Capitolo 29
Jack rimase pietrificato alla vista dell'insegnante. Terrorizzato smise persino di respirare desiderando di poter diventare invisibile e lentamente iniziò a credere di esserne in grado.
L'insegnante senza degnarlo di uno sguardo si appoggiò con la schiena al muro e si coprì il volto. Sembrava esasperata, talmente tanto da non rendersi conto del corpo dell'alunno sdraiato sul pavimento a due metri da lei e del fumo della sigaretta che ancora sfilava nell'aria.
«Che cazzo! Non posso essere così cretina.» l'adulta esclamó con rabbia tra i denti, poi inspirò a pieni polmoni per tranquillizzarsi, e solo allora, sentendo il pungente odore di sigaretta si girò verso il ragazzo disteso a terra come un salame.
Lo guardò sorpresa, Jack arrossì per l'imbarazzo prima di alzarsi di scatto e nascondere la sigaretta schiacciandola sotto la suola della propria scarpa.
«Ecco… io…» farfugliò senza riuscire a pensare ad alcuna scusa.
«Non è come sembra.»
«Oh mammamia. E tu che ci fai qui?» Erika sapeva che in quanto insegnante avrebbe dovuto interpretare un certo ruolo, ma la sua vocazione la portò soltanto a chiedersi seriamente che cosa ci facesse un ragazzino lì da solo e non insieme a tutti gli altri quando la campanella stava per suonare.
«Io…» ancora non trovava scuse o forse non aveva voglia di trovarle.
«Senta, cazzo, nulla stavo fumando. E so che potrei benissimo farlo fuori aprendo la porta alle mie spalle, ma non è lo stesso.» cercò il proprio tono arrogante.
«Perché non è lo stesso?» chiese spontanea.
«Perché… perché… non lo so.
Non ho nemmeno fatto presenza oggi. Potevo andare da qualsiasi parte in città, ma sono rimasto qui.» pensò ad alta voce. Un'insieme di emozioni turbinava in lui, non gli importava di dire la verità, non gli importava della Prof, delle conseguenze o di cosa avrebbe pensato. Forse l'unica cosa che gli importava è che l'implosione del suo mondo esplodesse al di fuori. Era poter urlare che quella fottuta scuola faceva schifo per le persone che la componevano, compreso lui.
L'insegnante lo ascoltò stupita, non sembrava arrabbiata o giudicante. Aveva l'impressione di averla già vista, ma non ricordava quando. A pelle però gli sembrò okay, un po' strana e diversa dalle classiche professoresse.
«Capisco.» rispose calma.
«E non me ne frega se ora mi porta in presidenza. Lo faccia pure tanto ormai sono già stato sospeso. È già deciso che sarò bocciato.» ghignò amareggiato.
Violet fece un sospiro profondo e guardó Jack per poi sorridergli. Senza pensarci troppo, sentiva cosa doveva dire e fare.
«Non ti porto in presidenza.»
«Ah…»
«Dai, sediamoci…» gli fece cenno ed e entrambe si sedettero sullo scalino che già avevano conosciuto. La luce che entrava dalla finestrella alle loro spalle, era fioca e bianca. Pacata ma deprimente.
Erika osservò la scritta sul muro e rise.
«Allora è ufficiale. La funzione antipanico di questo magico stanzino.» spostò il fulcro della conversazione. Gli studenti si tenevano dentro dei mondo interi, mondi fatti di silenzi. Questo sapeva Erika per esperienza. Due secondi in meno cucivano la bocca, e isolavano nella solitudine, due secondi in più aprivano cascate di paure e bisogni. Violet aveva bisogno di essere quei due secondi in più.
«È tutto un casino vero? Vorrei poterti dire che poi le cose miglioreranno, ma non è del tutto vero, però diventeranno meno intense, più superficiali, meno impegnative.
E sticazzi se ti bocciano. Oh no, ho detto una parolaccia… vabbè. Comunque non vali meno per questo. Anzi, non ha senso… perché al liceo pensate sia una catastrofe la bocciatura e vi sentite rimasti indietro, ma in realtà poi dopo il liceo l'età non conta più nulla e i diciottenni si ritrovano in classe o a lavoro coi ventenni, trentenni e passa. A quel punto che hai diciott'anni o ventiquattro non frega più a nessuno. Vi fanno sentire questa gare contro il tempo, ma la realtà è che non si vince nulla in più a vincere la corsa. Godetevela per quel che potete, dopo vi aspetta solo l'ansia di capire chi siete e cosa volete fare in un mondo che, diversamente dalla scuola, non vi accompagna da nessuna parte ma cerca di mettervi fretta.»
Jack pensò una marea di cose, non si aspettava una conversazione del genere. Non era abituato a fidarsi degli adulti, o ad aprirsi in generale, così il suo grande mondo rimase silente nei suoi polmoni affumicati.
Ma una cosa sentì: che fosse bello, che fosse speciale trovare un adulto che forse, forse poteva capirlo.
«Come ti chiami?
«Jack...» omise il proprio cognome per paura che potesse riportarlo alla preside. La guardò per vedere se insistesse nel chiederglielo, se fossero quelle le sue vere intenzioni, ma dato che così non fu, continuò.
«Hai ragione. Io odio il mondo adulto. Lo odio. Odio la scuola, questo pretendere che ci spezziamo per memorizzare e memorizzare. Questa fissa per dei cazzo di numeri di merda che devono determinare la nostra intera vita e valore. Cazzo! Siamo delle persone, siamo dei ragazzi. Abbiamo dei limiti. Ci spezziamo e in sta scuola del cazzo, in sto mondo del cazzo, se poi ci spezziamo è pure colpa nostra. Siamo strani noi. Siamo deboli noi. Non è il sistema che dici forse, forse è totalmente fottuto perché non fa altro che farci impazzire e chi si adatta bene, mentre chi non ce la fa sono cazzi suoi.
Ma sai cosa? A me non frega un cazzo tanto. Dei voti, della scuola, di perdere gli anni. Non mi importa più. Voglio solo andarmene via di casa. Voglio solo la mia vita.»
«Già, vivere con i miei è l'unica cosa che non manca… È difficile a casa?»
«È una merda. Odio mio padre. Grazie a Dio sparisce per mesi, poi torna quando ha finito i soldi o quando ha semplicemente voglia di rovinare la vita a qualcuno…» Jack ammutolì d'improvviso. Si sentì tradito dalle proprie parole, non parlava dei suoi problemi con nessuno, perché avrebbe dovuto parlarne ad una professoressa? Eppure quella professoressa bizzarra non gravava del peso adulto, forse era per la giovane età, lo faceva sentire a proprio agio. La sua spontaneità e il modo in cui lo ascoltava lo faceva sentire capito per davvero. Il cuore gli corse in petto, l'assenza e il desiderio di qualcuno di adulto a cui appoggiarsi lo divorava.
Erika percepì il silenzio del ragazzo, pensò al peggio come era solita fare e speró che il padre non fosse un violento. Avrebbe voluto chiederglielo, ma capì non fosse il caso. Non c'era fiducia, e l'argomento lo stava già turbando. Quindi puntò sullo sdrammatizzare.
«Mmmh, i padri! Assenti o inutili il più delle volte.» commentó cinica. Jack sorrise amaramente.
«Già.» non voleva continuare il discorso quindi scappò altrove.
«Poi… ho litigato con una mia amica.» decise di aprirsi su Katherine rimanendo sul vago. Aveva disperato bisogno di parlarne con qualcuno e in quello stanzino lontano da qualsiasi realtà le parole uscivano da sé.
«Sono stato uno stronzo...
Ero geloso della sua relazione, ma perché è una relazione tossica! Si sta facendo usare e io volevo solo proteggerla. Non so, ho perso il controllo e ho esagerato. L'ho lasciata sola ed è stato peggio…
Vorrei… vorrei andare a chiedere scusa…
Sono preoccupato.» abbracciò le proprie gambe guardando fisso il pavimento. Erika istintivamente gli appoggió una mano sulla schiena per consolarlo.
«Sai, a volte vorremmo salvare le persone che amiamo, ma la verità è che ci dobbiamo tutti salvare da soli. Altrimenti non impareremo mai… L'impotenza di non poter fare nulla per proteggere chi amiamo è devastante. Come quella che si prova nell'amare qualcuno che ci sta distruggendo…
Ogni persona deve vivere la propria battaglia, noi possiamo solo stargli accanto come riusciamo. A volte si riesce, altre volte vedere chi ami andare a pezzi diventa insopportabile.
Se le vuoi bene puoi provare a starle vicino, ad accettare questa situazione. Prima o poi capirà e in quel momento tu sarai pronto ad aiutarla ad uscirne.»
Jack annuì attento.
«E se ora mi odia?» bisbiglió la propria paura.
«E se gli manchi?» gli suggerì.
«Buttati. Se ci tieni a qualcuno provaci, non ti vergognare delle emozioni belle che provi. Se non ti vorrà più come amico farà male, ma ci avrai provato e saprai di aver fatto il possibile. Non farti sfuggire queste occasioni. Il tempo passa e le cose non fatte ci perseguitano, soprattutto se sapevamo fossero "la cosa giusta". E poi se non ti butti ora, alla tua età, quando ti vuoi buttare? Certe storie si possono vivere solo da adolescenti.»
*
Jade come era solita fare stava aspettando Valentine alla macchina. Nervosa di entusiasmo scrutava l'orizzonte alla ricerca della sua chioma rossa. Dopo dieci minuti dal suono della campanella iniziò a preoccuparsi e senza pensarci troppo chiamò il numero di Katherine salvato in rubrica.
«Kat, dove sei? È successo qualcosa?» fece trasparire la propria preoccupazione.
«No, perché? Sono alla fermata del bus.» le rispose attraverso la linea telefonica. West rimase interdetta. 'Ma in che senso?' pensò sorpresa.
«Perchè? Oggi devi venire da me.»
«Ah… è vero! Cavolo, l'avevo totalmente dimenticato.»
Jade sentì una morsa al cuore. Aveva passato l'intera giornata ad aspettare quel momento, ad immaginarsi la loro giornata insieme, e fino al momento prima era certa che Valentine avesse passato la mattinata a pensare allo stesso. A che livello delle priorità della sua alunna doveva essere finita per essere tra gli impegni dimenticabili?
«Scusa Jade. Non posso oggi. Sto andando all'ospedale, che ho la prima visita con la psicologa.»
«Ah, capisco.» borbottò.
West sentì un fastidioso prurito dentro di sé. Improvvisamente si sentì tornare indietro ad essere solo una ragazzina. Era profondamente offesa. Non voleva credere di non avere più nessuna rilevanza per Katherine. Non riusciva a crederlo. Riuscì a perdonarla solo pensando che forse i danni cerebrali le avevano dato problemi di memoria, e le sembrò un'ottima spiegazione scientifica. Abbastanza realistica da calmare le sue insicurezze.
«Dai ma ti accompagno io. Che con questi problemi di memoria, è importante fare delle visite. Arrivo, aspettami lì.» non le diede tempo di rispondere e riattaccò, fiondandosi in macchina.
«Ci sei mai andata dalla psicologa in vita tua?» chiese l'insegnante mettendo in moto verso l'ospedale.
«No, è la prima volta. Anche se mi sarebbe piaciuto, ma i miei non erano d'accordo…» rispose pensierosa. Il silenzio si caricò di critica per i suoi genitori e Jade lo condivise.
«Tu?»
Ricordi sconnessi scossero i pensieri di West.
«Sí… da piccola. Ma non mi ha aiutato molto. Mi era capitata un'incompetente…» si perse per un po' nella propria infanzia isolata. Non aveva mai provato una solitudine più intensa e vuota, ma anche rassicurante, creativa. La morte di sua zia era stata solo l'inizio delle sue mancanze. Aveva perso fin troppo presto la sensazione di sicurezza e amore di cui un bambino aveva bisogno, l'aveva ritrovata solo con Adeline…
Si punse compulsivamente la lingua su un canino. Diede un'occhiata alla ragazzina al suo fianco alla ricerca del tempo presente.
Katherine stava per andare dalla psicologa, e questo poteva essere un'ottima cosa, come una pessima cosa. Se la terapia l'avesse aiutata a ricordare tutto?
Stava rimandando quel pensiero come si rimanda la sveglia al mattino, sperando di poterlo spegnere.
«Vedi che sia brava prima di aprirti e fidarti. Anche le psicologhe sono persone, potrebbe non essere la persona giusta per te, o proprio un'incapace. D'altronde all'università non insegnano a praticare l'empatia. Il che è assurdo se ci pensi. Quindi vacci piano… apriti gradualmente e comunica sempre se qualcosa ti sta mettendo a disagio o non ne vuoi parlare. Se insiste nonostante ciò, ti do la mia benedizione nel mandarla a fanculo.» la mise in guardia consigliandole ciò che aveva desiderato le dicessero prima.
Katherine osservava il cielo, guardarlo la faceva sentire meglio. Si sentiva agitata per la seduta con la psicologa senza sentirsi agitata. Come al solito si sentiva indifferente e nessun ansia o emozione particolare la toccava nel corpo, ma mentalmente continuava a pensare alla seduta e a come sarebbe potuta andare. Le parole di Jade le diedero nuove informazioni, nuove regole da seguire. Le sembravano consigli ragionevoli, ma non sentiva di doversi difendere, non si sentiva più fragile, era abbastanza certa che anche se la psicologa fosse stata una stronza, non l'avrebbe toccata, soltanto infastidita abbastanza da alzarsi ed andarsene. Tutto sommato su alcuni aspetti la nuova lei non le dispiaceva poi così tanto.
«Grazie per i consigli… e per il passaggio.» borbottò.
«Scegliamo un altro giorno per vederci?» le propose subito dopo cercando l'attenzione dell' insegnante.
«Amh. Sì, certo! Quello che preferisci.»
West la osservava con la coda dell'occhio, stava guidando prudentemente come mai aveva fatto in vita propria, perché in realtà voleva metterci più tempo possibile ad arrivare. Intimamente, come una bambina, non riusciva ad accettare che non avrebbe passato il pomeriggio con Katherine come si era immaginata.
La sveglia nella sua testa suonò di nuovo. L'ansia le morse le viscere.
Avrebbe avuto ansia che Katherine ricordasse cosa aveva fatto. Una volta a settimana, ogni giorno a quell'ora avrebbe pregato che non ricordasse la verità. In che diamine di inferno si era cacciata? Avrebbe passato tutta la propria vita a pregare per la clemenza di un Dio in cui non credeva?
Senso di colpa attaccato alla pelle.
Quanto sarebbe durata quella relazione? Jade avrebbe smesso di insegnare a fine anno. Probabilmente avrebbe smesso per sempre dopo il dramma che aveva causato. E si trattava di un paio di mesi prima della fine della scuola. L'idea di scappare del tutto da quella situazione la sollevò, Kat sarebbe stata meglio senza di lei alla fine. Non si aspettava certo durasse per sempre, non se l'era mai aspettato e in fondo pensava che anche Kat lo sapeva.
Quello che non sapeva, o non ricordava, probabilmente, era che non sarebbe stata più la sua insegnante l'anno a venire. Glielo avrebbe detto… prima o poi.
Da qualsiasi parte guardasse quel pasticcio sembrava una tragedia scritta, un filo teso pronto a spezzarsi alla minima pressione. Eppure quando guardava Kat le cose si
facevano semplici abbastanza da non pensare a nulla tranne al momento presente.
«Va bene. Allora poi quando torno a casa capisco che giorno è meglio vederci e ti mando un messaggio con i giorni migliori. Così cerchiamo di incastrarci.» discusse con fare serio.
Una stupenda idea balenò in testa a Jade.
«Ma se ti venissi a prendere dopo la psicologa? Possiamo farci un giro e poi posso accompagnarti a casa… così in macchina non ti affatichi troppo…» la voleva. Voleva il suo tempo tanto bramato e sofferto con la sua Katherine. Lo voleva con la stessa intensità di un bambino che aspetta di poter aprire i regali di natale.
«Mh no… meglio di no. Magari le volte dopo. Però, boh, penso che avrò bisogno di stare sola e riflettere. Soprattutto la prima seduta che non so che aspettarmi. Mi fa bene tornare a casa in bus ascoltando la musica. Mi aiuta a sistemare le idee. Però grazie davvero.» declinò gentilmente.
Erano arrivate. Jade rimase scioccata da quella risposta. Si fermò davanti all'ospedale e mise le quattro frecce.
«Eccoci.» si girò verso Valentine mascherando il proprio disappunto con un sorriso.
«Grazie mille davvero.» Kat senza aggiungere altro si sporse verso di lei e le lasciò un bacio sulla guancia a lato della bocca.
Scese dalla macchina. La portiera sbatté nel silenzio. Lasciando West in prenda alla propria mancanza di controllo.
Mise in moto senza pensare, senza sapere dove stava andando, seguendo l'istinto in fuga dalle emozioni e dai pensieri che non aveva voglia di fare.
Kat l'aveva rifiutata, cioè non l'aveva rifiutata, anzi aveva ancora bisogno di vederla settimanalmente, ma non era più disponibile all'istante per lei. Era una cosa sana, era bello che mettesse finalmente se stessa al primo posto. Era qualcosa per cui razionalmente la stimava. Qualcosa di cui era grata perché le toglieva un po' di responsabilità dalle spalle.
Quel che non poteva sopportare, era che Katherine stava mettendo davanti se stessa, più di quanto stesse facendo Jade Elizabeth West col proprio Io. Era destabilizzante, o forse era solo il karma.
Jade parcheggió. Appoggió la testa al volante appesantita dai propri pensieri.
«Ma io che cazzo sto facendo della mia vita?» in un istante tutto ciò che aveva guadagnato venne polverizzato dall'ultimo catastrofico mese che l'aveva consumata. La sua persona andò in profonda crisi; a scuola non stava più lavorando bene e non ne aveva nemmeno voglia, il progetto di ricerca era andato in stallo ben prima che litigasse con Dayana, Dayana era fuggita, Katherine non le dava più tanta importanza, Erika stava per essere la vittima sacrificale di tutte le sue frustrazioni e sconosciute casuali le scaldavano il letto per evitare di pensare a qualsiasi cosa la notte. Non dormiva bene, e se dormiva faceva incubi; spesso sognava Adeline che la tormentava con un fortissimo senso di vuoto al mattino. Non chiamava la sua famiglia da mesi, non aveva amici che reputava veri e si era presa la briga di tenere a debita distanza i pochi che la cercavano.
Tutto a un tratto la sua solitudine non fu abbastanza per riempirla. Tutto a un tratto la prosciugò. Non si stava più prendendo cura di sé, non sapeva più cosa succedeva nella sua mente, era di nuovo allo sbaraglio nella totale mancanza di controllo. Ospite di se stessa nella pelle di un'estranea.
Doveva riconquistare qualcosa, doveva guadagnare di più. Non le importava che si trattasse di fare un'orgia o di andare a prendere Dayana per i capelli. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di cancellare quel terribile senso di svuotamento interiore. Qualsiasi cosa tranne affrontarlo.
Spazio autrice
Ciao bellissimə, come state? Come sono andate le vacanze?
Io sinceramente non so più che cosa sta succedendo in DT. Ho perso il controllo dei personaggi e mandano avanti la storia da soli. Ormai sono più reali di me e continuano a rimandare i miei piani, ma è questo il bello di scrivere. Farsi sorprendere dalle proprie creazioni, altrimenti sarebbe noioso.
Quindi voi che ne pensate di questo capitolo?
Abbiamo una nuova sfaccettatura di Erika, che finalmente si vede non solo in funzione di Jade.
E AIUTO Kat che si dimentica di Jade, ma immaginavate di poter finire a leggere una cosa del genere? Jade che mi diventa sempre più fuori di testa e io mi sparo perché sta provando dieci mila cose ed emozioni ogni cinque secondi e spero almeno di riuscire a metterle in ordine per scriverle.
Mi dispiace pubblicare così poco, ma come potete vedere DT è salito ad un livello emotivo talmente alto da risultarmi faticoso e non poco. È impegnativo, talmente tanto che a volte temo di non potercela fare. A volte penso che sia tutto diventato così complesso e profondo da non essere in grado o all'altezza di scriverlo, in più scrivendo di meno o sempre l'impressione di dimenticarmi come si fa.
Per questo è molto importante per me sapere quel che pensate, i vostri commenti, le vostre opinioni e teorie. Sono l'unica cosa che mi danno la sicurezza e la forza per mandarlo avanti sapendo che lo sto facendo bene e che se vi posso comunicare qualcosa allora ne vale la pena.
Quindi continuo ad invitarvi a commentare questi o qualsiasi capitolo, o a scrivermi nei dm se siete timidi.❤️
Vorrei anche spingervi a non giudicare i commenti degli altri, ma invece ad apprezzare il fatto che esistono davvero tanti punti di vista diversi e modi di vedere e interpretare DT.
Bene, grazie mille.
Stellinate se il capitolo vi è piaciuto.
E fatemi sapere cosa vi ha sorpreso e cosa vi piacerebbe leggere.
Avete mai avuto professori come Erika?
Pensate che sia positivo quel che sta succedendo a Kat?
E ci tengo a evidenziare quel che ha detto Jade sull'andare dalla psicologa.
Io ci vado da dieci praticamente ✌️ però è importante trovare quella giusta
Grazie
Buona giornata a tutti❤️
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top