Capitolo 50
Jade si fece desiderare, come al solito. Aveva intravisto la chioma rossa della sua alunna all’uscio della porta, ma noncurante, si era fatta vedere, per poi iniziare una lunga conversazione piena di sorrisi e moine con l’insegnante di educazione fisica; un giovane di bell’aspetto e spudoratamente attratto da lei. L’insistenza con cui provava ad ingraziarsela la faceva ridere. Se solo avesse saputo che i suoi sorrisi non erano sintomo d'imbarazzo, ma al contrario della sua arroganza.
Solo qualche istante prima che suonasse la campanella, Jade raggiunse Katherine.
Lo aveva fatto apposta. Con meno tempo a disposizione sarebbe stato più semplice cacciarla via.
«Non ti preoccupare, ti ruberò solo pochi minuti.» la rassicurò senza scusarsi per il ritardo.
Kat a testa china, osservò le linee del pavimento. Annuì senza aggiungere altro, continuando a guardare altrove.
«Valentine volevo parlarti a proposit-»
«Ti amo.» la interruppe.
Il suo cuore rimbalzò contro allo sterno togliendole il fiato. Non poteva credere a quello che aveva appena detto. Strinse i pugni terrorizzata. I brividi la trapassarono.
Nel silenzio cercò una risposta tra le iridi ghiacciate dell'altra, ma spaventa di ciò che ci avrebbe trovato chiuse gli occhi. Si sentì una stupida a testa alta, occhi chiusi e cuore aperto.
Jade sentendo quelle parole fece un’espressione strana. I suoi occhi sorpresi osservarono la ragazzina tremare. Incurvò le sopracciglia e senza dire niente prese Kat per il polso e la trascinò in uno stanzino dell’aula insegnanti. Chiuse la porta e si curò di rimanerci davanti prima di girarsi verso di lei.
«Non puoi dire queste cose! Qualcuno avrebbe potuto sentirti.» la rimproverò, senza troppa cattiveria.
«Scu-scusa…» bisbigliò Valentine. Sentiva il petto scoppiarle a stare in un posto così piccolo, da sola con lei. Tutto ciò le stava facendo sudare le mani.
Jade invece sembrava non voler prendere alcuna posizione chiara al riguardo. La osservava dandosi il tempo per studiare la situazione. Il volto impassibile, nei suoi occhi nessun pensiero.
«Peró, ti amo...» ripeté innocentemente, sembrava quasi che la sua voce chiedesse il permesso di uscire e di rendere chiara quella verità.
L'adolescente nel piacere dell'imbarazzo, in bilico, pensò che il sapore della verità nella sua bocca avesse un gusto dolce. Non si era mai sentita così presente. Era come se in quell’istante fosse realmente viva, come se quell'istante non avesse fine.
Non esisteva un dopo, era tutto qui e ora.
«Davvero Jade, io ti amo.» ripeté lasciando che il coraggio si espandesse nelle sue ossa. Sorrise, ammettere l'amore che provava la scaldava, la faceva brillare di gioia, tanto intensamente da soffrirne. Era fragilità e forza allo stesso tempo. La verità scintillava sulle sue corde vocali; pura da ammettere e atroce da nascondere.
«Amo tutto di te e perché-»
«Tsk! Tu non sai cosa sia l’amore. Sei solo una ragazzina, Valentine. Non sai quello che stai dicendo.» Un sorriso amareggiato giaceva sconclusionato sul suo viso. Sbuffò incrociando le braccia e squadrandola da capo a piedi. Un accenno di fastidio ed aggressività disegnò una piega sulla sua fronte.
«Solo perché sono stata la prima ad entrarti nelle mutande, non significa che mi ami.»
Katherine sbatté le palpebre, la sua fronte si decorò di mille linee di disaccordo.
West non credeva al suo amore, proprio come Charlotte, proprio come Jack. Nessuno la stava ascoltando, nessuna la stava prendendo sul serio. Un rifiuto netto l'avrebbe ferita meno.
«Non è così! Ti sbagli. Che ne sai di come mi sento? Io so cosa provo per te.
Non mi sono mai innamorata prima, okay, e sei la mia prima volta, è vero, ma non è per questo che ti amo.» Non ce n’era, pronunciare quella parola davanti a Jade le fece tremare le ginocchia.
La professoressa la guardò accigliata prima di riderle in faccia sarcasticamente.
«Tu non mi ami. Tu non hai la fottuta idea di che cosa sia l’amore, o di cosa voglia dire amare. Non mi conosci nemmeno. Sei solo una stupida ragazzina, cosa ne vuoi sapere dell’amore e della vita?»
Kat strinse i pugni fino a colorarsi le nocche di bianco. Jade stava rinnegando tutto il suo amore, ma la cosa che più la feriva erano i suoi occhi, perché erano sinceri. Non stava recitando, non si stava prendendo gioco di lei. Stava dicendo ciò che pensava.
«Oh, perché tu Professoressa “cuore di ghiaccio” sai cos’è l’amore?» sbuffò con le lacrime agli occhi, sentendo una gran rabbia travolgerla.
«Credi che io non sappia che sei una stronza manipolatrice, credi che io non li abbia visti tutti i tuoi difetti? Credi che non li abbia accettati, non li abbia amati tutti?» le piccole lacrime iniziarono a scendere sul suo volto. Sentì un groppo alla gola, ma presa dalla foga lo ricacciò indietro continuando la propria difesa.
«Credi che io non li abbia visti tutti i tuoi pregi? Credi che sia troppo stupida per essermi accorta della tua dolcezza, della tua sensibilità artistica? Credi che io non abbia capito che stai male per colpa di quella donna? E credi che mi faccia piacere quando qualcosa ti toglie il sorriso? Credi che a me non importi di te, di vederti magnifica e soddisfatta come sempre. Credi che io sia solo una stupida ragazzina, non credi che io possa provare qualcosa di semplice come l'amore? Che se ti amo è perché voglio che il mio amore possa darti qualcosa, possa renderti felice come tu rendi felice me. E credi che-» le parole le morirono in gola quando sentì le labbra di West spingere sulle proprie.
Le mani della Prof cercarono le sue, le loro dita si intrecciarono mentre con passione la spingeva al muro. Valentine iniziò a piangere. Il cuore e la gioia la bruciava, sentiva il male sciogliersi e dissolvere nei loro sospiri.
Le labbra dell'adulta ballavano un lento, contro le sue, con la giusta morbosità, con arrabbiata dolcezza.
Valentine inspiró dal naso, tremando tra le lacrime, baciandola con insistenza, chiedendo di più. Pregandola di rimanere lì, tra i suoi piccoli baci, accorciando la distanza ogni qualvolta si creasse.
L'insegnante ad occhi chiusi, muoveva la testa lentamente, costringendola a seguire il proprio ritmo, aumentando e rallentando a proprio piacere. La accarezzò impercettibilmente con la lingua, spingendola dentro, cercando la sua, e poi ancora, tornando a baci lenti d’attesa. Kat tremava di voglia, tremava sciogliendosi tra le sue mani, sentendo ogni parte di sé arrendersi al suo tocco. Sentiva il cuore pompare il sangue nelle vene e darle fuoco. L’aria usciva rovente, fuori dai suoi polmoni.
Quando l'insegnante si allontanò, il fiato corto della rossa ticchettava il tempo. Bastava un bacio per farle venire l’affanno.
Il silenzio fece da premessa alla voce roca di Jade West.
«Oggi è venerdì.»
Valentine si aspettò di vedere il solito sorrisino soddisfatto, ma fu sostituito da un sorriso diverso: annoiato e noncurante.
«Ma non verrai da me per i tuoi compiti speciali. A dire il vero né oggi, né i venerdì a seguire.» si leccò il labbro come a riassaggiare il sapore che le aveva lasciato sulle labbra.
Un peso gettò Kat nello sconforto. Il tempo di realizzare quelle parole e precipitó direttamente dal paradiso all’inferno.
«Ma…» bisbigliò tra sé e sé. La sua carne tremava per la stanchezza.
«Perché… perché mi hai baciata se… se…» la voce le graffiava la gola. Era stato troppo bello per essere vero.
«Cos’è? Non hai detto di conoscermi un attimo fa?» vendicativa Jade le sbatté in faccia un ghigno.
«Perché mi hai baciata se non ti importa?» le lacrime caddero di nuovo lungo le sue guance. Le asciugò, le spostò sul proprio viso bagnandosi la frangia.
«Perché hai finto di sentire qualcosa se non è così. Se non ti importa più di me, perché lo hai fatto?» disperatamente in cerca di risposte si aggrappò alla manica dell'altra, tirandola a sé con frustrazione.
«Perché sono una stronza egoista ed approfittatrice, Katherine Valentine. L’ho fatto perché tu possa renderti conto di quanto sei stupida a dare un significato diverso a tutto questo. Per farti realizzare di non aver capito proprio un cazzo.
Allora li ami proprio tutti i miei difetti, mh?» con un sorriso sadico l'insegnante prese il volto di Kat tra le mani, asciugando qualche lacrima con la punta delle dita.
Valentine con rabbia la spinse lontano da sé. Disperata tentò di asciugarsi le lacrime, ma fu inutile. I suoi occhi rossi non la smettevano di piangere, di esporre tutto il suo dolore.
«Smettila! Smettila di illudermi, smettila di prendermi in giro.» la rabbia non era abbastanza, non c’era rabbia. Non erano grida di rabbia, erano suppliche di dolore.
Jade fulminandola, avvicinò il corpo contro al suo. Fronte contro fronte, per costringerla a guardarla.
«Io non ti ho illusa. Tu ti sei illusa da sola, tu ti sei presa in giro. Il tuo “amore” è tutta una messa in scena che hai messo su con te stessa e per te stessa, per giustificare la tua ossessione nei miei confronti. Sapevi benissimo e sono sempre stata chiara riguardo al fatto di starti solo usando. Sì, mi piace farti soffrire. Sì, lo faccio apposta e sì, sei una cretina ad aver dato un significato diverso a tutto questo.
Questo non è amore, si chiama masochismo, tesoro.» i loro respiri si sfiorarono.
«Tu non mi ami, tu mi desideri…» le sussurrò sulle labbra.
Bisognosa Kat cedette, cercando il respiro dell'adulta, quasi fosse l’unica aria capace di riempirle i polmoni. Pregò che quel bacio la trattenesse a lei per un poco di più.
Jade glielo concesse. Le concesse un bacio freddo al tatto. Vuoto. Dal retrogusto amaro del sangue, e Katherine lo percepì. Lo sentì e pianse, mentre con le proprie labbra cercava di dare tutto, di riscaldare la pietra.
Quando si staccò da lei, l'adulta la guardava vittoriosa.
Disprezzava la sua debolezza, glielo leggeva in faccia.
«Ti amo comunque, non me ne frega un cazzo di quanto vuoi farmi male. Io ti amo. Ma tu no, tu non puoi amare. Hai l’inverno dentro l’anima, non hai più amore nelle ossa. È così, eh Professoressa? Sei così fredda che quando ti bacio il mio respiro gela…
Ti serve davvero questo per stare meglio? Il mio dolore ti soddisfa? Hai bisogno della mia sofferenza per avere un attimo di sollievo dalla tua? Distruggermi ti fa sentire indistruttibile, è così?
Nutriti pure di tutta la mia miseria, se ti disseta, tanto non smetterò mai di amarti.» con un sorriso di sfida, e gli occhi pieni di lacrime, sottolineó quella battaglia in nome dell’amore.
La vittoria a chi riusciva a sputare più verità dissanguate.
West furiosa si staccò da lei.
Non credeva che Valentine potesse essere tanto sveglia. Non l'aveva previsto e questo la infastidiva. Se non voleva capire con le buone, glielo avrebbe fatto capire in altro modo. Se voleva davvero sfidarla a parole, le stesse parole di cui era sempre stata padrona, l’avrebbe distrutta così, come voleva.
«Sì, vederti soffrire mi fa piacere, perché il dolore è l’unica cosa rimasta da strapparti. Tutto il resto me lo sono già presa: la tua prima volta, la tua dignità, il tuo corpo, i tuoi baci, i tuoi patologici sentimenti, persino ogni angolo della tua mente mi appartiene. Quanto sei malata a credere che in noi esista qualcosa che si possa anche solo avvicinare all’amore? Come puoi credere che mi importi qualcosa di te? Non ho fatto altro che distruggerti, che infestare i tuoi incubi. Per me sei sempre e solo stata un corpo, contatto fisico di cui nutrirmi. Carne con cui distrarre a appagare il mio “freddo animo”.» gli occhi ghiacciati guidavano le parole lungo una linea di apatia.
Katherine tremava per la cattiveria. Le gambe quasi le cedevano, l’aria e le parole si erano mischiate bloccandole la gola, dandole la nausea. Una smorfia di sofferenza le marchiò il viso.
«Stai dicendo che è finita?» bisbigliò a fatica, con un solo filo d’aria.
«Non è mai iniziato niente, tesoro. Sto dicendo che mi sono stufata di te, che ormai sei passata e consumata. Non ho nient’altro da prendermi da te.
Io non ti voglio più.
Sapevi che questo giorno sarebbe arrivato. Perché dovresti dispiacertene? Sei libera ora, no? Non sei più prigioniera della tua orribile professoressa, ricordi come era iniziata? Vai a farti una vita.» la semplicità e l’ironia con cui sentì uscire quelle parole, fecero implodere l'anima di Valentine in un lungo urlo silenzioso, frammentato nei ricordi del loro passato.
West la guardò senza aggiungere altro. Vedendo Kat fissare il vuoto, senza reagire, decise di non avere altro tempo da perdere.
«Torna in classe Valentine, sei in ritardo... e asciugati il viso.» le ordinò autoritaria, aprendo la stanza e spingendola fuori. Prima di andarsene le lascio solo dei fazzoletti per asciugarsi le guance e soffiarsi il naso.
Valentine rimase immobile fuori dall’aula insegnanti. Non c’era nessuno in giro a quell'ora. Si sentì vuota.
I suoi occhi si rifiutavano di piangere, non aveva più lacrime, nemmeno una. La sua testa si rifiutava di capire, di elaborare. Non si era mai sentita così disconnessa, così incolore.
Non pensava a niente. La sua mente si era tramutata in una stanza vuota, con pareti d’apatia a delinearla e l'insensibilità a fare luce.
Meccanicamente si incamminò verso la classe. Si era pulita il viso. Vedeva i propri piedi muoversi per portarla verso l'aula. Le sembrò strano, si chiese se fossero suoi. Le sembrava quasi che fosse il suo corpo a portarla in giro.
Sentì la propria voce chiedere scusa al Professore, con tono indifferente, e vide il proprio corpo sedersi al banco. Era l'ora d’arte. Dovevano finire un progetto libero, l’unico dell’anno, sotterrato da tutta la storia dell’arte.
Sapeva cosa voleva disegnare. Era già a metà. Si mise a lavorare come se niente fosse, concentrandosi su un passaggio alla volta.
Radunando tutti i propri strumenti, riprese a creare la sua figura in 3D; ormai l’aveva colorata, ora avrebbe dovuto solo ritagliare e montare la struttura, come un enorme origami.
Era l’unica ad aver osato tanto, e molti la invidiavano per i suoi voti alti in Arte. Amava l’Arte e la Storia dell'arte.
Tagliò un pezzo col taglierino e ripiegandolo su sé stesso lo fissò meglio con la colla.
Quella stanza silenziosa che era diventata la sua testa funzionava davvero bene per lavorare con precisione. Le sembrò piacevole non sentire niente, non provare nulla.
Riflettendoci troppo iniziò a sentirsi spaventata. Se non fosse tornata più come prima? L'apatia totale era vuota. E lei odiava il vuoto, anzi no, ne era terrorizzata.
*
West si morse il labbro, con una smorfia. Continuava a sentire la sensazione delle labbra della ragazzina sulle sue, a sentire il loro sapore. Perché l’aveva baciata? Forse voleva solo zittirla.
Il fatto che quel bacio le fosse sfuggito d’impulso, senza nemmeno realizzarlo, continuava a tormentarla, ma ormai era finita.
Non significava più niente.
‘Non c’è bisogno di una spiegazione. Lei è molto graziosa ed io impulsiva. Può capitare che l’attrazione fisica mi sfugga di mano. Non è stato un problema, ho riportato tutta sulla giusta strada all'istante...'
Riprese a scrivere sul proprio diario degli appunti.
“S.13, come tutti i soggetti già analizzati, ha manifestato un forte dolore e rifiuto nel vivere l’abbandono, aggrappandosi all’importanza dei propri sentimenti e del proprio dolore. Diversamente ha però insistito e reagito, quasi con rabbia, a difesa delle proprie emozioni. Il soggetto si auto illude sui sentimenti provati, pur non avendo fondamenta, e avendo prova del contrario. Ricerca disperatamente un senso logico nel dolore vissuto.
Finita la fase di abbandono S.13 è caduto in uno stato di dissociazione parziale. Avrà bisogno di tempo, o di un altro input per elaborare meglio il trauma, per passare alla fase successiva, in cui ci si aspettano sensi di colpa e ricerca di attenzioni.
Secondo le mie teorie tra qualche giorno S.13 si presenterà più vulnerabile e dipendente di prima, cercando in qualsiasi modo un minimo di approvazione. A quel punto si potrà riprendere il rapporto per testarne i limiti.”
Jade finì di scrivere chiudendo il quadernino e rimettendolo nella tasca interna della propria borsa. Si morse il labbro inferiore. Doveva resistere qualche giorno di astinenza da quelle soffici labbra e nel frattempo sapeva già con chi sostituirle.
*
Erika si stava dirigendo verso la classe assegnata, scritta sul post-it.
Non ne poteva più di fare la supplente e non vedeva l’ora di ricevere una cattedra propria. Tutto quel vagare di classe in classe, di ora buca in ora buca, le pareva sempre un'enorme spreco di tempo.
Entrata in classe si diresse alla cattedra senza nemmeno alzare lo sguardo.
«Bene ragazzi, faccio supplenza qui, per... due ore?! Seriamente?!» avvicinò il foglietto agli occhi per leggerlo meglio.
«Non potevano farvi uscire prima? Che senso ha? Ah, fa niente! Fate quello che volete, basta che non facciate casino.» concluse ricacciando il foglietto nella tasca della sua giacca di jeans.
Appoggiando la borsa alla cattedra alzò finalmente lo sguardo sulla classe. Quando sentì i suoi occhi incrociarsi con quelli di Valentine, precipitò nel panico. Sobbalzando per la sorpresa, rovesciò tutto il contenuto della borsa per terra.
‘Oh porca troia. Fanculo vita di merda.’ imprecò mentalmente chinandosi a raccogliere il materiale.
Katherine abbassò lo sguardo sul cellulare, la sua espressione apatica.
Si sentiva ancora fuori dalla realtà. Aveva passato il tempo a cercare e pubblicare immagini che le ricordavano Jade, che sfogavano il dolore che provava, o meglio, il dolore che avrebbe dovuto provare se non fosse stata intrappolata in quel limbo grigio.
Sapeva di stare male, sentiva quel peso scavare nel suo sterno e stava provando di tutto pur di farlo uscire, pur di non rimanere nel vuoto, ma più tempo passava; più veniva inglobata. Anestetizzata da qualsiasi sensazione.
Era così strano il mondo visto da dentro quella bolla. Non le importava della realtà, della classe. Avrebbe continuato a concentrarsi su di sé e a cercare di capire cosa stesse succedendo alla sue emozioni.
Erika, al contrario, dopo aver rimesso in ordine, pensierosa aveva iniziato ad osservare la studentessa. Jade non l’aveva più menzionata, non le aveva più detto niente a riguardo.
‘E se stesse facendo il doppio gioco?’ un pizzico fastidioso le toccò il cuore, ed uno ancora più crudele le strinse la gola.
Ricordare quanto West fosse malata spinse la sua coscienza verso la follia momentanea. Cercava di non pensarci per tutto il tempo, ma con davanti Kat non poteva non pensarlo. Con la preoccupazione per lei, per il male che poteva infliggere West.
Peggio ancora inoltre era quel pizzico di gelosia, quella stupida infantile paura di essere sostituibile, alunna per alunna.
‘Dio santo, è di Jade West che parliamo.
Quella non ci pensa due volte. Il maggior guadagno col minimo sforzo, in contemporanea.' prese a mordersi le unghie con impazienza.
Abbassando lo sguardo si fissò su un punto della cattedra bloccandosi a riflettere.
‘Devo tenerla legata a me. Devo farla godere tanto da toglierle dalla testa questo fetish delle ragazzine. Sarebbe folle credere di poterla cambiare. È di una sadica malata del cazzo che stiamo parlando. Non posso guarirla, ma posso distrarla. Posso convincerla a smettere. Non avrà più bisogno di sfogarsi sulle adolescenti se potrà dare del suo peggio su di me. O forse, forse potrebbe tornare tutto come prima, potrebbe rinnamorarsi di me…
Potrei convincerla a smettere con l'esperimento.’ i pensieri turbinavano. La sua vena masochista sarebbe stata più che lieta di sacrificarsi, almeno tutta quella sofferenza non sarebbe stata invana. L'avrebbe mascherata da sacrificio per un bene più grande, e non come odio per se stessa.
Era patetica ad illudersi del fatto che West sarebbe potuta tornare come prima. Il ricordo del primo ti amo di Jade, della dolcezza e passione, le fece venire voglia di piangere.
Erika posò il proprio sguardo sul viso di Kat intento ad osservare lo schermo con scarso interesse. Violet si morse un’unghia nervosa.
Valentine era giovane, era innocente e graziosa. Ebbe il flash di West che metteva le sue mani su quel piccolo corpo, che le accarezzava i capelli rossi come aveva accarezzato i suoi, che poggiava le sue labbra su quelle impacciate della studentessa.
Quanto poteva essere pazza? Voleva essere vittima, come un coniglio geloso di non essere sbranato per prima.
Sentì la campanella suonare la prima ora passata. Immaginare e pensare a quelle cose per tutto il tempo la stava facendo impazzire. Sentiva l’ansia correrle lungo le vertebre senza darle pace, e la gelosia punzecchiarla in petto.
Aveva bisogno di scoprire la verità. Di sapere se Jade si stesse divertendo con entrambe. Se le stesse prendendo in giro insieme.
Senza dare nell’occhio Erika iniziò a girovagare tra i banchi, fingendo di interessarsi agli studenti.
«Valentine, scusa se ti rompo, ma non si può usare il cellulare in classe, è nel regolamento.» Kat fece un cenno di assenso col capo, per poi mettere il telefono sotto al banco, e cercare una matita nell’astuccio per scrivere o disegnare.
Erika ricordò le cose che si erano dette l’ultima volta. Quasi se ne era scordata. Ipotizzò fosse quello il motivo per cui l'alunna le teneva il muso. Non le avrebbe mai parlato così. Aveva bisogno di riconquistare la sua fiducia se voleva saperne di più.
«Cosa, cosa disegni oggi?» indugiò, appoggiando una mano sul banco, cercando l’attenzione della studentessa.
«Senti...» sussurrò per non farsi sentire dagli altri.
«Volevo chiederti scusa per come mi sono comportata con te l’ultima volta. Non avrei dovuto dirti quelle cose…»
«Aveva ragione.» bisbigliò Kat con lo sguardo fisso sul foglio parlandole sotto.
«… sono stata inopportuna e… aspetta cosa?» si interruppe la docente sorpresa.
«Aveva ragione. Le cose che aveva detto... Avrei dovuto ascoltarla.» il suo tono era distante.
«È finita?» chiese Erika sorpresa, cercando di contenere la gioia.
«No. Non siamo mai state insieme. Non può essere finita se non è mai iniziata.» sorrise amaramente continuando a disegnare, ricordando quelle parole.
«Aveva ragione. Non sul fascicolo, ma… si è stufata di me. Si è già presa tutto, ha consumato il consumabile. Ora non mi vuole più.» la mano aveva deciso di tremare impedendole di disegnare bene, ma non capiva perché. Lei ancora non sentiva niente, non pensava a niente.
Violet rimase spiazzata.
Era un'ottima notizia! West aveva smesso di usare le alunne. West non aveva intenzione di continuare a rovinare la vita alle studentesse. Almeno non a Kat. Non avrebbe dovuto più litigare e farsi distruggere da Jade per convincerla a smettere, o forse lo avrebbe dovuto fare comunque. Il briciolo di gelosia in lei sparì. Ed il terrore si fece largo.
Era arrivata tardi; West aveva già distrutto Valentine, ma forse era meglio tardi che mai? Eppure il dolore di Kat le faceva venire voglia di scappare via. Era troppo simile al suo.
«Mi dispiace Valentine. Davvero…
Avrei dovuto insistere, avrei dovuto starti più vicina. Non sono stata abbastanza forte e adulta. Una persona normale avrebbe solo denunciato l'accaduto. Dio, è che tu sei così piccola e non hai ancora idea della gravità di tutto questo. È atroce, ed è anche colpa mia. Ti chiedo scusa.» si sentiva schiacciare. Non voleva più parlare con Valentine. Le sembrò di aver perso una seconda volta. Quella ragazzina dai capelli rossi, era come se fosse la sua parte piccola e adolescente, e lei non era riuscita a proteggerla per l'ennesima volta. Lei l'aveva abbandonata al aguzzino di nuovo.
Non aveva fatto abbastanza per salvarla pur sapendo a cosa stesse andando incontro.
Violet sentiva di voler piangere tutte le lacrime che Kat non poteva, ma si trattenne.
«No. Lei me lo aveva detto. Grazie per averci provato. Non poteva fare di più. Non le avrei creduto in ogni caso, dovevo arrivarci da sola… è stata una mia scelta amarla...» che gusto amaro lasciavano quelle parole sulla lingua. Una scheggia pulsó nella sua carne facendola sanguinare, infastidendo la sua apatia.
«Come… come ti senti?» Erika ammutolì. Non riusciva più a parlare. Non sapeva più cosa dire o pensare. Era un dolore, un trauma troppo grande per avere parole. Come poteva trovare parole per Kat? Con quale credibilità? Lei non si era salvata. Il tempo non aveva curato nulla. Le ferite non si erano rimarginate.
Cosa poteva dirle? Che West sarebbe stata un marchio, un incubo che non l'avrebbe lasciata? Che sarebbe finita ad odiarsi tanto da farsi usare da qualsiasi sconosciuto? Che avrebbe fallito anche nel lasciarsi amare da qualcuno di dolce e meritevole?
La sua verità era troppo amara.
«Non lo so come sto. Solo non sento più niente, non c’è più niente. È come se fossi solo un corpo vuoto ora.
Dovrei preoccuparmi, vero?» alzò lo sguardo verso la professoressa e quando i loro sguardi si intrecciarono, Kat le sorrise, mentre una lacrima scendeva solitaria lungo la sua guancia.
«Ops...» bisbiglio Valentine asciugandola.
«Non me ne ero neanche accorta.» aggiunse, prima di tornare a concentrarsi sul disegno.
Una morsa al cuore la fece sussurrare. Le mancava, le mancava davvero, ma scacciò il pensiero.
A Violet si spezzò il cuore una seconda volta. Non ce la faceva. Quella studentessa era troppo simile al dolore che voleva scordare. Era uguale. Era un'alunna usata e consumata da un mostro, da un male troppo grande che non si poteva fermare.
Si sentì terribilmente impotente e uccisa dalla consapevolezza di odiare Jade, e nonostante ciò, non poter fare a meno che supplicarla per attenzioni. Kat era ancora in tempo per evitare la sua terribile fine.
«Evitala. Evitala e non tornare. Non pensare che sia giusto così. Non arrivare a pensare che sia normale o giusto farsi usare da chi ti ha distrutto. Ti prego. Trova il tuo modo di andare avanti e non isolarti. Niente di tutto questo è colpa tua. Tu sei abbastanza e verrai amata da qualcuno che non desidererà altro che...» Erika si fermò. Non poteva continuare. Stava iniziando a pensare a James e il ricordo faceva ancora troppo male. I suoi occhi si riempirono di lacrime. Si voltò d'improvviso.
«Scusami, ho sentito il telefono e stavo aspettando un messaggio importante.» menti pur di allontanarsi da lì.
Tornando alla cattedra asciugò gli occhi lucidi prima che qualche alunno li vedesse.
Alla fine era meglio così, si disse Erika distraendosi con le proprie cose.
Era l'unica cosa che poteva accadere. Non poteva cambiare il passato di Valentine. Ormai il danno era stato fatto, poteva solo premunirsi che West non le facesse di peggio, e che non facesse lo stesso ad una nuova vittima. In ogni caso Valentine sarebbe stata mollata ugualmente, anche se più tardi. Prima o dopo, era lo stesso. Quel dolore lo avrebbe provato in ogni caso, che lei si fosse messa in mezzo o no.
La rossa prese la gomma e cancellò un tratto che aveva sbagliato. Stava disegnando un ragazzino seduto sotto la pioggia, nel fango.
Quando la campanella suonò i ragazzi avevano già le cartelle in spalla, pronti a spintonarsi per uscire, ma Kat no. Katherine con calma e precisione, scrisse sopra la testa del ragazzino che aveva disegnato: “SICK BOY”.
Un po’ assomigliava a Jack e questo la infastidì, ma non abbastanza da farle odiare la sua stessa creazione.
*
Jade si diresse verso l’aula insegnanti, doveva lasciare alcune cose prima di tornare a casa. L'ultima ora con la quarta era stata impegnativa: più grandi erano, più era difficile spaventarli.
Non che non ci riuscisse.
Passando vicino alla classe di Katherine sbirciò dentro curiosa di vederla. Era certa di trovarla, lenta com’era nel fare lo zaino. Inoltre secondo i suoi calcoli, farsi vedere avrebbe aiutato i tempi di reazione del soggetto.
Con sua grande sorpresa prima di vedere Valentine, scorse Violet. Si inumidì le labbra prima di sorridere al caso: la vita sembrava volerle facilitare le cose, il che non le dispiacque affatto.
«Oh Violet, ti stavo cercando.» entrando in classe ed ignorando la studentessa, si diresse verso l’insegnante.
Erika pietrificò per il panico. Arrossì all'istante, tremando nervosamente.
L'alunna e West nella stessa stanza con lei erano la cosa peggiore che potesse succederle, specialmente in quel momento. Si sentì tirata fra due mondi.
«A-ah.» bisbigliò soltanto, visibilmente a disagio.
Katherine con la cartella in spalla, reagì allo stesso modo quando sentì quella voce tanto familiare rimbombare nell’aula. Vedendo West si immobilizzò. Non stava nemmeno respirando, il cuore correva miglia pur di fuggire da un’altra rottura. Riusciva solo a fissarla con lo sguardo di una stupida, senza dire o fare niente. Riusciva solo a sentire l’aria mancare, a sentire il caos spingerla dall’altra parte del precipizio.
Sentì solo una voce parlare nella stanza vuota della sua testa, le sentì dire due parole: ‘È bellissima...’
«Tesoro, volevo dirti di aspettarmi alla macchina. Lascio dei documenti e poi arrivo. Non ci metterò molto... e poi saremo subito da me.» Jade sorrise, sorrise e spostò il suo sguardo dritto negli occhi di Kat, con premeditata crudeltà.
Valentine lo realizzò.
Non sarebbe andata alla sua villa quel Venerdì, perché ci sarebbe andata la Prof Violet al posto suo. Così sarebbe stato per quel Venerdì, come per i Venerdì a venire.
La ragazza sentì la spinta. Sentì il caos della caduta comprimerla. Rimpianse l’apatia mentre tutte le sue difese cedevano, mentre gli occhi di Jade fissi nei suoi la intrappolavano all’inferno, ustionandola.
«A dopo, tesoro.»
Jade senza alcun preavviso, prese il viso di Erika tra le dita e le infilò la lingua in bocca.
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