5. Miguel Dé Mendoza (I)
19.07.1290, ore 08:15
Quando le guardie portarono il pranzo nelle celle (il quale consisteva in un tozzo di pane con delle carote crude di fianco e un osso di pollo già mangiucchiato), liberarono una sola mano del prigioniero ch'era nella cella con Domenico, per permettergli di mangiare.
Domenico mangiava ed osservava l'altro che faceva non poca fatica a mangiare.
"Cosa hai fatto per finire incatenato in quel modo?" chiese Domenico. L'altro rise, scuotendo il capo.
"Ho chiesto scusa." Disse confondendo Domenico.
Pensò che avrebbe dovuto essere un criminale spietato per essere finito incatenato in quel modo, ma non mostrò all'altro i suoi pensieri e si limitò ad annuire, benché non credesse alle sue parole.
"E tu?" chiese.
Domenico ci pensò.
"Ho chiesto scusa." Rispose.
Finirono di mangiare in silenzio. Andarono a ritirare le scodelle vuote e incatenarono di nuovo il ragazzo.
Ci fu silenzio per un po'. Sembravano entrambi immersi nei propri pensieri e nessuno aveva davvero voglia di parlare.
"Miguel." Sussurrò l'altro uomo dopo circa un'ora di silenzio. Domenico lo guardò. "Mi chiamo Miguel."
"Domenico." Rispose.
"Stai pensando di fuggire?" chiese Miguel.
"Cosa?" chiese sconvolto Domenico, guardandosi intorno. La cosa che lo sconvolse maggiormente fu il fatto che il ragazzo sembrava essere a conoscenza dei suoi pensieri, perché la fuga era esattamente ciò che stava pensando dalla sera precedente.
Sarebbe potuto restare ed uscirne pulito. Avrebbe potuto scontare la sua condanna come qualsiasi altro prigioniero, ma proprio non riusciva a darla vinta a quel cavaliere scorbutico e arrogante.
"Ho notato che hai nascosto l'osso del pollo. Non penso tu voglia usarlo per sfamarti durante la giornata." Disse onestamente.
"Sta zitto." Sibilò arrabbiato.
Era arrabbiato con sé stesso, poiché non era stato abbastanza furbo e si era fatto vedere. Ed era preoccupato per le guardie che avrebbero potuto udire la conversazione.
"Portami con te." Sussurrò Miguel. Domenico lo guardò e lo vide triste, più della sera precedente. "Ti prego, fammi uscire da questo inferno."
Gli scese una lacrima.
"Devi prima dirmi cosa ha fatto." Replicò Miguel.
Non era una cattiva persona, poteva intuirlo, ma aveva bisogno di una conferma ed aveva bisogno di conoscerlo maggiormente prima di accettare e fidarsi di lui.
"Niente." Sussurrò.
"Nessuno viene incatenato in quel modo per non aver fatto niente!"
"Allora questa è la prima volta che accade."
Lo sfidò con lo sguardo, provando ad essere sarcastico, ma poi lo abbassò e scosse il capo sospirando.
"Il mio nome è Miguel Dè Mendoza." Sussurrò piano.
"Dè Mendoza?" chiese Domenico curioso. "Come il marchese?"
Annuì.
"Sono suo figlio."
"Perché il marchese dovrebbe incatenare suo figlio nelle segrete del castello?" chiese ancora Domenico, sempre più incuriosito dalla situazione.
Voleva capire la situazione e soprattutto stava cercando di capire se l'altro stava mentendo o meno.
"Perché mi odia." Disse e lo guardò. "Non so esattamente cosa ho fatto, non so quando è iniziata questa dannata storia. So solo che mi odia al punto di volermi distruggere."
"Cosa vuoi dire?"
Miguel prese un respiro profondo.
"Avevo dodici anni, il mio unico errore fu quello di chiedergli informazioni su un documento che non avevo capito. Avrei dovuto studiarlo da solo, ma era troppo impegnativo per la mia età." Sospirò. "Si infuriò al punto di legarmi i piedi e lasciarmi a penzolare dalla finestra delle mie stanze per tutta la notte."
Domenico deglutì.
Miguel non stava mentendo.
"Hai visto quanto è alto questo castello?" chiese.
Domenico annuì.
"Le mie stanze si trovano nella torre più alta."
Domenico restò in silenzio a guardarlo.
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