✿Epilogo✿

Kibutsuji Muzan l'avrebbe pagata cara.

La convinzione di essere nel giusto, di credere a colui che lo aveva cresciuto, aveva imposto una cieca consapevolezza nel suo animo, una gabbia di metallo che imprigionava il suo cuore e gli impediva di battere, di vivere.

La sofferenza nello scoprire la cruda realtà del suo passato era stata devastata, ma la sua morte? Non sapeva ancora cosa pensare, il motivo per cui non ci fosse arrivato già tempo addietro.

D'altronde Douma aveva fatto costantemente parte della sua vita - un essere divino privo di anima e cuore, scaturito dalla mente contorta degli Dei - e la sua presenza era diventata significativa.

Cosa sarebbe successo se avesse capito chi era realmente? Se avesse tentato di impedirgli di compiere atrocità?

Douma gli avrebbe mai dato ascolto?

Nei suoi ultimi istanti di vita, le iridi arcobaleno di Douma avevano brillato di mille sfaccettature, incastonate di sentimenti idilliaci che finalmente, per la prima volta in modo effettivo, si erano manifestati.

In tutta la sua gloria, essi avevano tentato di cambiare Douma, scavando nel profondo del suo animo e trovandone soltanto la follia d'un uomo che di felicità non aveva provato nulla fino ad allora.

"È morto... Douma è morto."

La cantilena malevola che la sua voce interiore canticchiava era una vera tortura, psicologica e mentale, perché Inosuke era stremato, distrutto. Douma era imperdonabile, eppure la sua dipartita gli aveva procurato un vuoto dentro.

Kanao lo teneva d'occhio con sottile guardia, come se aspettasse una sua qualche mossa azzardata. E, Inosuke, non credeva che lei potesse starsi sbagliando; erano passati minuti infiniti ed era rimasto nella stessa identica posizione. Inginocchiato a terra, le mani protese nel tenere un volto oramai disintegro, chiedeva silenziosamente pietà per quell'ingiusta sorte che lo aveva coinvolto.

Non avevano avuto la possibilità di parlare perbene, di spiegare i loro punti di vista e tutti quei sentimenti che uno rinchiudeva e l'altro sperimentava. Se avessero parlato, si sarebbe risolto qualcosa?

"No, Douma non ne ha avuto la possibilità. Nessuno di noi ne ha mai avuta una."

La sua attenzione si indirizzò verso Kanao che, con gli occhi socchiusi e un'aria stanca, gli consigliava col solo sguardo di incamminarsi.

E lui non le aveva rivolto parola, accennato a ciò che era successo. Non ne aveva sentito la necessità. Perché lei non era Tanjiro, benevolo e fedele, o Zenitsu, altruista e ingenuo, ma semplicemente Kanao, una ragazza che come lui aveva patito le pene dell'Inferno e che gli aveva appena strappato via una delle persone a cui aveva voluto più bene in quel mondo corrotto.

"Cosa dovrei fare?"

Il destino è infame, si fa beffe di te, ti illude e ti costringe a subire i dolori di una vita mal vissuta. Che poi, di quella vita, Inosuke cosa aveva imparato esattamente? Inganni e spietatezza erano stati prossimi ad avvolgerlo, ma per fortuna - o per puro caso - ciò non era accaduto.

Se avesse accettato di assecondare Douma, di diventare un demone, non si sarebbe mai perdonato. Ma allora perché... perché non smetteva di ripensare a tutte le scelte che avrebbe potuto compiere per puro e semplice egoismo? Per essere felice?

Molte persone in quel mondo lo erano, trascorrevano un'esistenza ignara dell'effettiva infamia che costantemente li circondava. La speranza vacillava, le sue emozioni erano incontrollabili, e Inosuke non riusciva a domandarsi nemmeno il perché non stesse urlando.

Piangeva silenziosamente, lacrime salate che avevano lasciato posto a quelle invisibili e a due occhi arrossati, quasi irriconoscibili. Kanao gli si era parata davanti, i capelli sciolti e un'espressione di distaccato dispiacere.

"Non è veramente dispiaciuta; cosa mi fa illudere che lo sia davvero?" Inosuke non si accorse di star digrignando i denti per l'ira: "Lei odiava Douma, lo ha ucciso. Non gli ha concesso la possibilità di parlarmi."

-Perché non me lo avevate detto? Perché mi avete tenuto all'oscuro di tutto?!-

Kanao parve sorpresa nell'udire l'incrinazione della sua voce, così come la burrascosa rabbia che si faceva in lui presente: -Lui era come un padre per me! Perché non gli hai lasciato la possibilità di continuare a parlare, eh?!-

Aveva superato un limite che non doveva essere varcato, dato ascolto al suo lato più umano ed egoistico. Non era l'unico a star soffrendo, a sentire il proprio cuore perdere battiti, eppure, Inosuke si accorse di non sentirsi affatto in colpa.

Non meritava di soffrire in quel modo, di subire le conseguenze di un passato che ancora si ostentava a rammentare con fatica. Un singhiozzo strozzato sfuggì dalle labbra.

Piangi, Inosuke. Piangi e continua a vivere.

In dei lontani ricordi, era certo di aver scorto sia la presenza di Douma e quella di sua madre che gli confidavano quelle parole confortevoli.

"Vivere? E perché dovrei?" Kanao si stava avvicinando, ma quasi non se ne accorse: "Sono solo, completamente solo. La mia casa è perita e non ho più un posto in cui tornare."

-Non sei il solo ad aver perso qualcuno d'importante, Inosuke. Ricordalo.-

Kanao era stata veritiera e crudele nella sua semplice affermazione, e il giovane riconobbe in lei la stessa volontà cocente di una farfalla che avrebbe tanto voluto spiccare il volo, ma troppo debole e impotente per riuscirci.

-Rispetto il tuo dolore, ma tu devi rispettare il mio. Abbiamo perso delle persone a noi care e dobbiamo confortarci a vicenda.-

Si stava riferendo a sua madre.

Inosuke ne era totalmente sicuro; sebbene Kanao mantenesse la calma, era palese che lo stava spronando a darci un taglio. Lei non avrebbe mai considerato Douma umano, una persona, ed Inosuke in un altro contesto l'avrebbe capita, ci avrebbe provato.

Tuttavia, il rancore era troppo grande da gestire e la sofferenza tale da nascondergli il riconoscere della ragione nel discorso della sua alleata.

Perché alla fine, lei era solo quello. Non avevano avuto la possibilità di parlare o di interagire correttamente, tantomeno di capirsi a vicenda. Non avrebbe mai potuto veramente capirlo.

E anche mentre stavano combattendo contro Muzan, Inosuke non credeva a quello che la notte infida gli aveva fatto subire; gli Ammazzademoni morivano a vista d'occhio, e nulli sembravano i tentativi di sopraffare quell'essere immondo.

Con quei rubini imperscrutabili, Kibutsuji Muzan ripercorreva il loro lutto con sufficienza tale da mandarlo in bestia.

Si credeva un'entità divina, una calamità incessabile che li avrebbe annientati, ma non potevano permetterlo. Non dopo le perdite subite.

-La vostra disfatta è imminente; dei parassiti come voi non hanno possibilità.-

Mai era successo di udire una fatalità lugubre provenire da qualcuno.

Inosuke aveva sempre considerato Douma come una sorta di Dio, un essere umano che si poneva a disposizione dei più bisognosi. E si era sbagliato.

Nella confusione di un bambino che non sa gestire un problema per lui troppo grande, si era aggrappato alle sue parole e aveva tentato di rifugiarsi nelle braccia che avevano conosciuto il calore delle emozioni per attimi fugaci. Aveva creduto nella loro potenza, nella loro realtà, nel silenzio che diceva troppe cose che non voleva ascoltare ma che non poteva far altro di cercare nel buio in quanto unica vera salvezza della sua anima in questo mondo materiale che non aveva più nulla da offrirgli - che non gli aveva mai offerto.

In qualche modo a Inosuke, Douma tanto gli mancava quanto lo disprezzava. Era stato il suo giocattolo preferito, la crepa meglio riuscita, il disastro che aveva rischiato di divulgarsi. Ma avevano avuto ideali troppo diversi affinché questo accadesse.

Il suo stesso tentativo di disperarsi, fondersi alle bende che trattenevano il suo cuore ferito non era altro che un cieco e misero atto di commiserazione per sé stesso. Al contempo, la sua più grassa consolazione.

Lui aveva provato a scalare la vetta della vittoria, della soddisfazione, quella di poter essere d'aiuto per qualcuno. Douma invece, con aspra e conscia confusione, aveva optato per un raggiungimento della contorta umanità, l'ultimo residuo di bontà andato in frantumi. Eccezione con lui, il pilastro vincente che era riuscito a porre rimedio a quella mancanza di movimento psichico.

Era stato importante, per Douma, e di questo non avrebbe dubitato. Inevitabilmente però, la manipolazione mentale che gli aveva offerto era stata fatale e lo aveva contraddetto.

Ma, in confronto a Kibutsuji Muzan, la sua crudeltà era inferiore, un banale scherzo del destino.

-Tu sei l'umano che ha segnato la disfatta della Seconda Luna Crescente. Che imperdonabile debolezza; inutile persino nella Morte.-

La rabbia, l'odio... potevano segnarlo a tal punto?

-Rimangiati quello che hai detto, bastardo!! Non osare nominarlo!!-

Che la sua fosse una fioca disperata possibilità nell'aggrapparsi ad una realtà fittizia, non era da escludere, però più Inosuke continuava a fissare l'imponente presenza del Re dei Demoni, e più il desiderio di non trovarsi lì era evidente. Non vi era il bisogno di togliersi la testa di cinghiale dalla visuale per far rendere conto agli altri che il suo volto fosse grondante di rabbia e vendetta.

Ogni presente, con motivi differenti, voleva segnare la fine di quell'esistenza ripugnante.

E forse, un giorno, nessuno avrebbe più provato quella ferita incessante, quell'odioso oblio chiamato odio che li stava lentamente consumando.

Forse, un giorno sarebbe riuscito ad affrontare tutto quell'accoramento. A ritrovare la felicità perduta.




























Respirava l'odore latente della rugiada, immergendosi nel caldo che lo yukata gli stava riservando. Nel mentre ascoltava lo stridio delle troppe dimensioni che collidevano nell’afa estiva e accoglieva l’aroma del tè nella pioggia, attendendo il suo turno di raggiungere Tanjiro e aiutarlo con le faccende domestiche.

Di mille cose, di mille eventi, di mille giorni, lui ricordava solo i momenti che rievocavano le luci del suo io infantile. Quali momenti, aveva poca importanza. Sì, per i più critici che potrebbero aver storto il naso leggendolo, anche il suo respiro glieli ricordavano: lui era la fonte prima immobile del colore sullo sfondo di essi, di eventi trascorsi che si erano intrecciati tra loro e che lo avevano giunto in quel tetto, con i suoi amici e con il sollievo che riaffiorava nel suo animo.

Inosuke sospirava ed esalava la sua malinconia, ogni giorno, ogni secondo. Ogni motivo era valido, perché tutte le cose che gli facevano penare erano causate dal suo sé medesimo. Erano trascorsi ormai tre anni da quando aveva tagliato i ponti con il suo passato e quella che probabilmente era la storia più avvincente da raccontare in un qualunque libro.

L’aveva narrata così tante volte, realizzava mentre ancora una volta aveva reso complici delle sue "avventure" gli amici che, rammaricati, gli davano conforto.

Nelle poche ore che riempiva facendo tattiche pennichelle celato fra le fratte, aveva percepito un’atmosfera calda e piacevole, quasi come l’abbraccio di un familiare lontano. Aveva deglutito nervosamente al pensiero, per questo inizialmente scartò l’idea di fermarsi più dello stretto necessario. Ma oltre due mesi dopo aver vagato senza meta o scopo, si era sentito stranamente triste e aveva deciso di tornare nella sua nuova casa.

Tra Tanjiro, Zenitsu e Nezuko, Inosuke doveva capire chi risultasse il più invadente ma, ciononostante, il loro essergli accanto era un vero toccasana, per lui. Diventava sereno e allegro, lo stesso Inosuke che avevano incontrato in quella foresta buia con possibili demoni nei paraggi anni addietro.

La vita non gli era mai stata più avversa di come gli si era mostrata da quando era partito per diventare un’Ammazzademoni con i suoi migliori amici. Creare nuovi rapporti era difficile, quando ci si sentiva così diversi e quando non si era davvero interessati, ma si stava cercando disperatamente di sostituire qualcun altro. Allora ogni singolo giorno si era limitato ad essere la faticosa e pesante copia di quello precedente.

Non si capacitava del perché, né riusciva a comprendere quale fosse.

Si dannava ogni passo che faceva per i luoghi a lui sconosciuti e lontani culturalmente ed emotivamente del paese. E la sensazione di calore che stava andando a ritrovare, già sfiorata per sbaglio quasi un anno prima, lo terrorizzava. Aveva paura di spezzarsi definitivamente.

Partendo quasi come fosse stato un barbone senza dimora, con solo i soldi che racimolava grazie a lavoretti che svolgeva assieme a Tanjiro e Zenitsu per mantenersi, non sempre aveva vissuto tempi rosei. C’erano state notti in cui, preso dallo sconforto, si era lasciato abbracciare dal sonno nel freddo delle foreste come quello che rievocava il dolore di un passato che non sarebbe mai tornato indietro.

Si era rivelata un'arma a doppiotaglio, quella di esplorare i luoghi attorno senza alcuna motivazione. Se da un lato il viaggio lo aveva distratto, dall'altro aveva rischiato di logorarlo.

-Inosuke.- Tanjiro era cresciuto, qualche ciocca di capelli più lunga rispetto a prima, ma nient'altro era cambiato in lui. La purezza del suo cuore non era mutata: -Sarai stanco. Come stai?-

Quel ricordo era diventato, nei tre anni che erano trascorsi da allora, un ricorrente rimorso.

-Non mi lamento.- aveva risposto. Non era la verità, ma neanche una bugia. Si sporcava della sua malinconia e del suo rammarico le guance appena qualcosa poteva anche solo ripensare alla lettera scritta.

"Quella maledetta lettera. Se non avessi incontrato Kanae, probabilmente-"

Non capiva come era riuscito a ritrovare quasi del tutto la felicità dopo quello che aveva subito.

-E a te invece Tanjiro, come vanno le cose qui?- chiese distrattamente, prendendo la tazza di tè e guardandone il contenuto con finto interesse.

-Io e Kanao domani dobbiamo andare alla Tenuta, mentre Zenitsu e Nezuko si occuperanno della casa. Tu cosa farai? Vuoi venire con noi?-

"No, piuttosto preferirei sopportare Zenitsu e le sue lodi sdolcinate su Nezuko."

Con Kanao i rapporti, se prima erano d'indifferenza, ora erano diventati di fredda cordialità. Entrambi facevano del loro meglio pur di andare d'accordo, ma le divergenze che li avevano segnati quel giorno li aveva allontanati drasticamente. Se sarebbero potuti diventare amici, le possibilità adesso erano basse. Ma doveva parlarle, e poiché lei e Tanjiro avevano intrapreso una relazione, Inosuke non poteva fare altro se non appoggiare l'amico a mani basse.

Inutile era specificare che, l'amicizia che lo vedeva protagonista con il biondo e il ragazzo degli orecchini hanafuda, era cresciuta a dismisura. Si comportavano esattamente come dei veri fratelli, sempre disposti ad aiutarsi a vicenda e a spalleggiarsi. Era grato di avere delle persone così meravigliose al suo fianco, e lo stesso valeva per Nezuko che, in quella quarantina di mesi, Inosuke era riuscito a conoscere appieno.

Era dolce e amorevole, la copia spuntata di suo fratello, con la rilevante differenza che, in certe occasioni, risultava essere abbastanza timida. Era una magnifica confidente e un'ottima cuoca, qualità che lo avevano conquistato.

"Anche se la sua cucina non è paragonabile a quella di Aoi."

Si ritrovò a pensare, sorridendo impercettibilmente e non notando la gioia che compariva a sua volta nel volto di Tanjiro.

Aoi.

Sbaglio o si stava dimenticando qualcosa?

Inosuke scattò all'improvviso proprio nel momento in cui si stava portando il bicchiere alle labbra, gli occhi sgranati e rischiando di far cadere la bevanda sul pavimento.

-Inosuke...-!? È troppo caldo? Non ti piace il sapore?-

-Mi ucciderà.-

-Eh?-

-Aoi.- bevve il tè e si alzò di scatto: -Possiamo continuare a parlarne stasera e rimandare le faccende domestiche? Devo sbrigarmi!-

E Tanjiro, capendo a cosa si stesse riferendo, si limitò a sorridere con più apprensione.

-Cerca di non prendere freddo; sta per cominciare a piovere e-...-

-Argh! Ho capito! A volte sei proprio insopportabile, Gonpachiro!-
























-Sei in ritardo.-

Inosuke una volta amava la pioggia, più di chiunque altro. Amava il fresco che invadeva la sua schiena, i brividi che raggiungevano la nuca, la calma che portava con sé e le bellissime sfumature che prendeva in base all’ora ed i riflessi sui pesci indisturbati. L’odore della salsedine mischiata a quella sensazione. L’indaco che lo catturava in una morsa dolce.

A Inosuke, tutto questo piaceva. Però, un giorno, improvvisamente, odiò la pioggia e da allora non provo più interesse in essa. E la odiò ancora una volta, ed ancora, ed ancora. La detestò cento volte come la prima e mille ancora di più.

E non perché era costretto a coprirsi, come pensava Tanjiro, ma perché con ogni probabilità la pioggia, incessante e improvvisa, gli faceva tornare in mente ricordi che avrebbe voluto rinchiudere per non soffrire mai più.









-La pioggia è così bella, a me piace tanto.- provò Inosuke, la voce infantile tipica di un bambino della sua età più acuta del solito.

Secondo lui, dovevano saper affrontare quel piccolo passo, altrimenti non aveva senso. Erano diversi giorni che non gli andava dietro; e dubitava che presto la stagione delle piogge sarebbe finita. Ma non servì comunque a nulla.

Douma era irremovibile.

-Lo so, Inosuke.- si fermò, si voltò e sorridendogli gentilmente, ripeté: -Lo so.-

Era proprio perché a lui piaceva tanto che non riusciva a farsela andare giù. Per Douma, prima quei cerchi che regolari rompevano il paesaggio visto dal Tempio alzando lo sguardo erano il riflesso di una visione che aveva del ragazzino esuberante.

Successivamente, un’altro ostacolo, qualcosa che la legava irrimediabilmente più a Douma che a lui.

Ma questo Inosuke ancora non poteva capirlo; i seguaci parlavano troppo per i suoi gusti, ma neppure loro erano riusciti a capire del perché il loro adorato e venerabile Douma non gradisse particolarmente uscire se non di notte.

La pioggia, soprattutto quel giorno, era particolare: gocce d'acqua cadevano incessanti sul prato verde chiaro e sbattevano sulle finestre con insistenza, ma la luce del sole era presente e il cielo completamente azzurro lo lasciava perplesso e affascinato.

Qualcuno una volta gli aveva spiegato che si trattava di una sola nuvola di passaggio, ma la curiosità era alta e gli avrebbe fatto piacere uscire all'aperto e godersi lo spettacolo, anche perché la vista dell'arcobaleno era oramai evidente.

E per Inosuke, fissare l'arcobaleno contava molto.

Lo faceva sentire meno solo.












-Invece di rimanere lì fermo, dovresti muoverti. Rischi di prenderti un malanno.-

-Cosa vi prende a tutti oggi?- Inosuke la osservò confuso, la testa di cinghiale sotto il braccio destro: -Io sono forte, non potrei mai ammalarmi!-

-Sarei d'accordo con te, se solo non ti fossi ammalato poco meno di due settimane fa.- braccia conserte e sguardo truce, Aoi sapeva come incutere terrore.

Era da quando la conosceva che Inosuke si domandava di come potesse riuscire a risultare così spaventosa agli occhi degli altri. Era forte - non poteva sbagliarsi - e possedeva una grinta tale da intimidire persino lui, che di nulla aveva paura.

-Dici di essere forte, sai... ma spero che tu stia bene.-

Aoi era gentile con lui, alquanto severa, si, ma gentile. Nell'ultimo periodo in particolare, Zenitsu lo aveva rimproverato, accusandolo ingiustamente di essere un idiota senza speranza e di come potesse essere tanto stupido da essere un cieco ad occhi aperti.

Non capiva a cosa si fosse riferito, ma che il biondo non brillasse di intelligenza, Inosuke lo aveva da un pezzo capito.

-Sto bene.-

Non ne era sicuro.

In un luogo isolato da poco più di tre anni, il Tempio appartenuto a Douma sorgeva davanti a loro; aveva mantenuto l'antico splendore, ma non vi era più alcun sfegatato seguace alle calcagna o qualche persona bisognosa di aiuto nei paraggi.

Douma doveva aver divorato ogni presente, dal primo all'ultimo.

Rabbrividì.

-Se non affronto adesso il mio passato, quando potrò farlo?- fece un gran respiro, le corde vocali che a fatica lo spronavano a parlare per la tremenda ansia che provava: -Sono stato un Ammazzademoni per una ragione, non posso tirarmi indietro.-

Quando entrarono, a Inosuke parve di rammentare un sogno perduto nei meandri del tempo.

La polvere attutiva il silenzio, posata su ogni mobile, ogni macchia di sangue ormai secca e scricchiolante sotto i sandali dalle suole consunte; vi era polvere sugli specchi rovinati, sugli stucchi d'oro screpolati, sulle ossa sbiancate dal tempo trascorso. Possibile che respirasse addirittura la polvere degli anni precedenti mentre avanzava per corridoi familiari come un sogno, ricordando voci di donne, risate di uomini, come un ritornello di campane a festa. 

Una mano sfiorò casualmente una colonnina, vi si resse quando gli occhi spaziarono su quel salone buio, spento, consunto dall'eco delle grida e dal dolore. Non vi era più nulla della sfarzosità di sere d'estate, le vetrate erano cadute lasciando che il vento freddo dell'inverno crudele penetrasse nella sala dei ricevimenti, mucchietti di muffa contro colonne e tavolini rovesciati, diversamente da quella notte.

La moquette intrisa di ricordi cedette sotto il suo peso e Inosuke, scostandosi una ciocca dal volto, si sforzò nel portarsi al centro del portale, sgusciando dalla piccola apertura; si rannicchiò tra le proprie braccia nel freddo pungente che un haori consunto e color del cielo stellato non poteva fermare.

"Ricordo bene ogni cosa." si disse, chiudendo gli occhi e lasciando che le immagini fluissero davanti a lui come in un sogno da cui non si sarebbe mai voluto svegliare. La muffa sparì, le vetrate tornarono a proteggere la felicità del culto, i fruscii dei kimono delle fedeli vorticavano attorno a lui in un brillio di gioielli di basso valore.

Era tutto come un tempo, per questo avanzò di un passo lasciandosi travolgere da un'orchestra invisibile, con la schiena di Douma poggiata su di un ammasso di cuscini fantasma.

Era lui, quello? 

-No che non può essere lui.- affermò mestamente, vedendo l'ombra di un Douma fasullo svanire. Era appena arrivato e la nostalgia non perdeva occasione di giocargli brutti scherzi.

Il silenzio cadde come il corpo di Inosuke, impattando con le ginocchia sul pavimento mangiato dalle intemperie. Nessun seguace, niente risate, niente iridi policromatiche che lo scrutavano con affetto, a riscaldare una speranza perduta per sempre.

Si ritrovò a ridere, a piangere, non lo sapeva neppure lui, gli occhi perduti in un mondo onirico a cui avrebbe voluto appartenere. Strinse uno yukata di Douma contro il suo petto, frastornato.

Era troppo grande per essere indossato, ma il suo ricordo doveva essere mantenuto nel bene e nel male, e non aveva alcuna intenzione di disfarsene.

La polvere, gli scheletri, la macchia di sangue davanti a lui, tutto era reale; dei gioielli e delle risate, del presunto altruismo e dell'affetto, non rimaneva che una patina pronta ad essere grattata via con l'unghia, così come la polvere su specchi che avrebbero rivelato solo che nessuna mano era ormai tesa per lui, fantasma anch'egli.

-Non dovresti rimanere da solo. Finirai col soffrire.-

Un abbraccio caldo era ciò di cui più aveva bisogno, ed era incredibile come Aoi riuscisse a leggerlo nel pensiero e ad anticipare così le sue mosse.

Tling.

Rintoccava nel buio, una volta lontano, un'altra volta talmente vicino da sfiorare il lobo dell'orecchio.

Tling.

Parevan i rintocchi dell'agonia del tempo stesso, sempre uguali, incapaci di mutare, incapaci di volgersi indietro, cristallizzati nel presente.

Tling.

Eran gocce d'argento bollente sul volto, erano gli incubi che nel buio venivano a trovarlo. Un vuoto assoluto, un vuoto assordante, un vuoto senziente.

Lo afferrava alla gola.

Tling tling.

Con Aoi accanto però, non si sarebbe dovuto preoccupare; il vuoto svaniva, la sofferenza attutita e le lacrime terminavano di bagnargli il volto femmineo.

Una volta, Zenitsu gli aveva raccontato una fiaba alquanto strana e affascinante: di due anime gemelle che, grazie al filo rosso del destino, erano riuscite a condurre una vita spensierata e con un lieto fine. I due ragazzi erano molto diversi da loro, tuttavia, il loro amore invece si era rivelato così forte da sconfiggere le varie divergenze e a dimostrare ad altri cosa potesse significare provare un sentimento tanto forte per qualcuno.

Inosuke credeva che Zenitsu si fosse in parte inventato quella sorta di racconto eppure, nel profondo, non poteva fare a meno di ripensarci.

Se Aoi era la sua anima gemella, colei che lo avrebbe assistito per il resto dei suoi giorni, perché non gli proferiva i suoi sentimenti?

-Mi manca.- confessò, e sorrise mesto: -Commise atti imperdonabili, ma era la mia famiglia. Nessuno oltre a te e a quei due imbecilli mi capisce. Mi sento solo.-

-Sentirsi soli è normale; anch'io mi sento colpevole, in questo preciso istante.- Aoi gli accarezzò debolmente la schiena: -Presumo che il tuo padrino non avrebbe voluto vederti in questo stato. Perciò riprenditi, che rischi di farmi preoccupare.-

Soltanto adesso Inosuke si stava rendendo conto della semplice ma raffinata bellezza di Aoi e di quanto suonasse soave la sua voce nelle orecchie.

-Siamo giunti qui per prefissarci un obbiettivo. Non possiamo mandarlo a monte.-

Rendere quel posto nuovamente uno splendore sarebbe stato arduo, ma non impossibile. Si sarebbe fatto accompagnare da qualcun altro se avesse riflettuto a mente lucida, nondimeno, sapeva che in fondo era meglio così.

Avrebbero trasformato quel luogo in una dimora che avrebbe prestato aiuto ai più bisognosi, decisione che probabilmente lo avrebbe assolto dai peccati commessi.

Nessuno la pensava in quel modo; gli rispondevano che non vi era alcun bisogno di autocommiserarsi, che non aveva commesso nessuna azione sbagliata.

Ma, a quanto pare, Aoi era la sola a comprenderlo nel profondo.

Quando gli aveva riferito il suo progetto, si era limitata a squadrarlo con stupore e ammirazione in contemporanea. Tanjiro, Zenitsu e Nezuko lo avevano scoperto più tardi, ma anche loro non sembravano arrabbiati.

E dalla morte di Douma, era trascorso parecchio da quando non si sentiva così felice e in totale salute.

Espiare i peccati era il suo intento e sarebbe finalmente tornato a sorridere alla vita. O perlomeno ci avrebbe provato.

Condurre la vita che Douma non era riuscito a vivere era la causa che lo spingeva di più ad agire, intercettare le paure che nutriva con affermazioni positive altrettanto forti.

Odiare Douma gli era praticamente impossibile, purché gli avesse rovinato la vita. E quel peccato, il non riuscire ad odiarlo, lo avrebbe accompagnato per il resto della sua esistenza.

-Abbiamo tutti camminato sul medesimo sentiero. Anche se i nostri scopi erano diversi, questo non significa nulla. Non significa che in fondo non siamo identici.
Alla fine, nessuno di noi è stato qualcosa di più di una frattura nel vetro.
O di un sogno infranto senza essere nato.- la voce di Aoi era seria e dolce; il suo cuore fece capriole.

Doveva ricominciare. In quel luogo, dove tutto era iniziato e gioie e dolori lo avevano accompagnato.

-Aoi.-

La guardò negli occhi, intensamente. Il verde smeraldo che si mescolava con il blu dell'oceano.

-Vorrei darti tutto quello che non ho mai avuto, e non sapresti comunque quanto è meraviglioso amarti.-






















Da qualche parte a Tokyo, tra il 2020 e il 2025

 


Era un buio diverso, quello che Inosuke trovò a sbarrare la strada del suo sguardo. Le lenzuola, più un sudario oramai, erano intrise della paura come ogni notte, ogni volta in cui l'ultima candela veniva spenta con un flebile soffio. Il collo bruciava, bruciava, persino deglutire pareva tentare di mangiare i tizzoni ardenti nel camino morente, un cenere buio e silente dall'altro capo della stanza. Le mani sottili e nivee scattarono a carezzare la trachea, sentir la pulsazione delle arterie appena al di sotto della cute, cercando i segni che quel buio tanto opprimente doveva avergli lasciato, gli occhi sbarrati verso un punto ignoto del letto, il corpo tremante sotto talmente tante coperte da averne perso il conto fin dall'inizio.

Le corde vocali vibrarono solo un acuto strozzato, spaventato, flebile quanto il battito d'ali di una falena, di quelle che tanto amava senza capacitarsene il dunque; era tutto troppo buio, troppo freddo, la pelle d'oca correva sulla pelle e raggiungeva le ciglia, facendole tremare, lasciando che lacrime fredde come il mercurio lasciassero solchi sulle guance tirate. Ogni notte Inosuke si sporgeva oltre il limite, guardava al di sotto e tentacoli di paura, di pura oscurità, di solitudine più densa della pece volevano afferrarlo, lambivano i suoi arti come tante mani rapaci.

Ancora un grido strozzato e i suoi piedi scalciarono via le coltri come se queste fossero intessute d'ortica; non v'era salvezza in quel letto, in quella stanza, in quel mondo che fin dal principio mai aveva desiderato che Inosuke respirasse, camminasse, amasse. Oh, se solo il rannicchiarsi contro la testiera in legno freddo potesse essere d'aiuto: con la camicia da notte sollevata su caviglie tremanti e il velo dei capelli sparsi, resi simili ad un sipario per non permettere a quelle visioni di toccarlo, la soglia del patetico era stata superata da troppo tempo.

I suoi incubi erano costantemente uguali, troppo reali per essere frutto di fantasia; un uomo con i capelli e gli occhi più particolari che avesse mai visto gli sorrideva, per poi assumere delle sfaccettature inquietanti e un ghigno disumano, la pelle che da candida diveniva violacea, malaticcia. Il bulbo oculare color arcobaleno fiorusciva dall'occhio, il sangue sgorgava dalla sua bocca e il battito d'ali di una farfalla si faceva sempre più insistente.

-No... NO!-

Tremava da capo a piedi, aveva paura, e quando l'uomo di bell'aspetto smetteva di ghignare e diventava serio, il battito d'ali cessava e una coltre di veleno avvolgeva il suo corpo sino a farlo sparire.

Ed era in quei momenti che voleva disperarsi, gridare e implorare di non essere lasciato solo, urlare preghiere affinché quella persona a lui tanto cara gli fosse restituita.

Due occhi rossi lo guardavano dall'oscurità e lo deridevano, con saccente superbia e malvagità.

-NO!!!-

La sua intenzione era urlare, liberarsi dal groppo spinoso artigliatosi nel petto, pronto ad eroderlo pezzo per pezzo, battito per battito. Tutto ciò che ottenne fu il pigolio strozzato di un pulcino smarrito, avvolto su sé stesso, nascosto al mondo e alla propria immagine che si rifletteva distorta, contorta, marcia nello specchio che crudelmente gli era stato posto vicino, troppo vicino. I segni di quelle mani erano rossi e vividi nella sua mente, stampati sul viso, incisi nell'anima. Neppur si accorse del cigolio, del legno che si apriva, del respiro appesantito da troppi ricordi che si lasciava scivolare nella stanza, portandosi dietro un profumo di gigli e pentagrammi.

-Inosuke?- la sentiva, quasi poteva vedere sua madre retta accanto allo stipite ligneo, niente più che una camicia sgualcita addosso insieme a quell'espressione perennemente desolata che indossava meglio di quanto un nobile avesse potuto indossare un farsetto di diamanti. Trattenne il respiro nel sentirla avvicinare, mordendo ad ogni passo le assi del pavimento, sussultò nel percepire il suo peso sul materasso irto di invisibili chiodi.

-Hai avuto un altro incubo?-

Non era una domanda, ambedue lo sapevano. Sin da quando era piccolo, Inosuke aveva sempre sentito la necessità di scusarsi con qualcuno, di rivedere la persona che incombeva all'interno dei suoi sogni.

Era una presenza contradditoria, rassicurante e minacciosa; non gli era mai capitato di incrociare una persona con un aspetto e un carattere talmente originali, e quegli aspetti lo facevano convincere maggiormente sul fatto che stesse divenendo pazzo.

Non aveva mai raccontato a sua madre i dettagli precisi per non farla spaventare. Non ci teneva a menzionarle scene di budella sparpagliate, cadaveri decomposti, di demoni ingordi di carne umana e di iridi scarlatte che tentavano di ucciderlo alla sola vista.

Parlava unicamente dell'uomo baciato dagli Dei e di come sentisse la sua mancanza. Non credeva neanche di averle descritto il suo aspetto. Ma d'altronde, sua madre era particolarmente sveglia e riusciva a comprendere i suoi sentimenti talvolta che tentava di reprimerli.

-Inosuke, tesoro.- al secondo richiamo osò sollevare la testa, cercare con le iridi quel contatto caldo invece, completamente diverso dalle mani di nero terrore, e per questo ancor più doloroso. C'era vita in quel tocco, la vita che all'uomo dei suoi incubi era sempre stata negata e la anelava e gli provocava ustioni così profonde da non poter mai guarire e lo repelleva, incapace di decidere, incapace di anche solo respirare.

Nella tenue oscurità, Inosuke percepiva l'immensa tristezza di quegli occhi, la curva fasulla delle labbra; sbatté le palpebre una volta, due, e si accorse pian piano che l'amorevole figura della sua amata mamma lo confortava.

-Sono le nove del mattino, devi alzarti e prepararti prima che arrivi.-

Kotoha era una delle donne più belle della capitale del Giappone, e Inosuke non aveva esitazioni nel dirlo. Traboccante di gentilezza, era stato davvero fortunato a desiderare di avere una madre così disposta a stargli accanto.

Era prossimo a compiere dodici anni, ed Inosuke quando vi pensava non provava più paura: stava diventando grande, colui che avrebbe protetto sua madre da eventuali pericoli e malintenzionati.

Ed è quello che avrebbe fatto da quel giorno stesso.

-Mi dispiace, mamma. Non volevo farti preoccupare...-

-Non devi scusarti, piccolo mio! Alla tua età è normale avere questi brutti sogni.-

Era quello che gli ripeteva incessantemente eppure, ancora una volta, si sapeva che essa non era la verità. E Inosuke non si sarebbe stupito se, un giorno, lei lo avrebbe portato da uno psichiatra.

Ma scartò subito quella sciocca supposizione: era troppo buona per fare una cosa del genere.

Non brillava dall'idea di fare colazione in velocità e di fare lo stesso nell'indossare dei vestiti, ma non aveva altra scelta.

Sua madre brillava di contentezza, canticchiava per la cucina mentre preparava quella che Inosuke riconobbe come torta ai mirtilli. I piatti sulla tavola, solitamente due, erano aumentati di uno, esattamente come le posate e i tovaglioli di carta.

-Mamma, ma chi...-

-Oh, tesoro, puoi andare ad aprire la porta? Credo che abbia appena suonato al campanello!- la sentì esclamare e borbottare un: -Sono così sbadata...-

Inosuke fu veloce a raggiungere la porta, a prepararsi ad affrontare il nemico che avrebbe dovuto conquistare la sua fiducia se proprio ci teneva a restare accanto a sua mamma e a trasferirsi da loro. Le dita affusolate si strinsero attorno alla serratura della porta, l'occhio sinistro che tentava di sbirciare fuori, invano.

Poi, dopo l'ennesimo suono del campanello, si decise ad aprire. 

-Ehi! Non so chi tu sia, ma se farai-...!-

-Tu devi essere il piccolo Inosuke! Posso entrare?-

Lo sentì con la violenza di uno schiaffo, con la dolcezza della seta; le iridi arcobaleno di Douma lo incatenavano dall'alto con curiosità e divertimento, un sorriso da Stregatto che lo rendeva più enigmatico di quanto già non fosse.

Inconscie lacrime andavano fondendosi e Inosuke, stringendosi immediatamente contro il suo petto, sorrise.













Inosuke aveva dunque iniziato ad odiare anche la pioggia; Douma non trascorreva più le giornate con lui e si domandava quale potesse essere la radice del problema, cosa avesse fatto di sbagliato per non ricevere più molte attenzioni da parte sua.

"Che si sia stancato di me?" le lacrime minacciavano di carezzargli pietosamente le guance: "Se non mi vuole più bene, può benissimo dirmelo! Tanto io... non ci rimarrei male! Il grande Inosuke affronta ogni problema a testa alta!"

-Perché non dovrei più volerti bene, Inosuke?-

La voce di Douma risuonò dietro di lui con estrema rapidità, ed il ragazzino dovette trattenere un urlo silenzioso.

-Cosa-... perché sei qui...?!-

Si maledisse; per la millesima volta, aveva dato voce ai suoi pensieri.

-Ti stavo cercando. È notte e non vorrei perderti d'occhio.- Douma ridacchiò, le mani congiunte: -Devo ammettere però che stai migliorando; prima non eri così agile nel nasconderti!-

-Cosa vorresti dirmi con questo?!- gonfiò il petto, offeso, ma Inosuke arrossì imbarazzato non appena lo vide riprendere a ridere - con sincero divertimento: -Smettila di prenderti gioco di me!-

E voleva aggiungere altro, colpirlo, ma il rumore di un ramo che si spezzava lo fece balzare in avanti, tremante.

-Non credi che... sarebbe meglio rientrare? Non che il grande Inosuke abbia paura,  ma è tutto buio e...- avrebbe voluto che il tono di voce fosse alto, autoritario, quando invece assomigliava in tutto e per tutto al pigolio di un uccellino spaventato.

-Inosuke, Inosuke; non cambierai mai.-

Parlarono di tutto e di niente, nel mentre che percorrevano la foresta e giungevano nei pressi del Tempio, ove un gruppetto di seguaci li aspettava con leggera irrequietudine.

-Douma...- Inosuke si morse il labbro inferiore, incerto: -Come hai fatto a trovarmi?-

-Oh, è questo per cui esitavi a chiedere?- Douma rise, e la sua risata cristallina si intonò perfettamente con le ultime gocce di rugiada che cadevano dal cielo: -La risposta è semplice; ti conosco.-

-Sono così prevedibile?-

-Diciamo di sì.- Douma gli fece l'occhiolino e per Inosuke non fu più possibile mantenere quella finta espressione imbronciata: -Anche se sarai lontano kilometri da qui, se ti perderai, io ti raggiungerò. Ogni volta.-

-Davvero? È una promessa?-

Douma sorrise.

Sorrise veramente.

               -Promessa da mignolo.-

























❇️Angolo Autrice❇️

E contro ogni aspettativa, questo capitolo ha raggiunto le 6000 parole, superando di lunghezza quello precedente! (●♡∀♡)
Allora, non so da dove cominciare: è da Aprile che ho continuato a pubblicare capitoli su questa storia e, adesso che è giunta al termine, mi sento... triste.
Quando ho messo per iscritto l'ultima frase, mi stava venendo da piangere! Sono troppo affezionata ad essa e, anche se in seguito usciranno degli speciali, non riesco ancora a farmene una ragione.
Ci terrei a ringraziare tutti: le persone che hanno commentato, che hanno votato, o che si sono dedicate ad una lettura silenziosa. Grazie mille!
Douma e Inosuke sono due personaggi che meritano, ed un loro possibile rapporto padre-figlio mi sarebbe tanto piaciuto vedere nel manga, ma ci si accontenta! Inoltre, se anche nell'era moderna hanno mantenuto i nomi originali, è stato per una questione di comodità (non volevo confondere nessuno, ecco)
Detto questo, non ho più nulla da aggiungere.
Non smetterò mai di ringraziarvi abbastanza!

Prossima tappa: Demon!TanjiroxReader

Alla prossima,

- LadyFraise💜

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