Capitolo 39
Il cielo mattutino era limpido. Jade ancora avvolta nel tepore della propria auto, accese lo schermo del proprio cellulare; aprì la chat di Erika.
“messaggio cancellato”
Una smorfia spontanea le colorò il volto. Violet aveva cancellato il messaggio, ma lei se lo ricordava benissimo: “mi fai schifo”
Si incupì nutrendo odio, venendo nutrita. Nessuno poteva rivolgersi a lei in quel modo. Violet aveva cancellato il messaggio perché era una cagasotto senza spina dorsale ed impulsiva, ma non bastava. Non le aveva mai mancato tanto di rispetto. Nessuno le aveva mai mancato tanto di rispetto, nessuno doveva permettersi a farlo.
«Tu farai schifo stupida troia…» borbottò incazzata. Era presto per entrare a scuola, ma era ottimo che Violet le avesse dato qualcosa a cui pensare per far passare il tempo. Avrebbe architettato tutto, come sempre; le parole migliori da dire per distruggerla, la vendetta migliore.
Stava lì a crogiolarsi nel proprio odio, nella propria fame. Ogni pensiero, ogni fantasia nella quale riusciva a far scoppiare in lacrime Violet le procurava immensa eccitazione, quasi goduria, ma non sessuale, non solo. Era qualcosa di più potente, di più catartico, era la sensazione di essere un Dio. Era il potere. Quello vero. I ricordi della loro serata erano sfocati, non ricordava esattamente cosa le avesse detto, ma ricordava di essere stata offesa in casa propria, di averle lanciato la bottiglia per quello scatto di rabbia e soprattutto ricordava le sue spalle che si allontanavano da lei. E quel solo ricordo: di Violet che si voltava e usciva da casa sua. Quel solo sfocato ricordo, la faceva sentire… persa.
Non aveva mai praticato l'autoanalisi quando si trattava del suo rapporto con Violet, perché sapeva che la sua parte razionale avrebbe avuto fin troppo da dire, avrebbe potuto risvegliare la sua coscienza, ed era un'opzione che non poteva permettersi in quel momento. O mai. Aveva già troppa pressione addosso, ma quello strano sentimento che provava all'idea di Violet che se ne andava da casa sua, che sceglieva di andarsene. Le dava fastidio. Come un groppo in gola.
Insomma, era di Violet Erika che si stava parlando! Non poteva decidere di andarsene. Nessuno voleva andarsene da casa sua. Era lei a decidere quando la serata era finita, quando aveva smesso di divertirsi, quando le persone dovevano sparire. E quello stupido messaggio il giorno dopo…
No. Non si sarebbe fatta insultare così, non le avrebbe permesso di mancarle di rispetto e sparire dalla sua vita. Se la sarebbe ripresa, Violet era sua, la era sempre stata e la sarebbe stata sempre. Quello che avevano era qualcosa di inspiegabile, di contorto, di folle, ma era anche qualcosa di unico, di inevitabile, come una droga. Era qualcosa che faceva sentire vivi. Non poteva semplicemente decidere di allontanarsi da lei. Non erano quelle le regole del loro attaccamento morboso. Improvvisamente la parte più malata di Jade, ben lontana dalla propria coscienza, realizzò di aver bisogno di Erika. Di averne un bisogno ossessivo. Di averne la necessità assoluta, per distrarsi, per sentirsi bene, per sentirsi al controllo. La voleva ancora una volta, ne aveva bisogno visto che tutto il resto stava crollando.
Così Jade si ritrovò a fare un patto con se stessa: sarebbe migliorata, avrebbe fatto tutto il possibile per Katherine, si sarebbe dedicata totalmente alla sua ripresa, con tutte le responsabilità che ne comportavano, ma si sarebbe tenuta solo un angolo di inferno in cui predicare, solo uno sfizio, piccolo, temporaneo. Qualcosa di saltuario. Come la pizza una volta al mese quando si fa la dieta, o l'ultima sigaretta prima di smettere di fumare. Era più forte di lei, era dipendenza pura, rivoleva quella sensazione di onnipotenza, rivoleva l'adrenalina che la assorbiva nel presente, che la faceva sentire eterna. Il pensiero di Violet nuda sotto il suo corpo risvegliava in lei istinti perversi. Il pensiero di Violet sotto il suo volere la eccitava come non mai.
*
Erika stava per scendere alle macchinette, quando aveva visto Jade venirle incontro, così il suo corpo animato di una vita propria, l'aveva fatta voltare e iniziare a camminare in fretta, anzi no, a correre per i corridoi. Tormentata dal rumore dei passi alle sue spalle aveva voltato l'angolo il più velocemente possibile e si era infilata nell'entrata di sicurezza chiudendola piano alle proprie spalle, pregando che West non l'avesse vista. Rimase in silenzio assoluto aspettando di sentire solo silenzio. Si sentì stupida per essere scappata così. Non aveva senso, non avrebbe dovuto. Non era nemmeno sicura di aver visto Jade, forse era quell'altra professoressa che un po' le assomigliava. O forse aveva cambiato direzione dal primo momento andando nel proprio ufficio. La stava facendo impazzire, ma d'altronde l'ultima volta che l'aveva vista per poco non le aveva lanciato una bottiglia di vetro in testa, quindi quella mattina non aveva proprio voglia di incontrarla. Per non parlare del messaggio che le aveva mandato presa dal rimuginio, se ne era pentita subito dopo. In particolare per la paura; Jade era una persona violenta e impulsiva, aveva paura potesse farle del male in qualche modo, ma soprattutto era la sua capa. Perché aveva pensato fosse una cosa buona inviarle quel messaggio? Solo perché per la prima volta in vita sua si era sentita coraggiosa e arrabbiata.
Proprio quando decise di ricomporsi e tornare nei corridoi, sentì il rumore del portone dell'uscita aprirsi.
Jack la guardò sorpreso con ancora mezza sigaretta accesa in bocca e il pacchetto intero in mano.
«Wow Prof, due volte nello stesso posto…» mormorò per sdrammatizzare la tensione.
«Jas… No! Jack. Giusto?» si salvò all'ultimo. L'alunno annuì divertito dai suoi modi spontanei.
«Prof…» la saluto con un cenno del capo, mentre la sigaretta sfumava in aria.
«Non puoi fumare a scuola… Dai, spegnila e dammi il pacchetto. Mannaggia a te. Sono costretta a ritirartele. Mi dispiace, ma posso ridartele a fine lezioni però» gli fece cenno di dargliele. Jack alzò gli occhi al cielo scazzato, stava per risponderle male quando guardandola in faccia si rese conto che stava solo cercando di fare il proprio lavoro, altrimenti avrebbe perso credibilità. Le diede il pacchetto e si sedette al proprio gradino spegnendo la sigaretta sul muro, proprio sulla parola “fumare” della scritta che aveva graffittato la settimana prima.
«stanzino antipanico: per le emergenze, sedersi, respirare, fumare e piangere all'occorrenza»
Una volta che ebbe formato una macchietta nera dentro la “O” la buttò per terra. Rimase seduto guardando l'insegnante, forse non avrebbe dovuto, ma si era messo a sedere sperando segretamente che la Prof si sedesse accanto a lui per parlare di nuovo. Era agitato.
«Raccoglila dai, la butti nel cestino dopo. Non vorrai inquinare l'ufficiale stanzino antipanico, che c'è n'è uno solo e ne abbiamo bisogno» percependo il suo bisogno andò a sedersi di nuovo a fianco a lui. Percepiva solo a guardarlo che c'era qualcosa che non andava, di cui voleva parlare, e bastó quello, le bastó vedere un ragazzino che aveva bisogno di lei per dimenticare tutti i propri problemi, per dimenticare tutto, per dimenticare Jade, o James, o di non aver dormito abbastanza.
Il ragazzo raccolse la cicca della sigaretta spenta sorridendo appena.
«Allora come mai era nello stanzino antipanico?» chiese curioso.
«Ci sono finita per caso in realtà, ma è spuntato proprio nel momento del panico per salvarmi, quindi direi che funziona perfettamente. Piuttosto come va? Hai più chiarito con la tua amica?»
Jack guardò dritto di fronte a sé, giocando a far passare il mozzicone tra le dita.
«No, ma volevo farlo. Volevo farlo oggi. Se trovo il coraggio…»
L'insegnante fece un sorrisone contagioso.
«Dai! Ottimo! Lo troverai, ne sono sicura. Poi ricordati: meglio provarci e non avere rimpianti, che non fare nulla e pentirsene per tutta la vita e poi che hai da perdere?»
Jack rimase senza parole.
Era vero! Non ci aveva mai pensato: non aveva assolutamente nulla da perdere.
«Cazzo, ha ragione! Oh…scusi la parolaccia. Ma non ci avevo pensato. Se già non mi parla non ho nulla da perdere, al massimo continuerebbe a non parlarmi», quel semplice ragionamento lo riempì del coraggio che gli mancava. Lo avrebbe fatto, si sarebbe buttato dopo scuola. Le avrebbe chiesto di parlare, chiedendole scusa come prima cosa, dicendole quanto fosse preoccupato per lei, e dispiaciuto e quanto si sentisse in colpa per non averle scritto prima, che lo avrebbe fatto ma era una cosa troppo importante per parlarne per messaggio.
«Daje! Vedi? Fantastico! Faccio stra il tifo per te» lo esortò con sincero interesse.
«Poi la aggiorno, allora… se vuole» cercò un aggancio, disperatamente bisognoso di almeno un punto di riferimento nella sua vita. Provando in tutti i modi a non darlo a vedere né a se stesso né all'insegnante.
«Assolutamente! Voglio sapere come va e per qualsiasi cosa voglio farti sapere che puoi sempre chiedere di me in aula insegnanti. Basta che chiedi della Professoressa Violet, alle segretarie»
«E se ci vedessimo domattina qui? Sa, così la aggiorno su come è andata…»
«Oddio, io non so se ho la prima ora domani…» Violet sentì il cuore di Jack vacillare di fronte alla sua incertezza, lo sentì prepararsi a chiudersi a riccio emotivamente.
Erika fiutava tutto il suo disperato bisogno di attenzioni, di sostegno.
Quel ragazzo emanava trascuratezza e ogni volta che lo vedeva si sentiva sciogliere empatizzando moltissimo con lui. E senza che si sforzasse troppo, sentiva poi dentro di sé una risposta spingere e riempirla di energia, di pazienza a amore. Poteva fare tanto, poteva fare così tanto per quel ragazzo e chissà quanti altri, poteva fare così tanto con così poco. Questo era l'unico pensiero che le passava in testa, spingendola a fare di più.
«Ma sì, posso esserci. Possiamo fare colazione al bar», propose Violet che temeva che quel loro modo segreto di incontrarsi potesse risultare sospetto agli occhi degli altri insegnanti. Almeno Jade West le aveva insegnato cosa non doveva fare con uno studente.
«Ma non è il nostro stanzino antipanico…» insistette scherzoso con voce infantile.
«Ma non ne avrai bisogno, perché oggi andrà benissimo e non avrai nulla per cui andare nel panico» Effettivamente quel ragionamento non faceva una piega.
Violet si alzò, seguita dal ragazzo.
«Va bene, onesto»
«Allora ora andiamo in classe e domattina al bar alle otto meno venti? Ricevuto?» gli fece segno con la mano aprendo la porta e facendolo uscire.
«Ricevuto Prof» sorrise uscendo nei corridoi spinto dall'insegnante.
«Bravo ora corri in classe su su! E segui la lezione», lo incitò guardandolo andare.
Violet si trovó da sola nei corridoi, percorso solo dai passi svelti degli studenti ritardatari.
Stava facendo del bene: era felice.
«Cazzo, in che aula sono io ora? Non ho guardato gli orari, cazzo cazzo cazzo!»
*
Katherine entrò in classe quando già un bel gruppetto si era formato a chiacchierare. Grazie a Dio avevano smesso di fissarla ogni volta che entrava, ma quel giorno qualche volto familiare alzò la testa per osservarla. Li guardò male riconoscendo il gruppo dei suoi bulletti al completo; Matthew aveva chiamato i suoi amici della vecchia classe. Lo odiava. Lo odiava ferocemente. Li detestava tutti, ma quello era il suo terzo giorno di farmaci. Gli effetti collaterali erano stati pesantissimi; il primo giorno aveva dormito tutto il tempo collassando in vari spazi di casa propria, era stato un miracolo che fosse riuscita a svegliarsi per andare a scuola. Probabilmente si era svegliata solo perché non ne poteva più di passare tutto il giorno a dormire, poi aveva fame. Il cibo non le era mai sembrato tanto saporito, tanto desiderabile e gustoso. Forse sarebbe ingrassata un po'. Non che le importasse, o forse sì, ma in quel momento sicuramente no. Si sistemó sul banco e appoggiò la testa. Gli psicofarmaci stavano avendo un effetto strano non tanto sul suo corpo quanto sul suo cervello, forse si sentiva meglio, era diverso. Era come se il suo pensiero stesse evolvendo, trasformandola in un altra nuova versione di sé, poteva sentire i propri pensieri crescere e spingere in nuove e vecchie direzioni. Non riusciva ad accettare del tutto di essere pazza. Aveva sempre avuto paura, segretamente, di essere considerata tale, ma ora che prendeva psicofarmaci non aveva più scuse da ripetere a sé stessa. Doveva accettarlo. Ce l'aveva sempre fatta da sola, nonostante il bullismo, nonostante i suoi genitori, nonostante tutto aveva imparato a farcela da sola. Si sentiva un po' in colpa con se stessa, come se avesse perso quella sfida, poi ci pensò meglio e si sentì in colpa a non essersi fatta aiutare prima: ripensando alla Kat che era stata un tempo, a tutte le difficoltà che aveva passato, a quanto si era odiata per potersi lasciare da sola così, senza chiedere aiuto a nessuno, pensando di meritare che quell'inferno diventasse la sua normalità.
«Dai non fare il ricchione!»
«Cazzo dici, mica sono frocio come te!»
«Se, taci e vai a chiederlo a tua mamma quanto sono frocio che ieri mi faceva un bocchi- ahia stronzo!»
Schiamazzi alle sue spalle. Omofobi, sessisti, ignoranti e pure brutti e puzzolenti. Per curiosità Kat cercò Sarah, voleva vedere la sua reazione davanti a quelle scimmie, ma non era ancora arrivata. Vedendola girarsi, il gruppo di bulletti rimase in silenzio a guardarla. Trattennero una smorfia sui loro volti colpiti dai primi peli della crescita. Si girò sentendoli ridere, ridere di lei.
«Shhh! Dai non mi fare ridere. Smettila con sti gesti, scemo!»
Avrebbe potuto fare una scenata o qualcosa del genere. Sarebbe stato inaspettato, ma era troppo stanca per sforzarsi tanto.
I suoi pensieri si fermarono quando Maeve entrò, miracolosamente in orario, sfilando fino al posto accanto al suo. Indossava un corpetto gotico che le tirava su il seno e una minigonna, sotto aveva aggiunto delle calze nere, di certo non per sua volontà, ma per non farsi cacciare da scuola.
Dei fischi partirono. Maeve li guardò male.
«Oh, ma cazzo vuoi sfigato, ma vai a fischiare al tuo cane»
Katherine scoppiò a ridere mentre gli interessati sembrarono non gradire particolarmente.
«Ma che hai il ciclo? Dai, scusa. È che sei figa. Sono amico di Matt, sono dell’altra terza. Dai vieni a fare due chiacchiere. Ti offriamo una da fumare. Guarda che se ti siedi lì ti attacca la sua malattia del lesbismo» aprì l'indice e il medio a V e mosse la lingua nel mezzo, altre risate. Katherine deglutì. Cosa doveva fare? Cosa doveva dire? Voleva ignorarli, ma stavano mettendo in mezzo Maeve.
«Malattia del lesbismo?» Maeve aprì la bocca e socchiuse gli occhi iniziando a ridere.
«Cos'è siete invidiosi perché Katy può scoparsi una figa come me, mentre voi coglioni no?»
«Ma che cazzo dici. Vedi cosa ti faccio io»
«Ma tornatene a sniffare le mutande di tua madre sfigato, cosa mi fai vedere tu che non sai manco cos'è il clitoride, e direi…» annusó l'aria facendo una faccia disgustata,«tanto meno come farti una doccia.
Le lesbiche invece sanno davvero come far godere una donna, posso assicurartelo. Non è vero, tesoro?» le accarezzò la guancia facendole l'occhiolino.
Katherine rimase impassibile sentendo le guance arrossire. Non ci poteva credere, Maeve stava facendo intendere a tutta la classe che avevano scopato. Ci pensò un secondo in più, la guardò negli occhi ammirando il suo eyeliner perfetto, incontrò il suo sguardo furbo e assecondandolo fece un cenno del capo facendo cadere il branco nello sgomento
«No vabbè!» uno di loro si mise le mani nei capelli. «Sta stronza pazza…» sentì sussurrare. Si girò guardandoli tutti negli occhi e nel vedere le loro facce, un mezzo sorriso spontaneo fiorì sul suo volto. Osservò Matthew diventare rosso dalla rabbia, dall'invidia. Lui la guardò sprezzante, pieno d'odio.
Matt Voleva scoparsi Maeve da quando era diventata sua compagna di classe, puntava a lei silenziosamente da tempo, alla ricerca di qualche suo sguardo, di qualche suo interesse da poter rendere terreno comune, ma quando fumavano fuori lei stava sempre con il suo gruppo di amiche e con altri ragazzi popolari di quinta, e non lo degnava mai di uno sguardo. Matt rimase atterrito, puntando i propri occhi nella faccia tonda della rossa detestando il suo stupido sorriso.
Com'era possibile che proprio Katherine che era una donna, che era una sfigata, una pazza, una senza spina dorsale, potesse avere Maeve? Insomma, ricordava che una volta le aveva lanciato la propria coca-cola addosso ed era stato esilarante, la ricordava in tutto il suo essere patetica, ferma immobile in mezzo alla classe, con la faccia rossa da idiota, tutti i vestiti appiccicosi, e la bevanda che le gocciolava fino ai piedi. Era certo che non esistesse qualcuno di più sfigato di Katherine, di più debole, noioso ed insignificante. Era stupida, le sue interrogazioni andavano sempre male, si vestiva da barbona, era imbarazzante, non sapeva manco farsi degli amici o parlare ad alta voce, era strana a tal punto da dargli il ribrezzo e smuovere in lui una rabbia profonda. Era di certo la persona che valesse di meno in quella stanza. Era uno zero. E uno zero era destinato alla solitudine, a non trovare nessuno che se la chiavasse. E se proprio qualcuno se la fosse scopata doveva essere qualcuno di orribile, di triste e sfigato quanto lei, qualcuno di repellente. Qualcuno che non poteva essere Maeve; la più figa della scuola.
Così tutte le certezze del branco andarono in fumo. La catena alimentare si scardinó, la virilità di tutti loro tremò vertiginosamente, messa in crisi da una ragazzina suicida.
Morirono nell'invidia, trovando un motivo in più per detestarla, trovandone uno nuovo per temerla. Non potevano fare a meno che ricordare le parole dei pochi ragazzi che erano riusciti ad andare a letto con Maeve; storie fantastiche, tramandate di classe in classe, di anno in anno. Nessuna ragazza poteva competere con le scopate di Maeve. Si diceva non avesse limiti, che fosse una cagna assetata di sesso, e che le piacesse farlo nei momenti e luoghi meno opportuni e più eccitanti. Si diceva fosse una troia, una di quelle che lo fanno anale, o a tre. Erano anche state fatte girare delle foto... Insomma quella ragazza era il sogno erotico di tutti gli uomini e l'invidia di tutte le donne. Riuscire a scoparla era diventata un'impresa di stato, era una questione collettiva, socialmente riconosciuta da tutti i ragazzi della scuola. Che non facevano che scrivere il suo nome nei bagni e parlare di quanto e come volessero averla nelle maniere più aggressive e disgustose.
Quindi Katherine non aveva assolutamente idea dell'importanza che avesse per la loro sacra gerarchia maschile, arrivare a Maeve per scalare la vetta ed essere rispettato come alpha da tutti gli altri ragazzi della scuola, ma lo intuì. Lo lesse nei loro occhi, nel loro sgomento, e così sorrise vincitrice, provando per la prima volta in vita sua un assaggio di vendetta. Ed era dolce tanto da scorrerle nelle vene, da riempirla, da guarire una frattura in lei, da farla sentire forte e potente. Non abbassò lo sguardo, né smise di sorridere.
«Sei proprio una troia però» la insultò il ragazzo dal tanfo rancido. Kat non capì se lo stesse dicendo a lei o a Maeve, ma la sua compagna sentendosi presa in causa gli sorrise allegra.
«Una che non puoi permetterti a quanto pare, tesoro» si sedette troncando la conversazione e dandogli le spalle. Katherine si girò verso di lei e complici si misero a ridere appena i loro sguardi si incontrarono. Sentiva ancora il volto rosso, e spontaneamente si chiese se in quelle parole la sua compagna di banco avesse messo un fondo di verità. Non capiva mai quando scherzava e quando era seria.
«Lo so gattina, sono fantastica»
La rossa le ghignò senza poterle dare torto. Provando immensa gratitudine per lei. Nessuno l'aveva mai difesa, non se lo aspettava, non pensava che si sarebbe presa la briga di stare dalla sua parte. Le sembrava uno spirito libero, uno che non si schierava. Non si fidava di lei, e voleva continuare a non fidarsi, ma nel profondo del suo cuore si sentì guarire da tutto quel male che le era stato fatto. Non voleva illudersi, ma forse Maeve davvero le voleva bene e ci teneva a lei, in quel modo strano e un po' pazzo.
«Grazie… davvero», le sue parole uscirono piatte. Rimase ricurva sul proprio banco, ancora assonnata dagli effetti dello psicofarmaco. Non riuscí a trasmettere quanto le fosse grata, o l’imbarazzo e le curiosità che provava nel pensare di poter avere una chance con lei, ma la sua amica non sembrò notare i suoi pensieri e, con la solita leggerezza che la contraddistingueva, prese il proprio album dei disegni e lo aprì su una pagina piena di sketch di ragazzi a petto nudo in gonna.
«Amo, guarda che boni. Mi sono venuti benissimo. Dio, me li scoperei dei tipi così. Poi, c'è, li voglio muscolosi, ma non troppo, cioè, robusti ma abbastanza delicati da stare bene in gonna. Poi cioè, quanto è eccitante pensare di vedere l'erezione che alza la gonnella, che teneri dei cazzetti così, troppo carini. Se vedessi un tipo così me lo sbatterei al muro malissimo, gli uomini non capiscono proprio un cazzo di cosa piace alle donne», prese a fare il proprio bizzarro monologo senza osservare nemmeno se Kat la stesse ascoltando.
«Ti prego Maeve, non parlarmi di cazzi. Che schifo… Già sono morta», sbadigliò due volte di fila.
«Oh no, arriva la Gestapo» la darkettona alzò gli occhi al cielo annoiata, rimettendo il suo taccuino dei disegni in borsa.
«Smammate, tornatevene nelle vostre classi… subito!» West all'uscio stava guardando male gli intrusi che uscivano dall'aula con tutta calma dato che la campanella non era ancora suonata, ma lei faceva sempre in modo di arrivare cinque o dieci minuti prima quando era in prima ora.
«…la sfigata suicida non può essersi scopata quella figa…» sentì di sfuggita dire ai ragazzi in corridoio mentre stava entrando. Jade si accigliò. Stavano parlando di Katherine sicuramente. Le avevano scoperte? Qualcuno aveva fatto girare la voce? Sapevano di loro due?
No, non era quello, altrimenti l'avrebbero guardata, o non l'avrebbero detto di fronte a lei. Ma allora di chi stavano parlando? Chi era “quella figa”? Perché di certo di suicida in quella scuola ce n'era solo una. Una punta di gelosia le entrò in circolo. Osservò Katherine al proprio banco e immediatamente notò la sua compagna stretta nel corpetto, coi seni strizzati verso l'alto. Osservò un ragazzo tornare al proprio posto senza togliere gli occhi nemmeno per un attimo dal davanzale dell’alunna, l'apice del ridicolo fu quando inciampó su uno zaino, rischiando di cadere e aprirsi la testa sullo spigolo del banco davanti.
«Magari guarda avanti quando cammini…» commentò acida facendo ridacchiare la classe. Non le importava della sua incolumità, le importava di non essere responsabile della sua salute. Il ragazzo arrossì preoccupandosi particolarmente della reazione divertita di Maeve. Girandosi a guardarla più volte, mentre lei gli tirava delle occhiate. Come colpita da un epifania Jade capì: “quella figa” poteva essere Maeve, e proprio mentre analizzava minuziosamente quell'ipotesi, la ragazza si voltò verso Katherine dicendole qualcosa a sottovoce che la fece scoppiare a ridere. Non la fece soltanto sorridere, portó la luce sul suo volto spento, ridipingendolo di una gioia che non vedeva in lei da troppo tempo. Ridava vita a quel corpo grigio e smorto, anche se solo per qualche secondo.
West sentì una morsa alla gola.
Sentiva la gelosia strisciare al suo orecchio, ma prima che potesse dire qualcosa il suo senso di colpa la zittí brutalmente. Perché non aveva alcun diritto di essere gelosa se intanto lei faceva i threesome e aveva deciso che si sarebbe scopata Violet, ma soprattutto non aveva il diritto di essere gelosa essendo la causa del suo tentato suicidio…
Allora, in silenzio, sistemandosi alla cattedra, si sforzò di accettare la gelosia per lasciarla andare, ma solo allora scoprì che non si trattava di gelosia. Quello era un fastidio diverso, sottile.
La cosa che più la infastidiva, non era l'ipotesi che Kat potesse spassarsela con la sua compagna di , cosa che comunque non riusciva proprio a immaginare e che si rifiutava di credere possibile.
La cosa che più la fece sentire male e ingelosire fu la sua risata spontanea, perché lei non la faceva ridere così. Non più, pensandoci meglio probabilmente mai. La faceva sorridere, la faceva ridacchiare, ghignare, ma mai con quella stessa spensieratezza nello sguardo.
Non ci aveva mai pensato davvero, forse perché non aveva mai avuto intenzioni più serie, ma ora quella realtà le si presentava brutale sotto agli occhi: lei e Katherine avevano dieci anni di differenza. Poteva essere la sua professoressa sexy, la sua rovina e la sua salvatrice, ma non sarebbe mai potuta essere sua coetanea. Non avrebbe mai saputo come farla ridere in quel modo, con quella stessa libertà e leggerezza. Il mondo di Valentine era distante anni luce dal suo e più si fosse sforzata di farne parte più sarebbe stata imbarazzante, o come avrebbe detto Kat “cringe”. Allora per solo qualche secondo West si chiese come sarebbero andate le cose in un altro mondo, in un altro universo dove fossero state coetanee. Ci fantasticò sopra, e con rammarico realizzò che non aveva bisogno di fantasticarlo, perché era già successo con Erika e Katherine probabilmente in quel universo parallelo avrebbe fatto anche una fine peggiore.
Non sapeva come amare, era condannata a distruggere e peggio era condannata a provarci gusto.
«Prof… correggiamo gli esercizi? Non mi sono venuti gli ultimi due», chiese Sarah dando sui nervi a Kat. Sapeva che fosse sbagliato odiare qualcuno per nessuna ragione, sapeva che la sua invidia non era un sentimento nobile da provare, sapeva che non era giusto giudicarla solo in base a ciò che di lei la infastidiva a pelle e non in base alla persona che era, ma non poteva farne a meno. Spesso si ritrovava a guardarla, a cercarla con lo sguardo, solo per cercare in lei quel dettaglio che la facesse infuriare. Non capiva nemmeno lei bene il perché. Prima pensava che avesse stile, poi iniziava a pensare che tutto sommato lo faceva solo per attirare l'attenzione, che era esagerato e non c'era bisogno di sbandierare così di essere lesbica o speciale. Eppure era un pensiero stupido, era un pensiero omofobo, di quegli idioti che si vantano di non avere niente contro i gay, tranne se sono un po' troppo gay, se lo danno a vedere. Come se ci fosse solo una percentuale accettabile di gay da poter manifestare apertamente.
Quindi sapeva benissimo che non fossero cazzi suoi come Sarah decidesse di vestirsi, o quanto spesso decidesse di intervenire durante la lezione. Sapeva che il problema non era quella ragazza che non aveva fatto nulla, ma era lei, la sua insicurezza, la sua invidia, la sua mancata identità.
«Cazzo gattina, tu li hai fatti?» le bisbigliò Maeve mentre apriva il suo quaderno di matematica, o meglio, ciò che ne restava. Katherine la guardò affascinata girare le pagine di fogli piegati, strappati, tagliati con le forbici e stropicciati, con più disegni erotici che parole. Mentre girava la carta uscirono anche: un assorbente, una graffetta, mezzo biscotto, due stickers con delle tette, e il più inaspettato; un volantino dei testimoni di Geova (Kat era davvero curiosa di sapere come fosse finito lì)
Il senso di Maeve non aveva alcun senso: alcuni fogli erano scritti da un lato, altri come se avesse aperto il quaderno al contrario, o altre volte ancora scriveva in orizzontale. Era sporco di briciole e polvere nera e verde, o di qualcosa di strano che faceva sembrare alcune pagine appiccicose, e difatti alcuni pezzi di carta e carte di caramelle sembravano rimanere attaccati alla forza di gravità di quel reperto, e come se non bastasse profumava di un profumo molto dolce, che ricordava le rose ma anche lo zucchero filato.
Rimase affascinata a guardarla girare le pagine del suo capolavoro contemporaneo, finché non trovò una pagina con scritto “esercizi” sopra in rosso. Kat divertita si chiese se fosse rosso penna o mestruo perché ormai si aspettava di tutto.
«Ah no, questi sono gli esercizi di quella lagna di Italiano…» rigirò pagina.
«Hai sbagliato quaderno?»
«No, ho un quaderno per più materie»
«Ah…»
«È più funzionale sai…»
«Ah beh, certo. Lo vedo…» trattenne una risata.
«poi non ci stanno nella borsa più quad-»
«Perché non vieni tu Paige?» la interruppe la professoressa.
Maeve sospirò, si girò verso la sua amica alzando gli occhi al cielo e bestemmiando in silenzio. Kat dovette tapparsi la bocca con le mani, perché la sua bibbia era aperta su una pagina con disegnata una donna nuda che si faceva praticare un cunnilingus. Notò con poco stupore che la modella di quell'opera assomigliava in particolar modo alla sua creatrice.
«Posso andare in bagno?» chiese Maeve con tutta la naturalezza del mondo.
West rimase sbigottita. Era felice che Paige fosse così indisciplinata, almeno le dava una scusa per prendersela con lei, almeno poteva raccontarsi di non farlo perché in realtà, in fondo, era proprio gelosa.
«Come scusa?» la guardò malissimo, sperando di metterla al suo posto in fretta, oppure no.
«Prof devo andare in bagno è urgente» ripeté.
«Hai fatto gli esercizi?» tagliò corto l'insegnante.
«Ma Prof, ovvio, cioè palese» Jade non capiva se la stava prendendo in giro o no, ma iniziava davvero a darle sui nervi e anche se la conosceva da poco era certa che non avesse fatto proprio un bel niente.
«Allora vieni alla lavagna a farli»
«Ma davvero è urgente! Devo andare in bagno… dai Prof, per piacere» insistette come una bambina, prendendo molto poco sul serio tutta quella situazione.
Katherine appoggiò la testa al banco eclissando. Si era dimenticata di chiedere a Jade di non prendersela più tanto con Maeve. Ci aveva pensato, aveva pensato di provare a chiederglielo, di provare a dirle che era gentile con lei, che non era stronza come sembrava all'apparenza, che ovviamente non voleva mettersi in mezzo al suo lavoro e che lei era l'insegnante, che sapeva che la sua amica non fosse esattamente un alunna modello, ma voleva provare a chiederle di non tormentarla, di concentrarsi un po' anche sugli altri, magari, come Matthew, per esempio… così per suggerirne uno a caso. Fatto sta che aveva passato tutto il Sabato pomeriggio a fare i compiti, e a farsi anche la sua insegnante, dimenticandosi completamente di chiederle quel favore.
E ora di nuovo, si trovava in quella situazione imbarazzante. Dove aveva paura per entrambe, dove quello scontro fra titani la faceva impanicare; ora per l'incolumità di Maeve, ora per il ruolo di West.
Avrebbe voluto tanto intervenire, ma aveva paura di fare la cosa sbagliata, o di esporsi troppo.
«Va bene, portami il quaderno e fammi vedere tutti gli esercizi fatti e puoi andare in bagno»
L'alunna posò gli occhi sulle pagine devastate del proprio quaderno, non avrebbe dovuto, ma per poco non scoppiò a ridere immaginando di portare il quaderno con quel disegno all'insegnante. A quanto pare Katherine pensò la stessa cosa perché il suo corpo piegato sul banco iniziò a sobbalzare preso da convulsioni silenziose. La sua amica contagiata dalla sua risata silente si accasciò sul proprio quaderno coprendolo e lasciandosi sfuggire un suono simile ad una pernacchia. Kat a sua volta vittima di quel virus esilarante, prese a scuotersi più forte, mentre si ripeteva di non guardare Maeve o il quaderno, che non doveva assolutamente guardarla, che sarebbe stata la fine, ma poi per qualche ragione Maeve collassó perdendo tutte le proprie energie, e si sbilanciò verso di lei. Istintivamente Kat sentendo quel peso morto contro di sé, alzò la testa e vide il volto di Maeve molto vicino al suo, totalmente rosso dal ridere, i loro sguardi si incontrarono…
«Paige Maeve! Il quaderno!»
Come una bomba ad orologeria le ragazze scoppiarono in una fragorosa risata, mentre entrambe immaginavano Jade West che sfogliava le pagine del quaderno degli orrori alla ricerca degli esercizi perduti: scritti in diagonale con il sangue, con la polverina nera con le briciole dei biscotti. L'insegnante di matematica, che con giusto la punta dell'indice e del pollice e un'espressione disgustata, girava le pagine lerce, scoprendo assorbenti, disegni orgiastici, e sul più bello leggeva la scritta “Gesù è sempre con te” vicino allo scarabocchio di un cazzetto che orgasmava. Era tutto troppo per non morire dal ridere.
Jade rimase sconvolta a guardare quella ridicola scena che non poteva capire. Provò un miscuglio di emozioni contrastanti. Si sentì tradita da Kat, che stava supportando quella poco di buono, che stava ridendo durante la sua ora. Provò odio per quella ragazza impertinente, che non solo non faceva che farle sprecare tempo, ma in più le stava portando via la sua Kat. E alla fine guardando le lacrime agli occhi di Valentine, che sembrava aver trattenuto quella risata da tutta una vita, non potè che sentirsi sollevata. Forse non l'aveva danneggiata troppo, per fortuna era ancora una stupida adolescente. E alla fine provò solo invidia: perché non poteva capire quel atteggiamento infantile, non poteva prenderne parte, perché era diventata troppo adulta e seria per poter ricordare cosa si provasse ad essere solo una stupida adolescente.
Quando Valentine riuscì a smettere di ridere arrossì dalla vergogna.
«Scusa-si. Scusi Prof, siamo due idiote. Ci perdoni. Non disturberemo più la lezione. Davvero, ci scusi.» chiese mortificata mentre quell'onda di vita scemava lasciandola sconvolta della propria reazione. Diede la colpa ai farmaci, dovevano averle tolto un po' di apatia, e con quel sonno addosso era come se non sapesse controllarsi. Si diede quella spiegazione, ma non poteva sapere che i farmaci non c'entravano proprio niente.
«Sì Prof, è che ho preso il quaderno sbagliato, ma va bene, vengo alla lavagna a fare gli esercizi, li faccio sul momento» Maeve si alzò senza quaderno e andò a prendere il gesso.
West non sapeva che fare. Non poteva farsi trattare così dai propri alunni. Non poteva trattare Kat diversamente per non creare sospetti, non troppo. Doveva mantenere la propria reputazione.
«Valentine, mi sembri un po' su di giri. Vai un po' a sciacquarti la faccia e darti una calmata magari»
La ragazza ci rimase male. Il suo sorriso si spense all'istante. Pensò anche fosse un po' di cattivo gusto, pensò a Matthew e agli altri coglioni, sentì i loro pensieri sussurrare “sì torna in bagno ad ammazzarti”
E sapeva che Jade non intendeva quello, lo sapeva davvero, ma avrebbe potuto usare altre parole. Avrebbe potuto solo dirle di farsi un giro, avrebbe potuto sgridarla e basta, minacciandola di una nota, in una maniera non esageratamente cattiva. Pensava che fosse dalla sua parte quando erano in classe, ma ora leggeva nel suo volto una serietà nel quale non vedeva alcun segno di complicità, di recita, di finto. L'aveva davvero fatta arrabbiare? Aveva esagerato? Non lo sapeva, ma si alzò e a testa bassa, presa dai propri pensieri, uscì senza dire una parola.
West realizzò di aver ferito Kat e la cosa la fece infuriare. Era una situazione diversa dalle solite. Katherine non poteva fare così, era obbligata a metterle dei limiti, perché era pur sempre la sua insegnante. Ma mentre Maeve la guardava aspettando con aria tranquilla, Jade decise di darle la colpa, perché era la cosa più facile.
In aula, a quel punto, scese un silenzio macabro.
Spazio scrittrice:
Questo capitolo è un po' più lungo del solito ma sinceramente non mi dispiace.
Vi prego sono qui pronta a sentirvi sclerare. Voglio il vostro parere su tutto. Su Maeve, sulle riflessioni di Jade, su cosa vi aspettate succederà. Ditemi tuttooooo, finalmente sto cercando di darmi una mossa, speriamo bene. Potrei sfornare capitoli un po' più corposi del solito.
Da questo lato è stato interessante per la prima volta spiegare anche il modo di pensare di Matthew, per quanto sia merda.
Anyway grazie a tutti per aver letto, spero stiate bene e il capitolo vi abbia emozionato e soddisfatti.
Lasciate una stellina e commentate che voglio sapere ogni vostro parere
Spero stiate tutti bene❤️
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