III
15.06.1300, ore 16:00
Nonostante il sole cocente di giugno, il borgo era invaso da gente di ogni dove. Quel giorno era un mercoledì e come ogni settimana, vi era il gran mercato. Turisti da ogni dove accorrevano numerosi in quel piccolo borgo per vendere o acquistare vivande, tessuti, alcol e quant'altro. I nobili passeggiavano tra i plebei e spesso si fermavano anche a chiacchierare con loro. A Brienza regnava la tranquillità da qualche tempo e sembrava quasi non esserci alcuna distinzione tra nobiltà e plebe. C'era un'aria di gioia, festa e amore. C'era sempre, ma il mercoledì sembrava intensificarsi. Persino Giovanna e Rodolfo vennero invasi da tale aria e decisero di passeggiare nel borgo. Avevano fatto la conoscenza di Eustasia, la figlia del conte di Amburgo, che era ormai ospite nel castello da quasi cinque anni. La donna, ormai quasi cinquantenne, si era recata a Brienza con suo padre, anni prima, per firmare un'alleanza con Fulvio. Sarebbero dovuti restare pochi mesi, ma al momento della partenza, la donna non ebbe il coraggio di abbandonare tale bellezza e tale calma per ritornare nelle vie caotiche di Amburgo. Li aveva invitati ad unirsi a lei per la passeggiata pomeridiana ed entrambi accettarono con gioia.
Fulvio, nel frattempo, si era chiuso nelle sue stanze. Chiese alla servitù di non essere disturbato per alcun motivo fino a sera, poiché aveva delle lettere importanti da leggere. Fulvio non approfittava mai della sua posizione per impartire ordini a destra e manca, ma v'erano dei momenti in cui era intransigente, come stava accadendo in quel momento. Aveva bisogno di pace e tranquillità, poiché la sorte del castello e dell'intero borgo era nelle sue mani. In tutta la sua vita non si era mai sentito oppresso dai suoi doveri come in quegli ultimi anni. Gli affari non andavano per il meglio e lui, benché avesse seguito suo padre sin da piccolo e avesse imparato il più possibile, non era affatto portato per quel genere di obblighi.
Purtroppo per lui quella tranquillità non durò più di alcuni minuti. Aveva appena aperto una lettera del consiglio reale di Sicilia (regno la cui giurisdizione comprendeva anche Brienza), quando sentì un insistente bussare alla porta. Volle imprecare in quel istante, ma si trattenne. Emise un sono grugnito e invitò la persona ad entrare. La testa del suo fedele servitore, Abdeslam (chiamato Abde, per comodità di pronuncia), comparve timorosa. Il giovane ragazzo, con gli occhi chini a terra, si fece avanti finché non si ritrovò a pochi passi da Fulvio.
"Signore," cominciò, non osando alzare lo sguardo. "Mi spiace interrompere vostra lettura, ma informato dell'arrivo di una carrozza inglese." Il ragazzo conosceva ancora poco la lingua locale, ma aveva capito sin da piccolo come comportarsi in qualsiasi occasione. Era stato venduto in giovanissima età come schiavo. Venduto per poche monete d'oro poiché presentava uno strano difetto fisico: sin dalla nascita, non aveva mai avuto capelli. Fulvio lo conobbe in un campo di carote gestito da preti. Quando notò con quale orribile disprezzo veniva trattato sia dai padroni che dai suoi simili, non ci pensò due volte e lo acquistò, con la gioia del prete, i quale non vedeva l'ora di disfarsene. Fulvio ne fece poi il suo servitore personale e il ragazzo compì così bene i suoi obblighi da ottenere la fiducia sia di Fulvio che del resto dei nobili del castello.
Fulvio capì all'istante di che carrozza si trattasse. Non ci mise molto per raggiungere l'entrata del castello ed attendere che i due ospiti lo raggiungessero. Giovanni II di Brabante fu il primo a scendere dalla carrozza, afferrò poi la mano della sua giovane moglie Margherita e l'aiutò a scendere da quella piccola carrozza. Fulvio ebbe bisogno di qualche attimo per adattare gli occhi a cotanta bellezza. Non solo la bellezza della principessa Margherita, ma persino Giovanni II era di bell'aspetto. Lei era molto simile alla sorella: fisico longilineo, elegante, lineamenti morbidi, seno prosperoso; ma gli occhi, quelli sembravano essere gemme preziose. Il colore era simile a quelli di Fulvio: verdi, ma quella sfumatura, lui poté giurare di non averla mai vista altrove. Giovanni II, invece, aveva una corporatura robusta, degna di un cavaliere, il viso paffuto e le gote perennemente arrossate. La pelle era bianca come il latte, i capelli di un biondo così intenso che sembravano essere fili d'oro e gli occhi dello stesso colore del cielo. Era senz'altro una gioia per gli occhi vederli insieme.
Fulvio riuscì a destarsi dai suoi pensieri e raggiunse i due, raggiungendoli di corsa.
"Benvenuti" disse con il fiato corto. Si diede un contegno e ripeté: "benvenuti a Brienza, miei signori. Fulvio da Petruno, per servirvi."
S'inchinò d'innanzi alla fanciulla, le fece il consueto baciamano, dopodiché procedette a stingere la mano di Giovanni per concludere la presentazione.
"Vi ringrazio per l'invito." Disse Giovanni, guardandosi intorno. "Questo posto sembra essere uscito da una fiaba." Continuò. Fulvio non rispose, ormai abituato ai commenti positivi su quel luogo tanto bello quando pacifico. Si limitò ad annuire. Margherita, così come Giovanni non erano soliti mostrare qualsivoglia emozione, sembravano modellati nella pietra tant'era la loro apparente freddezza. Erano seri, composti come la maggior parte dei nobili. Fulvio non era mai sicuro di sé stesso in quelle occasioni. Amava i nobili come Giovanna e Rodolfo: quei nobili a cui piaceva scherzare, ridere; quei nobili che non facevano della nobiltà una questione di vita o di morte. Per questo non indugiò oltre prima di accompagnarli nelle loro stanze. Spiegò loro brevemente delle varie attività che potevano svolgere all'interno e all'esterno del castello, gli informò sulla decisione di Giovanna e Rodolfo di fare una passeggiata nel borgo e, dopo aver notato le espressioni di disgusto dei due, si congedò.
Tornato nelle sue stanza, Fulvio, emise un sonoro sbuffo. Si lasciò cadere sul letto e chiuse un attimo gli occhi.
"Come si può vivere con cotanta serietà?" chiese. Benché Abdeslam fosse con lui nelle sue stanze, intento a sistemare la scrivania, la domanda era rivolta più a sé stesso che al giovane servo, il quale non rispose. A quel punto si alzò in piedi e cominciò a sbottonare la camicia, mentre faceva il verso ai due nobili appena arrivati a castello. "Sembra essere uscito da una fiaba." Ripeté le parole precedentemente dette da Giovanni, aggiungendo versi simili a grugniti. Tolse la camicia, mostrando il petto villoso e il fisico asciutto, e la lanciò sul letto. Il servo fu subito pronto a raccoglierla. "Sai cosa ti dico, Abde? Quei due appartengono alla razza peggiore di nobili!" disse ancora, mentre si girava a guardare il servo.
"Perché chiamati qui allora?"
"Perché?" ripeté Fulvio, prima di lasciarsi ancora una volta cadere sul letto. "Perché abbiamo bisogno di loro, amico mio!" mormorò, portandosi le mani sul viso per sfregare gli occhi. "Abbiamo bisogno di alleanze se non vogliamo finire tutti in una fossa comune. Noi, il borgo e persino il castello! Questo posto, caro Abde... questo posto è il nulla!" confessò. Abdeslam non rispose, confuso. Benché Fulvio non poteva vederlo in viso in quell'istante, capì immediatamente la sua confusione e scattò in piedi come una molla. Lo raggiunse e gli posò una mano sulla spalla. Per poco non dovette alzarsi in punta di piedi per eseguire quel gesto, tant'era la differenza d'altezza tra i due. "Non posso fidarmi di nessuno in questo posto, quindi ti chiedo di non riferire nulla di ciò che hai appena udito, amico mio."
"Io non dire nulla." Lo tranquillizzò il ragazzo. "Voi salvato me da schiavitù. Voi buon padrone. Io dare vita per salvare voi." Confessò. Fulvio non riuscì a reprimere un sorriso di gioia nell'udire tali parole. Colpì la spalla di Abdeslam con due pacche e lo lasciò tornare ai suoi doveri. Era felice, dopotutto aveva qualcuno che gli era fedele, qualcuno che gli voleva davvero bene. Fulvio non era un Re, non poteva contare su cavalieri e un popolo che lo sostenevano, non aveva molti amici e di certo non ne aveva nel castello. Per questo motivo e per la sopravvivenza di quel piccolo borgo aveva bisogno di alleati. Brienza era il nulla: un piccolo borgo nel regno di Sicilia che non portava profitto e non ne toglieva. Rischiava di venir cancellato. Fulvio però ne era così affezionato da aver promesso a sé stesso di fare l'impossibile affinché restasse intatto e diventasse parte della storia e le alleanze erano esattamente ciò di cui aveva bisogno. Se non per riscattare il nome di Brienza, almeno per avere le spalle coperte in caso di un possibile attacco da parte di altri regni.
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