in silenzio.
«Certo. Questa va bene?» mostrò una confezione identica, ma rettangolare.
West annuì soltanto.
'Non sono più abituata a queste cose...
Come mi sto riducendo?' scosse la testa uscendo dal bar, stringendo fiori e cioccolata tra le proprie mani.
'Mi sento così fuoriluogo. Ora capisco perché ho smesso di essere una bella persona…
Semplicemente imbarazzante.' pensò tra sé e sé.
Spazio autrice
La parte di Erika è stata molto pesante.
Lo dirò qua chiaro e diretto: un comportamento del genere è violenza psicologica e sessuale.
Se il/la vostrə partner si comporta così, o se voi vi siete comportati così, questa è violenza ed è grave. Chiamate il numero 1522 antiviolenza e stalking e chiedete aiuto della vostra situazione.
Il sesso, soprattutto quello BDSM deve essere sempre fatto nella sicurezza e nel rispetto dell'altro. Essere obbligati dalla paura, dalla dipendenza, o dall'odio per se stessi a vivere qualcosa del genere è atroce. Non è colpa della vittima. Non è mai colpa della vittima. Se una persona patologica, si odia e vuole farsi del male obbligandosi a subire il sesso con voi, allora avete l'obbligo di non approfittarvi di lei.
Il sesso è una condivisione sicura e piacevole, può essere tra innamorati, amici o estranei, ma sempre nel rispetto e in connessione con l'altro e i suoi bisogni.
Questo capitolo nello specifico non è un esempio di sesso, ma di violenza, come altri.
Le stesse parole e azioni sarebbero potute essere accettabili in un contesto di roleplay, nell'attenzione e la cura che l'altro stia bene e sia solo un gioco per indagare le perversioni reciproche e conoscersi meglio, che finito il momento di recitazione tutto torni alla realtà. C'è una linea sottile tra l'essere sadomasochisti e l'essere malati, provocando danni seri all'altro e a se stessi. È importante starci attenti, anche perché la complicità e intesa mentale col partner è la cosa più eccitante che si può creare, e senza rispetto ed attenzione non c'è.
Cavolo, perché non mi pagano per fare educazione sessuale nelle scuole? Sì, dovrei farmi pagare.
Tornando a DT.
Adoro lo stacco e il contrasto che si può notare in questo capitolo tra i due lati di Jade.
Stellinate e commentate se vi va.
Spero stiate tutti beneeee.
A Domenica prossima❤️
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