Sei.
<posso farti una domanda?>
La testa del biondo sbucò da dietro lo scaffale ampio, pieno di scartoffie e vecchie foto. Osservò il suo capo che era chino nel suo ufficio, a contare le mille fatture che sembravano così infinite.
<Spara. Non perdere tempo che hai altro lavoro da fare, non appena avrai finito i compiti che ti ho assegnato.> Rispose l'uomo stempiato, non togliendo lo sguardo dalla calcolatrice che aveva sulla scrivania.
Intanto, con l'altra mano scarabocchiava dei numeri su un foglio.
<Chi è quell'uomo che è venuto l'altra sera a chiedere di te ?>
Chiese Keigo, andando dritto al punto. Non gli piaceva perdere tempo perché se lo avesse perso non lo avrebbe recuperato facilmente.
<Chi ?>
L'altro continuava a non guardarlo.
<Era un tizio molto alto, con i capelli neri a punta e lo sguardo cattivo. Aveva gli occhi azzurri.>
Il biondo scrollò le spalle.
Fu a quel punto che l'uomo alzò finalmente il viso dalla scrivania, il rumore dei tasti cessò di battere e lui si concentrò completamente sul ragazzo.
<Perché vuoi sapere di lui ?>
Gli chiese con voce rauca. Il suo tono era completamente cambiato; sembrava spaventato da quel ragazzo.
<È solo una curiosità. Magari per identificarlo se mai dovesse venire un'altra volta.>
Rispose il biondo.
<No, fatti gli affari tuoi. Non hai bisogno di sapere il suo nome, perché se ha bisogno parlerà solo con me. Ora vai a lavoro.>
Spinse la calcolatrice sul fondo di un cassetto e lo richiuse.
Keigo fece un sospiro e ritornò a lavoro.
Non fece altro che pensare a quello sconosciuto per tutta la giornata lavorativa.
Chi era. Questa domanda lo tormentava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Non aveva ottenuto nessuna risposta, quindi stava a lui fare delle ricerche per conto proprio.
Aspettò che il suo capo se ne andò via verso le otto di sera. Di solito, lavorava fino a quell'ora, poi rimaneva solo fino alle nove, ossia l'orario di chiusura, più tardi se qualcuno fosse entrato all'ultimo minuto.
Quando l'uomo andò via chiudendosi la porta alle spalle, Keigo sbucò fuori dalla sua scrivania, aspettò un paio di minuti e poi sgattaiolò nell'ufficio segreto del suo capo. Fortuna per lui, non chiedeva mai la porta a chiave e quindi colse l'occasione per catapultarcisi all'interno.
Sapeva che l'uomo avesse con se un registro di tutti i clienti, con i nomi e le date affiancate di quando venivano da loro per richiedere qualcosa.
Ricordava perfettamente la data e l'ora della visita dello sconosciuto. Era un martedì, alle sei del pomeriggio. Scorse con il dito lungo la pagina che segnava proprio quel martedì e, sull'orario indicato, vi era un nome: Touya Todoroki.
Cercò di fare mente locale, quel cognome non gli era nuovo.
Pensò e ripensò, poi sgranò gli occhi: i Todoroki erano molto famosi in città.
Enji Todoroki era un capo mafia, quello più temuto. E Touya era suo figlio.
Come aveva fatto a non riconoscerlo ?
Chiuse con uno scatto il grande libro dei clienti e uscì dall'ufficio. Ecco perché il suo capo era così spaventato quando gli aveva fatto quella domanda.
E poi...lui era innamorato di un malavitoso ?
Un malavitoso che, tra l'altro, ignorava del tutto la sua esistenza e che, nonostante questo, aveva voglia di rivedere.
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