Capitolo Trentanovesimo
«Non posso credere che tu ti stia immolando per lei, dopo quello che le hai fatto» lo rimbrottò Baowei, sotto la luce della luna e delle stelle. Dinnanzi ai loro occhi, il padiglione della Neve Purpurea si innalzava verso il cielo, sembrava quasi sfiorare le nuvole con le sue guglie.
Deming strinse fra le mani il fermaglio diancui che, l'anno in cui aveva scoperto del tradimento di Meizhen, Ai Lun gli aveva ceduto come garante. Tramite quel semplice ornamento avrebbe potuto accedere ai piani superiori del padiglione o, almeno, così sperava.
«Tu e Meizhen non avete mai condiviso nulla, Baowei, non hai motivo di odiarla» mormorò Deming, salendo i gradini di marmo e raggiungendo le porte del locale notturno. «Immagina di stare facendo un favore a me.»
Baowei annuì e rimase in silenzio, mentre i due uomini a guardia permettevano loro di entrare nella sala ottagonale, già allietata dalla musica e dalle danze delle ballerine vestite in maniera succinta. Quando Baowei le vide, si lasciò andare a un fischio di approvazione. «La compagnia non è così male.»
«Dacci un taglio» borbottò Deming, accedendo alle scale interne, così da arrivare al secondo piano. Non aveva alcuna intenzione di rinvangare il passato. In quei mesi si era tenuto a debita distanza dal padiglione della Neve Purpurea, perché aveva avuto paura di confrontarsi con dei ricordi che avevano lasciato un segno indelebile nel suo cuore. Eppure, eccolo di nuovo lì: ad affrontare i propri fantasmi.
«Avrei dovuto venirci più spesso al padiglione» mormorò Baowei, una volta giunto al secondo piano. I combattimenti fra animali non era ancora cominciati, ma alcune tigri catturate chissà dove sostavano all'interno di grandi gabbie di ferro, venendo ammirate dai commensali. «Questo posto è immenso.»
Deming si fermò a osservare le pareti verdi, riconoscendo la figura di Ai Lun seduta dietro un tavolo alto. La guancia appoggiata alle nocche, le labbra incurvate in un sorriso sornione e gli occhi attenti che guizzavano da un lato all'altro.
«Andiamo al terzo piano» sibilò Deming, che tutto voleva fuorché parlare con quella donna. Doveva trovare Meizhen, invece di perdersi in chiacchiere con Ai Lun. Tuttavia, fu la voce di quest'ultima a riecheggiare all'interno del padiglione, provocando l'irrigidimento dei due uomini.
«Ru Deming, Dan Baowei» li chiamò Ai Lun, per nome e cognome, così che non potessero fare finta di niente. Deming nascose dunque il fermaglio sotto la fascia della veste ramata, per poi voltarsi facendo cenno a Baowei di comportarsi normalmente.
Ai Lun, nel frattempo, si era sollevata dal suo seggio facendo loro cenno di raggiungerla in un movimento elegante della mano. «Su, venite, non mi piace ignorare dei vecchi amici. Accomodatevi, volete mangiare? Fra poco la tigre più grossa del padiglione si scontrerà con un leopardo. Sarà l'ultimo scontro della stagione, un evento imperdibile.»
«Amici?» le domandò Deming, senza sedersi, ma inchinandosi appena. «Non pensavo potessimo dirci così intimi. Ci siamo solo aiutati a vicenda, mesi fa.»
«E ci ho quasi perso la faccia» si affrettò a rimarcare Baowei, mentre Ai Lun sedeva, accarezzandosi il ventre appena più gonfio oltre l'elegante qipao. «Io e Deming siamo venuti qui per passare una piacevole serata, non abbiamo interesse nei grossi felini.»
Ai Lun rise, come se trovasse tutta quella situazione divertente. «Un vero peccato, i grossi felini sono una delle attrazioni principali del padiglione. Non posso nemmeno offrirvi da bere? L'ora di cena è passata da un pezzo, vorrei farvi degustare uno dei miei migliori vini.»
Deming tirò un lungo sospiro e, alla fine, decise di acconsentire alla sua richiesta, sedendo accanto alla donna. «Posso?»
«Certamente, guardia Ru» lo chiamò, facendogli una carezza sulla mano. «Ti hanno mai detto che sei dotato di un grande fascino? Scommetto che tutte le dame della Città Proibita fanno a gara pur di attirare la tua attenzione. Anche io ci avrei provato, peccato sia una donna sposata.»
«Anche io sono sposato» replicò con asprezza Deming, osservando una giovane ragazza versare in delle ciotole di porcellana dipinta del liquido aromatico, dal forte odore di litchi.
Ai Lun ridacchiò, mentre la tigre veniva liberata e condotta tramite un guinzaglio di catene strette verso la gabbia più ampia, entro cui lo attendeva un leopardo maculato. «Come se il matrimonio fosse un impiccio per voi uomini. Potete prendere tutte le donne che volete.»
«Non a tutte sta bene questa condizione» mormorò Baowei, doveva star ricordando di come Xun'er avesse tentato il suicidio, pur di non sposarlo. «Però, Ai Lun jiejie, tra te e Meizhen non vi è alcun risentimento. Vivete bene.»
«Solo perché io non amo mio marito» sibilò Ai Lun, ascoltando i ringhi dei due grossi felini, pronti a fronteggiarsi nella gabbia. «Zhen'er, invece, farebbe tutto per lui. È talmente accecata dall'amore, quella ragazza, da non riuscire nemmeno a vedere chi si nasconde dietro il principe Haoran.»
Dunque, Deming non aveva sbagliato nel giudicare il principe. Aveva sempre saputo che oltre quei sorrisi strafottenti e quegli occhi furbi si nascondesse un uomo pieno di ombre, capace di rovinare chiunque con l'ausilio di un solo tocco. «Vorrei che aprisse gli occhi» si lasciò sfuggire, senza nemmeno guardare il vino.
«Anche io. Zhen'er avrebbe potuto scegliere un marito migliore. Uno come te» gli riferì Ai Lun, accavallando le gambe e rivolgendogli un sorriso. «In ogni caso, la guerra contro gli Uiguri è giunta al termine e l'esercito è ormai da tempo in viaggio verso la capitale.»
Deming si morse le labbra, cercando di ricacciare in gola pensieri che lo avrebbero reso meno virtuoso. Aveva sperato che il principe Haoran perdesse la vita in battaglia, in tal modo lui e Meizhen avrebbero potuto ricominciare. Ma ricominciare cosa?
«Dov'è ora Meizhen?» le chiese Deming, ormai stufo di parlare. I pensieri stavano prendendo una forma che non gli piaceva, e non li avrebbe assecondati.
Ai Lun aggrottò le sopracciglia e si voltò a guardarlo, sfiorandogli la guancia con il copri unghia posto sul dito indice. «A palazzo An'chi, ovviamente.»
«Strano, perché la sua serva, Xun'er, mi ha riferito che non riesce più a trovarla. Dunque mi chiedevo se tu non sapessi qualcosa a riguardo» mormorò sottilmente Deming, curandosi di oscurare la reale versione dei fatti. Non voleva che Xun'er ci andasse di meno.
Ai Lun sembrò cambiare atteggiamento e posò entrambe le mani sui braccioli. «Oh, Meizhen mi farà morire di spavento» finse, subdola come un serpente. «Mi aveva detto, prima che mi recassi al padiglione, che sarebbe andata al tempio cittadino a rendere omaggio alla sua famiglia in segreto...»
«Non penso che oserebbe disobbedire agli ordini dell'imperatore» borbottò Deming, alzandosi dal suo seggio. «Se non sai dove si trova, dovrò cercarla in un altro luogo.»
Ai Lun sembrò rasserenarsi e sul suo viso comparve un sorriso radioso, che si spense nel momento in cui uno strillo irruppe dal soffitto spiovente. Nemmeno il ringhio degli animali che si davano battaglia riuscì a coprirlo, tanto che alcuni commensali sollevarono i loro sguardi, spaventati.
Deming avrebbe potuto riconoscere la voce di Meizhen fra mille, e sapeva che era stata lei a lanciare quel grido. Anzi, ne era assolutamente certo, per questo quando Ai Lun si alzò in piedi per richiamare i propri uomini e rassicurare gli ospiti, non credette a una sola delle parole che lasciarono la sua bocca. «Uno degli animali deve essere fuggito dalle gabbie. Non preoccupatevi, le guardie andranno subito a... Ru Deming!» lo chiamò la donna, ma Deming se la lasciò alle spalle. Corse direttamente verso le scale, seguito da Baowei, che, arrancando quasi, cercava di redarguirlo.
«Deming, Ai Lun ci sta facendo seguire dai suoi uomini» gli urlò, mentre raggiungevano il terzo piano. Deming non si lasciò scoraggiare. Le urla continuavano risuonare imperterrite da oltre le parenti, come se, nascosta fra le mura, ci fosse una galleria capace di condurre a una nuova sala.
«Deming!» lo chiamò Baowei, sferrando un calcio a un tavolo imbandito di porcellane e tazze da tè. Il suono dei cocci allarmò la clientela, che lasciò i propri tavoli rovesciandoli al suolo. Un trambusto immane di porcellane e vetro si elevò nella stanza ottagonale, rallentando gli uomini di Ai Lun.
Deming ne approfittò, dirigendosi oltre le colonne e trovando un pesante tendaggio di broccato che pareva occultare una sala circolare, difesa da due guardie già agitate dal trambusto.
Il giovane non perse tempo e mostrò loro il fermaglio diancui, sventolandolo come una bandiera di fronte ai loro occhi. «Fatemi passare, per ordine della capo setta.» Asserì, osservando il dubbio contrarre i lineamenti degli uomini, che si scostarono ugualmente, lasciandogli il via libera. Deming afferrò allora il tendaggio e lo strappò dagli infissi, rivelando l'accesso a una galleria da cui provenivano le grida di Meizhen. Fu solo un attimo, poi un pugnale lo ferì sulla guancia, aprendo un taglio e facendo sì che un rivolo di sangue scivolasse lungo la gota, come a mimare una lacrima.
«Catturate quell'uomo!»
**
Meizhen non si era risvegliata, non lo aveva fatto davvero. Distesa su pavimento freddo, con due aghi conficcati ai lati del collo, urlava, in attesa che qualcuno fosse abbastanza accorto da venire a salvarla, perché da sola non poteva alzarsi. I suoi nervi erano atrofizzati, gli arti formicolavano e davanti ai suoi occhi vagavano delle ombre. Una moltitudine di ombre dai contorni familiari e dalle voci melliflue.
Doveva essere colpa dell'incenso, quel maledetto incenso che Ai Lun aveva fatto accendere nella sua stanza, all'aroma di mandragora, era penetrato con forza nelle sue narici e le aveva dato alla testa fino a renderle difficoltoso capire dove cominciava la verità e dove terminava la finzione.
Meizhen provò a urlare di nuovo, quando un raggio di luce la accecò. Un raggio di luce troppo forte, seguito da un paio di dita affusolate che si posarono sulle sue guance. Meizhen sbatté le palpebre, prima di sgranarle.
«Eryue...» mormorò, con un filo di voce in gola.
La sorella sostava sopra di lei, coi capelli acconciati sopra il capo e ornati di perle. Il viso era radioso, come lo era stato durante la sua gravidanza, e il qipao color indaco che le avvolgeva le membra profumava di casa. «Meizhen.»
La giovane avrebbe potuto piangere, ma non riusciva. Aveva il sospetto, anzi, era consapevole che la figura di Eryue non fosse altro che un'illusione provocata dalla mandragora, ma voleva godersela. «Mi manchi, meimei. Mi manchi molto.»
Eryue le sorrise, accarezzandole le ciocche disperse intorno al viso. «Lo so, anche tu manchi molto a me.» Le disse, avvicinandosi per abbracciarla, e posare la guancia sulla sua spalla. «Non salvare il principe Haoran, jiejie. Non salvarlo.»
Meizhen di fronte quelle parole sentì mille pesi crollare sulle braccia distese al suolo. Avrebbe voluto singhiozzare, ma non riuscì, perché in quell'istante il calore provocato dal ricordo della sorella scomparve e la voce di Deming le rimbombò nelle orecchie come un fulmine a ciel sereno.
«Meizhen!» urlò il giovane, strappandole gli aghi dal collo e stringendola fra le braccia. Meizhen agì di impulso e posò una mano dietro la sua nuca, lasciando che lui la sollevasse. Non riusciva a comprendere cosa stesse accadendo, ma Deming puzzava di sangue e anche Baowei, accanto a lui, era malconcio.
«Li hai rallentati?» chiese Deming, al suo amico, accendendo a una scalinata nascosta dietro un paravento. Meizhen si aggrappò al suo petto, riprendendo pian piano possesso dei propri arti.
Baowei urlava sconvolto dietro di loro, seguendoli in discesa. «Ci stanno alle calcagna, Deming. Dobbiamo uscire da questo maledetto labirinto!»
Meizhen non sentì più nulla, se non l'impatto provocato dai calci che Deming sferrava alle porte fasciate di carta e sostenute da legna dipinta. Quando il fresco della sera li avvolse, Meizhen capì di essere fuori dal padiglione della Neve Purpurea, per questo socchiuse gli occhi e li sollevò verso Deming, per accertarsi che fosse davvero lui.
«Baowei!» urlò Deming, introducendosi fra i vicoli di Pechino. «Disperdiamoci! Tu corri ad avvisare i responsabili dello Stendardo Verde. Io porto Meizhen al sicuro!»
Baowei non se lo lasciò ripetere due volte e fuggì per evitare che alcune frecce si conficcassero sulla sua schiena. Meizhen, invece, dovette avvolgere anche l'altra mano al collo di Deming pur di non cadere. Si sentiva ancora debole, la sensazione di dover rimettere le brulicava in gola, ma non riuscì a dire niente. Osservò solo le strade che le si paravano davanti e gli abitanti di Pechino che li guardavano sconvolti, chiedendosi che cosa ci facesse una ragazza mezza morta fra le braccia di un giovane trafelato. Tuttavia, nessuno osò fare loro domande.
Solo quando Deming entrò nel cortile dell'ormai abbandonata dimora Fu, Meizhen sentì di poter respirare. L'uomo la adagiò al suolo e chiuse le porte d'entrata, poi la riprese in braccio e la condusse dentro la casa in cui Meizhen aveva vissuto per ventiquattro anni.
«Su riprenditi» mormorò Deming, scortandola nel salone e adagiandola su delle stuoie impregnate ancora del profumo della terza signora, la madre di A'luo. Quella donna era sempre stata solita a intingere le proprie dita nell'olio di camelia, per far in modo che la sua pelle odorasse di buono.
Meizhen socchiuse gli occhi e posò lo sguardo sul viso di Deming, pallido e imbrattato di sangue. Era ironico che l'avesse portata proprio lui in quel luogo. Lui, che con le sue parole aveva sancito la morte della famiglia Fu. «Deming...»
Lui tirò un sospiro di sollievo, che sembrò riecheggiare in quel salone oscuro, dove non brillava nemmeno una candela. Il tavolo era ancora intatto, le pareti usurate dal tempo. Le finestre apparivano diroccate e il soffio spettrale del vento sembrava suggerire ai visitatori che, in quella casa, viveva solo il ricordo della morte.
«Fai piano» si raccomandò Deming, sedendosi dietro di lei, per permetterle di posare la schiena sul proprio petto. Meizhen accolse il suo aiuto, respirando quel profumo che le portò alla mente più di mille ricordi. «Mi dispiace essere arrivato tardi. Non avevo idea che quella donna ti avesse inibito gli arti tramite l'ago puntura.»
Meizhen gli prese la mano e conficcò le unghie sulla sua pelle, senza violenza. Voleva solo alzarsi, farsi forza. «Perché sei venuto a salvarmi? Dopo tutto quello che è successo fra di noi... Dopo tutto l'odio che hai provato nei miei confronti e in quelli della mia famiglia...»
Deming sospirò, come se fosse difficile, per lui, affrontare quell'argomento. «Ne avevamo già parlato quella sera, al giardino Yueshiluo. Mi sono pentito, Meizhen. Se potessi tornare indietro, cambierei ogni cosa. Ogni singola cosa.»
Meizhen smise di graffiare la pelle di Deming e lui fece sì che le loro dita si intrecciassero, mentre con l'altra mano le carezzava i capelli abbandonati lungo la schiena. «Ogni singola cosa...» ripeté Meizhen, sentendosi a disagio e al contempo ristorata da quella presa di consapevolezza. «Ho sbagliato anche io, Deming, ma non avrei fatto del male alla tua famiglia... Non avrei osato.»
Deming annuì, appoggiando il mento alla sua fronte. «Non so come fare ammenda, se non tramite questi gesti, Zhen'er. Preferisco rischiare la mia vita per la tua felicità, piuttosto che restare immobile a guardarti soccombere.»
Meizhen si chiese quanto valesse una vita vissuta nel rancore anziché una vissuta nel perdono. Avrebbe potuto stringere la mano di Deming e perdonargli ogni malefatta, ma il dolore che la donna portava dentro di sé era troppo grande, troppo arduo, da poter sopportare. «Sei stato punito. Il figlio che Yifan portava in grembo è morto, e so che non ne ha avuti altri...»
«Più passa il tempo, più penso a quanto il matrimonio con Yifan sia stato un errore. Avrei dovuto darti ascolto, avrei dovuto rinunciare all'opportunità di far parte dei Dinggiri Hala e amare solo te» ammise Deming, in preda a chissà quale sfogo, a quale delirio. Meizhen sentì le lacrime salire gli occhi, ma le trattenne, continuando ad ascoltarlo. «Hai mai pensato... A come avremmo potuto vivere, se fossimo rimasti insieme?»
Meizhen strinse la mano sinistra in grembo, dove il figlio di suo marito cresceva. Un marito che non la amava, preferendo restare fedele a un legame fantasma. «Sì, ci ho pensato, ma io e te non eravamo destinati, Deming.»
«Tu non eri nemmeno destinata al principe Haoran» sbottò Deming, circondandole le spalle con un braccio. Meizhen si sentì soffocare e si voltò a guardarlo, notando una lacrima solcare la sua guancia. «Sei felice con lui? Ti ama, forse? E tu lo ami?»
Meizhen smise di guardare il giovane, ma lui le prese il mento fra le dita, costringendola a sollevare gli occhi. La giovane dovette forzarsi pur di non perdere la pazienza e mantenere compostezza. «Sì, io lo amo, anche se lui non prova lo stesso per me.»
Di fronte quelle parole, Deming lasciò ricadere le dita lontano dal suo viso, ma non demorse, continuando con le domande. «E nei miei confronti, provi ancora odio?»
Meizhen si morse la lingua, avrebbe solo voluto avere la forza di allontanarsi, di spingerlo via per fuggire da quella casa in cui risuonavano ancora risate spezzate. «Io ti odio, Deming, e non posso perdonarti per ciò che mi hai fatto, e per ciò che hai fatto alla mia famiglia. Eppure...»
«Eppure?» le domandò Deming, pronto ad attaccarsi a qualsiasi appiglio, anche il più effimero, pur di contare ancora qualcosa per lei.
Meizhen si irrigidì, sentendo le labbra di Deming sfiorare le proprie. Le gambe ancora non rispondevano. «Eppure, ti sono grata per aver salvato me e mio figlio. Non so come avrei fatto se non ci fossi stato, pronto ad immolarti come in passato...»
Il passato. Quanto sarebbe stato bello tornare nel passato, vivere come si erano prefissati, senza mai più sbagliare Invece, la pressione delle labbra di Deming invase la bocca di Meizhen, rendendola gelida.
La giovane faticò a rendersi conto della realtà, quasi stentò a riconoscere i movimenti familiari di quelle labbra che aveva già avuto modo di assaporare alla Città Proibita, più e più volte, senza mai smettere. Meizhen non si discostò all'inizio, solo quando sentì la presenza della lingua di Deming nella propria bocca capì che, se avesse messo da parte l'amore nei confronti di Wentian per inseguire un'infatuazione che l'aveva fatta soffrire, lo avrebbe rimpianto per sempre.
Meizhen sollevò una mano sul viso di Deming, cercando di allontanare le sue labbra dalle proprie. Lui si distaccò, solo per un attimo, le prese la mano per accarezzarle le nocche. «Perdonami, te lo chiedo in ginocchio.»
«Non voglio il tuo perdono, ciò che voglio non potrai mai ridarmelo» mugugnò Meizhen, mettendosi in piedi con le gambe tremolanti. Un conato di vomito la sorprese, facendola arrancare verso il tavolo. La giovane si aggrappò al legno e, in un attimo, Deming le fu accanto. La strinse fra le braccia, mentre le porte della dimora Fu venivano spalancate e la figura di Ai Lun appariva sulla soglia.
Non era sola, no. Come in un incubo, un terribile incubo, accanto a lei vi era Wentian, che quando la vide in quelle condizioni, fra le braccia di Deming, strinse i pugni pallidi, scarnificati, ascoltando le parole velenose che provenivano dalla bocca della ce'fujin. «Adesso mi credi, Wentian? Deming l'ha rapita per stuprarla, le ha fatto del male. Deve essere ucciso subito.»
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Che storia ragazzi XD, Ai Lun sta sfruttando tutte le sue carte pur di avere salva la vita. E' persino giunta al punto di mettere a repentaglio Meizhen, quella poveretta XD ormai lo dico a ogni capitolo, ma davvero, le ci vuole una bella vacanza.
Speriamo che nel prossimo capitolo le cose andranno meglio. (Certo XD)
Noi ci vediamo martedì con un nuovo capitolo! Lasciatemi un commento e una stellina per spronarmi, a presto!
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