Capitolo Quarantacinquesimo

Meizhen posò una mano sulla fronte quando si svegliò, intontita. I fumi dell'oppio sembravano essersi attaccati alle pareti, alle lenzuola, allo spirito di Ai Lun che ancora vagava in quella stanza. La donna aveva chiamato aiuto attraverso canzoni che Meizhen si era premurata di ignorare, fino allo sfinimento.

Chi lo avrebbe mai detto che, un giorno, avrebbe fatto la sua stessa fine? Prigioniera del suo stesso marito. Dell'uomo che aveva amato, e che amava ancora, contro ogni logica.

Meizhen si mise a sedere e portò le mani all'acconciatura triangolare, strappando via i fermagli e il sostegno di legno. Ne aveva abbastanza di sentire la nuca dolere, tirare a causa di una bellezza che non le serviva, perché rinchiusa in quel luogo nulla aveva senso. Nemmeno un bel viso.

Quando le prime grida provennero dall'esterno, Meizhen si alzò in piedi, camminando verso la finestra chiusa. Le serrande erano state incollate alle pareti, per evitare che la luce del sole inondasse la camera, ma Meizhen non aveva bisogno di vedere per sapere cosa stesse accadendo.

«L'harem sta bruciando!» urlò un eunuco, cercando aiuto da parte dei servitori di palazzo An'chi. «La setta del Loto Bianco è riuscita a invadere il palazzo! Stanno portando scompiglio!»

Meizhen strinse le mani sulle serrande, voltandosi verso la porta. Sentiva la pressione del sigillo che Ai Lun le aveva donato contro il petto, pareva quasi chiederle di essere usato, ma come poteva farlo essendo rinchiusa in quel luogo?

La donna si diresse verso le ante e provò ad aprirle. Queste, però, erano state serrate con un lucchetto dall'esterno. Non c'era modo di fuggire, e se prima aveva accettato il suo destino senza fiatare, tramortita dal peso della morte, ora non poteva restare in silenzio.

Sapeva che non appena i membri della Bailian Jiao avessero scoperto il cadavere di Ai Lun, nascosto sotto un velo in una delle camere adiacenti, si sarebbero rivoltati contro il principe.

«Furen» la chiamò Xun'er, la sua fedele compagna, fuori dalle porte. Oltre di esse provenivano i mugolii di Longfeng, che dava vita alle sue piccole frasi sconnesse. «Furen, siete sveglia?!»

«Sì, sì lo sono» ansimò Meizhen, stringendo le mani sui pomelli. «Xun'er, devi farmi uscire da qui. Io posso fermare tutto questo, e devo...»

Il suono delle porte sfondate irruppe nella sala da giorno e fece sobbalzare Xun'er, che infilò una chiave nel lucchetto della serratura. Doveva essersi organizzata prima di venirla a cercare, attenta come sempre. «Furen voi sapevate che sarebbe accaduta una cosa simile e mi avete tenuto all'oscuro. Se solo avessi saputo...»

Meizhen aprì le porte non appena il lucchetto cadde a terra, avanzando nel corridoio un attimo prima che Xun'er si trovasse davanti a tre membri del Loto Bianco. Gli artisti marziali si divisero, aprendo le sale e gettando delle fiaccole al loro interno. A quanto pareva, non avevano mai parteggiato per Wentian, anzi, lo avevano usato per accedere senza problemi nella residenza imperiale.

«Stanno dando fuoco al palazzo!» urlò Xun'er, indietreggiando quando le porte di carta vennero invase dalle fiamme. Longfeng scoppiò a piangere e Meizhen si affrettò a prenderlo in braccio, per poi correre insieme a Xun'er in direzione della porta secondaria della struttura. «Furen, dove mi state portando?!»

«Fuori di qui!» le rispose Meizhen, spingendo Xun'er sull'erba e seguendola, prima che una freccia le ferisse un fianco. «Corri verso la caserma delle guardie, dobbiamo trovare Baowei!»

Xun'er annuì e si privò della scarpe, Meizhen la imitò, scalciando le calzature nel giardino, per poi correre con lei fuori da palazzo An'chi. La luna a spicchio illuminava un cielo trapunto di stelle, mentre un via vai di servi agitati animava i corridoi della Città Proibita.

C'erano già dei cadaveri per terra, i pavimenti bianchi erano macchiati di sangue. I membri del Loto Bianco uccidevano coloro che portavano segni di riconoscimento mancesi sulla divisa, piume di pavone per gli uomini e rose di seta per le donne, lasciando in vita soltanto gli Han.

«Furen!» la chiamò Xun'er, afferrandole le spalle per adagiarsi con lei contro la parete, mentre degli uomini a cavallo attraversavano in fretta i corridoi di palazzo, scagliando frecce a destra e a manca, indipendentemente da chi si trovassero davanti. «Come possono essere entrati degli invasori tanto facilmente nella Città Proibita?!»

Meizhen cullò il figlio affinché si calmasse, stringendolo con forza fra le braccia. «Qualcuno li ha fatto entrare dall'interno.»

«Ma chi sarebbe tanto crudele...»

«Mio marito» asserì Meizhen, prendendo concezione di quelle parole. Wentian aveva agito a dispetto di ogni conseguenza, senza tener conto della realtà. Sangue mancese scorreva nelle sue vene, e i membri del Loto Bianco erano tutti Han. Non avrebbero mai seguito davvero i suoi ordini, non senza il benestare di Ai Lun. «Andiamo, prima che quelle frecce colpiscano noi!»

Xun'er annuì e, stringendo la mano nella sua, corse verso l'ormai vicina caserma delle guardie, oltrepassò la porta rossa e si guardò intorno, notando un gruppo di soldati lottare contro gli insorti del Loto Bianco. Baowei era fra questi, si faceva strada tagliando con fendenti decisi le gole dei suoi avversari, senza mostrare alcuna pietà.

«Baowei!» urlò Meizhen, voltandosi nell'istante in Xun'er venne agguantata da una donna che cercò di ficcarle un pugnale sulla spalla. La giovane reagì di istinto e si lanciò contro l'artista marziale, colpendola con la schiena, così da non gravare sul figlio.

In un attimo, lei e Xun'er vennero accerchiate, ma Baowei urlò ai suoi compagni di dirigersi verso di loro per proteggerle. Le guardie di palazzo si spostarono in massa, confrontandosi con i membri della Bailian Jiao, finché laghi di sangue non si formarono sotto i piedi delle due donne.

«Baowei!» lo chiamò di nuovo Meizhen, agguantandolo per costringerlo a voltarsi. «Dove sono i tuoi compagni? Siete a malapena cinquanta!»

Il giovane sollevò il viso, indicandole col mento i palazzi dell'harem, in fiamme. «Sono andati a dare una mano a spegnere il fuoco, ma temo sia stato solo un diversivo quello di appiccare l'incendio. Gli invasori vogliono tenerci occupati, e non possiamo muoverci senza il nostro capitano.»

Meizhen estrasse allora il sigillo dell'imperatore dalla manica, mostrandola a Baowei e ai suoi compagni, che la guardarono stralunati. «Ora sono io il vostro capitano, e mi seguirete tutti nella sala dei banchetti. Adesso.»

«Come fai a essere in possesso del sigillo imperiale?» le domandò Baowei, stringendo la mano sull'impugnatura della spada, gocciolante di sangue.

Meizhen sbuffò nervosamente. «Non è questo il momento delle spiegazioni. Limitatevi a seguire i miei ordini, e libereremo il palazzo dall'avvento di questi assassini.»

«Perché dovremmo fidarci di te?» gli domandò un ragazzo che portava la piuma di pavone sopra il cappello a falde larghe. «Sei la moglie del principe Haoran, corre voce che sia stato lui a lasciare entrare i membri della Bailian Jiao a palazzo.»

«Hai detto bene, sono la moglie del principe Haoran, ma non sono il principe Haoran. Se volete salvarvi, fidatevi di me e aiutatemi a raggruppare le guardie. Sconfiggeremo i membri del Loto Bianco questa notte, ma solo se saremo uniti» deglutì Meizhen, posando una mano sulla testolina del figlio, ancora in lacrime.

Baowei cercò lo sguardo di Xun'er, che annuì con il capo, dandogli la forza di farsi avanti per primo. «Facciamo ciò che dice. Fuca Fuheng non verrà ad aiutarci, e noi non abbiamo niente da perdere, se non le nostre vite. Ci ribelleremo solo se capiremo di essere manovrati a favore del principe Haoran.

Gli uomini annuirono, ma Meizhen si fece avanti, decisa a mettere in chiaro la sua posizione prima che fosse troppo tardi. «Voi mi aiuterete a salvare il palazzo, ma non ucciderete mio marito. Lui deve restare vivo.»

«Ma certo» la derise il giovane mancese, infilando la spada nel fodero. «Sarà premura dell'imperatore lasciarlo penzolare da una forca, alla fine di questo giorno.»

Meizhen fece per replicare, ma Baowei posò una mano sulla sua spalla, scuotendo il capo. Lei capì, annuendo per non lasciarsi scappare neanche un'imprecazione. Quello a cui era scesa non era altro che un compromesso che avrebbe dovuto sopportare, per il bene del grande Qing.

🥀🥀🥀

Quando la spada penetrò sotto la seta, Wentian dovette trattenersi pur di non esplodere in un gemito di dolore. L'imperatore lo aveva colpito alla spalla, e non si era fermato, preferendo sollevare il ginocchio per sferrargli un colpo violento anche all'addome ferito.

«Visto che quella sporca Han ti manca tanto, oggi ti permetterò di incontrarla» lo provocò l'imperatore, gettandolo al suolo ed estraendo la spada. «Quando sarai morto, non avrai nemmeno diritto a un degno funerale.»

Wentian sorrise nonostante il dolore e si alzò di scatto, mentre il sangue scivolava lungo le vesti, impregnandole da cima a fondo. Con la spada alla mano, il principe tracciò una linea diagonale sul petto dell'imperatore, creando un taglio netto sulla carne. «Non sei troppo sicuro di te stesso, Hongli?» lo chiamò Wentian, com'era stato solito a farlo durante l'infanzia, prima che assumesse il nome di Qianlong.

Di fronte quella mancanza di rispetto, l'imperatore lasciò strisciare la spada contro la sua. Il tocco fra i due metalli generò una scintilla, che Wentian si affrettò a spegnere colpendo il fratello con un pugno sulle labbra, già macchiate di sangue. «Non sarò io quello a morire.»

«Sei troppo sicuro di te» mormorò Qianlong, fra le urla delle sue concubine e le imprecazioni dei ministri, che stavano cercando di fermare i membri della Bailian Jiao senza riuscirci. «E questo è sempre stato un difetto. È il motivo per cui nostro padre non ti ha scelto come imperatore.»

«Pensi di poter parlare per lui?» sibilò Wentian, posando la lama sul petto del fratello. «Il principe ereditario era già stato designato, ma tu gli hai sottratto il ruolo grazie all'influenza della consorte Niohuru. Non è merito tuo se hai ottenuto la corona, ma di tua madre.»

«Ma come osi...» mormorò l'imperatore, un attimo prima che un suono dei passi concitati invadesse la Sala della Superba Abbondanza. Wentian si voltò, notando con orrore la restante parte delle guardie di palazzo sguainare le spade e assalire i membri del Loto Bianco, guidati da Meizhen.

Sua moglie era lì, in piedi sulla soglia della porta, con il sigillo imperiale stretto nella mano sinistra. Fra la rabbia e la confusione, Wentian aveva scordato di chiederglielo indietro, commettendo un terribile errore. Eppure, un tradimento da parte della donna a cui aveva salvato la vita tempo addietro, non se lo sarebbe mai aspettato.

«Zhen'er» la chiamò, puntando ancora la spada al petto del fratello. Un solo movimento e lo avrebbe ucciso. Non era uno stupido, da lasciarsi sfuggire quell'occasione, sebbene un'onda di sensi di colpa e tristezza lo avesse travolto.

«Wentian» gli rispose lei, stringendo Longfeng sul braccio destro. Il bambino aveva gli occhi pieni di terrore, eppure, quando lo vide, sollevò un braccio verso di lui, dando dimostrazione di riconoscerlo. «Per favore, ferma tutto questo e chiedi perdono all'imperatore.»

Il principe Haoran sbuffò una risata mesta, voltandosi a guardare il svorano, incredulo di fronte a quella scena tanto inaspettata quanto salvifica. «L'imperatore non mi perdonerà mai. Ciò che ho fatto lo ha offeso profondamente. Se dovessi arrendermi, mi aspetterebbe solo la morte.»

Qianlong fece per replicare, ma Wentian lo colpì dietro il collo con il pomo della spada, facendolo crollare in un sonno profondo. L'imperatrice vedova urlò e corse ad afferrare il figlio fra le braccia, mentre Wentian si allontanava, avviandosi verso la moglie, per guardarla dritta negli occhi. «Vattene via, Meizhen. Il nostro legame non esiste più.»

«No, non è vero» replicò Meizhen, allungando una mano verso la sua. «Io e te possiamo essere ancora quelli di una volta. Possiamo essere una famiglia. Scegli di fuggire adesso, rinuncia alla tua vendetta, perché non ti restituirà Diaochan.»

Wentian abbassò lo sguardo e incrociò gli occhi neri del piccolo, arrossati per via delle lacrime. Anche Longfeng aveva pagato per le sue azioni, e ciò riusciva a scalfirlo. Suo figlio non avrebbe dovuto risentire di tutto quel dolore, e invece era accaduto. «Mi dispiace, non posso fermarmi. La setta del Loto Bianco ha ormai...»

«La setta ha bruciato il nostro palazzo, Wentian. Non sono dalla tua parte!» esclamò Meizhen, a denti stretti, così che gli adepti non la sentissero. Anche i suoi occhi erano lucidi, proprio come quelli del figlio, i capelli neri si sollevavano al soffio del vento che penetrava dalle porte aperte. «Ti uccideranno non appena avrai fatto fuori l'imperatore!»

Il principe indietreggiò, sentendo la testa dolere e il cuore battere più forte. Gli effetti del veleno si stavano ripresentando, come accadeva a intervalli irregolari già da parecchio tempo. «No, non è possibile. Loro non sanno che cosa è accaduto ad Ai Lun.»

«Loro non si fidano di te perché sei un mancese» sibilò Meizhen, lasciando la presa sulla sua mano per posare una mano sulla spalla insanguinata. «Ma tu... tu stai sanguinando? Non c'è tempo. Vieni via con me prima di diventare il bersaglio di questa rivolta! Non ho intenzione di vederti morire!»

Wentian sentì il tono della moglie farsi disperato, e solo allora gli parve di comprendere l'errore commesso. Meizhen lo aveva a cuore, come aveva avuto a cuore Ai Lun e Deming, per questo aveva scelto di risparmiarli. Li aveva perdonati, nonostante tutti i loro sbagli, perché era nobile nello spirito.

Era più nobile di qualsiasi altro mancese.

«Meizhen...» la chiamò, sentendo la vista appannarsi e il volto di sua moglie sfocare dinnanzi i propri occhi. «Mi dispiace, per tutto il male che ti ho fatto. Solo... non capivo.»

Lei gli cinse i fianchi con un braccio quando lo vide barcollare, mascherando un singhiozzo dietro le parole. «Parleremo dopo di  questo. Per favore, scappa. Fallo per me, per tuo figlio e per quello che arriverà. Io ho bisogno di te.»

«Di me?» mormorò Wentian, lasciando la presa sulla spada, che si infranse al suolo in un clangore metallico. «Hai davvero bisogno di me? Non mi odi dopo quello che è accaduto?»

La donna scosse la testa, tirando in su con il naso, mentre la vista di Wentian si faceva di nuovo nitida. Ora riusciva a osservare i lineamenti delicati del volto di Meizhen, le lacrime che scorrevano sul suo volto pallido e le sue labbra rosee che si incurvavano verso l'alto, in un sorriso capace di farlo sentire in pace. «Non posso odiare l'uomo che mi ha sempre salvata. Anche quando sembrava impossibile.»

Wentian afferrò la sua mano e la strinse nella propria, ma un guizzo nero attirò la sua attenzione. Un uomo aveva lanciato un pugnale verso la schiena di Meizhen, e lui non poteva permettere che sua moglie si ferisse. Così la afferrò per i fianchi e invertì le posizioni, sentendo la punta della lama ficcarsi dietro la schiena, all'altezza delle scapole.

«Wentian!» urlò Meizhen, venendo attirata lontano da Xun'er, un attimo prima che un altro uomo affondasse la spada nel petto del principe, facendogli tossire un grumo di sangue al suolo. In un attimo, tutto si fece oscuro e Wentian cadde sul pavimento, sentendo le urla della moglie e il pianto del figlio riecheggiare nella testa.

🥀🥀🥀

Meizhen lanciò un urlo che riecheggiò in tutta la Sala della Superba Abbondanza quando vide il marito cadere al suolo, in un bagno di sangue. Senza pensarci due volte, affidò Longfeng alle braccia di Xun'er e si avventò contro l'uomo che aveva ferito Wentian, spintonandolo al suolo e colpendolo con un calcio, come se così facendo avrebbe potuto sfogare una disperazione che era accresciuta, fino a diventare rabbia.

«Meizhen...» la chiamò Wentian, mentre alcuni rivoli di sangue scivolavano dalla sua bocca. Allungò una mano e si aggrappò alle sue gonne, destando a malapena la sua attenzione. «Zhen'er, vieni qui.»

Meizhen crollò inerme sulle ginocchia e lo prese fra le braccia, perdendosi in dei singhiozzi che non l'avrebbero mai più abbandonata. «Per favore non lasciarmi...» gli sussurrò, posando la fronte sulla sua, mentre lui, incapace di parlare, chiudeva gli occhi a mandorla dando aditi a dei respiri affaticati, flebili. «Wentian, per favore, ascoltami.»

Lui non rispondeva, si limitava a respirare, mentre alcuni medici entravano nella sala dei banchetti, per prendersi cura delle concubine rimaste ferite. I membri del Loto Bianco erano stati decimati dalle guardie di palazzo e gli incendi sembravano essere stati spenti, il peggio era passato, ma non per Meizhen. Non per lei.

«Gu niang» la chiamò Yentan, il medico che si era occupato di lei fin dal suo arrivo alla Città Proibita. Nel vedere il principe versare in quello stato, si inginocchiò, sfilandolo dalle sue braccia per sbottonare l'abito da cerimonia che gli ricopriva le membra.

«Salvatelo, per favore. Non lasciate morire mio marito» mormorò Meizhen, sentendo le lacrime offuscarle la vista e il cuore battere sempre più forte, in preda a degli spasmi che non riusciva a calmare, né a controllare.

Il medico riuscì ad aprire la veste superiore e afferrò l'impugnatura della lama corta, poi, con estrema delicatezza, estrasse la punta dalla pelle. «Calmatevi, gu niang. Il principe Haoran sopravviverà. Vedete, la lama non è penetrata del tutto sotto la pelle. Solo l'estremità ha scalfito la superficie cutanea, ma non è riuscita a raggiungere il cuore. L'assassino deve essersi lasciato trarre in inganno dalla veste da cerimonia del principe, che è molto larga. Il pugnale l'ha attraversata facilmente e la lama è rimasta nascosta del tutto sotto di essa.»

Di fronte quelle parole, Meizhen inspirò profondamente, adagiando le mani sulla pozza di sangue che si era creata sotto la schiena di suo marito. «Allora perché sanguina in questo modo? Lui è davvero fuori pericolo? Non mentitemi.»

Yentan scosse il capo, indicandole le ferite riportate dall'uomo. «Sua altezza è stato colpito più volte durante la battaglia, ma lo salverò. Voi dovrete solo fuggire prima che l'imperatore riprenda conoscenza.»

Meizhen si voltò verso il sovrano, che era stato caricato su di una lettiga e trasportato in tutta fretta nel proprio palazzo, per essere visitato dai migliori medici. Con lui erano scomparse anche l'imperatrice Ula Nara e l'imperatrice vedova, le uniche che avrebbero potuto ordinare la loro incarcerazione.

Forse c'era davvero speranza di scappare.

«Agite in fretta, dàren. Non posso perdere anche lui» mormorò Meizhen, stringendo la mano del marito ormai caduto in sonno profondo, da cui si sarebbe presto risvegliato.

Avrebbe dovuto farlo, perché Meizhen non sarebbe stata capace di vivere senza di lui.

🥀🥀🥀

A seguire l'epilogo. Ci vediamo lì per le considerazioni finali, però vi sprono comunque a votare e a commentare questa parte, così da discutere qui degli eventi che si sono succeduti fino a ora. Io vi aspetto alla fine!

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