Capitolo 45

Charlotte ripensò tutta la notte a quello che le aveva rivelato Kat quella sera.

Aveva paura per lei. Aveva paura fosse in pericolo, che il suo bullo tornasse per vendicarsi, ma soprattutto aveva paura che la sua Kat cambiasse.

«Non lo so, Kat. La violenza non è mai la scelta giusta...» questo le aveva detto, non sapeva se avesse fatto bene o male. Lo sguardo ferito di Kat l'aveva fatta sentire in colpa. Forse non aveva diritto di dire una frase del genere, lei non sapeva come ci si sentiva ad essere vittime di bullismo, ad essere in pericolo di vita per colpa di un'altra persona. Era solo che Katherine era cambiata così tanto... da quando si era ripresa dal coma, non era più la stessa di prima e per quanto si ripetesse fosse normale, che andasse bene così, e che l'importante fosse il suo benessere, in fondo non poteva che sentire la mancanza della sua amica dolce e sensibile. Aveva paura che quella persona non esistesse più, aveva paura che fosse morta su quel lettino d'ospedale. Aveva paura che cambiasse troppo. Forse erano paure egoistiche; se Kat aveva bisogno di cambiare per superare quel periodo, lei lo avrebbe supportato, ma non poteva che preoccuparsene. Non poteva che sentire la sua mancanza.

Non voleva vederla trasformarsi in qualcuno senza cuore, in qualcuno che rinnegava la propria bontà, la propria morbidezza. Non voleva Kat odiasse la persona che era stata. Non era colpa sua, era solo colpa di quella dannata psicopatica di una professoressa. Stropicciò le lenzuola tra le proprie dita con nervosismo.

Glielo avrebbe detto; di Jade, del bacio con l'altra professoressa, della sua ammissione di colpa. Avrebbe indagato e poi avrebbe trovato il modo giusto per farle ricordare. Il piano era di farlo quella stessa sera, ma dopo tutto quello che aveva passato...

Non aveva potuto darle altri pesi. Non era il momento. Avrebbe aspettato il momento giusto.

Eppure una parte di sé non poteva che chiederselo: se Kat non avesse pensato che il tentato suicidio fosse stato colpa del suo bullo, lo avrebbero picchiato lo stesso così? Avevano sfogato tutta la rabbia di quell'atto su di lui inconsapevoli di chi fosse realmente la colpa?

Una sola cosa era certa: nel bene e nel male, non vedeva l'ora di conoscere Jack.

*

Jack si sedette ai tavolini del bar guardando l'ora; erano le sette e quaranta, era arrivato un po' in anticipo rispetto all'orario concordato con la professoressa. Non si ricordava nemmeno come si chiamasse, gli venne addirittura il dubbio di non averglielo mai chiesto, o forse glielo aveva chiesto ma l'aveva dimenticato. Non se ne sarebbe stupito dato che "non ricordare niente" faceva parte dei sintomi del suo disturbo. Sbadigliò ancora assonnato. Quella notte non aveva dormito, l'adrenalina dello scontro del giorno prima, insieme alla gioia di aver ritrovato Kat l'aveva tenuto sveglio sul suo cuscino a riflettere ancora e ancora sull'accaduto. Le sue profonde occhiaie tuttavia non rovinavano l'espressione serena sul suo volto.

Perso tra i propri pensieri sussultò quando un tocco gentile gli sfiorò la spalla, si tolse una cuffietta alzando lo sguardo verso l'insegnante.

«Buongiorno, cosa vuoi per colazione?» gli chiese la Prof Violet nascondendo un grosso sbadiglio dietro alla mano aperta.

«Scusami, non mi abituerò mai a svegliarmi così presto» commentò facendolo sorridere. In effetti non aveva mai pensato che persino i professori potessero sentirsi assonnati e stanchi, aveva come l'impressione che loro esistessero a prescindere, che fossero parte integrante della scuola, e che di conseguenza si svegliassero già freschi e pronti per le lezioni. Che pensiero stupido, eppure risultava sempre strano e difficile immaginare la loro vita al di fuori di quelle quattro mura.

«Ma no Prof nulla... ho già fatto colazione» mentì evitando il contatto visivo, non faceva mai colazione e non aveva soldi per comprarsela al bar, come non ne aveva per fare merenda. Violet non cedette, sorpresa dalla sua educazione. Le venne solo più voglia di offrirgli qualcosa.

«Dai ti prendo un cappuccino e una brioches, a cosa la vuoi?» insistette gentile avvicinandosi al bancone.

«Ma no Prof, davvero...» borbottò con poca convinzione.

«Buongiorno, come va Tony? Mi fai due cappuccini, una brioches al cioccolato e una al...» guardò lo studente aspettando una risposta.

Jack arrossì appena, nell'animo forse, dove nessuno poteva vederlo. Non gli capitava spesso che qualcuno si prendesse cura di lui.

«Al pistacchio...» cedette.

«Grazie» l'insegnante ringraziò il barista e andò a sedersi di fronte allo studente.

«Scusami oggi non ho fatto in tempo a fare colazione, non ti ho fatto aspettare troppo, vero? Giuro che dopo il cappuccino sono operativa» il ragazzo ridacchiò, quella professoressa era diversa da tutte le altre, era più sincera, era se stessa. Non era un adulto, troppo adulto, di quelli che gli faceva ansia dover diventare, di quelli che gli sembravano di cartone, anni luce distanti da lui.

«Allora dimmi, com'è andata? Alla fine hai parlato con la tua amica?» chiese curiosa.

«Sí Prof! Grazie mille per il suo consiglio! Senza di lei io non le avrei mai parlato e...» esitò ripensando a quanto l'avesse cercata finita scuola, punto dall'urgenza di trovarla. Se non avesse pensato di trovarla all'uscita di sicurezza, non l'avrebbe mai salvata...

Il solo pensiero gli fece venire angoscia.

«Lei aveva davvero bisogno di me. Per fortuna sono tornato nel momento giusto... anzi sono stato un egoista a non cercarla prima. Mi sento una merda...» ammise con la lingua ancora impastata dal sonno. Il barista portò il loro ordine al tavolo spezzando il suo discorso. Lo ringraziarono scambiandosi un sorriso.

«Dicevo... avrei dovuto cercarla prima, anzi non avrei dovuto litigarci proprio...» Jack interruppe il discorso mentre un sorriso gli si abbozzava divertito a lato della bocca. L'insegnante aveva preso a bere il cappuccino con una certa urgenza, come se fosse una questione di vita o di morte. Era buffa. Non pensava che una professoressa potesse essere così buffa. La adorava.

«Che c'è?» chiese Violet notando il suo sguardo piacevolmente sorpreso.

«No, niente... la adoro» gli sfuggì tra qualche risata. Il cuore di Violet si riempì di amore materno a quel commento; una soddisfazione unica, una luce calda la fece sentire completa, realizzata. Le bastava che un solo ragazzino la guardasse così, le bastava quello per sentirsi migliore, per sentirsi la persona che voleva essere. Perché aveva lasciato che i commenti di quella psicopatica di West la rendessero insicura? Era al bar con un alunno, nemmeno suo, disposta a dargli conforto e vicinanza, non la pagavano nemmeno! Era l'insegnante che avrebbe voluto avere. Un'insegnante buona, alla mano, comprensiva, simpatica. Qualcuno che semplicemente ci tenesse davvero.

Perché aveva dato peso alle parole di una sadica che vedeva le studentesse come un oggetto da sfruttare?

La risata di Jack non le diede dubbi: era un'insegnante migliore di West, anche perché, dopotutto, non ci voleva tanto... bastava non scoparsi gli studenti e non usarli per farci gli esperimenti, bastava davvero il minimo. Non doveva più dimenticarlo.

«E perché mai mi adori?» gli rispose giocosa.

«Dovresti adorare te stesso: hai trovato il coraggio per sistemare le cose. Forse il destino ha fatto in modo che tu ci fossi al momento giusto... Sai dovresti essere fiero di te, Jack.

Sistemare le cose è molto più difficile, e non penso che dovresti sentirti in colpa per non averlo fatto prima, o per aver creato questo distacco tra te e la tua amica. Sai, mi piace provare a pensare che tutto succeda per una ragione: anche le cose negative, ci rendono quello che siamo.»

«Non voglio essere definito dalle cose negative che mi sono successe, non voglio essere le mie cose negative...» borbottò pensieroso seguendo il suo discorso.

«Non lo sei, non penso lo facciano. Potrebbero plasmarci nel momento in cui soccombiamo forse, di certo possono lasciarci delle... crepe, se così si può dire. Delle fragilità. Però se siamo in grado di affrontarle, come hai fatto tu parlando con la tua amica, allora in quel momento siamo noi che definiamo le cose che ci sono successe, che ne cambiamo la narrazione. Nel momento in cui riusciamo a superarle, a non farci schiacciare, ma a renderci persone migliori, più forti, allora siamo noi a definirci e a definire la nostra storia»

Quelle parole risuonarono in lui dandogli una forza di cui non sapeva di aver bisogno.

Adorava quei discorsi, avrebbe potuto parlare per ore e ore di quelle tematiche. Del senso della vita, dell'esistenza, dei propri traumi. Adorava filosofeggiare, e adorava ancora di più poterlo fare con un'insegnante. Era davvero una figata, se fosse stata la sua Prof forse non sarebbe stato bocciato, avrebbe adorato le sue lezioni e sarebbe intervenuto molto di più in classe.

«Peró se potessi tornare indietro cambierei comunque delle cose, per non far soffrire le persone a cui tengo...» si aprì lentamente fiducioso.

«Ci sta, è normale voler rimediare ai propri errori. Però penso sia inutile pensarlo... nel senso, tu sei ciò che sei perché ciò che hai vissuto ti ha reso questo, ti ha insegnato quel che sai. Purtroppo è inevitabile ferire chi ami...» Violet pensò al suo ex, al suo amore perso, a quello che aveva allontanato e a quanto lo avesse ferito, a quanto fosse stata ferita.

«Ti capisco, anche io ho ferito persone che amavo e vorrei non averlo mai fatto, ma... ma penso che ci sia sempre una lezione da imparare. Lasciarsi andare, anche se è doloroso, a volte è necessario. Forse la tua amica è cresciuta mentre non c'eri, ha potuto capire cose di se stessa, e forse anche tu hai imparato a conoscerti meglio. Il distacco non è sempre un male, a volte è solo la consapevolezza di poter scegliere se stessi»

Jack realizzò fosse davvero così; se non fosse stato tanto in crisi con se stesso non avrebbe sentito le voci nei propri pensieri, non sarebbe scappato nello stanzino antipanico, e non avrebbe preso del tempo per capire meglio la propria mente e conoscere meglio tutte le diverse parti di sé. Non avrebbe mai nemmeno conosciuto quella professoressa.

«Il dolore che causiamo agli altri deve essere una responsabilità nostra, è normale sentirsi in colpa, o stare male, ma bisogna anche accettarlo e lasciarlo andare. Imparare a non ferire più, imparare a conoscersi, capire come essere migliori. Poi penso che dipenda da dolore a dolore. Ovvio se fai del male a qualcuno perché sei una brutta persona, è diverso.

Però forse abbiamo questa idea del dolore come qualcosa di avvelenato che rovina le amicizie e le relazioni, mentre alla fine è anche normale farsi male quando ci si vuole bene. Forse ciò che importa davvero è la fine, se alla fine ci si ritrova, o con l'altro o soli, ma con una nuova consapevolezza di sé. Quando si è sinceri a volte ci si fa male, quando si cerca di capire dove sono i limiti spesso ci si fa male a vicenda. È difficile stare al mondo. Non devi saper fare tutto bene subito. Sii più gentile con te stesso, è la prima volta che lo fai. Sei solo un ragazzino, non devi per forza sapere fare tutto bene e subito. Sei stato bravo a trovare il coraggio di capire il tuo errore e cambiare le cose. Sii fiero di te Jack, non è da tutti, dico davvero...»

Jack sentì il bambino nella sua mente piangere di sollievo. Era una sensazione così dolce quella di sentirsi dire che era stato bravo. Se fosse stato da solo in camera propria avrebbe pianto per la gratitudine. Il vuoto nel suo petto, si riempì un po' di amor proprio. Avrebbe tanto voluto sentirsi dire quelle cose prima, molto prima, almeno una volta prima nella sua vita.

La tensione in lui diramò lasciandogli traccia di gioia e pace, bevve il proprio cappuccino di fretta sperando di ingoiarlo insieme alle lacrime e al groppo in gola. Non sapeva esprimere bene le sue emozioni; era difficile, riusciva a farlo con Kat, ma solo perché era sua sorella di sangue arcobaleno.

«Grazie... è tutto davvero molto buono» cambiò discorso addentando la brioches e sperando di non avere gli occhi lucidi, o per lo meno che la Prof non li notasse.

«Figurati! Vero? Anche quella al cioccolato, dovresti provarla è davvero buona...» con incredibile empatia Erika capì il bisogno di leggerezza del ragazzo. Anche lei era stata un' adolescente dalla testa calda, a disagio con le proprie emozioni, in imbarazzo col mondo.

«No, a me non piace il cioccolato...» lo studente addentò gli ultimi bocconi della propria colazione.

«Questo non so se posso sopportarlo, di questo non dovresti andare per nulla fiero» lo prese in giro in modo teatrale facendolo ridere. La campanella dell'inizio lezione suonò.

«Aaaah! Devo scappare!» Jack scattò in piedi; la Prof della prima ora era una stronza sempre in anticipo che non faceva entrare nemmeno con cinque minuti di ritardo. Si mise a correre.

«E grazieeee!» le urlò correndo via col sorriso sul volto.

Erika rise e finì la propria colazione immersa in un mare di gratitudine e passione per il proprio lavoro. Si sentì stupida per tutte quelle volte che aveva dubitato di sé: era nata per fare l'insegnante. Lo sentiva dentro. Era ciò che più la rendeva felice, che le dava gioia. Avere a che fare con gli studenti riempiva di senso la sua esistenza. Poterli aiutare, poterli sostenere nel crescere e diventare delle persone buone e consapevoli.

«Se solo oltre a dare consigli fossi brava anche a seguirli...» si prese in giro da sola. Però stava iniziando a cambiare, lo sentiva, da quando era uscita da casa di Jade qualcosa in lei era cambiato.

Come se il solo pensiero fosse stato pericoloso una voce alle sue spalle la salutó.

«Buongiorno Violet»

'Ma porco...' pensò soltanto Erika irrigidendosi con un sorriso nervoso sul volto. L'universo la stava forse mettendo alla prova?

«Dai ripetizioni ai tuoi studenti ora?» le chiese fredda West sedendosi di fronte a lei.

«Tranquilla che non darò mai il tipo di ripetizioni che dai tu...» riuscì ad avere la risposta pronta.

'Woooo questa è la caffeina in circolo... o il potere di essere una brava insegnante?' esultò mentalmente Erika, stupita da se stessa. Non le aveva mai risposto a tono, non da quando si erano lasciate.

Jade la guardò malissimo ma non rispose, il suo sguardo gelido la fece sentire terrorizzata per un breve istante.

La vicepreside stava facendo il possibile per mantenere i propri nervi fermi e non impazzire urlandole contro.

Perché lo stupido ragazzo "non più amico di Kat" stava parlando con Erika? Come era possibile che proprio loro due fossero finiti a fare colazione insieme prima delle lezioni? Stranamente proprio il giorno dopo che aveva ricevuto quella email... non poteva essere un caso. Stavano confabulando contro di lei; era ovvio. Quanto erano stupidi? Farsi vedere insieme, così, davanti al bar, pensavano davvero che non li avrebbe scoperti? Era la vicepreside, il suo ufficio era a due passi da lì. Non sapeva come avessero fatto a fare amicizia, ma dovevano essere stati loro a mandare l'email, anzi doveva essere stato lui, appoggiato da Violet. Se lei gli aveva raccontato del fascicolo e lui di come era stato sospeso nello stupido tentativo di mettersi in mezzo tra lei e Kat, forse i loro due neuroni insieme erano arrivati alla conclusione fosse colpa sua. Solo due persone così stupide e patetiche, potevano avere un'idea tanto disperata e folle. Improvvisamente quella e-mail non le fece più tanta paura.

Ma come era possibile che Violet in una sera sola le fosse sfuggita di mano? Certo aveva esagerato a lanciare la bottiglia, e non ricordava molto di cosa le avesse detto, ma bastava davvero così poco per cancellare tutto quello che avevano passato insieme? Dopo tutti gli sforzi che aveva fatto per legarla a sé, poteva davvero cancellarla così? Il solo pensiero le metteva una strana angoscia. Aveva da sempre avuto Violet a propria disposizione, tanto da iniziare a credere che qualcosa di speciale tra di loro ci fosse. Qualcosa di malato e morboso, ma non per questo meno speciale. Il pensiero di perderla le faceva... male, nonostante non l'avesse avuta presente nella propria vita per anni. Perché ora le importava? Perché ora le dava fastidio?

Inoltre credeva di aver seriamente convinto Violet che fosse stata lei a dare per prima quel maledetto bacio. Quindi secondo i suoi calcoli si sarebbe dovuta sentire morire solo a sentire il nome di Kat... non sarebbe mai dovuta essere in grado di parlare con un conoscente della studentessa senza sentirsi in colpa.

Doveva sistemare le cose: non voleva perdere anche Violet, non poteva permetterselo.

«Hai ragione. Ho sbagliato...» abbassò lo sguardo ammettendolo a bassa voce.

Un lungo silenzio rispose a quelle parole, mentre lo sguardo di Violet mutava esterrefatto.

«Cosa? Eh? Cioè... ehh? West che sta ammettendo di avere torto? Ma chi sei tu?» balbettò l'insegnante sconcertata. Era quasi più spaventoso che vederla lanciare una bottiglia mirando alla testa. Quasi.

«Non mi sembra il caso di farne un dramma, dai. So ammettere quando riconosco i miei errori. Non l'ho mai fatto prima, perché in tutto il resto avevo ragione evidentemente, ma in questo caso, ora che sto capendo certe cose, non posso che darti ragione, e so che dovrei scusarmi per questo...» le rispose con un pizzico di ironia.

Il cervello di Erika si rifiutava di crederci, doveva essere finita in una sorta di universo parallelo. Non poteva essere la stessa Jade che l'ultima volta aveva provato a farla fuori.

«Jade io non so se alle otto del mattino sono pronta per un discorso del genere...» sdrammatizzó di nuovo completamente sconvolta.

«Ma poi che ti è successo? Cosa stai dicendo? Nel senso... tu? Perché? Fino a ieri eri...» tentennò chiedendosi se potesse permettersi.

«Boh, tipo una stronza...» censurò la lista dei simpatici sinonimi che avrebbe voluto usare.

«Perchè ho esagerato. Ho davvero toccato il fondo. Mi vergogno davvero molto per lo stato in cui mi hai visto. Quella persona non sono io, non è così che voglio che pensi a me. È stato orribile, ma mi è servito... quando sei andata via, sono stata molto male. Non solo fisicamente, ma non so, ho iniziato a pensare a tutto il male che ti ho fatto, a quanto io sia stata egoista. Ho iniziato a chiedermi il perché. Ho capito che stavo rientrando in dinamiche che appartengono al nostro passato, di cui non voglio più essere vittima. Ho pensato alle tue parole e a noi...» Erika non si fidava, ma Jade sembrava sincera. Era abituata a vederla mentire, sapeva riconoscere il disprezzo che aveva nello sguardo, anche quando rimaneva velato, eppure in quel momento sembrava sincera. Sembrava estremamente sincera, persino con se stessa. La vergogna che provava era limpida, tangibile e del tutto coerente: Jade Elizabeth West aveva un'immagine da mantenere, non faticava a credere che non volesse essere associata a un'ubriacona.

D'altronde la conosceva molto bene, sapeva quanto avesse bisogno di controllo; immaginò che per una come lei fosse davvero difficile ritrovarsi senza alcun controllo sul proprio comportamento. Sembrava proprio vergognarsi di quell'episodio, la percepiva sinceramente a disagio, anche nel linguaggio non verbale: evitava il contatto visivo e si toccava le dita tra loro. Era diversa.

Era la prima volta in vita sua che la vedeva esprimere delle emozioni del genere, non era abituata, ma comunque non riusciva a fidarsi.

«Quello che abbiamo avuto è stato... speciale. Mi conosci... sai che... non sono una emotiva. Non mi piace ammettere certe cose...»

La osservò e il suo cuore prese a battere stupito: Jade West davanti a lei si sentiva imbarazzata! Ancora evitava il suo sguardo, e la sua postura si era fatta più infantile, meno rigida. Le sembrava di rivedere la sua professoressa di matematica alle loro prime uscite insieme. Le sembrava di rivederla ventenne, ancora incapace ad ammettere le proprie emozioni, rivelandole coi gesti o tra le righe.

Era proprio quella la Jade di cui si era innamorata: quella testa di cazzo anaffettiva, incapace di ammettere i propri sentimenti, ma estremamente intensa nel farli sentire.

Da poco si era convinta che a Jade semplicemente non fosse mai importato di lei. So era convinta che Jade non fosse capace di provare delle emozioni positive, umane. Perché ora le sembrava un'altra la verità?

«Quello che intendo dire è che... non mi sei indifferente, Violet. E forse è sbagliato, o egoista, ma io non mi pento del nostro passato insieme, se dovessi scegliere lo rifarei... ma capisco, se non è lo stesso per te...

Comunque volevi delle scuse e io ti chiedo scusa. Spero tu possa dimenticare quella sera, come molte altre... è solo che, questa situazione... del tentato suicidio, mi ha sconvolta» Jade mise da parte la propria maschera di apatia, e per la prima volta le mostrò il suo vero volto: dagli occhi stanchi e corrucciato dalle preoccupazioni.

«Ho pensato solo a me stessa, e ho sfogato la mia frustrazione su di te dandoti la colpa di tutto, e questo è stato davvero egoista da parte mia. Non ho pensato a come dovevi esserti sentita tu, a quanto ti sentissi persa e in colpa. Non ho pensato a quanto fossi sola dopo esserti lasciata col tuo ex per colpa mia. Ho solo pensato a me stessa come faccio sempre. Non capivo perché avessi bisogno delle mie scuse, ma-»

«Ciao ragazze!» una loro collega le interruppe per poi andare ad ordinare al bancone.

Violet si sentì scaldare, il suo volto divenne rosso, le orecchie le bruciavano, il cuore batteva freneticamente. Il suo corpo stava reagendo a quelle dichiarazioni in una maniera che non riusciva a capire. Non si sentiva male, ma nemmeno bene, forse si sentiva in entrambi i modi. Il pensiero del loro passato insieme, quello del bacio che aveva spinto Kat al suicidio, quello del suo ex in lacrime. Rimase in un silenzio ovattato. Il suo corpo stava reagendo alle emozioni che avrebbe dovuto provare, ma che per qualche strana ragione non percepiva. Perché si sentiva così strana? Aveva desiderato le scuse di Jade per tutta la vita, perché ora che erano lì avevano un gusto amaro? Non si era immaginata così quella scena.

«Ne parliamo dopo se ti va... ovviamente...

Puoi venire nel mio ufficio se vuoi, o... se non è troppo vorrei farmi perdonare invitandoti a cena da me, ma anche al ristorante se da me ti turba!» gli occhi ghiaccio della sua superiore indagavano curiosi nei suoi.

«Offrirei io, ovviamente» insistette non trovando alcuna risposta nel suo sguardo annebbiato dalle emozioni.

«Va... bene, credo...» mormorò piano la rossa, facendo poi un grande sospiro e lasciandosi andare una risata nervosa.

«Mamma mia, un bel po' di informazioni, eh? Sai che ci metterò un po' a elaborare... wow!» parlò da sola come era solita fare e quando la guardò meravigliata, Jade le rispose con un sorriso buono e comprensivo.

«Wow...» ripeté Erika osservandola incredula.

*

«Ma niente di ché, tipo mi ha detto che vuole farmi fare le olimpiadi degli sfigati. Però si vincono soldi quindi, cioè, anche se; che schifo avere a che fare coi nerd sfigati, tutti questi vestiti favolosi non si comprano da soli. Quindi le ho detto che ci sto. Non so se boh, vuol dire che dovrò fare davvero i compiti, o se dovrò andare nel suo ufficio per le lezioni da sfigati professionisti» le spiegò Maeve ignorando la lezione dato che il professore stava interrogando alla cattedra. Kat la ascoltava con attenzione, il suo volto come al solito era apatico, ma le sembrava più rilassato dei giorni passati, le era tornato il luccichio di una persona viva negli occhi. C'era qualcosa di diverso in lei: le aveva chiesto se non avesse scopato, ma a quanto pare non era quello, quindi non ne aveva idea. Avrebbe voluto che la sua compagna di banco si aprisse di più con lei: amava i gossip, e poi le piaceva; le sembrava una ragazza misteriosa, piena di segreti. Eppure per quanto insistesse Kat non le raccontava mai nulla, anzi le sembrava quasi che volesse darle un'idea della propria vita estremamente noiosa di proposito, ma era impossibile che una persona con una vita noiosa finisse per fare tutto quel casino. Un tentato suicidio poteva essere tutto tranne che noioso. Dovevano esserci delle emozioni forti da qualche parte lì dentro di lei, dovevano esserci delle ragioni, dei pensieri, dei segreti, dei gossip e Maeve voleva scoprirli a tutti i costi.

La rossa la ascoltò attentamente, mentre temperava le proprie matite su un fazzoletto di carta aperto per far passare il tempo.

Davvero Jade avrebbe fatto solo delle lezioni a Maeve? Almeno ne era capace? Aveva persino il dubbio fosse incapace di vedere un'alunna in modo professionale; non riusciva ad immaginarsela. Sì, avevano fatto ripetizioni l'ultima volta, ma era successo solo una volta su tutte le altre, e solo perché era stata lei ad insistere.

E se Maeve fosse stata attratta da Jade? Se era stata attratta da una come Sarah, come poteva non esserla da una Dea come la Prof West? Però forse Sarah le era piaciuta perché assomigliava ad un ragazzo... si stava facendo troppe paranoie inutili. Forse doveva solo chiederglielo. Giusto per sapere se fosse etero o bisessuale, ma così non sarebbe stato strano? Avrebbe pensato ci stesse provando con lei? Non voleva allontanarla, le uniche amiche che aveva avuto all'inizio della scuola si erano allontanate da lei quando avevano scoperto fosse lesbica: non per omofobia, ma per paura che ci stesse provando con loro... quando in realtà si sentiva solo terribilmente bisognosa e sola. L'avevano fatta sentire così profondamente appestata e disgustosa, da creare la convinzione di essere una presenza potenzialmente molesta e indesiderata nella vita di qualsiasi ragazza. Fece un respiro profondo scacciando quei ricordi, in quel periodo erano iniziati i primi episodi di bullismo... guardò il posto di Matthew vuoto. Non era venuto a scuola. Soffocò un sorriso sollevato, ricordando a se stessa di non avere più nulla da temere.

Comunque non era il momento di farsi tutte quelle preoccupazioni; Jade non sarebbe mai andata a letto con la sua compagna di banco. Forse la vecchia Jade avrebbe potuto farlo, ma quella nuova così attenta a fare l'amore con lei, a metterla a proprio agio, non avrebbe mai potuto farle qualcosa del genere. Non ce la vedeva... e poi sarebbe stata una mossa estremamente stupida.

«Che forte che sei un genio. Mi fa morire che consideri tutta la matematica "da sfigati"» rise sotto ai baffi nascondendo bene i propri dubbi.

«Eh gattina, sì! Tieni tempera anche le mie...» le passò anche il proprio astuccio divertita dal suo comportamento macchinoso e concentrato.

«Sai quelli che vanno bene in 'ste materie da nerd, sono brufolosi e con gli occhiali perché non escono mai di casa per studiare. Io non voglio diventare così, la mia pelle ha bisogno di vitamina D, questo bel visino non si tiene splendente da solo» si incorniciò il volto tra le mani socchiudendo gli occhi per mostrarle quanto la sua pelle fosse perfetta, poi con occhio critico osservò quella di Katherine.

«Dovresti farti la pulizia del viso, gattina. C'hai un sacco di punti neri e brufoletti da schiacciare. Quant'è che non la fai, scusa?» le chiese senza peli sulla lingua come sempre. Kat lo apprezzó, anche se le diede fastidio il tono giudicante nella sua voce.

«Mai. Non so neanche di che stai parlando...» ammise senza vergogna. Sua mamma si prendeva sempre cura di se stessa, ma per qualche ragione che non sapeva spiegarsi non le aveva mai insegnato a prendersi altrettanto cura del proprio corpo, e le uniche volte che le aveva fatto pressioni su come doveva vestirsi le aveva solo fatto venire ancora più voglia di sembrare tutto tranne che "una bella ragazza a modo". Però era vero; la pelle di Maeve era perfetta, le faceva venire voglia di toccarla. Curiosa le accarezzò una guancia studiandone la consistenza liscia e morbida. Maeve glielo lasciò fare, perché era rimasta immobile a fissarla, sconcertata da quanto le aveva appena rivelato. Dopo che Kat le ebbe dato una carezza esplose.

«Mai!? Maaai!? Ma sei seria? Ma non ti lavi il viso almeno? Non ti fai lo scrub? Metti la crema idratante? » la investì con una marea di informazioni al di fuori del suo vocabolario.

«No. Io mi lavo la faccia con l'acqua fredda alla mattina e basta...»

«No. NO. Ma che cosa mi stai dicendo!

Vieni da me dopo. Amo davvero. Puoi essere suicida, lesbica, autolesionista, quello che vuoi ma non da cessa, amo no. Non puoi essere una cessa che non si pulisce il viso e si trascura, hai capito? Devi slayare! Ma ti devo insegnare tutto io?»

Kat si chiese se fosse un complimento o un insulto: le stava dando della cessa, o le stava dicendo che non poteva esserla? Forse voleva incoraggiarla, ma non sapeva se in quei termini avrebbe funzionato.

«Dai serio, finita scuola vieni da me. Non vedo l'ora di tirare fuori il tuo potenziale. Ti renderò una strafiga»

«Ma in realtà io non so se posso...» borbottò Kat chiedendosi che impegni avesse, e cercando il diario per scoprirlo.

«PUOI. Hai capito?» Kat la ignorò aprendo il diario, ma Maeve glielo prese dalle mani e lo chiuse mettendolo sotto le proprie braccia.

«Dai... dammelo, fammi controllare»

«TU PUOI» ripeté e con teatralità e aprì il diario sfogliando le pagine e fingendo di leggerle.

«Oh guarda, nessun impegno tranne: "uscire con quella fregna cosmica che chiunque si vorrebbe troppo fare di Maeve". Aww, ma che modo dolce di chiamarmi, gattina. Non pensavo avessi una cotta per me» la prese in giro facendole l'occhiolino.

Kat sentì il proprio volto arrossire e nel panico tornò con apatia a temperare le matite.

«Va bene. Va bene. Oggi vengo da te...

Sei così fastidiosa. Tanto fai sempre di testa tua» borbottò lamentandosi per gioco.

Maeve appoggiò la testa al banco cercando il suo sguardo concentrato tra i trucioli di grafite.

«Esattamente. Se voglio qualcosa me lo prendo. Ricordatelo sempre» la stuzzicó dandole i brividi.

«Sembra una minaccia...» pensò ad alta voce Kat facendola ridere, e desiderò fortemente che la sua amica non desiderasse mai la sua professoressa.

«Chissà, magari la è...» le rispose con tono ambiguo. Kat la detestò, a parte Jade non aveva mai avuto esperienze di flirt o simili. Faceva davvero fatica a capire se qualcuna ci stesse provando con lei oppure no.

«ADESSO BASTA!» urlò il professore alzandosi di scatto e spaventando tutta la classe.

«FUORI DALLA CLASSE SUBITO. NON AVETE ALCUN RISPETTO PER I VOSTRI COMPAGNI!» sbraitò indicandole.

Kat si chiese perché continuasse a dare corda a Maeve quando il mantra che si ripeteva ogni mattina sedendosi al suo fianco era testualmente: "Non parlare con Maeve perché siete in prima fila e lei urla sempre"

Maeve alzò gli occhi al cielo annoiata; ormai era abituata a quel genere di scenate, e senza fare storie si alzò uscendo dall'aula come se nulla fosse. Katherine la seguì, chiedendo scusa al professore e prendendosene la responsabilità, ma senza insistere per rimanere in classe, perché in realtà ne aveva piene le palle.

«Eccoci qui» disse Kat alla sua compagna chiudendo la porta alle loro spalle e guardando i corridoi vuoti.

«Dai gattina, vieni. Andiamo a fumare»

«Sí, così poi quando il professore ci chiama e non ci trova ci prendiamo pure una nota. No, grazie» borbottò infastidita dalla sua immaturità.

«Ma va, ti pare che ti da una nota? Ti trattano tutti coi guanti qui. Pensi che il Prof stesse urlando a te? Stava guardando me, se fossi rimasta un secondo in più in classe ti avrebbe detto di rimanere» le fece notare.

Kat ci rifletté: non aveva tutti i torti.

«Kaaat!» una voce attirò la sua attenzione. Jack dall'altra parte del corridoio la salutó scuotendo il braccio, la sua classe stava andando in palestra. Fece una corsa per salutarla con un abbraccio.

«Heeeey, tu! Torna qui! Subito!» gli urlò l'insegnante di motoria.

«Devo scappare, a dopo» le lasciò un bacio sulla guancia per poi correre da dove era venuto e scomparire. Kat rise, che buffo che era Jack. Era stata l'interazione sociale più rapida della sua vita. Doveva essere successo tutto in meno di venti secondi.

Si girò verso Maeve, e lentamente iniziò a preoccuparsi per lei perché era in silenzio. La sua compagna di banco si stava tenendo una mano sul petto, le sembrava stesse facendo fatica a respirare. Appoggiò l'altra alla parete, per poi mettersi schiena al muro e lasciarsi cadere seduta a terra.
Che cazzo le stava succedendo?

«Oddio, stai bene? Cosa c'è? Cosa senti?» le chiese preoccupata Kat chinandosi su di lei, ma Maeve continuava a guardarla senza dire una parola: gli occhi spalancati, un poco lucidi e il volto rosso. Stava avendo un infarto? Un attacco di panico?

«Maeve? Senti male al petto? Riesci a respirare? Riesci a dirmi qualcosa? Mi stai facendo preoccupare seriamente»

«Tu...» bisbigliò la ragazza a terra, con un filo di voce, ma forse non l'aveva sentita bene.

«Maeve? Devo chiamare le bidelle? Ti porto in infermeria?»

«Tu...» ripeté più chiaramente per poi nascondere il volto tra le mani.

«Io? Io cosa? Cosa stai dicendo?» chiese esasperata.

«Tu... OMMIODDIO! TU LO CONOSCI!» urlò scuotendo la testa e facendosi aria al volto rosso.

«Eh? Conosco chi?»

«Chi? MIO MARITO. IL RAGAZZO ROCKETTARO PIÙ FIGO DI TUTTA LA SCUOLA! OMMIODDIO KAT! TI PREGO DEVI FARMELO CONOSCERE! DEVI. IO LO AMO»

'Ah... ma...'

Kat cadde a sedere davanti a Maeve, la guardò in silenzio per qualche istante.
«PUAHAHAHAAHHAHAHAHAHAAHAH»
Scoppiò a ridere come non mai.








Spazio scrittrice

Ciao stelline, come state?
Vi è piaciuto il capitolo?

Sinceramente adoro l'amicizia che c'è tra Kat e Maeve e sono molto curiosa di vedere come si svilupperà insieme a voi.

Ma passiamo alle domande serie:
Siete preoccupati che Charlotte dirà la verità a Kat? Pensate che lo farà davvero? Anche voi avete paura che Kat cambi?

Che ne pensate del rapporto che c'è tra Jack e Erika? Avete avuto insegnanti così? O alunni se siete voi gli insegnanti ora ahaha

Ma soprattutto: secondo voi Jade è sincera? Pensa davvero quello che ha detto ad Erika? E Erika sta cambiando sul serio e pensate che riuscirà ad allontanarsi da Jade?

Commentate che sono curiosa di sapere che ne pensateeee❤️

Questo capitolo è più lungo del solito, dato che vi ho fatto aspettare troppo, ve lo meritavate 🫶🏻
Spero di riuscire ad accelerare un po' la narrazione, con questo capitolo mi sembra di esserci riuscita.
Finita la sessione proverò a pubblicare un'altro capitolo questo mese.

Grazie mille per essere qui, lasciate una stellina se il capitolo vi è piaciuto ✨

Ora torno a studiare, alla prossima ❤️

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