Capitolo 31
In quel momento, Violet sentì una mescolanza di emozioni contrastanti. La rabbia, il dolore e il desiderio si fusero insieme in un vortice caotico dentro di lei. Era consapevole della natura malata della loro relazione, ma c'era ancora una parte di lei che era attratta dal pericolo, che desiderava l'eccitazione proibita che solo Jade poteva offrirle.
Le lacrime scorrevano silenziosamente lungo le sue guance mentre la sua mente lottava contro se stessa. In quel momento di vulnerabilità, Violet provò un brivido che la folgorò da capo a piedi. Rivide e percepì tutte le notti passate sul pavimento di casa sua, a vomitare le proprie interiora fino allo sfinimento. Il solo ricordo le diede la nausea e le strinse lo stomaco. Così mentre West cercava di eccitarla Violet spinta da un'autoconservazione istintiva, da un rifiuto fisico violento si alzò di scatto e corse in bagno. Chiuse la porta alle proprie spalle prima di alzare la tavoletta e lasciare andare il conato vuoto che aveva trattenuto.
West si alzò dal divano. Non aveva voglia di rincorrere la propria preda. Odiava l'insensatezza di Violet, era pazza come un cavallo. Certo, rendeva il gioco più interessante quando aveva i suoi momenti di imprevedibilità. La seguì in corridoio e davanti alla porta chiusa sentì i suoi conati.
«Disgustoso», commentó tra sé e sé scocciata. Ci mancava che fosse malata e la contagiasse con qualche influenza. Aveva proprio distrutto il momento; come sempre era patetica. Vomitare in un momento del genere era ridicolo e rivoltante.
«Tutto bene?», si finse interessata alla sua salute, ma dato che aveva bevuto troppo e che le stava venendo la nausea se ne andò in sala a sdraiarsi sul divano senza aspettare una risposta. Sperò che Erika non le sporcasse il bagno e che non morisse lì. Non aveva manco bevuto del vino, il suo bicchiere era pieno. Quella giornata era una merda. Violet le aveva fatto venire voglia dandole un assaggio e poi aveva rovinato tutto aumentando la sua frustrazione. Si chiese come stesse andando la giornata di Katherine con la terapeuta, sicuramente meglio della sua. Si chiese anche come stesse Dayana, probabilmente anche lei stava in seduta, come psicoterapeuta.
Violet vomitò il nulla, con lo stomaco vuoto gli acidi le bruciarono la gola. Riprovò quell'assaggio del suo dolore; romanticizzare tutta quella sofferenza diventava ben più impossibile stando aggrappata al cesso, con tutte le interiora che pulsavano e si contraevano con forza. A ogni scarica veniva prosciugata della poca energia vitale rimasta. Il dolore intenso, tutto il suo corpo tremava spremendosi, ogni organo dentro di lei si stringeva dolorosamente, nel disperato bisogno di buttare fuori tutto quel dolore fantasma rimasto nel suo stomaco. Una scarica, poi un'altra, tanto impegnative da riempirle gli occhi di lacrime e la testa di flashback.
Se la sua mente non riusciva a ribellarsi al potere di West, il suo corpo lo stava facendo benissimo, la stava costringendo ad affrontare la realtà, a ricordare la sofferenza delle conseguenze, a fare la cosa giusta. Violet sorrise provata, rassicurata dal suo istinto di sopravvivenza. Almeno una piccola parte di lei si voleva abbastanza bene da costringerla a salvarsi.
Si obbligò a respirare, a fare respiri profondi. A calmarsi. Stese le gambe sul pavimento freddo. Si sciacquò la bocca al bidet e bagnò la fronte con l'acqua gelida. Era stanca, era troppo stanca per tutto quello. Allora si mise ad immaginare, a fantasticare il coraggio che avrebbe voluto avere: la scintilla che la faceva alzare, che muoveva le sue gambe fino a West, che le muoveva la lingua e si imponeva tagliente, che con fierezza spostava i suoi passi fuori di lì. Sognó il proprio meritato finale e nell'enfasi di costruirlo lo trovò.
Violet si alzò in piedi, si sciacquò il volto rivedendo l'ombra di ciò che era stata. Il suo riflesso era spaventoso, come se non le appartenesse, emanava una tristezza insopportabile. Non ce la faceva più. Non ne valeva la pena, non poteva più gestire un dolore del genere, non aveva più l'età per resistere fisicamente a un peso emotivo di quel tipo, e in quel momento le fu chiaro. In quell'istante nessuna parte di lei ebbe alcun dubbio: non era una situazione accettabile.
Senza pensare a nulla tornò in salotto trovando West che si stava versando dell'altro vino. In quel momento capì che nemmeno lei stava tanto bene, ma non se ne fece un problema.
«Violet, stai meglio? Sei malata, perché non torni a casa?», la notó.
La guardò dritto negli occhi e disse con voce che cercava di nascondere la paura e il dolore: «No, non sono malata. Sei tu. Non posso più sopportare questa cosa», rispose risoluta. Jade rise di gusto.
«Stai dicendo che ti faccio vomitare?», era ridicola, non sapeva nemmeno se arrabbiarsi o avere pena di lei.
«Sí..? Ma in senso letterale, fai male ai miei disturbi mentali e fisici. Devo starti lontana. Non voglio più stare così male. Non posso sopportarlo fisicamente», le spiegó quasi come a giustificarsi, come una bambina che spiegava che non era colpa sua, che c'era un motivo più grande di lei, che non si poteva proprio fare.
West per quanto fosse ormai sbronza capì, e la trovò una bugia esilarante da dire a se stessi. Era scocciata perché non solo non poteva più scopare per distrarsi, dato che si era resa ripugnante vomitando, ma doveva pure sorbirsi le sue stronzate. Bevve ancora un sorso per tirarsi su di morale, perché tanto che la vedesse ubriaca non le importava, nemmeno da ubriaca sarebbe stata più patetica di lei. Almeno lei avrebbe avuto un motivo valido per vomitare. E se bere avrebbe reso le sue parole crudeli senza limiti, allora non sarebbe stato un problema suo.
«Disturbi mentali e fisici? Non significa nulla. Ma sí, certo. Credici. Domani torni. Tornerete tutte da me. Tornerete tutte a pregarmi in ginocchio e chiedere scusa per come mi avete trattato. Siete tutte delle stronze: tu, Dayana e pure Kat. Andate a fanculo non ho bisogno di voi. Siete voi ad avere bisogno di me. Voi. Siete sempre state voi ad attaccarvi a me... e comunque probabilmente hai l'influenza cretina di merda», rise isterica. Violet rimase in silenzio. Non aveva idea di chi fosse Dayana, non capiva che stesse dicendo, le sembrava delirante.
«Jade... penso tu abbia bevuto abbastanza. Dovresti smettere»
«Chi cazzo te l'ha chiesto? Avete rotto il cazzo. Che stupida troia. Vuoi solo giudicarmi, puntarmi il dito contro e darmi la colpa di ogni cosa. Gne gne, "Jade è crudele". Come se non vi piacesse! Vi piaccio proprio per questo! Ipocrite. Mi fate tutte schifo. Mi fate solo schifo. Ti piaccio proprio perché per me sei solo una cazzo di fallita, una schifosa puttana da usare. Ti piaccio perché è ciò che senti di essere e che sai di meritare», bevve un altro sorso e Erika rimase impietrita davanti alle sue parole mutilate ma comprensibili, e nel vedere quel malato quadretto per la prima volta in vita sua realizzò quanto Jade fosse fuori di testa.
«Ma poi che cazzo vuoi da me? Mi vieni a dire ste cagate e ti stupisci che mi incazzo? Vieni in casa mia ad incolparmi, quando ti sto generosamente offrendo una cena e ti stavo pure facendo il favore di scoparti.
Ora non fare la vittima...» le sbraitò contro provando ad alzarsi ma ricadendo seduta sul divano, facendo cadere il calice sul tappeto.
Forse a darle il coraggio di rispondere fu il fatto che West fosse talmente ubriaca da sbiasciare come suo zio Michele alle cene di Natale rendendo la situazione un poco comica, o forse il fatto che quell'ultima stronzata sommata a tutte quelle prima proprio non le andava giù, perché a quell'ora avrebbe potuto avere un bellissimo taglio di capelli nuovo. Vide oggettivamente che Jade West non era altro che una donna sola, forse alcolizzata e con problemi mentali, e sotto quella luce non le fece più tanta paura.
«Che cazzo voglio da te? Che cazzo vuoi tu da me! Sei tu che mi hai invitato da te! Sei tu che mi hai chiesto di venire prima. Sei tu che non vedevi l'ora di parlare. Hai fatto tutto tu. Come sempre. Sei tu che hai accostato e mi hai fatto salire in macchina con te quella volta. Sei tu che mi hai messo una mano nelle mutande. Sei tu che continui a parlarmi, a mandarmi dei messaggini del cazzo dove mi chiedi di scopare manco fossi un escort a pagamento. Sei tu che dici che vuoi risolvere e invece vuoi solo... vuoi solo... sfogarti su di me dicendo le peggio cose.
Sai perché mi ero innamorata di te Jade? Perché eri una persona intelligente, creativa, divertente, appassionata e che ama la vita. Perché è questo che tu mostri a tutti per fare bella figura, mostri le tue belle stanze ed è di quelle che la gente si innamora. La tua crudeltà non piace a nessuno, distrugge soltanto.
Ma perdonami West, ti prego perdonami se ti ho sopravvalutata. Ti giuro che non lo farò mai più. Per quanto tu sia bella o geniale, sei solo un altro essere umano; non sei Dio, e continuare a credere di esserlo ti porterà solo in rovina», furiosa West le lanciò la bottiglia ormai più vuota che piena, ma quella cadde ben lontana da Erika andando in frantumi.
«Vattene! Vai a farti fottere schifosa puttana. Non meriti un cazzo. Non sai un cazzo. Vattene o ti ammazzo di botte», le sbraitò contro mentre Erika fuggiva verso la porta.
«Vieni qui a dirmele in faccia ste stronzate se hai il coraggio. Vieni a farti strangolare come piace alle troia che sei. Tanto a una puttana come te può solo piacere. Fai Schifo, devi stare zitta cretina del cazzo!»
Il suono della porta sbatté forte sotto agli insulti. Violet trattenne le lacrime, la sua parte piccola interiore tremava terrorizzata dalla violenza di quegli insulti. Jade West era fuori di testa e pericolosa. Si asciugò il volto rassicurandosi camminando veloce fuori dal vialetto, si lasciò il cancello alle spalle con la foga di chi aveva un branco di demoni alle calcagna. Quando camminó abbastanza da sentirsi più calma e al sicuro si fermò.
Inspirò, espirò.
Le nuvole coprivano il sole a tratti e pezzi di cielo azzurro la salutavano. Un'anziana signora stava comprando il gelato a quello che doveva essere suo nipote. Il bambino indossava una maglietta rosa. La gelateria si chiamava "Dolce incanto". Dall'altra parte della strada una ragazza portava a passeggio il proprio cane lupo, giovane e snello. I suoi occhi erano color ambra. C'era odore di vernice perché la strada era stata ritinta e un merlo nascosto sotto un tavolino cercava briciole e poi volava via intimorito dal cane.
Era una bellissima giornata.
Inspirò, espirò.
Era una bellissima giornata: per la prima volta era scappata via da West.
*
Dayana aprì l'ampia finestra lasciando entrare l'aria notturna in casa. Aveva acceso il giradischi che stava riproducendo una delle cantanti che apprezzava di più: "Florence + the machine". Canticchió adagiandosi sul proprio divano, il gattone tigrato si sedette su di lei prima che potesse afferrare il libro che stava studiando, sorrise immergendo le dita nel suo pelo morbido accarezzandolo dolcemente.
«But you came over me like some holy rite... and although i was burning...» le parole le uscivano soffici dai denti. L'aria fresca le rinfrescava il volto. Le note della musica, l'intensità e la bravura della cantante le diedero i brividi facendola incantare con lo sguardo perso nel cielo stellato. Florence, o meglio la sua voce, risvegliava in lei sensazione preziose, perdute nel tempo. Le faceva stringere ed allungare il cuore, la faceva sentire minuscola ed immensa sotto la purezza delle emozioni della vita, e peggio di tutto: le ricordava intensamente Adeline. Forse per questo non faceva che ascoltarla quando le mancava in modi che non avrebbe dovuto provare. Aveva nascosto molto amore avanzato e sofferenza in quelle canzoni.
Mise giù il libro, arrendendosi alle fusa del proprio gattone e alla burrasca dei propri pensieri e rimpianti. Quando inevitabilmente pensò a Elizabeth una morsa di senso di colpa la strette. Si stropicciò gli occhi tra il pollice e l'indice. Non poteva credere al proprio comportamento, era estremamente delusa da se stessa. Andarsene via così era stata la cosa peggiore che potesse fare. Non aveva parole. Era stato immaturo, insensibile, stupido ed era stato ancora peggio far passare tanto tempo. Si vergognava tanto del proprio comportamento da non saperlo spiegare, da non sapere con che scuse e spiegazioni tornare da Liz.
La detestava: era la persona più immatura, arrogante, narcisista e inconsapevole che conoscesse. Era certa che se non l'avesse conosciuta dieci anni prima e le fosse capitata davanti l'avrebbe irritata tanto da fuggire il più lontano possibile da lei. Eppure Elizabeth, era Elizabeth. Era la sua piccola Liz. Erano anni che ce l'aveva vicina, conosceva i suoi lati più intimi, avevano vissuto emozioni troppo intense insieme per poter cancellare tutto così. Per quanto Elizabeth fosse una persona tossica, Dayana non poteva smettere di prendersi cura di lei. Provava un affetto talmente immenso per lei, che sovrastava qualsiasi altro suo difetto, che cancellava il peso di qualsiasi litigio. Le voleva bene in maniera pura e non riusciva a non vederla come una ragazzina incasinata. Nei suoi confronti provava un senso di protezione e accudimento talmente profondo da non riuscire ad abbandonarla nemmeno dopo tutte le cattiverie che le aveva mai detto, nemmeno volendolo, nemmeno dopo aver saputo fosse una molestatrice e forse anche pedofila...
Non riusciva a crederci. Per quanto si sforzasse non riusciva a immaginarlo. Non poteva credere che Liz, la stessa ragazzina che la chiamava in lacrime bisognosa di aiuto, fosse capace di qualcosa di tanto atroce. Anche se si obbligava a crederlo, a ricordarlo, la sua mente lo rifiutava incredula.
Per questo la tormentava non fare nulla, stava avendo conseguenze sulla vita della studentessa di Liz. Aveva persino pensato di denunciarla, ci aveva pensato seriamente, ma si era resa conto ben presto che non avendo alcuna prova non sarebbe servito a nulla. L'unica maniera in cui poteva agire responsabilmente era attraverso West, era convincendola a fare la cosa giusta; ovvero allontanarsi da quella alunna e da qualsiasi altra ragazzina. Liz aveva bisogno di cure, di andare in terapia, di ammettere a se stessa di essere una narcisista pericolosa con impulsi insani verso le adolescenti. Era facile puntare il dito contro il cattivo della storia, ma era un'impresa rendersi conto di esserlo.
Dayana sapeva che la pedofilia fosse una problematica più diffusa di quanto si pensasse. Non era qualcosa né di buono, né di cattivo, era qualcosa che esisteva e basta.
C'era differenza tra l'essere un pedofilo e un molestatore, e il dato sconcertate era che la maggior parte degli uomini che facevano violenza ai bambini e ragazzini non erano pedofili, perché non provavano attrazione sessuale e romantica verso di loro, ma sceglievano di fare violenza perché erano nella posizione di poterla fare, di potersene approfittare, di "provare qualcosa di diverso" e illegale. Era disgustoso, il pensiero la faceva bruciare dalla rabbia. Esistevano pedofili che volevano guarire, che si controllavano e sceglievano di non fare del male a nessuno, e persone che senza avere nessun tipo di bisogno verso i più giovani sceglievano comunque di abusarne. Persone ricche, potenti, che nella noia della loro esistenza, che nell'onnipotenza malata delle loro vite, usavano i soldi per fare qualsiasi cosa, per sentirsi sopra Dio e sopra i limiti morali, sopra i limiti della società. Dayana se le immaginava le loro vite, sapeva esattamente con che leggerezza, con che calma e piacere sceglievano di perseguitare, pagare, abusare minori, per togliersi lo sfizio, per sentirsi potenti, per sfogarsi. Lo sapeva perché fin troppi suoi pazienti erano stati vittima di uomini del genere e non c'era giorno che non desiderava che tutti quegli uomini non si svegliassero più, a costo di sterminare la maggior parte del genere maschile. A costo di perdere fratelli, cugini, padri, zii e nonni. Perché inaccettabilmente quelli erano, e a volte erano anche amici, a volte erano anche... Elizabeth.
Era assurdo, non voleva crederci...
Dayana non poteva fare a meno che chiedersi in che termini agisse Liz, se provasse una reale attrazione verso le ragazzine, se se ne innamorasse, o se si fosse semplicemente approfittata del proprio ruolo per divertirsi e sperimentare qualcosa di nuovo. Non che ne cambiasse la gravità. Nel momento in cui aveva scelto consapevolmente di servirsi della propria alunna non aveva scuse. Però sperava nella redenzione, sperava che Jade West si pentisse, che pagasse una pena, che guarisse e non facesse mai più del male a nessuno.
Quella problematica era immensa e si appoggiava ad un centinaio di falle del sistema: in un mondo dove tutti odiavano i pedofili, chi avrebbe mai ammesso di esserlo e chiesto aiuto per guarire? Chi si sarebbe mai fermato a chiedersi sinceramente: "provo attrazione per i minori?", chi avrebbe mai avuto il coraggio di farsi una domanda tanto pericolosa? Chi non l'avrebbe negato a se stesso, minimizzando il problema, fuggendo dalla verità? Era un tabù, un problema che veniva ignorato, che veniva pubblicamente condannato, ma al contempo giustificato dalla società. Perché la società sessualizzava i bambini, spingeva i ragazzini a vantarsi delle esperienze vissute con donne più grandi, abituava gli adolescenti a guardare qualsiasi schifezza pornografica disturbante, applaudiva gli uomini con ragazze fin troppo giovani, e insegnava alle ragazzine a desiderare uomini maturi. Era un mondo che proteggeva gli stupratori, che non credeva alle vittime, che incolpava le donne, che rideva in faccia ai maschi abusati, che deresposabilizzava l'uomo da qualsiasi forma di violenza, e lo incitava alla più aggressiva virilità. Era un mondo spaventosamente sbagliato, che faceva fin troppo vittime. Che romanticizzava la malattia e istigava, partendo dalla Bella e la Bestia, a credere che l'amore vero fossero tutti i sintomi della sindrome di Stoccolma.
Era un mondo che giudicava, che rendeva terribilmente fragili che non insegnava ad amarsi, a chiedersi: "Se fossi io il cattivo, il bullo? Il mio divertimento sta ferendo qualcuno? Il mio silenzio sta contribuendo alla sofferenza? Come posso migliorarmi?".
La forza vera era accettare il senso di colpa, accettare l'errore, le conseguenze, e camminare verso una versione migliore di sé.
Si chiese se la sua Liz avrebbe mai trovato quella forza. Era preoccupata. Quante cose le stava tenendo nascoste? Come stava per davvero? Chi era diventata? Era così sola che nemmeno poteva immaginarla; sola in quella casa immensa, con tutti i suoi ricordi, con tutte le sue insicurezze. Era andata fuori di testa, era diventata un mostro egoista privo di empatia? Eppure davanti ai suoi occhi si comportava sempre come una bambina persa.
«E tu, l'hai messa spalle al muro chiedendole se è innamorata di te», ricordó a sé stessa aspramente.
«E poi sei scappata come una codarda»
Ricordó il volto volubile di Elizabeth su di lei, ricordò il suo sguardo bisognoso, supplicante. Il suo corpo caldo e quanto si erano desiderate in quel microscopico istante. Aveva fatto la cosa giusta. Prendersi il corpo caldo di Liz avrebbe rovinato la loro amicizia. Eppure le prudeva l'anima a pensare a cosa sarebbe potuto essere, a cosa si era persa, a come sarebbero potute andare le cose se lei non fosse stata giusta e controllata come sempre nella sua vita. L'opposto di Elizabeth.
Forse, poi, non sarebbe stato così sbagliato. Forse sarebbe stato giusto, forse accettarla nella sua nudità totale l'avrebbe avvicinata abbastanza da trattenerla, da non perderla, da non sentirla scivolare via tra le dita. Forse darle quel tipo di amore di cui aveva bisogno, che così intensamente le chiedeva l'avrebbe legata abbastanza a lei da tenerla distante da tutti i suoi casini, da qualsiasi alunna. Forse era quello che Liz le stava chiedendo da anni con tutte le sue provocazioni, solo di essere stretta e trattenuta, contenuta nella sua tragicità...
Non avendo paura delle proprie emozioni Dayana se lo era chiesto ben presto: e se fossi io a provare qualcosa per lei?
Se lo chiedeva perché non capiva per quale ragione se ne fosse andata bruscamente da casa sua. Perché quella probabilità l'aveva folgorata? Perché non aveva gestito quella situazione diversamente, da adulta? Perché aveva dato importanza a quell'informazione, che non valeva niente rispetto alla gravità del contesto? Aveva solo creato un dramma in più. Il senso di colpa cresceva di giorno in giorno. Doveva smettere di rimandare il momento e affrontarla subito. Più tempo passava più Elizabeth scivolava verso il fondo portando tutti con sé.
Presa da un raptus di incoscienza afferrò il cellulare chiamandola. Non si diede il tempo di pensare.
Uno squillo, due squilli...
Ci stava già ripensando: cosa le avrebbe detto? Non poteva improvvisare!
Tre squilli, quattro...
Avvicinò il dito al tasto per chiudere la chiamata: era ancora in tempo.
Cinque, sei squilli...
Pregò che non rispondesse più, che le undici di sera fossero troppo tardi.
La segreteria telefonica partí.
Non aveva pensato alla segreteria telefonica!
«Lascia un messaggio...» le intimò la voce meccanica mandandola nel panico.
«Emh... Emh! Sì, ecco...» si ricompose in fretta.
«Ciao Liz, scusami per l'ora, spero tu stia bene.
Volevo sentirti... volevo chiederti scusa per come sono andata via l'ultima volta. So che sei arrabbiata, ma vorrei vederti. È importante. Non voglio lasciarti da sola, ti ho promesso aiuto per gestire questa situazione delicata. Quindi... io ci sono per te, questo non cambia. Non cambierà mai... va bene. Richiamami quando puoi-»«messaggio registrato.»
"What the water gave me" partì dal giradischi esattamente in quel momento. Dayana chiuse gli occhi e trattenne il respiro per un po'.
Si alzò bruscamente, mentre il coro della canzone le tendeva il cuore.
Spense il giradischi.
La pace. L'aria della notte fuori. Le cicale.
Il volto pieno di lacrime.
*
Erano le due di notte e Katherine non riusciva a dormire. La seduta con la psicologa era stata faticosa, ma era andata bene. Era nel letto almeno da tre ore; ormai aveva fatto il giro dei pensieri della giornata per ben due volte. Rimaneva: annoiarsi guardando il soffitto. Aveva sonno ma non aveva voglia di dormire, il suo corpo era stanco ma la sua mente vigile.
Quindi Katherine, sentendosi stupida per non averci pensato prima, fece ciò che aveva più senso fare: masturbarsi.
Quello sicuramente l'avrebbe stancata e rilassata abbastanza da farla precipitare nel sonno. Fece scivolare una mano tra le gambe, non era bagnata, quindi optò per toccarsi da sopra gli slip per non farsi male. Tanto era abbastanza sensibile da raggiungere l'orgasmo anche così, la parte difficile era immaginare qualcosa di abbastanza eccitante da farla venire.
Immaginò immediatamente Jade, le dispiaceva non aver passato il pomeriggio da lei, perché le mancava fare sesso, ma non ne aveva voglia, nel senso che la sessualità era l'ultima cosa a cui pensava in quei giorni. Si chiedeva se il sesso non avrebbe spento tutte le sue preoccupazioni, sperava che almeno facendolo si sarebbe distratta davvero e soprattutto avrebbe provato qualcosa di più intenso, oltre alla sua apatia.
Ripensò a come Jade stava tra le sue gambe, a come gliela leccava bene riuscendo a farla venire in fretta. Ripensò alla sensazione di sottomissione e perdita totale che provava quando la prendeva da dietro e le stava sopra, a come la eccitava sentirsi vittima. Però immaginarlo per quanto la bagnò, con sua grande sorpresa, le diede fastidio. Odiava l'idea di sentirsi piccola, di sentirsi fragile o persa. Non riusciva più ad immaginarsi in quella posizione, e sembrava di osservare un'altra persona. Non riusciva ad immaginare la Katherine che era diventata, in quei termini.
Quindi immaginò solamente la professoressa West, la immaginó vestita provocante come al solito e immaginò di far scivolare le labbra sul suo collo, di inspirare il suo profumo. Immaginò di slacciarle la camicia, di spogliarla facendole cadere la gonna. Immaginò di mettersi a cavalcioni su di lei, di baciarla con foga, di palparle i seni grossi e morbidi, di baciarli e prenderli in bocca. Immaginò di sentire il sesso caldo e bagnato della sua professoressa, di giocarci, di sentirla gemere e godere al suo orecchio e poi immaginò qualcosa di nuovo. Immaginò di sorprenderla, di farla godere, di scivolare con le dita dentro di lei, di stimolarle il clitoride col pollice, di leccarle l'orecchio e di sentire la sua voce sempre più provata urlare. Immaginò di vederla tremare e di sentirsi capace e abile mentre la sua insegnante le orgasmava sulle dita. Immaginò di non darle tregua, di scivolare tra le sue gambe con le labbra socchiuse e prenderla in bocca per continuare a farla godere e urlare. Così Katherine trovò sollievo nel proprio orgasmo, proprio mentre l'insegnante West veniva sulla sua lingua mentre urlava il suo nome nella sua fantasia. L'orgasmo la investì prepotentemente, provò benessere immediato: non si era mai eccitata così, in un modo così aggressivo, diverso dal solito.
La tensione si sciolse, il suo intero corpo si rilassò. Valentine respirò profondamente, il battito del cuore le ronzava in testa. Tutta la tensione si sciolse e un sonno profondo le schiacciò le palpebre. Solo, mentre ancora la visione di Jade nuda era nella sua testa, il suo volto si trasformò in quello di Maeve e poi, con suo grande disappunto, in quello di Sarah.
Spazio scrittrice:
Aspetto le vostre reazioni shockate nei commenti eh. Che ne pensate della reazione di Erika e delle nuove fantasie di Kat? E dei pensieri di Dayana?
Anyway stanno per succedere TANTE di quelle cose che manco ve le immaginate, ho realizzato che siamo al capitolo 31 e ancora non è successa la metà di quel che volevo far succedere in questo libro. Quindi devo muovermi.
Vi ringrazio davvero per il tempo che passate a leggere DT, per le attenzioni e le emozioni con cui rendete l'universo di DT reale. Siate consapevoli che senza di voi, senza i vostri commenti e il vostro supporto tutto questo non esisterebbe. Vi sono grata di creare questo universo con me, lo so lo ripeto sempre ma non mi stancherò mai di dirvelo e ringraziarvi. Questa storia è una delle cose più importanti della mia vita e io sono fortunata ad avere dei lettori fedeli e sensibili come voi. Magari un giorno riempiremo una stanza insieme, firmerò copie e parleremo male di Jade tutti insieme, poi si creerà una fazione di amanti di Jade che la difenderanno a spada tratta allora la situazione degenererà e finirete a menarvi, però poi dato che siete tutte lesbiche, una cosa tira l'altra e partiranno i limoni, così nascerà l'amore. Non ringraziatemi.😂
A parte la mia idiozia, questo capitolo è pieno di tematiche toste.
Quindi riprendo due punti:
1) Il comportamento di Jade È violenza. L'alcol e la rabbia non lo giustifica, le cose che dice sono violenza, sono atroci. Se chiunque nella vostra vita, specialmente un partner, arrivasse mai a lanciarvi oggetti contro, a urlarvi e insultarvi contro, a minacciarvi di morte. Questa è violenza, non è una relazione sana e dovete subito fare la cosa giusta e allontanarvi da questa persona.
Di certo è una persona che non sta bene e ha bisogno di aiuto, ma non del vostro. Anzi allontanarsi da persone tossiche è l'unico modo giusto per insegnare a queste persone che i loro atteggiamenti non sono qualcosa di accettabile o leggero, ma qualcosa di grave che devono cambiare. E (a proposito del discorso di Dayana) lo dico da "cattiva" che ha ferito chi amava da ubriaca e che non smetterà di sentirsi in colpa. Altra tematica importante: non bevete se non sapete controllarvi con l'alcol. Jade insegna. (Almeno serve a qualcosa)
2) Il discorso di Dayana sulla pedofilia.
(Per i più sensibili potete anche saltarlo)
Solitamente è in età adolescenziale che si capisce di essere attratti da bambini o minori. Penso sia importante non giudicare a priori chi sente attrazione, chi è nato così o diventato così per traumi senza averlo scelto.
Insomma possiamo ringraziare Dio se non siamo pedofili perché poteva succedere a noi. Per gli uomini soprattutto, ma anche per le donne.
Diversamente da chi sceglie di molestare e fa l'azione, per quelli nessuna pietà.
Ma davvero penso sia importante farsi questa domanda, e soprattutto parlarne con gli amici, perché senza parlare di queste problematiche, senza spingere alla terapia chi ne ha bisogno, si rischia che queste emozioni represse e ignorate escano poi quando meno lo si aspetti, o senza rendersi conto della gravità.
Tenete conto che l'Italia ha il tasso più alto di turismo per prostituzione infantile. Ci sono parole oltre a "perché non li ammazziamo tutti sti pezzi di merda"? Immagino di no.
Però davvero penso dovremmo riflettere di più su sta tematica e soprattutto chi di voi è minorenne, giustamente vi sentite grandi e avete tutto il diritto di avere delle crush e desiderare persone più grandi di voi, il problema è che loro non dovrebbero approfittarsi del vostro naturale desiderio di stare con loro.
Anche tra donne, anzi soprattutto tra lesbiche, penso dovremmo farci qualche domanda. Quando avevo sedici anni ebbi una relazione a distanza con una ragazza conosciuta qui su wattpad, aveva 26/28 anni. Non è mai stata molesta ed è sempre stata rispettosa, non era cattiva, ma per fortuna non ci siamo mai incontrate. Però lei si innamorava sempre di 15/16 enni, e questa è pedofilia. Perché se non riesci ad innamorarti di chi è della tua età, ma solo di ragazzine che hanno iniziato da poco il liceo, hai dei complessi e dovresti chiedere aiuto e andare in terapia per capire come stare meglio con te stesso e come gestire questa attrazione.
Ovviamente a 16 anni non vedevo la problematicità, anche perché questa persona è sempre stata innocua e più "sottona", ma sono stata fortunata perché avrebbe potuto non esserla. Una persona così grande non dovrebbe provare interesse per una minorenne che deve ancora capire chi è, scoprire il proprio mondo e la propria realtà. Poi ovviamente un conto è innamorarsi di QUELLA persona e aspettare cresca, un conto è desiderare sistematicamente sempre persone più giovani.
Se avete vissuto esperienze simili, se volete dire la vostra, se siete d'accordo non siete d'accordo, sentitevi liberi di sfogarvi nei commenti ❤️ its a safespace
Ci tenevo a condividere questa esperienza perché si pensa sia una cosa rara, o che riguarda solo gli uomini, ma penso propria sia una cosa terribilmente ben più diffusa.
Comunque grazie per la lettura, spero vi sia piaciuta.🤗
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