Capitolo 44

«James smettila!» Erika urlava con le lacrime agli occhi.
«Ho detto che è finita.» il tono glaciale, lo sguardo cattivo di un animale spaventato, finito in trappola.

«Amore, ma che stai dicendo? 
Ti prego parlami! Andava tutto bene.
Non puoi uscirtene così! Cos'è successo?
Io non ti voglio lasciare, ti prego amore.» gli occhi caldi del ragazzo trattenevano le lacrime, il suo cuore in frantumi lacerava i tessuti nella sua cassa toracica.

«Sto dicendo che è finita! Non lo capisci?
Devi andartene. Non ti voglio.» la voce tremante della rossa, anche i suoi occhi verdi facevano di tutto per trattenere il dolore di quel gesto. Odiava quelle parole, odiava la sua stessa voce. Si stava facendo male da sola, ma era l'unica cosa giusta che potesse fare.

«Ma perché? Io ti amo. Ti amo.
Cosa ti sta succedendo? Che ho fatto?
Perché te ne esci così dal nulla?
Pensavo fosse tutto okay.
Ti prego parlamene, ti prego.
Possiamo risolverlo, amo-»
«Smettila. No, non possiamo risolverlo...» le lacrime le rigavano le guance.
Il conflitto interiore le devastava il cuore. Non voleva farlo, ma lo stava facendo.
L'immagine di Jade fissa in mente la spingeva a farlo. Non avrebbe sopportato un giorno in più vicino al proprio ragazzo pensando ad un'altra, desiderando il tocco di un'altra.

L'uomo iniziò a piangere.
Erika si morse il labbro, non aveva mai visto il suo ragazzo piangere. Non lo aveva mai visto soffrire tanto. Non avevano mai discusso così.

Era semplicemente ingiusto.

Lui le aveva dato tutto se stesso, l'aveva amata al meglio. Nonostante i difetti e le difficoltà. L'aveva aiutata a ricostruirsi, giorno dopo giorno. Rispettandola, insegnandole ad amare se stessa, ad uscire dall'oblio di sofferenza in cui l'aveva fatta precipitare Jade.
L'aveva aspettata e rassicurata, aveva sopportato le sue crisi, rimanendo nonostante tutto. La amava davvero.

Non poteva credere di starlo cacciando via.
Di starlo abbandonando per la stessa ragazza che le aveva rovinato la vita.
Ne era consapevole. Era davanti ai suoi occhi.
Si guardava e ascoltava, mentre mandava a puttane la propria vita, il proprio presente.
Era in corsa sulla linea del tempo. Doveva distruggere il presente, il futuro, per tornare indietro, per afferrare il passato, prima che scivolasse via come nei suoi incubi.

La sua testa piena di nero, di scarabocchi ed odio. Convinzioni amare: non meritava James, non meritava la felicità. Si odiava, di un odio che si morde la coda, che si sfama da sé. Si odiava con sadismo, convincendosi di meritare solo cattiveria da parte di se stessa, convincendosi di non meritare niente da nessuno, di meritare solo la solitudine ed il dolore. La sbranava il pensiero ossessivo di essere esageratamente malata per avere il diritto di trascinare nella propria follia qualcun'altro. Non voleva essere il problema del suo ragazzo. James meritava di meglio. Non meritava qualcuno di disgustoso come lei.
Lei che non sapeva amare bene, nel modo giusto, che sapeva solo sbagliare, che sapeva solo farsi maltrattare, farsi infilare una mano nei pantaloni e succhiare sotto ordine.

James meritava una donna, non una puttana.
Stringendo i denti si infilò le unghie nel braccio. Faceva schifo. La vergogna la divorò. Il senso di colpa la incenerì.
Stava facendo soffrire l'unica persona al mondo che l'avesse mai amata. Stava facendo del male all'amore della sua vita, lo stesso con cui fantasticava di sposarsi, con cui condivideva ogni cosa, ma non aveva altra scelta.
Non poteva dire la verità. Non ne era capace.
Non poteva continuare a baciarlo e vedere il volto di Jade.

Un uomo così meritava di più, meritava la felicità. E lei era come una palla al piede che lo tratteneva, con tutte le sue problematiche.
Non meritava di non essere amato ad ogni bacio. Non meritava segreti.
Era meglio così. Era l'unica cosa che potesse fare.
Ormai era tutto rovinato. Non poteva evitarlo.
Le emozioni non la ascoltavano, non l'avrebbero mai ascoltata. Ignorarle non le avrebbe fatte sparire.

O lasciava James subito, o sarebbe finita per tradirlo, il giorno che West lo avesse voluto.
Anzi se la sua ex avesse saputo di lui, sicuramente lo avrebbe usato per ferirla. Avrebbe avuto piacere del suo tradimento, avrebbe usato il suo nome per distruggerla col senso di colpa. Doveva evitare la catastrofe.
'Guardati Violet: sei patetica.
Sei troppo stupida, sei troppo cagna, sei una schizzata del cazzo. Non meriti di toccare l'amore. Sei lurida. ' la voce dei suoi pensieri era uguale alla voce di Jade

Lo si sentiva: patetica, schizzata, cagna. Vittima dei propri impulsi, bisogni.
Non sapeva controllarsi. Nessuna forza per opporsi. Le emozioni la colpivano, la stordivano, la riempivano dandole la nausea, spingendola al limite. Spingendola ad agire freneticamente, in cerca di sollievo.

Lacrime. Non una parola. Solo lacrime salate, sulle labbra.

James si avvicinò a lei in cerca di un abbraccio. La supplicò. Di salvare il loro amore. Di lasciarsi amare. Di non gettarli in quell'incubo.
«Amore mio, ti prego. Non ce la faccio.» respirava a fatica, con un peso insostenibile tra i polmoni. Scosse la testa.
Appoggiò la fronte a quella della rossa, cercando la sua vicinanza tra i singhiozzi di entrambe. James fece per abbracciarla, ma Erika immobile non ricambiò, continuò a piangere, provando a trattenersi ad occhi chiusi e denti stretti. Annuì, continuò ad annuire senza smettere.

James capì e ritraendosi soffocò un gemito di sofferenza, senza togliere la fronte dalla sua.
«Va bene.» singhiozzò prendendo il delicato viso della rossa tra le mani.
«Va bene.» la voce strozzata.
«Vuoi... vuoi davvero che... che me ne vada?» deglutì il groppo. La serietà nel suo sguardo.
Nel dire quella frase uccise una parte di sé.

Erika non fece alcun suono.
Non riusciva a smettere di piangere.
I singhiozzi silenziosi le scuotevano il petto.
Il pugno chiuso intorno al braccio, scavava con le unghie nella carne, fino al sangue. Col bisogno di punirsi.
«Sì...» un solo lamento sussurrato.
E poi il mondo distorto, offuscato dalle troppe lacrime che la proteggeva come in un sogno.

James abbassò la faccia, vergognandosi del proprio dolore. Diventó minuscolo.
«Come posso andarmene se ti amo?»
Cercò un appiglio, una sola carezza, una sola speranza.
Fissò il proprio sguardo in quello spaventato della ragazza.
Violet singhiozzó, facendo fatica nel trattenersi. Scosse la testa e con delicatezza lo allontanò da sé.
«No, almeno, dammi una motivazione... così non ce la faccio. Stai piangendo. Non mi vuoi lasciare davvero. Lo so, lo vedo.
Cosa... cosa è successo Erika?
Non voglio che tu soffra...  Non voglio lasciarti da sola. A piangere ed odiarti.
Non mi ami più? Ho fatto qualcosa?
Dammi una motivazione.» la supplicò.

Erika lo guardò negli occhi, aprì la bocca, ma nulla. Non voleva dirlo, non voleva fargli male, non voleva farlo soffrire di più. Non lo meritava.

«Erika! Erika ti prego!» urlò tra le lacrime.
«Non puoi mandarmi via così, senza una spiegazione. Merito una cazzo di spiegazione.
Ti prego...»gli occhi pieni di sofferenza.

Violet singhiozzò, sentì il sangue sporcarle il braccio e le unghie.
L'istante dopo la sua apatia la sollevò in piedi, vuota. Abbastanza vuota da stracciare colori, da dissolverli nel grigio

«Io... ti ho tradito.» la sua voce strozzata sputò fuori quelle parole. Quella semi bugia, quella semi verità. Non aveva fatto sesso con Jade, ma era stata toccata, e le era piaciuto, aveva obbedito e lo avrebbe rifatto. Quindi cosa cambiava? James si meritava di meglio.
Violet vide l'essenza più pura ed intima del suo uomo appassire in un istante, affogare in un mare di sofferenza e delusione.

Il cuore di Erika urlò, lo sentì gridare un'ultima volta, mentre si lasciava trascinare all'inferno.
Aveva paura di vedere disgusto, delusione, disprezzo in quello sguardo che amava tanto, ma ci vide solo dolore ed amore.
Le fece più male di qualsiasi altra cosa.

Il ragazzo biondo si coprí il volto e corse fuori casa.
Erika si sedette a letto.
Sola, alienata.
Il braccio sporco, decorato da quattro righe rosse. Gli occhi doloranti, il mondo grigio. Senza energia cadde di schiena sul materasso. Guardò fissa il soffitto.
Era sfocato.
Singhiozzó piano, poi più forte.
Pregò di affogare nelle proprie lacrime.

L'enorme vuoto nella sua anima dilagò, lacerandola.
Non combatté, esausta, si abbandonò alla disperazione.

*

«E da quando ti piace la tua Prof di Matematica?»

Kat sgranò gli occhi.
«Co-Cosa?» la temperatura salì ustionandole il volto.
«Ah, non ti preoccupare, non sono omofoba. Sarebbe patetico, insomma, siamo nel ventunesimo secolo. Poi immagino che la West sia più affascinante della media.» il sorriso divertito e quel leggero pizzico di malizia sul viso di Charlotte
«Ma... ma tu, come? Cosa?»
Non poteva farcela, non aveva parole.
Katherine desiderava dissolversi nel nulla più di qualsiasi altra cosa. Chi era quella? Stava iniziando ad essere fastidiosamente inquietante.

«Sei andata in palla quando ti ho chiesto della West e non hai dato una vera risposta perché, probabilmente, avresti troppe cose da dire, che non puoi dire.

Ora stai arrossendo più del solito e tremi.
Uuh, immagino sia una cotta seria, eh?
Se avessi torto avresti semplicemente risposto di no e mi avresti preso per matta a pensarlo, invece guardati... non hai parole!

Ah, e soprattutto; la chiami per nome.
Insomma, è molto strano che un alunno chiami per nome un Professore... forse troppo...
È sospetto...
A meno che tu non abbia avuto modo di poterla chiamare per nome, ma questo significherebbe parlarle fuori scuola... ma perché avresti dovuto vederla fuori scuola?» Charlotte con gli occhi al cielo e la mano sotto al mento, cercava la soluzione del nuovo rompicapo.

«No! No, no fermati!» la implorò Kat terrorizzata dall'idea che potesse scoprire la verità.
«Aaaah! Tu sei un genio malvagio e spaventoso!» si coprì la faccia con le mani per nascondere il rossore.

Charlotte la guardò seria rimanendo immobile.
«MUHAHAHAHAH! LO SOOO!» tuonò.
La sua risata malvagia era la cosa più divertente che Valentine avesse mai sentito in vita propria. Contagiata dal'insensatezza di quel momento scoppió a ridere tanto forte da doversi appoggiare alla libreria.

Ma che stava succedendo?
Quella ragazza dietro alla facciata da stronza, inquietante e geniale, celava vero e proprio; disagio. Di quello puro e adolescenziale.
Charlotte la guardò sorridente.
«Mh sì, hai superato il test.
Brava piccola rossa!» affermó battendole una mano sulla spalla.
«Che test?» chiese Kat asciugandosi le lacrime agli occhi.
«Per essere mia amica.
Sai, non sopporto le stronzette figlie di papà, che fanno le false amiche e poi dietro ti sparlano perché vai in carrozzina.
Sono le peggiori.
Credo che tu sia abbastanza... diversa per essere mia amica.» concluse entusiasta.

Katherine si riempí di gioia. Un sorriso meravigliato da bambina le si stampò in faccia.
«Anche... anche io volevo fare amicizia con te perché sei diversa dalle altre.» confessò balbettando. Non sapeva esattamente come comportarsi.

«Ah grazie, solo perché vado in carrozzina...» la guardò seria.
«Cosa? No! Aspetta, scusa io, io non intendevo questo! Ecco, io...» Charlotte vedendola preoccupata, scoppiò a riderle in faccia, sempre con quella buffa risata che accennava a dei grugniti.
«Ma ti pare! Ti sto prendendo in giro, dovresti vedere la tua faccia AHAHAHAH!
Oh, sei adorabile a preoccuparti tanto.
Come fai a non accorgerti che sto scherzando?
"Cosa credevi che la mia stanza è come un ospedale?" AHAHAHAHHAHAHA
Ho fatto fatica a non riderti in faccia dopo questa stronzata.» la sua risata arrivò a toni tanto alti che Kat, con le lacrime agli occhi per lo spettacolo, non poté fare a meno di chiedersi come fosse possibile urlare, ridere e piangere nello stesso momento.
Quella ragazza stava diventando il suo idolo.

«Quindi... immagino tu non sia fidanzata?» le sorrise in modo preoccupante, tornando d'improvviso seria.
«No...» esitò prima di rispondere, leggermente a disagio.
«Mh, quindi il succhiotto viola che hai cercato inutilmente di nascondere con il correttore, chi te l'ha lasciato lì?»
Charlotte non aspettò una risposta prima di scoppiare a ridere di nuovo come una psicopatica.
Kat esasperata si coprí il petto, abbottonando di fretta i primi bottoni della camicia.
Avrebbe voluto tanto darsi fuoco in quel momento.

«TU NON PUOI FARE COSÌ, OK?» sclerò Valentine tra l'esasperazione e il disagio.
«E INVECE POSSO, MUAHAHAHAHAHAH!» rivolse i palmi verso l'altro, impegnandosi con teatralità per interpretando la perfetta super cattiva.

L'attimo dopo si calmò.

Le faceva proprio paura il modo in cui riuscisse a scoppiare e calmarsi subito dopo, pensò Valentine.

«Sai... che mi basterebbe farti una sola e semplice domanda e capirei la verità anche se tu mentissi?» il sorriso malvagio si allargó lentamente sul suo volto, facendo crescere il terrore nello sguardo di Katherine.
«No. Tu... tu non lo faresti mai.
Tu... tu non lo fai, vero?» tremante la piccola vide Charlotte soffocare la propria risata malvagia.
«E se invece...»
«NO. No, ti prego Charlotte.» la supplicò, sentendosi già male.
«Per caso... c'è qualcosa...» iniziò la frase sorridendo divertita.
«Nooo! No fermati! Prima che sia tardi!»
«Tra te eeee...» prolungó all'infinito l'attimo. Godendo della paura dell'amica.

«STOP. BASTA.»
«La tua Professoressa...»
«Nooooooooooooo!» si tappò le orecchie, urlando pur di sovrastare la voce di Charl con la propria.
«ELIZABETH JADE WEST?» urlò velocemente nell'attimo di silenzio.

Kat rossa in viso, non si tolse le .a o dalle orecchie.
«Non ho sentito niente.
Lalalala, non sento.» sembrava una bambina.
Charlotte rimase in silenzio ad osservarla, corrucciata, all'estremo della propria concentrazione, attenta ad ogni piccolo dettaglio nel comportamento di Valentine.

«OMMIODDIO, MA QUINDI DAVVERO HAI QUALCOSA CON LA WEST? NOOOOOO, IO NON CI CREDOOOOO!» Charlotte incredula si coprí la bocca.
«Cioè se me lo avessi detto tu non ci avrei creduto mai nella vita, ma dato che è una cosa che ho dedotto io, e che i tuoi atteggiamenti sono tipo, pfff... palesi, so che è vero.»

Katherine si sentì allo sbaraglio. Temette di essere spacciata. Non aveva idea di che dire. Qualsiasi cosa avrebbe detto, Charlotte le avrebbe letto nel pensiero. Decise di gettare la spugna, consapevole di non saper mentire.
«Ti prego, ti prego, ti prego non dirlo ai miei, per piacere. Ti prego davvero, non deve saperlo nessuno.» le venne da piangere per la paura.

«Ma ti pareee?
Ti pare che lo faccio sapere ai tuoi genitori?
I miei non sanno nemmeno del mio di ragazzo!
Ma va, figurati!» Charlotte le si avvicinò per rassicurarla e la accompagnò a sedersi sul suo letto per parlare meglio.

«Ma quindi... cioè...non posso crederci... ELIZABETH WEST!! Ti fai la Prof!
Uuuh, lo avete già fatto sulla cattedra?» la sua espressione pervertita bastò per far sprofondare Kat.
«CHARLOTTE PER PIACERE!» le urlò imbarazzata.
«PUAHAHAHA, LO SAPEVO.
OK, OK, LA SMETTO.» tornò seria.

«Quindi sei gay o bi? I tuoi lo sanno?
Come è iniziata ? Come è lei?
Non sembra una dolce, anche se di sicuro sembra una che scopa... Eh beh!
Ma quindi la West è lesbica? Ma pensa!
Forza raccontaaa!»

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