2
Il paradosso senza fine è che noi impariamo dal dolore.
Il cielo di questa giornata è limpido e di un azzurro cobalto meraviglioso, addobbato da un sole raggiante e splendente che inoltra i suoi raggi lungo gli scorci della città.
Nemmeno una nuvola minaccia la sua serenità, invece su di me sembra che si sia scagliata una tempesta.
Siamo agli scorci di un Maggio particolarmente caldo, eppure in questo momento sento brividi di freddo percorrermi il corpo accapponando la pelle.
Non vedo l'ora di tornare a casa e gettarmi sotto il getto d'acqua corrente della doccia.
Ho l'urgente necessità di togliermi le impronte di quel delinquente di dosso e soprattutto il suo odore.
Sul collo avverto ancora la stretta della sua mano; forte e decisa, misurata sull'intensità della pressione esercitata, come se quel gesto gli fosse talmente tanto familiare da esserne esperto.
I miei polsi sono arrossati, leggermente escoriati dopo l'eccessivo sfregamento nella sua stretta.
Sento ancora il contatto con il gelido muro di cemento alle mie spalle; quella terrificante sensazione di freddo che si infiltrava nelle mie ossa senza il minimo sforzo, impiantandosi nel profondo della mia persona.
Jessica mi lancia delle occhiate di tanto in tanto, senza perdere di vista la strada che ci porterà presto a casa mia.
Sembra essere ogni volta sul punto di voler dire qualcosa, fortunatamente però decide di tacere.
La sua preoccupazione è palpabile, ma sono sicura che il suo pensiero è fermo sulla reazione che mio padre potrà avere una volta scoperto il casino appena successo.
Sono sicura che appena mi vedrà, si pentirà di avermi mandata nel suo impero tenebroso e farà di tutto per ottenere il mio perdono.
Dopotutto sono la sua unica figlia e prima di pensare alle apparenze che ci impone la nostra posizione sociale, di certo gli importerà della mia incolumità.
Nel momento che superiamo il cancello in ferro battuto, decorato dal nostro stemma di famiglia in bronzo brunito e tirato quotidianamente lustro, ci addentriamo lungo il vialetto in ghiaia che ci porta al cospetto della dimora Thompson.
Vedere la nostra villa in lontananza mi fa sentire già meglio, finalmente l'incubo di questa giornata sta per concludersi.
Scendo dall'auto senza nemmeno curarmi di chiudere lo sportello alle mie spalle.
La domestica mi accoglie all'entrata con la solita formalità di chi svolge questa professione da tempo.
Attraverso l'ampio ingresso calpestando le maioliche bianche e nere di manifattura italiana.
Mi addentro lungo la grande vetrata che circonda il soggiorno contemporaneo, aggiro il grande divano circolare in pelle nera.
Non mi guardo intorno, sono troppo presa dal raggiungere il retro, dove a detta della domestica dovrebbe essere mio padre.
Le lacrime mi rigano il viso nel sentire la voce di mio padre parlare animatamente al telefono.
Il vittimismo mi scorre nelle vene in dosi massicce dopo l'accaduto.
Mi avvicino a lui mentre lo vedo camminare nervoso lungo il perimetro della piscina in pietra lavica.
Slaccia i bottoni della sua camicia azzurra; degli aloni di sudore si fanno sempre più evidenti nella zona ascellare; maldestramente scalcia via le scarpe dai piedi.
Si gratta il capo con fare nervoso e mima di mordersi un dito come se qualcosa lo stesse facendo imbestialire e avesse bisogno di sfogarsi e contenersi allo stesso tempo.
Appena mi vede getta il suo telefono su una sdraio posizionata accanto all'ombrellone e nel frattempo il mio odio per la sorte a cui mi ha sottoposta cresce a dismisura.
A pochi passi di distanza gli mostro i segni che ricoprono il collo e urlo tra squarciagola《sei soddisfatto ora?》
Grido così forte che le corde vocali compiono uno sforzo disumano per assecondarmi e un forte bruciore mi attraversa la trachea prepotentemente.
Mio padre mi guarda per un misero secondo ma le mie condizioni non sembrano turbarlo, anzi, sembra quasi più arrabbiato.
Non mi rendo conto di cosa accade finché non mi ritrovo catapultata a terra, sull'erba fresca del giardino, con la guancia in fiamme e dolorante.
Era assurdo, oltre al danno anche la beffa.
Stavo per essere assassinata e mio padre si prende la briga di schiaffeggiarmi.
Jessica, che mi aveva seguita fino in giardino, se ne sta in disparte e con la bocca spalancata per lo shock di aver assistito a tutta la scena.
Vorrei imprecare, maledire mio padre, esternare tutto il disprezzo per lui ma ho perso la facoltà di parlare.
Bocca e cervello non sembrano riuscire a connettersi per fare un buon lavoro di squadra.
Mi limito a guardarlo e a tenermi la guancia che pulsa ancora.
《Dottor Thompson, la prego non reagisca così, Cassie non c'entra con l'accaduto! È tutta colpa mia, ho abbassato la guardia e..》
Jessica interviene in mio soccorso, sembra quasi che lo schiaffo stesse facendo male anche a lei.
《Stanne fuori Jessica!》dice mio padre con arroganza, dimenticando persino le formalità e freddandola con lo sguardo.
《Di qualsiasi cosa sia accaduta in istituto ne parleremo in secondo momento!》continua mortificando la sua assistente,riportando lo sguardo su di me.
Mi da le spalle per un attimo, mentre io mi rialzo dandomi una rapida ripulita dal terriccio e da qualche filo di erba rimasto attaccato al mio fondoschiena.
Mio padre prende il telefono sulla sdraio e dopo aver armeggiato sullo schermo, mi mostra un video in riproduzione.
《Hai veramente superato ogni limite!》dice furioso mentre guardo sullo schermo confusa.
La risoluzione è veramente scarsa, le luci loboscopiche però hanno messo in evidenza me e Rachel alla festa della sera prima.
La musica ad alto volume rimbomba dai piccoli altoparlanti riportandomi a galla qualche ricordo annebbiato.
Io e Rachel balliamo su di un tavolino, strisciando l'una sull'altra in modo provocante e anche abbastanza volgare.
Ridiamo come due stupide mentre qualcuno continua a riempirci i bicchieri e passarci del fumo.
L'euforia era alle stelle, ma come se non bastasse abbiamo inscenato anche uno spogliarello amatoriale.
Nel momento che lancio in aria il mio reggiseno, mio padre ha la briga di staccare la riproduzione.
Rivolgo un'occhiata a Jessica, sentendomi in imbarazzo per essere alle prese dei rimproveri di un padre come se avessi dieci anni, ma lei non sembra giudicarmi, più che altro mostra di compatirmi, il che è anche peggio.
La giornata non era proprio delle migliori e ne ero stufa marcia.
《Mi hai schiaffeggiato per delle tette al vento?》dico con voce tremante e mi aspetto nel giro di pochi secondi l'atterraggio di un altro schiaffo, che però resta bloccato a mezz'aria grazie all'intervento della psicologa.
Mio padre vorrebbe trucidarla con gli occhi ma lei gli tiene testa senza alcun timore.
《Ha passato un brutto quarto d'ora, non merita anche questo!》dice Jessica impassibile.
《Non ti intromettere! Non è tua figlia!》dice nervoso 《vattene, non dovresti nemmeno essere qui!》conclude cacciandola via di casa.
Nel frattempo ci raggiunge anche mia madre, sempre in ghingheri anche solo per fare un bagno in piscina.
Si abbassa gli occhiali da sole con fare snob, osservando Jessica con disgusto scrutandola dall'alto verso il basso, con la solita puzza sotto al naso.
《Si può sapere cosa sta succedendo qui?》chiede mia madre tirando fuori la crema solare dalla sua pochette 《e questa chi è?》continua rivolgendosi alla biondina.
《Io stavo andando via!》dice Jessica abbassando lo sguardo e alzando i tacchi.
《Santo cielo!》esclama in modo grave mia madre 《ma che cosa sono quei segni?》
Finalmente il suo istinto materno ha deciso di fare la sua comparsa, meglio tardi che mai!
《Nel giro di poche ore diventeranno lividi, non potrai farti vedere in questo stato!》continua senza smentirsi mai.
《Si è fatta vedere peggio di così》dice mio padre《ti rendi conto che quel video sta girando nel web?》continua rivolgendosi a me.
《E allora? Tra un settimana si parlerà d'altro! Ero un po' brilla, non l'ho fatto di proposito!》dico minimizzando la bravata.
《Tu non ti rendi conto di quanto sia umiliante avere una figlia come te!》continua infierendo.
《Potrei dire lo stesso!》rispondo accarezzandomi la guancia ancora dolente.
《Non mi importa di quello che pensi! Ti farò passare la voglia di contraddirmi, ti metterò in riga che tu lo voglia o no!》
Si passa una mano tra i capelli radi e ingrigidi dal passare del tempo e continua categorigo《 non permetterò alla mia unica erede di buttarmi continuamente fango in faccia!》
《Ah si? E cosa vuoi fare? Addomesticarmi con i biscottini come si fa con i cani?》sbotto nuovamente.
《No! Con te ci vogliono le maniere forti!》dice avvicinandosi con fare minaccioso, costringendomi ad arretrare.
《E cosa intendi fare ora? Darmi un altro schiaffo?》
《Tornerai in istituto domani!》sentenzia deludendomi.
《Stai scherzando?》chiedo sapendo bene che è serio.
《Mi stai rinfacciando continuamente che sono la tua unica figlia, mi stai facendo sentire continuamente il peso del mondo sulle spalle solo perché sono tua erede e poi mi rimandi in quello schifo di istituto in mezzo a tutti quei pazzi?》chiedo ancora con le lacrime agli occhi 《dopo quello che mi è successo oggi?》
Mio padre non ascolta ragioni, ha deciso già che vuole rovinarmi la vita.
《Quanto accaduto oggi non era previsto ma ti servirà da lezione! Avevi tutto e l'hai calpestato con indifferenza!》
Il suo telefono riprende a squillare, ma non risponde, non ancora almeno.
《Domattina ti voglio sveglia all'alba! Le inservienti iniziano a lavorare prima di tutto il resto del personale!》
《Che cosa intendi dire?》domando preoccupata. Sembra che voglia mettermi veramente i bastoni tra le ruote.
《Ti avevo portata in quel mondo facendoti camminare su di un piedistallo costante, ma era ancora troppo per te! Partirai da zero, lavorarai umilmente, come le persone normali, così non ti sentirai a disagio!》
Arrivati a questo punto era inutile controbattere, mio padre aveva risposto al suo telefono e stava a significare che non aveva più nulla da dire.
Lancio uno sguardo a mia madre che come al solito resta inerme dinnanzi a tutta la questione.
Mi chiedo cosa ho fatto di male per nascere in questa famiglia, certe volte invidio la mia amica Rachel, che vive da sola con sua madre, in un monolocale poco accogliente e senza domestici, eppure la sua sembra essere la vita migliore di questo mondo.
Almeno ha il costante affetto della sua unica figura genitoriale.
Molte volte mi sono trovata a cena a casa sua, a mangiare del cibo indiano da quattro soldi sul pavimento,avanti alla tv, a ridere di gusto nel guardare i talk show più stupidi.
Mio padre invece non ha mai permesso che lei mettesse piede nemmeno nel vialetto di casa, essendo per lui troppo di basso rango per poter calpestare la sua stessa via.
Me me vado in camera mia desolata, certe volte è veramente estenuante essere una Thompson.
Non sopporto questo destino continuamente imposto.
È da quando ho memoria che ci fosse stata una volta che mi fosse stato concesso di scegliere qualcosa.
Mi sarebbe piaciuto prendere lezioni di ballo, invece mi hanno concesso di imparare a suonare il pianoforte.
Volevo frequentare una scuola normale e invece mi hanno sbattuta in un istituto prettamente femminile.
Non mi è stato possibile nemmeno provare interesse per i ragazzi della mia età, perché dovevo pensare solo a seguire le orme di mio padre e qualora un giorno avessi voluto farmi una famiglia, loro mi avrebbero proposto qualche buon partito a cui legarmi.
Tutta la mia vita la si poteva decidere sfogliando un catalogo, manco se facessimo parte della famiglia reale.
Capii all'età di quindici anni, quando mio padre mi regalò dei libri su Freud, che se non avessi fatto qualcosa mi avrebbe imposto anche un timer per respirare a suo piacimento, solo nei momenti più opportuni.
Sono in parte fortunata ad avere questo carattere forte, se fossi stata più debole probabilmente sarei già sotto terra da tempo dopo essermi suicidata.
Ho dovuto mettere in atto una sorta di ribellione, non avevo scelta, e una volta assaggiata la libertà, ne volevo sempre di più e speravo che mio padre giungesse a un compromesso, ma con lui non si hanno alternative o si fa quello che dice o niente.
Dopo aver fatto una doccia calda, mi butto sul letto esasperata, rimuginando ancora su quanto accaduto, finché non finisco per addormentarmi, ero troppo esausta.
Mi sveglio quando la sera è ormai scesa da un pezzo sulla dimora Thompson e mi sento ancora affranta dopo tutte le vicende della giornata, ma almeno fisicamente sono rinvigorita.
Il mio telefono se ne sta inerme sul comodino e dopo averlo messo in carica e riacceso, sembra impazzire da un via vai continuo di notifiche.
La mia amica Rachel voleva avvisarmi del video, inconsapevole che mio padre avesse già scoperto tutto.
Porto il telefono all'orecchio dopo aver avviato una chiamata e risponde al primo squillo.
《Cassie! Ma che fine hai fatto? Ero in pensiero!》dice alzando la voce più del dovuto.
《Mio padre ha visto il video prima di te!》le dico svelando l'arcano, il resto preferisco risparmiarglielo.
《Oh porca bestia! Si è incazzato?》chiede titubante ed io sospiro rumorosamente per tutta risposta.
《Si è incazzato!》ripete confermando ogni dubbio.
《Beh, capirai la novità!》dice facendo una pausa e dal rumore di un accendino che scatta, capisco che si sta accendendo una sigaretta 《tuo padre è sempre incazzato! Sembra che abbia costantemente una scopa infilata nel culo!》continua buttando fuori una boccata di fumo.
Le sue esclamazioni colorite mi fanno un po' ridere ma non abbastanza da risollevarmi il morale.
《Dai basta pensare al deretano di tuo padre, andiamo a scolarci due birre!》dice come se nulla fosse, probabilmente non si è resa conto che la situazione è ben diversa dal solito.
《Non posso Rachel, se mio padre dovesse vedermi uscire ora scioglierebbe i cani alle mie calcagna per farmi sbranare!》
《Ai! Quindi sta volta l'ha presa peggio del solito?》
《Già!》confermo sempre più amareggiata.
《Ma chi se ne frega?》esordisce dopo una pausa di silenzio, confondendomi.
《Non sarà una ramanzina a fermarti no?》
La mia amica stava cercando di infondermi del coraggio per tirarmi su di morale.
Dopotutto mio padre non poteva continuare a impormi la sua vita, avevo bisogno di vivere la mia giovinezza non di essere continuamente plagiata dalla sua sete di successo.
Rifletto per un attimo sulle sue parole e mi lascio convincere.
《Il tuo scooter sgangherato funziona ancora?》le chiedo speranzosa.
《Ehi, il mio Eddy è sempre pronto ad affumicare le strade con la sua marmitta penzolante! Non sarà tirato a lustro, ma ancora fa il suo sporco lavoro!》risponde fingendosi offesa.
《Allora ci vediamo tra mezz'ora, uscirò di nascosto dal retro!》
《Ora si che ti riconosco!》dice soddisfatta.
Chiudo la telefonata e corro a cambiarmi.
Indosso uno short di jeans, delle sneakers e una felpa oversize nera col cappuccio presa al concerto dei Coldplay di qualche mese fa.
Scendo silenziosamente verso il soggiorno, mio padre è sicuramente chiuso nel suo studio e mia madre starà bevendo margarita avanti alla tv.
Inizio a camminare a carponi dietro al divano, sperando di non beccare un momento di pubblicità alla TV.
Apro piano la porta scorrevole in vetro e sgattaiolo fuori silenziosamente.
Mi addentro tra i cespugli che circondano la piscina e raggiungo il muro di contenimento che circonda la casa.
Mi arrampico facendo appello a tutta la mia abilità atletica e dopo poco sono evasa dalla prigionia dei Thompson.
Da lontano sento l'inconfondibile rumore della marmitta di Eddy e le corro incontro per evitare di attirare l'attenzione.
《Madame, la carrozza è arrivata a corte!》dice Rachel porgendomi un casco.
Salgo in sella in modo guardingo, se mio padre dovesse vedermi di sicuro mi ucciderebbe.
Partiamo alla volta del nostro posto preferito, ovvero la spiaggia di Oak Street, sulla North Lake Shore Drive, sulle sponde del lago Michigan.
La spiaggia di sera è meravigliosa, divide le sponde del lago dalla vista panoramica dello skyline della città.
La balneazione è vietata a quest'ora e la maggior parte delle persone è solita frequentare il posto prettamente di giorno.
Scavalchiamo la recensione e ci incamminiamo, munite di birra e tacos, verso il muro di recinzione che porta su di esso un murales di Jess Zimmerman.
Questo è il nostro posto segreto, il luogo dove ci siamo conosciute e dove è iniziata la nostra amicizia.
Veniamo qui quando abbiamo bisogno di sfogarci o semplicemente quando ne abbiamo abbastanza di fare baldoria e preferiamo starcene tranquille sotto al cielo stellato.
Accadde tutto quando avevo sedici anni, quando con la scuola presentammo all'inaugurazione di quest'opera d'arte.
Mio padre credeva che fosse la cosa migliore per me frequentare quella scuola, dove tutti facevano parte dell'alta società.
Invece il peso del suo cognome era una spina nel fianco anche tra simili e per questo tutti mi tenevano in disparte, costantemente isolata e bullizzata.
Essere esponenti dell'alta società comporta sempre degli effetti collaterali.
In quel periodo giravano voci poco piacevoli sul conto della mia famiglia, che continuava a giustificare i pettegolezzi dicendo che erano dettati dall'invidia e continuavano a ostentare le loro ricchezze a testa alta senza considerare che il tutto si ripercuoteva su di me.
Mentre tutte le mie compagne di classe erano intente a pranzare sulla spiaggia, io me ne stavo a diversi metri di distanza dal gruppo.
Mi sentii affiancata da una ragazza dai lineamenti orientali, che da lontano mi aveva vista sola e non capiva il perché.
Le differenze tra noi erano visibili anche osservandoci a occhio nudo dalla luna.
Io ero vestita con una divisa pulita e perfettamente stirata, zaino delle migliori griffe e scarpe ancora meglio.
Lei fasciata da abiti casual, rovinati e sgualciti.
Fu la prima persona a sorridermi con sincerità, anche dopo che le avevo detto di qualche famiglia facessi parte.
Se ne stava in disparte anche lei, poiché aveva dimenticato il suo pranzo e non aveva soldi con se.
Le diedi dei soldi per comprarsi da mangiare e lei continuava ad insistere che non ne aveva bisogno, ma il suo stomaco non era dello stesso avviso e quindi dovette cedere ai morsi della fame.
Alla fine della giornata ci salutammo e credevo che non ci saremmo più viste, invece il giorno seguente venne a suonare al citofono di casa, in sella al suo Eddy, pronta a restituirmi il denaro che le avevo dato per il pranzo.
Da allora non abbiamo più smesso di vederci e ho iniziato ad aiutarla economicamente tutte le volte che mi andava.
Mi ha integrata nel suo gruppo di amici, mi ha dato una seconda possibilità, mi ha fatto conoscere il lato libertino della vita.
È per questo che mio padre è convinto che mi stia solo sfruttando, portandomi sulla cattiva strada, ma lei non ha mai preteso nulla da me, sono più io che mi sento in debito con lei per avermi donato un po' di felicità.
《A che stai pensando?》chiede posando le birre sul muretto per poi arrampicarsi e sedersi.
《Stavo ricordando il giorno che ci siamo conosciute!》rispondo e in quel momento il mio stomaco emette un vero e proprio ruggito.
Avevo fame, non avevo mangiato nulla per tutto il giorno.
Rachel inizia a ridere di gusto 《 ci vuole un attimo affinché le situazioni si ribaltino. Oggi sei tu l'affamata!》
Mi unisco alla sua risata ed annuisco e dopo essermi seduta accanto a lei addento il mio tacos emettendo un verso d'approvazione.
《Buono eh? Dovresti portarlo a tuo padre, fargli sapere che anche con pochi dollari può mangiare qualcosa di gustoso!》
《Oh per piacere! Mangerebbe anche la merda se gli dicessi che è pregiata e di qualità!》dico continuando a mangiare.
Rachel trattiene una risata e per evitare di sputare la birra, la ingoia rapidamente facendola andare di traverso lungo la trachea e mentre tossisce io continuo a ridere a crepapelle.
Mi sembra di sentirmi già molto meglio.
Improvvisamente, nel guardarmi, diventa molto seria e sposta la felpa dal mio collo per chiedere spiegazioni.
《E questi segni?》chiede preoccupata 《te li ha fatti tuo padre?》
Massaggio un po' la zona, provo ancora un certo fastidio.
《Non direttamente ma in un certo senso si, lui ne è responsabile!》dico smettendo di mangiare.
《Che diavolo gli è preso?》chiede confusa.
《Inizialmente non gli è andato a genio il fatto di essere scortata dalla polizia all'alba!》ammetto ripercorrendo gli ultimi episodi.
《Non era mica la prima volta, avrebbe dovuto farci il callo!》dice mangiando.
《Già, ma la storia dell'espulsione più la questione della polizia, sono stati troppo per lui!》spiego pulendomi la bocca da un residuo di salsa piccante 《insomma, il tutto ha creato una combo perfetta per fargli dare di matto!》
《E quindi ha pagato qualcuno per farti strangolare?》chiede seria.
《Cristo no!》rispondo allarmata.
Mio padre si stava comportando da sergente, ma non è proprio un mostro, almeno credo o più che altro lo spero.
《E allora?》
《Ha iniziato a blaterare qualcosa sul dovermi guadagnare il suo patrimonio e quindi mi ha obbligata ad andare nel suo centro per detenuti psicopatici, altrimenti non mi avrebbe dato più nemmeno un centesimo》mi affretto a spiegare prima che Rachel arrivi a conclusioni affrettate.
《E tu l'hai assecondato? Come pretendi di intraprendere la tua vita se poi stai al suo gioco?》chiede scioccata, non condividendo le mie scelte.
《Cosa potevo fare Rachel? Io non so stare senza soldi, mi piace essere benestante, come avrei fatto a partire da zero?》chiedo sperando di essere capita.
《Ti avrei aiutata io! Non è così difficile vivere tra noi comuni mortali sai? Avresti iniziato a lavorare, forse per pochi soldi, ma avresti guadagnato ogni centesimo col tuo sudore!》dice aprendo un'altra birra.
《E tu mi ci vedi a fare tipo la barista? O la cameriera? O altro?》chiedo scettica.
《Onestamente si! Almeno saresti felice, cosa che non credo accada tra quei detenuti!》
Evito di rispondere e per qualche minuto cala un silenzio imbarazzante, spezzato solo dal rumore delle acque del lago e da qualche clacson proveniente dalla strada.
《In ogni caso non avrebbe accettato la mia sfida e mi avrebbe reso ugualmente la vita un inferno. Ha troppe conoscenze e nessuno mi avrebbe assunta, lo temono troppo!》esordisco ragionando sull'opzione della mia amica.
《Su questo non posso darti torto!》ammette 《e quindi?》chiede senza che io capisca.
《Cosa?》chiedo di rimando.
《Chi è stato a strangolarti?》
《Oh! È opera di un pazzo detenuto! Abbiamo avuto uno scontro verbale e ha aggirato le guardie per uscire di cella e sbattermi al muro!》
《Che figata!》dice travisando le mie parole.
《Rachel? Come fai a dire una cosa del genere?》
《Cosa vuoi che ti dica, mi intrigano queste situazioni!》risponde con occhi sognanti.
Certe volte è proprio strana.
《Credimi, non c'è nulla di intrigante! È spaventoso! Non puoi nemmeno immaginare!》dico rabbrividendo al solo pensiero.
《Sono tutti spaventosi? Nessun figo?》
Batto il palmo della mano sulla fronte 《sei incorreggibile certe volte!》
《Che ho detto di male?》si giustifica 《le persone enigmatiche e non problemi possono essere ugualmente affascinanti!》
Bevo un sorso di birra e sospiro riflettendo.
《Devo dire che il ragazzo che mi ha strangolata, se non mi stesse sulle palle e non mi avesse aggredita, potrei definirlo affascinante, violenza a parte sia ovvio!》
《Ahh.. 》sospira con gli occhi e a cuore, stringendo le mani al petto 《che romantica storia, pensa se dovesse rinsavire per amore, grazie a te!》continua.
《La tua mente è contorta, lasciatelo dire!》
《Dimmi di più, lui com'è? 》chiede come se stessi per confidarle un segreto succulento.
《Certamente sarebbe il tuo tipo, pieno di tatuaggi, muscoloso, sguardo accattivante! Gli saresti saltata addosso!》
《Un principe azzurro!》dice con occhi sognanti.
《Certo, un assassino in sella ad un cavallo bianco!》
《Perché ha ucciso qualcuno?》chiede quasi più attratta dal suo passato che da altro.
《No non lo so! Ma per essere un recluso di certo non è uno spacciatore di caramelle!》spiego ancora bevendo fino all'ultima goccia.
《Magari è un incompreso, come te!》
《Ci passa un oceano tra l'essere incompreso ed essere un delinquente Rachel!》
La mia amica fa spallucce, indifferente sull'argomento.
《Quindi domani dovrai tornare lì?》chiede curiosa.
《Già e probabilmente mio padre mi metterà a pulire i cessi!》rispondo ridendo mentre prendo la sigaretta ,appena accesa, dalle mani di Rachel.
《Non demordere Cassie, tuo padre vuole vederti mollare, mostrarti che ha ragione! Non dargliela vinta!》
La mia amica cerca di incoraggiarmi, mentre scioglie i suoi lunghi capelli scuri e si rilassa al ritmo del vento.
《Ci proverò Rachel, ci proverò!》
Imito le sue movenze e lascio ondulare la mia chioma al vento, osservando il cielo stellato.
《Adesso stai pensando a lui?》chiede come mi stesse leggendo nel pensiero.
《Non nel senso che intendi tu!》le rivolgo lo sguardo e tutta la mia attenzione 《ho paura che possa provare a finire quel che ha cominciato!》
《Se avesse voluto ti avrebbe già uccisa!》
《Grazie, tu si che sai consolarmi!》ammetto tornando a guardare le stelle.
《Sai benissimo che è così, invece ha solo voluto farti abbassare la cresta!》
Rachel mi conosce bene e non ha peli sulla lingua.
Sa benissimo quanto so essere impertinente con la mia lingua biforcuta e la mia altezzosità.
《Non lo so! Ma c'era qualcosa nel suo sguardo che mi ha fatto più male della violenza subita.》rispondo riflettendo in quell'istante sui suoi occhi.
Dylan Carter era sicuramente un individuo problematico ed enigmatico, ma a differenza degli altri detenuti sembrava possedere uno strano autocontrollo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top