Trafalgar

Finalmente quella noiosa gara era finita.

Penguin e Shachi avevano perso entrambi e si agitavano come disperati.

Nonostante non comprendessi ero affezionato a loro, i miei compagni, ed i loro comportamenti bizzarri mi strappavano quasi un sorriso.

"Andiamo nella saletta degli autografi, almeno ci rallegriamo un po' con la bella vista di Black Maria" aveva infine consigliato Shachi.

Avrebbe pensato che fossi lì per il suo invito?

Non che me ne importasse, era evidente che fossi giunto lì solo per accompagnare quei due scalmanati, dopo innumerevoli richieste.

C'era una lunga fila per entrare e si entrava non più di trenta persone alla volta, con un tempo massimo di un quarto d'ora.

Era complesso apportare delle regole in un quartiere di illegalità, eppure Diamante e Queen ci riuscivano benissimo.

La rabbia nel vedere quel sottoposto di Doflamingo si era accesa in un lampo e loro lo avevano notato subito.

"Scusami! Non sapevamo ci fossero stati anche loro in questa zona" aveva frettolosamente esclamato Penguin con un'espressione veramente dispiaciuta.

"Effettivamente è la prima volta che li vediamo qui, che stiano facendo dei nuovi affari?" aveva continuato Shachi anch'egli con un volto dispiaciuto.

Non avevo proprio voglia di guastare il mio umore con la vista di quell'uomo e speravo caldamente di non rivederlo mai più.

Era l'unico che riusciva a farmi infiammare l'animo, tanto da provare odio nei suoi confronti, quello vero.

Aveva ucciso con un colpo di pistola suo fratello, colui che mi aveva salvato!

Era complesso calmarmi a quella vista, lo avevano notato e ne erano talmente preoccupati da chiedermi se fosse meglio andarsene.

"Non è il caso, finireste per lamentarvi e rimpiangere di aver perso l'evento" avevo risposto voltando lo sguardo verso di loro.

Di certo non mi sarei fatto rovinare la mia nuova vita a causa loro.

Era arrivato il nostro turno e non li avevo degnati nemmeno di un'attenzione, anche se sentivo il loro sguardo posato su di me fino all'ingresso, tanto che perfino i presenti lo avevano notato cercando di fare finta di nulla.

"Di chi vorreste gli autografi?" avevo domandato vedendo l'enorme fila per Luffy, il primo classificato, e Franky, il terzo.

Nessuno osava avvicinarsi ad Eustass, nonostante avesse ottenuto il secondo posto in quelle condizioni.

Immediatamente mi avevano risposto di voler solamente quello di Franky sul loro poster, così ci eravamo messi in fila, nuovamente.

Nel frattempo mi ero voltato, avendo, casualmente, un contatto visivo con lui.

Si sentiva sconfitto, lo si leggeva negli occhi, nonostante la posa fiera e minacciosa e quel ghigno sul volto, non era affatto soddisfatto di aver perso un braccio e, di conseguenza, anche il campionato.

Eppure l'aveva costruita, quella protesi, vistosa e con un senso estetico distorto, proprio come i suoi gusti nel vestire, ma era del tutto funzionante.

Ero restio a crederci, tuttavia alla fine non era solamente fumo quel soggetto.

Per la sorpresa, o forse noia, mi ero avvicinato, almeno per togliergli quel ghigno vittorioso per avermi visto qui per la prima volta.

Al suo fianco c'era Killer che, nel vedermi, mi era corso incontro facendomi fermare a metà strada.

Non potevo vedere il suo volto, ma di certo non aveva un intelletto come il suo capo e sicuramente non aveva intenzioni ostili.

"Cosa succede Killer-ya?"

A quelle parole si era inginocchiato, ringraziandomi sinceramente del lavoro svolto e per avergli salvato in prima linea la vita quella notte.

Molti si erano girati, per poi ricordare di chi si trattasse e fare immediatamente finta di nulla.

Non potevo osservare i suoi occhi, ma la sua voce e la sua postura erano alquanto eloquenti.

Dev'essere stato orribile, per lui, sapendo anche di avere a che fare con una tale testa calda che farà presto a cacciarsi in un altro guaio.

Non lo biasimo, al suo posto non avrei nemmeno la minima idea di come comportarmi.

Kidd era davvero rosso, più del solito, di frustrazione, ma non aveva mollato lo sguardo.

Poi si era rialzato tornando da lui, con me al suo seguito.

Ora aveva iniziato a digrignare i denti, ma sempre mantenendo quella nota di arroganza.

"Potrai chiedermi un favore" aveva sputato senza aggiungere altro, per farmi intendere che voleva saldare così il suo debito.

Interessante, davvero.

"Lo userò a momento opportuno"

Così li avevo salutati e me ne ero andato, degustando quella sensazione di avere una vita in pugno, proprio come in sala operatoria.

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