II

18.07.1290, ore 19:30

La voce dell'anima vagante arrivò alle orecchie di Domenico.

In diversi villaggi aveva udito di tale uomo. Non ci volle molto per ricondurre il tutto all'accaduto di quella notte.

Era passato molto tempo.

Domenico aveva diciannove anni.

Negli ultimi anni il suo stile di vita era cambiato.

Aveva iniziato a fermarsi nei villaggi, presentandosi come viaggiatore, come assistente medico o come cuoco.

Aveva iniziato a mettere in pratica tutti gli insegnamenti delle Dìsir ed aveva conquistato la fiducia di contadini e gente di villaggio.

Aveva offerto i suoi servigi come medico o cuoco in modo gratuito ed aveva aiutato centinaia di persone.

Si era fermato a parlare con loro ed aveva ascoltato le loro storie, le loro difficoltà nel vivere in villaggi così poco considerati dai nobili ed aveva fatto sua la rabbia nei confronti della tirannia dei nobili.

Aveva deciso di aiutarli e, dopo aver passato mesi e mesi ad organizzarsi, era riuscito a derubare alcuni nobili.

Così, ogni volta che arrivava in un nuovo villaggio, lasciava loro monete d'oro, cibo, vestiario, attrezzi e tutto ciò che poteva essere loro utile.

Alcuni gli chiedevano come facesse a possedere tutto ciò e lui diceva loro di essere figlio di un cavaliere.

Non era una menzogna, ma evitava loro di dire che suo padre era morto prima ancora della sua nascita. Conquistò così la fiducia di molti e cavalcò l'onda dell'anima vagante, terrorizzando così i nobili.

Quel giorno si trovava nei pressi di un castello. L'aveva osservato a lungo ed aveva notato un piccolissimo villaggio nei pressi di esso.

Decise di derubare anche quel castello per aiutare gli abitanti del villaggio vicino.

Non fu difficile e ci riuscì senza alcun problema.

Aveva imparato ad osservare i cavalieri, le guardie e i nobili. Prima di entrare in azione cercava il momento giusto, faceva attenzione e non si faceva vedere da alcuno.

Dopo aver riempito due sacchi di iuta con viveri e monete, li lasciò al villaggio, spargendoli tra gli abitanti con le scuse più assurde.

Disse al medico di aver bisogno di un'erba curativa facilmente reperibile e la pagò con cinque monete d'oro, nonostante il medico insisteva nel non voler alcun pagamento.

Barattò un letto caldo per la notte con le provviste di cibo che aveva rubato, lasciando l'intero sacco alla locanda. Commissionò al fabbro una spada, dicendogli di aver bisogno di un'arma, ma poteva andare bene la più semplice e meno costosa.

Gli lasciò come paga diversi gioielli d'oro.

Lasciò il villaggio due giorni dopo e s'incamminò verso la successiva meta.

Finì, poche ore dopo, in un villaggio governato dal marchese Dè Mendoza.

Il marchese era un uomo folle, severo, crudele. Era conosciuto in gran parte del regno per essere un burbero e un tiranno.

L'idea di fermarsi in un villaggio sotto il suo comando non lo allettava affatto, però era curioso di scoprire com'era la vita per i contadini e i poveri del regno.

Fece qualche giro, si guardò intorno, osservò la gente. Non sembravano estremamente malnutriti o tristi, ma vide molti uomini e bambini che elemosinavano un tozzo di pane. Decise che non si sarebbe fermato a lungo nel villaggio, ma avrebbe aiutato solo coloro che avevano davvero fame.

Si avvicinò maggiormente al castello, scrutò come al solito le guardie e i nobili.

La sensazione di rabbia ed odio nei loro confronti crebbe quando li vide scacciare in malo modo un mendicante, ma non intervenne.

Quando essi si erano allontanati, lo aiutò a rialzarsi e gli lasciò tra le mani della frutta che aveva con sé.

"Ecco, tieni." Gli disse gentilmente. "Al momento non possiedo altro, ma questo dovrebbe bastare per alleggerire momentaneamente la tua fame."

"Vi ringrazio!" rispose l'uomo anziano. Gli strinse le mani e una lacrima solcò il suo viso.

"Che Dio vi benedica. Che Dio vi benedica." Ripeté prima di andar via e disperdersi tra la folla.

Si immerse anch'esso tra la folla e si ritrovò nel centro del mercato.

Aveva con sé ancora qualche moneta, che utilizzò per acquistare quanto più cibo possibile e alcuni abiti. Entrambi sia da donare che per sé stesso.

Camminando tra la folla, immerso nei suoi pensieri, non fece caso a dove metteva i piedi o chi aveva difronte e si scontrò sbadatamente con un cavaliere a servizio del marchese Dè Mendoza.

"Guarda dove cammini, inutile canaglia!" lo provocò il cavaliere. Domenico abbassò lo sguardo.

"Mi spiace, vi chiedo perdono." Rispose.

Mai aveva osato sfidare un cavaliere, poiché non voleva finire nei guai e non voleva attirare la loro attenzione.

"Cosa credi di fare? Prenderti gioco di me?" chiese ancora il cavaliere, con il sol scopo di provocarlo.

"No, signore." Sussurrò Domenico, mantenendo lo sguardo basso. Non lo faceva per timore, ma per evitare che l'uomo potesse ricordare in futuro i tratti del suo viso. "Non mi permetterei mai."

"Un figlio di buona donna come te dovrebbe stare lontano da questo luogo."

Dopo ciò che era accaduto a sua madre e alle Dìsir, Domenico aveva problemi a mantenere la calma in caso di aggressioni verbali simili.

Chiuse gli occhi e strinse i pugni per evitare di scagliarsi contro quel cavaliere probabilmente frustrato e annoiato. Purtroppo però non funzionò e il cavaliere, notando con quanta forza egli tentava di restare calmo, si liberò in una risata derisoria.

"Cosa c'è? Vuoi colpirmi?"

"No, signore." Mormorò Domenico, mantenendo i pugni stretti e chiudendo gli occhi.

Il cavaliere, sempre più infastidito ed annoiato per non esser riuscito a farlo cedere, afferrò un bastone di legno dal bancone di una bancarella e provò a colpire Domenico. Nonostante gli occhi chiusi, egli riuscì ad intercettare immediatamente il colpo e fermò il bastone con la mano, prima che riuscisse a colpire la sua testa. Alzò lo sguardo e, per la prima volta fissò intensamente il cavaliere. Lo sguardo era così rude e cattivo da far indietreggiare per un istante l'uomo.

"Stai sfidando un cavaliere, te ne rendi conto?" ringhiò l'uomo.

"Con tutto il rispetto, signore, ma state facendo tutto voi." Replicò infastidito.

"Come osi?" rispose l'altro. Si guardò intorno. "Avete udito tutti, signori?" chiese in direzione della folla. "Sta sfidando un cavaliere. Questa tua azione sarà punita con due notti e due giorni nelle celle e un giorno di gogna!"

Domenico non reagì. Sospirò e si lasciò arrestare. Nella sua mente continuava ad udire le parole di Adelaide e si convinse a non vendicarsi.

Così venne arrestato.

Quando arrivò nella cella, la guardia lo lanciò all'interno e richiuse le sbarre ridendo, fiero della sua azione meschina. Domenico ringhiò e, quando capì che non v'era più alcuna guardia, si scagliò contro le sbarre, sbattendo più volte i palmi su di esse.

"Calmati." Si udì da una voce alle sue spalle. era un altro prigioniero. Si voltò e vide un ragazzo di qualche anno più piccolo di lui costretto con le ginocchia a terra e le braccia legate in alto. Il viso era nascosto nell'ombra per metà, ma Domenico riuscì a notare perfettamente gli occhi lucidi e bagnati dalle lacrime.

"Le guardie te la faranno pagare se li infastidisci. Sono bestie e cercano ogni pretesto per sfogare la loro noia su qualcuno."


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