Capitolo 33
Katherine rimase interdetta, entrando in casa percepí la puzza di chiuso. Si tolse le scarpe e le sistemó nella scarpiera come ricordava fosse doveroso fare, nel mentre la sua insegnante scappò in sala fuggendo dal suo sguardo curioso. La seguì venendo investita da un'intensa puzza di alcool. Notó il caos, generale, notò i calici di vino, ma soprattutto la pozza rossa sul parquet e i cocci sparsi per la stanza. Guardò West in cerca di spiegazioni e per la prima volta in vita propria la vide arrossire, e il suo volto si contrasse in una smorfia di imbarazzo misto a vergogna.
«Non è proprio un ottimo momento… dammi solo il tempo di sistemarmi e pulire questo casino», corse in camera propria fuggendo dalla sua fame di curiosità.
Katherine si ritrovò sola in mezzo a quella realtà sconosciuta, e curiosa decise di analizzarla con attenzione.
C'erano due calici: West aveva fatto serata con qualcuno? Era per questo che indossava quel vestito? Forse quell'altra persona era ancora in casa?
No, non aveva senso. Non l'avrebbe mai fatta entrare altrimenti. Come aveva fatto ad accettare di farla entrare con quel disordine? Probabilmente era ancora l'effetto del vino che non la faceva ragionare, ma la West che conosceva lei non amava bere o perdere il controllo.
Le West che conosceva lei aveva una casa ordinata e immacolata, indossava dei vestiti puliti, stirati e alla moda, si truccava e non aveva un capello fuori posto. La West che conosceva si svegliava all'alba per fare sport, non sprecava tempo, non era mai impreparata e non l'avrebbe fatta entrare anche se ci fosse solo stato l'angolo del tappeto piegato.
Katherine ciondolò verso le finestre e le aprì per far cambiare l'aria stagnante e aspra dal retrogusto alcolico.
Si avvicinò alla bottiglia, o meglio a ciò che ne restava; era saltata fino al fondo della stanza, il vino era schizzato anche sulle pareti. Era un disegno strano, per essere schizzato in quel verso la bottiglia non era solo caduta dall'alto verso il basso, doveva essere stata lanciata. Altrimenti non se lo sarebbe spiegato.
Jade aveva bevuto tanto da lanciare una bottiglia di vetro mezza piena? Stranamente ce la vedeva, stranamente l'immagine non la stupì. Conosceva gli scatti d'ira della sua insegnante. Corrucciò la fronte pensierosa. Ricordò la volta che Jade le aveva tirato uno schiaffo per gelosia e quella dove l'aveva spinta contro la parete. Strinse gli occhi in un'espressione insofferente senza capire chi stesse contraendo i suoi muscoli, senza capire che genere di emozione doveva star dimostrando con quel ghigno drammatico. Ricordare certe cose le bucava lo stomaco, le bisbigliava parole che non voleva sentire. Da quella prospettiva piatta i suoi ricordi con Jade le sembravano un po' meno romantici e l'idea la terrorizzò. Scacciò in fretta i ricordi e pensieri, le paure e osservò le gocce rosse sul muro bianco, che sarebbero rimaste fino alla prossima passata di vernice.
Un brivido malsano lungo la schiena.
Inghiottì la saliva e accucciandosi al suolo raccolse i pezzi di vetro più grandi.
Perché Jade non stava bene? Cosa le stava succedendo? Cosa era successo? C'era qualcosa di strano, di diverso e imprevedibile. Le dava fastidio. Si sentì quasi arrabbiata. Aveva bisogno di Jade, aveva bisogno di trovare un angolo di normalità in quella casa, di riposarsi nell'ombra del proprio passato, di dimenticare il presente. Di ritrovare un pezzetto della Kat felice, almeno così sperava.
Era in conflitto. Buttò tutti i frammenti nella spazzatura sotto al lavandino sobbalzando al fracasso.
Una Jade bisognosa di aiuto, bisognosa di lei, era tutto ciò che aveva sempre sognato, allora perché un po' le dava fastidio?
Liz si stava docciando in fretta e furia. Aveva buttato tutto ciò che in camera sua potesse richiamare alla sua terribile serata. Aveva buttato tutto in giardino lanciando calici e bottiglie fuori dalla finestra. Non era stata una delle sue migliori idee, ma nel panico e nel nervosismo forse ci aveva preso gusto a scaraventare oggetti di vetro. Tanto era casa sua, tanto era il suo giardino. Avrebbe sistemato più tardi. Lontana dagli occhi interrogativi della sua alunna. Si sentì un poco meglio dopo la doccia fredda. Si lavó anche i capelli, conscia del fatto che non li avrebbe asciugati. Odiava quella situazione. Al balsamo aveva già perso il conto di quante volte si era dannata per aver fatto entrare Katherine in casa propria. Sentiva l'urgenza del tempo scorrere. Sentiva le proprie aspettative spingerla a pensare all'outfit migliore, al trucco migliore, come se fosse esistito un escamotage per cancellare quel tragico inizio e andare avanti con un briciolo di dignità. Si preparò davanti allo specchio.
Era bella, era bellissima anche con le occhiaie, forse di più perché le mezzelune oscure contrastavano con i suoi occhi chiari. Era sensuale anche con i capelli bagnati e in disordine. Il suo corpo era attraente come sempre, aveva solo qualche livido in più. Il problema era la faccia nella sua totalità, la sua espressione, la sua stanchezza indelebile che nonostante il correttore non sembrava venir via. Il problema era che nessuno avrebbe mai dovuto vederla in quelle condizioni, che c'erano un'infinità di imperfezioni, di errori nei suoi calcoli, ma ormai era troppo tardi.
Quando West tornò in sala rimase stupita dall'ordine. Valentine stava portando in cucina i calici, aveva asciugato il pavimento pulendolo, aveva aperto le finestre, sistemato tutto. West provò un calore che la intimidì. Era inaccettabile che la sua alunna dovesse raccogliere il suo schifo in casa sua. Era una maleducata ad aver messo Kat in quella situazione, non era mica Dayana, non avevano quel tipo di intimità…
«Kat… grazie. Non dovevi, davvero. È imbarazzante… Oggi sono una pessima padrona di casa», borbottò trovando Kat in cucina davanti al lavandino.
«Ho buttato tutto qui sotto e usato lo scottex per asciugare. So che sarebbe stato meglio usare uno straccio, ma non sapevo dove trovarlo. Spero vada bene»
«Certo certo. Grazie mille»
Il silenzio evidenziava l'incomunicabilità di emozioni che West non sapeva scandire ad alta voce.
«Senti, so che non ami esporti. Ma che hai? Cosa è successo? Hai solo vissuto una serata folle o è successo qualcosa?»
Jade inghiottì la saliva. Non si era ancora abituata alle sue domande dirette. Non sapeva cosa fosse peggio ammettere.
«Ma no Kat, va tutto bene. Davvero. Nessuna serata di piacere. Una cosa tra amici tranquilla e poi devo aver esagerato. Sai che non bevo, è bastato un calice di vino e non ho retto, ho fatto cadere un po 'di roba mentre cercavo di sistemare, ma nulla di che. Davvero, sicuramente non farò mai più questo errore», mentì come respirava.
Peccato che l'olfatto di Katherine fiutasse ben più di un calice di vino nel suo alito, e che le pareti bianche erano incriminate di un evidente omicidio alcolico.
Valentine la osservò seria, in silenzio. Le avrebbe potuto credere se non fosse sembrata così stanca, così insicura.
«Senti… so che sei orgogliosa e che non vuoi "farmi entrare", e va bene se non vuoi dirmi la verità. Non posso obbligarti, ma ho capito che c'è qualcosa che non va…
Sai che non ti giudico, sai che se hai bisogno ci sono»
Erano le solite cose che Valentine le ripeteva da una vita, ma sta volta erano diverse, suonavano tangibili, serie. Era un'altra Kat a dirgliele: una dura, solida, sconosciuta. Una distaccata, piatta, ferma, indiscutibilmente affidabile.
Jade agitata prese a maneggiare contro alla lavastoviglie per sistemare i calici. Non le rispose, dandole le spalle. Avrebbe voluto davvero dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma non si era mai trovata tanto spalle al muro.
Katherine fu scocciata da quell'atteggiamento e se ne stupì. Le dava fastidio la chiusura della sua insegnante, le sue bugie, non aveva tempo per assecondarle. Non sarebbe stata al gioco, non ne trovava il senso dato che non le credeva minimamente.
Era determinata, voleva ricavarne qualcosa. Non avrebbe accettato il silenzio e il distacco. Era evidente che la sua insegnante avesse bisogno, ed era evidente che in quel momento fosse nella posizione migliore per sostenerla. Quindi poche storie, l'avrebbe aiutata. Forse era il destino che l'aveva portata lì proprio in quel momento.
«Senti ho visto che nella spazzatura avevi altre bottiglie…
Sei un alcolizzata?»
«No! Ma ti pare? Io! Non sono una cazzo di alcolizzata! È solo… è solo un periodo, ok? So benissimo vivere senza alcool, non sono dipendente, non ne ho bisogno. È solo…
In certi momenti della mia vita ho bisogno di una spinta tutto qui» scattò sulla difensiva. Non voleva, non avrebbe perso il poco di dignità che le rimaneva, non con Valentine.
«E perché ora? Cosa sta succedendo in questo periodo? C'entra la tua amica Dayana? O la tua ex?» osò. Non le avrebbe dato tregua, non senza la verità. Avrebbe raggirato in qualche modo la barriera del suo orgoglio per raggiungerla.
Jade si girò verso di lei e la guardò persa, le urlò mille verità in un silenzio stretto tra i denti.
Perché Katherine non pensava che il suo tentato suicidio fosse stato tanto grave per lei? Perché non pensava che potesse essere la causa dei suoi problemi con l'alcol? Ma si rispose da sola: perché la ragione per cui stava tanto male non era il suo tentato suicidio, era il senso di colpa di esserne la responsabile. Si sentì morire davanti al suo volto fermo, indissolubile. La sua rigidità le ricordava quasi quella di Dayana, non era più la ragazzina morbida che desiderava.
«Davvero Kat?» le uscì spontaneo, esasperato. Il tono incrinato paurosamente.
«Cosa?» non capì a cosa si riferisse. Andò lievemente in allarme: le aveva forse dato fastidio che citasse la sua ex? Aveva evitato di chiamarla per nome apposta.
'È per te! Cazzo, è perché mi hai fatto preoccupare da morire, è perché ci tengo davvero a te.'
Ce l'aveva sulla punta della lingua, Jade voleva urlarlo. Stava così male perché si sentiva un mostro, perché era colpa sua, perché quando la guardava negli occhi non vedeva la piccola Kat di prima. Perché tutta la sua esistenza stava crollando nella reale consapevolezza di quanto male avesse fatto a tutti, perché era una codarda che preferiva amoreggiare con la bocca di una bottiglia di vino, piuttosto che fare qualcosa, qualsiasi cosa di buono. Non era capace di fare qualcosa di giusto. Non aveva idea di cosa fosse buono e giusto, la situazione si era complicata troppo, era un groviglio inestricabile anche volendo sistemare le cose, come poteva? Camminava sul filo di una bugia, sospesa sul baratro della verità. Con la certezza che prima o poi si sarebbe schiantata, che fosse per sbaglio o di proposito.
Poteva ammetterlo? Poteva dirglielo che stava così male per lei? Le avrebbe fatto piacere?
O sarebbe stato un gesto egoista? Non era lei ad aver rischiato la morte, che diritto aveva di piangersi addosso davanti alla sua vittima?
Se le avesse detto che ci teneva a lei, che era preoccupata, forse a Kat avrebbe fatto piacere. Forse si sarebbe sentita importante e amata.
Ma era la cosa giusta? Non l'avrebbe legata di più a sé così? Non era ciò che doveva evitare? Non doveva allontanarla da sé? Era meglio evitare di farla innamorare di più.
Eppure era certa che a Kat avrebbe fatto piacere sapere che per lei era davvero tanto importante, però forse poi se ne sarebbe fatta una responsabilità, si sarebbe sentita la causa del suo malessere, avrebbe sentito il dovere di fare qualcosa per aiutarla.
No, non era giusto.
«È per la mia ex», Jade si stupì delle proprie parole. Non sapeva perché lo aveva detto. Forse perché era la bugia più vera che potesse trovare. Perché non voleva parlarle di Dayana, né di Violet, per l'amor del cielo. Aveva bisogno di mentire, di non esporsi per davvero, di prendere un po 'di controllo sulla realtà e non aveva altre scuse pronte, colse la palla al balzo. Katherine le credette, lo seppe perché il suo sguardo si addolcì. Istintivamente le mise una mano sulla spalla.
West chiuse la lavastoviglie e andò a sedersi al tavolo, seguita da Katherine. Si versò dell'acqua e ne offrì un po' anche a lei che rifiutò.
Il silenzio pieno di attesa.
Non c'era bisogno che le chiedesse di più, sapeva di dover aggiungere qualcosa, ma cosa? Non voleva parlare di Adeline. Non voleva pensarci davvero, era troppo doloroso. Era certa che Adeline, dovunque fosse, l'avrebbe giudicata per quella tragica situazione in cui si era cacciata. Le fece male il cuore al solo pensiero, ma il dolore di Dayana e quello del sangue di Valentine nei bagni della scuola, era ben più fresco e minaccioso.
«Capita che… la sogno, o mi tormenta in pensiero…
Allora bevo, per distrarmi, a volte funziona… altre peggiora. Lo so, è patetico», ghignò di quella bugia veritiera, di quel ibrido tra menzogna ed onestà.
Il cuore dell' alunna si riempì di qualcosa di morbido e dolce, di un miele dimenticato. Un guizzo le srotolò la spina dorsale dritta e attenta. Sentì di nuovo il sapore di qualcosa che non ricordava più, sentì di nuovo il bagliore di un sentimento, uno qualsiasi e tra tutti, proprio uno tanto caldo e vivo. Sentì la vita pomparle nelle arterie. Sentì la vita. Sentì.
Dopo giorni di piattezza assoluta, improvvisamente il suo cuore indolenzito si svegliò ricordandole di essere viva, di poter ancora provare il briciolo di un'emozione.
E la fragilità di West, il suo bisogno di sostegno, era il sentimento più poetico che mai avrebbe potuto provare. Ne voleva di più, ne aveva bisogno.
Katherine le prese la mano e la strinse nella propria più piccola. La fissava negli occhi, comprensiva e rassicurante. Per un attimo luccicò il riflesso della sua vecchia alunna.
«Non dirlo nemmeno per scherzo. Non è patetico. È umano. Penso capiti a tutti… almeno credo. È per questo che hai lanciato la bottiglia di vino?» chiese curiosa.
«Probabilmente…» tagliò corto stando nel personaggio.
«E perché hai preso due calici? Uno non l'hai usato»
Jade sudò freddo alla ricerca di una risposta credibile, doveva trovarne una o tutta la sua fantasia artificiale sarebbe crollata, o per lo meno sarebbe stata degna di sospetti.
«È un po' imbarazzante, penserai che sono fuori di testa…» rise nervosa. Era l'unica scusa credibile che le era venuta in mente, sapeva che se ne sarebbe pentita. Pensò quasi di dire la vera verità, che almeno sarebbe stata meno ridicola.
«Sai che non ti giudico. Insomma, non mi sembra di essere nella posizione di una sana di mente», rise da sola stringendole la mano sul tavolo.
West fece un respiro profondo. Si prese il viso tra le mani in profonda pena per la propria persona.
«A volte quando sono ubriaca, mi capita di fingere che lei sia qui… le parlo, e tutto…» le fece male ammetterlo, perché non era una bugia, certo non aveva mai offerto da bere al fantasma di Adeline, ma in passato ci aveva parlato, pianto assieme, litigato e riso nelle giornate fortunate.
Era strano che le sue bugie fossero sempre così vere, era il miglior modo per renderle credibili, usare le verità come menzogna, inserirla nelle domande sbagliate.
Katherine le sorrise premurosamente.
«Ci sta», scrollò le spalle con la leggerezza che solo un'adolescente poteva avere. Il cuore di Kat si riempì ancora, lo sentì bruciarla, improvvisamente, come se una luce si fosse accesa nella sua oscurità. In quel momento stava bene, non in una maniera calma e vuota, ma in una maniera dolce e rassicurante. In quel singolo momento era felice e tranquilla così. Guardò West negli occhi e la trovó bella, la trovò di una fragilità disarmante, di una dolcezza disordinata. Se ne innamorò di nuovo guardandola negli occhi. Notando le sue ciocche bagnate, i solchi sotto i suoi occhi, lo sguardo sfuggevole, le labbra pallide, le rughe impercettibili della stanchezza. Forse le sembrò più bella di come mai le fosse apparsa. Bella in una nuova maniera, una più cruda e reale.
West lasciò andare la tensione di dover trovare qualche scusa con un grosso sbadiglio. Era distrutta. Aveva solo bisogno di dormire, questo le chiedeva il suo corpo. Improvvisamente realizzò di non avere idea di come intrattenere Kat. Non ne aveva le energie. Farla entrare era stata davvero una terribile idea.
Katherine sbadigliò di risposta al suo sbadiglio e si stiracchiò.
«Mado, che sonno», borbottò. Sorrise realizzando di non essere a scuola a seguire una noiosissima lezione, ma di essere con la sua Jade.
«In classe si staranno annoiando da morire. Che bello essere qui», rise.
«Come in classe? Ma tu avevi lezione?» realizzò l'insegnante. Katherine con un sorrisone annuì, facendo sorridere involontariamente anche la sua insegnante.
«Kat! Non va bene», la riproverò senza suonare convincente.
«Shhhh… Non ti preoccupare per me. Pensa a riprenderti. Hai bisogno di dormire? Perché io ho sonno, se vuoi dormire, ti prego sì. Cioè non mi dispiacerebbe…»
'Dormire insieme a West'
'Dormire insieme a Katherine'
Era qualcosa che non avevano ancora mai provato a fare sul suo letto. Qualcosa di estremamente semplice e spaventosamente intimo. Jade non era convinta, per niente, ma la stanchezza le premeva addosso tempestosa, non sarebbe stata capace di fare nulla se non dormire e ormai non poteva cacciare Katherine, non dopo che aveva sistemato il suo casino.
«Ah! Va bene. Vieni, ho bisogno di sdraiarmi», si alzò facendosi seguire.
Un filo d'imbarazzo rimase nell' aria quando entrambe si trovarono distese sulle lenzuola stropicciate. West si girò dando la schiena a Kat, rimanendo nel proprio lato. Chiuse gli occhi stanca assaporando il silenzio.
L'alunna rivolta verso l'insegnante contava i centimetri di materasso che le separava. Si avvicinò un poco approfittando di non essere vista. Il corpo della sua insegnante al suo fianco era una calamita. Sentiva il bisogno intenso di sentire il suo calore, sentiva la propria pelle urlare e supplicarla di incontrarsi con quella pallida di Jade. Non era desiderio sessuale, non si sentiva eccitata, era un bisogno fisico, primitivo, umano. Le batteva il cuore di quel bisogno, sentiva tutta l'emozione di star vivendo una situazione talmente rara con lei e non se la sarebbe lasciata sfuggire.
«Jade?»
«Mh?»
«Posso abbracciarti?»
«…»
«É che dormo meglio abbracciata a qualcuno e poi…»
«Sí», le concesse provocandole un brivido di entusiasmo. Senza farselo ripetere Kat azzerò la distanza tra i loro corpi. Circondò il corpo di Jade con un braccio e appoggiò la fronte alla sua schiena sentendo il suo respiro alzarla ed abbassarla. Ebbe timore di turbarla col battito del proprio cuore che agitato correva nel suo sterno per l'emozione, poi i loro corpi si fusero, i loro respiri iniziarono a ballare il valzer intrecciandosi tra loro, camminando sullo stesso ritmo lento e rilassato. Kat appoggiò il naso sulla sua schiena e cercò di riempirsi le narici del suo odore.
West ebbe una piccola scossa al braccio, seguita da un'altra. Fu allora che la rossa si meravigliò ed intenerì al pensiero di Jade che nel giro di qualche minuto era crollata tra le sue braccia. Si convinse che non fosse stata tanto la stanchezza, quanto la rassicurazione e il calore del suo abbraccio. Si convinse che la sua insegnante doveva essersi sentita al sicuro e cullata dal suo respiro. Si convinse di tutto ciò precipitando lentamente in un sonno dolce dal profumo di Jade West.
*
Jade si svegliò di soprassalto. Il cuore le batteva all' impazzata. Si sentiva ancora più stanca, sentiva tutto il proprio peso premere contro la gravità del mondo.
Provò a scacciare il sonno stropicciandosi gli occhi e sbarrandoli aperti. La luce che entrava dalle finestre era strana, era bianca, indefinita, come in quelle giornate senza orario.
Solo in quel momento notò lo spazio vuoto sul materasso accanto a sé e realizzò la mancanza di Katherine. Si guardò attorno ma di lei nessuna traccia.
Spazio scrittrice
Che ne pensate di questo capitolo?
Vi aspettavate una Katherine così? Di certo non vi aspettavate una Jade del genere.
Dove credete sia finita Katherine?
Su su, fatemi sapere la vostra opinione! Ne ho bisognoooooo, soprattutto perché non so in che strana crisi dello scrittore io sia finita, ma non sono soddisfatta di questo capitolo. Non lo so. Non mi piace.
Di solito ho bisogno di ispirazione e emozione per scrivere bene, a quanto pare ora non più. Riesco a scrivere bene a comando, cosa mai successa prima. Il che è utile ma mi fa sentire annoiata almeno quanto Kat e la sua apatia emotiva. Dovrei sfruttare questo nuovo super potere e scrivere mille capitoli pur non avendo ispirazione perché tanto escono decenti comunque? Sì.
Lo farò? Assolutamente no perché se non mi emoziono perdo la voglia di scrivere.
Che strano il mio cervello boh rega.
Vi prego ditemi che ne pensate di sto capitolo a me sembra un flop anche se leggendolo riconosco che è scritto meglio di altri.
Grazie per la lettura e scusatemi i soliti tempi infiniti di attesa
Vi voglio beneee
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