Capitolo 7
«Sono arrivati i tuoi...» annunciò Charlotte all'uscio.
«Li faccio entrare, va bene?» chiese titubante.
Aveva paura della loro reazione nei confronti di Kat, aveva provato in tutti i modi ad avvertirli su come sarebbe stato meglio reagire in una situazione del genere, ma non era molto positiva a riguardo.
«No, aspetta.» la fermò Kat.
«Non voglio.» storse le labbra posando i propri occhi sull'amica.
«Ma come non vuoi?» Charl rise.
«Sono i tuoi genitori, non puoi lasciarli fuori.» spinse le ruote della carrozzina per avvicinarsi al letto.
«Charlotte dimmi cosa è successo. Voglio che sia tu a dirmelo.» deglutì stringendo i pugni.
Ci aveva riflettuto molto, prima di chiederlo. Non si ricordava nulla, ma sapeva che qualcosa di terribile era successo. Se qualcuno poteva dirglielo nel modo giusto, quel qualcuno era di certo Charlotte.
La bionda strinse le labbra, titubante. L'espressione seria sul suo volto rifletté la sua paura di non essere in grado di dirlo ad alta voce. Si chiese se sarebbe stata capace di sostenere Kat, qualunque sarebbe stata la sua reazione.
«Va bene.» fece un cenno del capo mettendosi comoda.
Stringendo le mani sotto al mento chiuse gli occhi alla ricerca delle parole adatte.
«Prima di tutto; quel che è successo non è colpa tua. Non devi pensare che sia stata colpa tua; le circostanze hanno creato quella situazione.
Secondo; non sei sola. Non pensare di essere sola. Per quanto quel che ti sto per dire, e quel che potresti ricordare sia terribile, per quanto sia spaventoso; non sei sola.
Lo supereremo insieme, perché non c'è nulla che non si possa fare per rendere le cose migliori, anche se a volte possono sembrare senza via d'uscita. Ci sono io, Kat e non ti lascio andare.» impresse tutta il proprio affetto, tutta la propria fame di giustizia e amicizia vera e leale nelle proprie parole. Si promise di non farsi sfuggire mai più quello scricciolo da sotto al naso.
Katherine sorrise, con le labbra, scoprendo i denti, ma non con gli occhi. Quelli ormai non riflettevano più nulla, rimanevano celati dietro una cortina opaca, osservavano un altro strato della vita, più vicino alla morte. A Charlotte vennero i brividi.
L'amica le fece un cenno del capo, per chiederle di continuare.
La bionda cercò la sua mano sul letto, stringendola forte e posando i propri occhi neri in quelli caldi e tristi della ragazzina.
«Katherine tu hai...» fece un respiro profondo.
Trattenne le lacrime e strinse forte le dita, come avesse paura scomparisse sotto la sua presa.
«Cercato di ucciderti...» pronunciò senza fiato, bisbigliando quelle parole a bassa voce, nella speranza facessero meno male.
Katherine ricambió la stretta, mentre il terrore la divorava.
Lo aveva sospettato in fondo...
Si trovò sospesa nel nulla, gettata nel vuoto da un precipizio. Si preparò al colpó della caduta ma con sorpresa scoprì il piacere del vuoto e del nulla, rimanendo a guardarsi da fuori.
Kat si aspettava di scoppiare in lacrime dal dolore, ma niente accadde. Nessuna lacrima, nessun dolore, nessun colpo. Silenzio logorante. Carico di tensione.
Sottile e quieto odio per se stessa.
Prese consapevolezza di essere tanto odiata.
Lo capì, razionalmente. Dentro di lei abitava tutto l'odio che aveva desiderato la sua morte, e il peggio era che apparteneva a qualcuno di cui non poteva liberarsi; se stessa.
Vide quel sentimento come se fosse stato quello di qualcun'altro. Come se un'altra persona dentro di lei, la stesse odiando con i suoi stessi muscoli. Poteva vederlo palpitare tra le costole, quell'odio giustificato e reale, affamato. Riconose il bisogno violento di uccidersi per rabbia e pietà.
Tanto dolore e nessuna lacrima.
Tanto rabbia e nessuna via d'uscita.
Kat rimase immobile a guardare Charlotte. La guardò come se non le avesse appena detto che aveva giusto cercato di ammazzarsi.
«Come ti senti?» chiese preoccupata a bassa voce.
Kat alzò le spalle.
«Non mi sento.» si sentì rispondere semplicemente.
«È normale, hai vissuto un trauma.
Va bene così, poi andrà meglio.
Ti sei ricordata qualcosa?»
La rossa posò il proprio sguardo sulla fasciatura. Quindi si era tagliata, si era aperta il braccio...
Un brivido le diede la pelle d'oca e il vomito.
Scosse la testa. Non ricordava nemmeno il sangue, nemmeno il luogo. Forse avrebbe potuto, ma non voleva ricordare.
«Va bene.
Ora, ti prego, rispondimi sinceramente Kat. Vuoi ancora... morire?»
Era una domanda difficile da fare e a cui rispondere, ma sarebbe stata la prima cosa che le avrebbero chiesto gli psicologi per decidere se dimetterla presto o no.
«Ma io sono già morta...» si stupì di sentirselo dire. Si stupì di sentire quanto quell'affermazione suonasse spontanea e reale. Sgusciando rapida dalle sue labbra.
Gli occhi di Charlotte si riempirono di lacrime e questa volta non riuscì a trattenerle. Si coprì il volto con la mano, mentre i singhiozzi le spezzavano il respiro.
Katherine rimase ad osservarla mortificata.
Era la prima volta che vedeva Charlotte triste. Era la prima volta che non la vedeva abbattere le difficoltà con un sorriso.
'Che cosa ho fatto…'
Era stata così egoista da non pensare a Charlotte. Accecata dal proprio dolore aveva pensato solo a se stessa, a fuggire senza combattere, senza apprezzare il sostegno della sua migliore amica. Rendendolo vano.
E se fosse davvero morta, quanto male avrebbe fatto a Charlotte lasciandola sola? Ai suoi cugini? E ai suoi genitori? Agli insegnanti? E a Jade? Forse persino a Jack...
Vedere Charlotte in lacrime la riempì di rabbia.
Odiava moltissimo la Kat che voleva morire, la Kat debole che era fuggita. La Kat stupida che non si era resa conto di star buttando via l'amore delle persone che tenevano a lei. La Kat codarda che aveva creduto di valere tanto poco da avere solo una soluzione. La Katherine che l'aveva rovinata, uccidendola nello spirito e riempiendola di apatia.
Non avrebbe sprecato quella seconda occasione.
Valentine cercò la mano dell'amica per stringerla forte.
«Scusa. Perdonami Charlotte.
Scusa se ti ho fatto così male. Non volevo.
Sono stata egoista. Non ti lascio più.
Te lo giuro Charlotte. Non ti abbandono. Non ti lascio sola.» aveva gli occhi lucidi e la voce spezzata, ma ancora nessuna lacrima.
«Sará meglio, stronza!» gli urlò contro tra i singhiozzi.
«Sai quanto mi hai fatto preoccupare?
Io che cazzo faccio in sta vita di merda senza di te, eh? Già sono handicappata!
Devono fare una legge; divieto di suicidio per gli amici dei disabili. Pfff, ma te lo immagini?
Ragazza su rotelle; perde le gambe e poi la migliore amica.» Charlotte scoppiò a ridere tra le lacrime per tutte le cagate che stava dicendo. Kat sorrise, ritrovandola e ritrovando un po' anche se stessa.
*
Alex sistemò Jack a letto, appoggiandolo delicatamente tra le coperte.
L'istante dopo il suo corpo prese a tremare violentemente, percosso dagli spasmi. Il suo volto venne spezzato un'altra volta e la sua coscienza sprofondò nell'inconsapevolezza.
Il fidanzato conoscendo la situazione si posizionò sopra di lui, stringendogli i polsi per tenerlo fermo. Preparandosi alla guerra che conosceva.
Jack aprì gli occhi.
O almeno, sembrava lui. Aveva gli stessi capelli neri scompigliati, gli stessi zigomi pronunciati, gli occhi dello stesso colore scuro, ma non lo stesso sguardo.
Lo sguardo apparteneva ad un estraneo, era diverso, duro e freddo come la pietra.
Un ghigno beffardo affermò ulteriormente la sua presenza.
Alex seppur turbato rimase calmo. Ormai aveva imparato a riconoscerlo.
«Oh, che carino...
Sei già pronto a fermarmi per evitare che squarci ancora questo miserabile corpo.» rise trovando tutto molto divertente.
Alex sorrise, un sorriso dolce posava sulle sue labbra.
«Grazie.
Sai, io amo questo bellissimo corpo. Amo anche te, rompi coglioni.» scherzò dolcemente il ragazzo sfiorando il proprio naso con quello dell'altro.
Quella gentilezza fece infuriare l'identità che provò a liberarsi e ad infilare le unghie nelle proprie stesse mani, ma Alex era preparato e fortunatamente anche più forte e grosso.
Combatterono fino ad essere entrambi senza fiato. L'altra identità di Jack si arrese, optando per un nuovo metodo.
«Perché stai con lui, con noi, Alexander? Jack è solo un malato del cazzo e io ti renderò la vita un inferno. Quanto pensi di poter resistere?» un sorriso infame penetrò gli occhi azzurri del ragazzo che insicuri sussultarono.
Era pesante, lo era sempre.
Era una guerra. Era un vero incubo sapere che la persona che amava più al mondo poteva essere in pericolo, vittima di se stessa da un momento all'altro, senza che lui potesse farci niente, ma proprio per questo sarebbe rimasto. Perché se non ci avesse provato lui, chi altro lo avrebbe fatto? Non poteva permetterlo. Quel ragazzo, il suo ragazzo, era la cosa più preziosa che avesse al mondo. Non meritava tutta quella sofferenza.
«Non mi importa. Io amo Jack e amo anche te perché fai parte di lui.
E dato che resisterò finché non sarete mio marito, penso che dovremo conoscerci meglio...» Alex era sempre stato incuriosito dall'identità, nonostante la maggior parte delle volte ci combattesse per tenerlo fermo, quelle poche volte che era riuscito a parlarci aveva capito quanto fosse originale e indipendente quella parte di Jack, che di Jack non aveva proprio un bel niente.
«Oddio. Dimmi che stai scherzando.» alzò gli occhi al cielo trattenendo una risata sarcastica.
D'altronde però, l'idea che quel ragazzo fosse interessato alla sua esistenza, aduló il suo spiccato egocentrismo. Finalmente qualcuno che capiva quanto fosse unico ed interessante, al contrario di quel ragazzino dentro cui viveva.
«Per niente! Quindi emh, tipo... non ti ho mai chiesto se sei "Jack cattivo". Anche se credo di sì.»
«Jack cattivo? Stai scherzando?
Non paragonarmi nemmeno a quella merda.
Ho un nome mio, ma questo coglione non me l'ha mai chiesto. Sono Sean.» la sua espressione orgogliosa fece capire ad Alex di essere sulla buona strada.
Non aveva mai pensato a quella soluzione, eppure sembrava funzionare. Forse Sean aveva solo bisogno di spazio, di esternare i propri sentimenti, di farsi conoscere.
«Piacere Sean!» esclamò soddisfatto Alex.
«E tipo come funziona da te? Cioè sei tipo chiuso nella testa del mio ragazzo?»
«In pratica.
Sono chiuso in quello schifo di stanza e quando posso vengo a spassarmela qui fuori.» svagó annoiato con lo sguardo.
Alex provò un brivido di curiosità. Si sedette meglio su di lui, curandosi di non lasciargli i polsi.
«Stanza? C'è una stanza? E non puoi tipo spassartela senza ferire il mio ragazzo?»
«Sì. Una lurida stanza con un tavolo ed una sedia dalle pareti color vomito.
Mh, lo farei eh.
E ogni tanto lo faccio, tipo quando lo faccio sbronzare ammerda. Amo bere.
Ma lui è così irritante, debole, deficiente e delle volte proprio non posso resistere nel chiudergli quella cazzo di bocca.
Sai Alex, lui merita di essere punito.
Se non fosse così debole, così stupido. Se mi ascoltasse, non gli farei male. Non sempre. Se solo obbedisse e smettesse di fare il cane pronto a farsi trattare di merda da chiunque.» un leggero ringhio di sottofondo uscì dalla bocca di Jack che digrignava i denti.
«Mh, immagino non ti piacciano le persone, eh?» ironizzò.
«Da quanto ci sei, nel senso, da quanto sei nella testa di Jack?» più domande faceva, meno dovevano combattere. Era sicuro che avrebbe retto meno bene un secondo round, soprattutto perché quello stronzo aveva una resistenza infinita.
«Sei proprio un genio...» un sorriso malizioso sfiorò le sue labbra, mentre lo derideva con lo sguardo. Se non ci fosse stato abituato gli avrebbe dato i brividi.
«Le persone sono inutili, fastidiose, irritanti, deboli, stupide. Insopportabili.
Oh, Jack aveva solo sei anni quando sono arrivato.» una smorfia allungò il suo sorriso malato, i suoi occhi luccicarono persi nel ricordo.
Alex sussultò prima di fare quella domanda, sapeva che Sean la stava aspettando. Glielo leggeva addosso.
«Cosa è successo a sei anni?»
Sean rise, come se solo pensarlo fosse fin troppo entusiasmante. Come se fosse orribilmente divertente.
«Oh, è una fantastica storia!» schioccò le labbra, non aveva aspettato altro che la possibilità di rivivere l'inferno, di dirlo ad alta voce.
«Jack voleva prendere i biscotti dalla dispensa, perché era un bambino obeso di merda.» insulti sprezzanti detti tra una risata e l'altra.
«Ma, ma, ma, ma! Nell'arrampicarsi sulla cucina ha urtato un bicchiere, facendolo cadere e rompendolo in pezzi. Che bambino scemo, inutile fin dalla nascita.» gli occhi di Sean si illuminarono mentre faceva di tutto per non ridere pur di continuare la propria narrazione.
«Qui la parte migliore.
Quel fallito di suo padre, ubriaco fradicio, ha pensato bene di punire un bambino di sei anni prendendolo a cinghiate. Per formare un vero uomo, no? Non un finocchio di merda.
Undici cinghiate, come i pezzi di vetro.
Mi sembra giusto.» l'entità rise al pensiero.
La sua risata malata fendeva l'aria rendendola di un retrogusto amaro. Ad Alex vennero i brividi.
«Jack alla terza già urlava, piangeva disperato, col sangue sulla schiena...
Lo sentivo sai? Il sangue caldo come acqua sulla pelle. I colpi che scavano sulla schiena, mi sembra quasi di sentirli ancora.» chiuse gli occhi estasiato.
«E lui piangeva, anche se... non era nemmeno Jack a dirla tutta.» accigliato si perse giusto qualche secondo a guardare nel vuoto.
«In sostanza sua madre decise di difenderlo e blah blah...
Prese le restanti cinghiate, insieme ad un'occhio nero, forse qualche costola rotta, togliendo questo divertimento a Jack.
Che peccato, eh?
La madre piangeva ed urlava, chiedendo aiuto.
Un bambino coraggioso avrebbe chiamato aiuto vero? Avrebbe fatto qualcosa, ma indovina quel codardo di merda di Jack riuscì solo a nascondersi e piangere. Sotto al letto, con le orecchie tappate per non sentire niente Chissà, magari se avesse preso lui le restanti cinghiate, ora non sarebbe un frocio di merda e sua madre non lo odierebbe...» Sean scosse la testa approvando il proprio pensiero.
Annoiato tornò alla narrazione, come se ormai il meglio fosse passato.
«Insomma il lato positivo è che Jack smise di mangiare...
Almeno smise di essere un obeso di merda.» rise. La sua voce suonava bassa e graffiata, quasi metallica.
«Penso sia ancora sotto peso, altrimenti col cazzo che saresti più forte di me.» diede uno strattone dimostrativo tentando di liberarsi, ma Alex reagì velocemente.
Gli veniva da piangere.
Si sforzó di non farlo, si pregò di non piangere davanti a Sean. Sentì il dolore e poi la rabbia. Immaginò un uomo grande e grosso torturare un bambino così piccolo e indifeso. Immaginò tutta quella violenza e il terrore che poteva segnare a vita un bambino. Tirò su col naso. Non aveva idea che il padre fosse così. Jack non gli aveva mai parlato di tutto quello.
«É terribile. Non sarebbe mai dovuto accadere. Sei nato da tutto quel dolore? » cercò di nascondere le proprie emozioni.
Sean scosse la testa e sorrise maligno.
«Meglio. Dall'odio.»
Quella parola suonò calma, assorbì qualsiasi altro rumore e rendendo l'aria statica.
Alexander deglutì. Lo vide in lui e si rese conto che l'odio assomigliava tanto al nulla, al niente totale, all'insensibilità nella violenza.
«Tutto quell'odio puro. Tutta quella violenza... ahh!» finse un orgasmo ridendo, come a leggergli nel pensiero.
«La sento ancora nel sangue. Se solo fosse stato più forte, più coraggioso, allora avremmo potuto prendere la testa di suo padre e sbatterla al muro. Sarebbe stato carino vedere tutte le sue cervella sparse sul pavimento, eh?» il tono calmo, come a godersi ogni descrizione. Schioccò la lingua immaginando il botto del cranio in frantumi.
«Jack si odiava così tanto, quasi quanto lo odiava suo padre, quasi quanto lo odio io.» Sean finì il racconto con nonchalance, senza mostrarsi particolarmente scosso, mostrando solo una leggera espressione soddisfatta.
Alexander capì l'odio. Provò anche lui rabbia, non poté farne a meno. Aveva a che fare tutti i giorni con i bambini. Il solo pensiero che un adulto potesse ferirli dava anche a lui tanta rabbia da pensare di uccidere.
Se quello era solo l'inizio dell'arrivo di Sean, allora cos'altro era successo? Gli vennero i brividi. Ne era certo, quello era solo un episodio di violenza in mezzo ai molti. Un bambino avrebbe meritato tutto l'amore del mondo. Con quale forza Jack si portava appresso tutto quel dolore di giorno in giorno senza fiatare?
«Possiamo odiare suo padre insieme, immagino. Perché Jack non me ne ha mai parlato? Aspetta, prima hai detto "non era nemmeno Jack". In che senso?» un turbine di emozione e domande gli vennero in mente.
«Non te ne ha parlato. Perché non ricorda. Altrimenti si farebbe fuori, o meglio, ci proverebbe di nuovo.» rise.
«A quanto pare sono il custode del suo odio, dei suoi ricordi peggiori. Dovrebbe amarmi solo perché non lo distruggo con quelli.» sbuffò dandosi delle arie.
Il sorriso di Sean si aprì sorpreso.
«Aspetta, credi davvero che io sia l'unico?» scoppiò a ridere come se non ci fosse stata cosa più divertente.
«Io ricordo l'odio, la rabbia, la violenza. Non di certo il dolore, la debolezza, l'umiliazione.» più diceva quelle parole più il suo sorriso sadico cresceva.
D'improvviso le rughe del suo volto mutarono in un lento istante. Sean abbandonò il corpo mentre la sua espressione mutava e qualcuno di nuovo scivolava fuori.
Spazio scrittrice:
Finalmente sono tornata e torno a pubblicare una volta a settimana. Se riesco anche di più.
Eeeh sarà tosta. Come vedete le cose si stanno facendo davvero complicate e drammatiche.
Sono felice di potervi finalmente mostrare e spiegare il disturbo di Jack, soprattutto perché c'è davvero un sacco di stigma a riguardo e la maggior parte delle storie sul disturbo di doppia/multipla personalità sono davvero stronzate, mentre posso assicurarvi che tutto ciò che leggete di Jack per quanto il personaggio sia inventato, è molto realistico. Parlo per esperienza.
Anche se non serve per forza vivere un trauma così violento fisicamente per sviluppare questo disturbo. Il trauma può anche solo essere l'assenza e negligenza dei genitori senza episodi violenti, ma rispetto alle dinamiche delle identità è uguale.
Mentre nulla auguratemi buona fortuna su come gestirò Kat traumatizzata e apatica, perché ho paura di non fare giustizia alle persone depresse, anche se non credo esista un unico modo di reagire. Comunque è difficilissimo scrivere di lei con la giusta sensibilità.
Insomma spero davvero il capitolo vi piaccia perché a sto punto non è difficile scrivere, di più.
Fatemi sapere che ne pensate nei commenti e se avete domande sono sempre disponibile.❤️
Buona giornata a tutti!
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