Tra crocchette di aragosta e vino bianco

Consiglio: No Running From Me – Toulouse

~ • ~

"I'm not a saint
Nor am I one for smooth edges
When I'm around
Calamity comes out to play"




«Oh

Millie aveva spalancato gli occhi a quella richiesta così improvvisa, ne era rimasta talmente sorpresa da lasciare che qualche secondo di silenzio di troppo si sedimentasse in quel frangente di imbarazzo, a seguito di quelle parole che rimasero sospese, in attesa di una risposta.

«Veramente io, beh...»

La ragazza congiunse le dita in modo spigoloso, cercando di apparire rilassata mentre la mente le si tendeva, si dimenava nel guazzabuglio di pensieri sconnessi alla ricerca di quello che potesse sembrare più convincente– la scusa più plausibile.

«Io...»

«Lei stava andando via, mamma.»

Furono le parole decise che risuonarono alle loro spalle; le donne si voltarono entrambe verso quella figura prestante e slanciata, ancora ferma al centro dell'entrata.

Finn Wolfhard si mosse in avanti, con passi lenti e misurati, senza fretta; un sorriso tirato sul viso, le raggiunse in poche falcate.

«Mi dispiace, mamma. La ragazzin– uhm, Millie... era salita solo per cambiarsi.» si corresse velocemente.

Gli occhi caramellati di Millie scattarono sul suo viso nel momento in cui lo sentì pronunciare il suo nome.
E lì si fermarono, su quelle labbra che lo avevano modulato, che lo avevano appena respirato fuori in un modo che la ragazza non seppe descrivere, ma che... le piacque.

E si maledisse, la piccola Brown, per aver trovato sintonia nel suo nome con quelle labbra; le stesse che non avevano fatto altro che offenderla da quando l'avevano conosciuta.

Finn Wolfhard dovette sentire il peso dello sguardo della ragazza su di lui, perché i suoi occhi immediatamente scattarono su di lei; un'espressione consapevole gli si dipinse sul volto.

Perché lui non sbagliava mai, non c'era mai niente che non capisse, e la gente non riusciva a farne a meno, lui lo sapeva.

La gente non riusciva a fare a meno di guardarlo esattamente come quella ragazzina stava facendo in quel momento, pur se contro la sua volontà.

Ed era vero, Millie si era un'altra volta persa tra i tratti di quel viso etereo; tra quei lineamenti fieri, era appena annegata in quelle pozze di petrolio che ora la soffocavano, facendole mancare il respiro.

«Vero, Millie?» fu il soffio elusivo che lasciò le labbra del ragazzo.

«Io... . Sì, vero.» sussurrò lei, cercando di riprendere fiato, strappandosi via dalla morsa di quello sguardo affilato.

«Oh, che peccato.» esclamò con tono dispiaciuto Claire, i cui occhi adesso scivolarono sulla t-shirt di Millie, e notarono finalmente il lungo strappo di stoffa che le penzolava su un fianco, lasciando scoperta la
pelle nuda della ragazza.

«Ma come hai fatto cara? Mio Dio, non ti sarai fatta male, spero!»

Millie stava per aprir bocca, ma qualcuno parlò al posto suo.

«Oh, non preoccuparti mamma. Non è nulla, Millie è soltanto una persona molto... sbadata

Le labbra di Finn si storsero verso un angolo della bocca, regalando alla faccia di Millie, adesso paonazza dalla rabbia, un malizioso sorriso sghembo.

Millie rivolse al giovane uno sguardo madido d'astio: «Io non sono affatto– »

«Claire, tesoro, dove sei?» fu la voce maschile che proruppe dal corridoio.

Nuovi passi, più pesanti e più veloci, le cui suole si sentivano calcare il pavimento, adesso erano sempre più vicini.

«Sono qui Jonathan! È arrivato Finn!» esclamò in risposta Mrs. Wolfhard, il tono della voce più alto per farsi sentire.

Un uomo alto e slanciato fece la sua comparsa nell'androne dell'entrata.

«Figliolo, sei arrivat– Oh.» fu l'esclamazione di sorpresa dell'uomo nel momento in cui i suoi occhi si posarono sulla piccola figura, ancora accanto a quella della moglie.

L'uomo sorrise nella direzione di Millie e i suoi grandi occhi neri si addolcirono, pervasero la ragazza di un calore borioso, rilassato.

E mentre l'uomo le si avvicinava a passo certo, notò comunque qualche discordanza, qualcosa che strideva con il portamento del figlio.

E poi capì perché: l'uomo si muoveva elegantemente, ma i suoi movimenti erano... morbidi. Nulla c'era in lui di quella rigidità austera, quella perfezione meticolosa, quasi ossessiva del corpo, che invece era emblematica di Finn.

Era alto, molto alto; slanciato. Il volto era marcato di qualche ruga che nascondeva i bei lineamenti che lo avevano dipinto in giovane età; eppure qualcosa si scorgeva, come quell'aura che le persone carismatiche si portano sempre inconsapevolmente dietro, nascosta in quegli occhi grigi, in quella poca barba bianca, ispida sulla pelle.

«È un piacere fare la sua conoscenza, Miss...?» fu la domanda celata mentre l'uomo si fermava a pochi passi da lei, tendendole la mano.

Millie rimase interdetta per la frazione di un secondo, ma si riprese in uno schiocco di dita, ricambiando la stretta di mano.

«Millie Bobby Brown, il piacere è tutto mio Mr. Wolfhard.»

«Cara, è una novità per noi vedere nostro figlio in compagnia di qualcuno.» la informò con aria elusiva, ancora sorridente.

E Millie si chiese perché, perché era così inusuale che Finn fosse in compagnia di una donna? Dopotutto, aveva tutta l'aria del ragazzo che non disprezza il genere femminile. Quindi perché? Cosa c'era di strano?

"Oddio, che sia gay?" fu il primo pensiero che le saettò in mente: sarebbe stata una spiegazione logica quantomeno.

«Spero ti fermerai a cen– »

«No.» si sentì aleggiare ancora nell'aria, quel timbro categorico.

Claire e il marito si voltarono stupiti verso Finn; questo di tutta risposta mantenne intatto il suo viso marmoreo, uno sguardo che non ammetteva la minima replica; gli occhi fissi in quelli del padre.

«Ho già detto che Millie– »

Il suono dell'ascensore lo interruppe. Un altro "Tin" risuonò nell'androne, accompagnato dal rumore delle porte metalliche che si aprivano.

«Fratellone!» fu la voce femminile che fece tintinnare l'aria; rumore di mani che battevano dall'eccitazione.

La piccola Brown si voltò di scatto verso l'ascensore alle sue spalle.

Una ragazza tanto alta quanto formosa stava facendo la sua entrata su degli stivali dai tacchi vertiginosi; una baule targato rigorosamente Louis Vuitton che penzolava dal suo avambraccio.
I lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle, ondeggiando a tempo dei suoi passi.

Le curve erano fasciate da un jeans attillato che scivolava sulle lunghe gambe; una pelliccia che la avvolgeva fino al collo.

E Millie si perse a osservarla in quella sua eccentricità, che per un attimo non si accorse del ragazzo dietro di lei.

Il giovane aveva lunghi capelli castano chiaro, quasi d'un biondo cenere, tirati indietro in un codino disordinato che lasciava ricadere qualche ciocca sul viso a contornargli gli occhi verdi. Il viso aveva dei lineamenti dolci, esattamente come quelli della ragazza, ma comunque... diversi.

La mascella del ragazzo era ben sporgente, faceva risaltare ancor di più i grandi occhi, incorniciati da delle ciglia foltissime, così lunghe da incastrarti lo sguardo per un secondo in più.

E fu in quel secondo in più che il ragazzo alzò lo sguardo, un'espressione curiosa incontrò il viso di Millie; un sorriso a fior di labbra gli incuneò la bocca carnosa.

La ragazza distolse lo sguardo in un attimo, giusto in tempo per sentire un braccio stringersi intorno al suo collo.

Qualcuno la aveva appena tirata a sé e adesso la stringeva in quello che suppose dovesse essere un abbraccio; un forte profumo di rose le pizzicò le narici.

«Ciao! Che piacere conoscerti!» fu lo scampanellio esuberante di una voce femminile, dritta dentro al suo orecchio.

«Oh... piacere... piacere mio!» farfugliò Millie nella sorpresa di quell'attimo.

«Qual è il tuo nome, dolcezza?» fu la voce melodiosa della ragazza; due occhi color nocciola puntati su di lei, il suo braccio ancora intorno le sue spalle.

«Io sono– »

«Oh, sei così bella! Sembri proprio una bambina! Sei amica di mio fratello?»

Millie boccheggiò, cercando di rispondere almeno a una delle domande, non essendo molto sicura di che risposta rifilarle.

«Come hai detto che ti chiami? Quanti anni hai, tesoro?»

Gli occhi spaesati di Millie erano ancora sgranati su quel viso allegro, dai tratti spensierati, quando qualcuno accorse in suo aiuto.

«Hai finito il quarto grado, Emma? Così magari la ragazza può dirci almeno come si chiama.» fu il tono basso e profondo, una punta di ironia a sdrammatizzare.

Millie seguì quella voce, così che i suoi occhi finirono in due iridi smeraldo; un guizzo divertito che assottigliava il taglio degli occhi, rendendoli più sfuggenti, più vispi.

Sorrise automaticamente in un ringraziamento silenzioso, mentre il ragazzo a passo sicuro si avvicinava verso di lei.

«Io sono Hardin.» si presentò, porgendole la mano.

«Millie.» rispose quella, ricambiando la stretta che sentì decisa contro il suo palmo.

«Scusa mia sorella, è un tipino molto espansivo.» le spiegò in una risata lieve che riuscì a rilassare anche la ragazza.

Le labbra di lei si allargarono: «Non preoccuparti, non mi da fastidio, mi piacciono le persone espansive.» spiegò in un sorriso educato.

«Vedi, Hardin?» gli rinfacciò la sorella che intanto si era staccata da Millie, si era voltata dalla parte del fratello e adesso gli tirava un piccolo pugno sulla spalla.

«A Millie non da fastidio!»

Poi si voltò nuovamente verso di lei e le porse la mano, unghia rosa lucenti e ben curate spiccarono dalle dita stracolme di anelli.

«Sono Emma, piacere!» fu il sorriso dolce che le riservò.

«Millie.» rispose nuovamente e fu in quel momento che gli occhi della ragazza caddero sulla sua t-shirt strappata.

«Oh, ma cosa ti è successo?» squittì d'improvviso con tono impensierito.

Millie aprì bocca, ma ancora una volta, lei parlò  per prima e, questa volta, la Brown non se ne stupì più di tanto.

«Vieni con me.» le ordinò la bionda, mentre con aria decisa la prendeva per mano.

«Ti presto io qualcosa prima di cena. Così avremo modo di conoscerci meglio!» trillò entusiasta.

«Emma, Millie non resta.» ripeté Finn per la milionesima volta; adesso una mano stretta a pugno tra i capelli, segno che la pazienza stava per arrivare al capolinea.

«Oh, ma non essere sciocco!» fu la risposta della sorella.
«Certo che resta!»

«Emma, ti ho detto di no.» ribatté il giovane imprenditore, la mascella serrata nel contenere uno spillo di frustrazione.

Ma Emma già non l'ascoltava più, mentre trascinava Millie con sé verso l'ala est della casa, un lungo corridoio che si dipanava proprio di fronte a loro. La ragazza lo imboccò in totale sicurezza, a passi decisi, mentre i grossi lampadari di cristallo si ripetevano sopra di loro in una simmetria perfetta, facendo rilucere i nostri passi sul pavimento in marmo bianco.

«Sembra di essere in un castello.» sussurrò Millie con lo sguardo perso nel guazzabuglio di luci che il cristallo rifletteva sopra la sua testa.

«Oh lo so! Mio fratello è sempre stato un tipo molto attento all'estetica!» rispose lei, agitando la mano libera con fare sbrigativo, mentre l'altra era ancora ferma nella sua.

«A proposto di tuo fratello...» accennò indecisa.

Ancora camminavano, zigzagando tra stanze, porte anonime e corridoi candidi; dopo il primo minuto Millie perse completamente il senso dell'orientamento e smise di prestare attenzione al percorso.

«Non pensi se la prenderà, se resto? Sai, dovevo tornare a casa e– »

«Ma non essere sciocca!» fu la risata divertita che ricevette in risposta.

«Io voglio conoscerti meglio e mio fratello non si arrabbia mai con me.» rispose quella in un sorriso spensierato.

«Ah no?» esclamò Millie, non riuscendo a trattenere la sorpresa.

Lei scosse decisa la testa in sol risposta.

La piccola Brown sgranò gli occhi, incredula a quella affermazione.

Finn Wolfhard che non si arrabbiava mai? Ma stavano parlando della stessa persona? La stessa persona che non aveva fatto altro che arrabbiarsi e sputarle addosso il suo disprezzo da quando lo aveva "conosciuto"?

«Eccoci, questa è la mia.» la informò la ragazza fermandosi davanti a una porta uguale a tutte le altre.

Spalancò l'anta e trascinò Millie dentro con lei, chiudendosela alle spalle con fare sbrigativo.

«Bene.» sospirò, mentre tirava sul letto la valigia in uno scatto di braccia.

E mentre lei era intenta ad aprirla, Millie si guardò un attimo intorno.

La stanza era... diversa da come se la aspettava, o meglio, da come si aspettava potesse essere la camera di quel tipo di ragazza.

Le pareti erano di un rosa pastello tenue; niente di sgargiante o troppo appariscente adornava i muri, se non delle piccole fotografie sparse qua e là che tappezzavano le pareti in punti totalmente casuali; c'erano foto sopra la scrivania, vicino la finestra, sopra la testiera del letto.

Un mazzo di rose bianche fresche era poggiato in un elegante vaso di cristallo, proprio sopra il comodino.

Ed Emma sembrò notarle nello stesso momento in cui anche Millie le scorse; e, quest'ultima, nel momento in cui le vide, si accorse del profumo fresco che aleggiava nella stanza.

«Oh, se n'è ricordato!» fu il tono sorpreso di Emma mentre circumnavigava il letto, avvicinandosi al comodino.

Si abbassò, immergendo il viso nelle rose bianche e ispirandone il profumo.

«Sono i miei fiori preferiti.» spiegò, gli occhi ancora chiusi e un sorriso a stirarle le labbra.
«Quando vengo a trovare Finn, me ne fa sempre trovare un mazzo nella mia camera.»

«Oh.» fu l'unica cosa che Millie riuscì a dire, interdetta dalla sorpresa che quell'uomo spregevole fosse capace di un gesto così delicato.

«Comunque sia.» cambiò discorso la bionda, rialzando la schiena in un movimento atletico e riavvicinandosi alla valigia, adesso ben aperta sul letto.

«Qual è il tuo colore preferito?» le domandò, mentre già iniziava a frugare tra i vestiti, gettando noncurante sul letto quelli che la convincevano meno.

Millie aprì bocca, ma lei parlò al posto suo.

«Oh, il verde ti starebbe così bene! Non credi?»

«Beh, io...»

«Oppure un azzurro cielo! Hai dei lineamenti così dolci che non mi va proprio di farti indossare colori troppo sgargianti, striderebbero con la lucentezza della tua pelle...»

«Cosa...?»

"La lucentezza della mia... pelle?"

E in quel momento, mentre la sconosciuta davanti alla piccola Brown blaterava su quale colore potesse risaltare i suoi occhi o far spiccare i suoi boccoli caramellati; su quale tipo di scollatura sarebbe stata adatta alle sue spalle esili o quale sfumatura di blu si sarebbe più sposata con i suoi occhi così grandi– , proprio in quel momento, si rese conto di non aver mai prestato molta attenzione.

Il vestiario di Millie non era mai stato niente di appariscente, non si era mai curata di indossare indumenti che potessero attirare troppo l'attenzione perché, beh, non aveva mai voluto farlo. Non era quel genere di ragazza ed era stata sempre sicura che se qualcuno avesse dovuto notarla, non avrebbe dovuto farlo di certo per ciò che indossava.

Si era sempre accomodata nella semplicità dei colori tenui, nella comodità di jeans anonimi, che la rendevano più a suo agio con se stessa, con la vera sé che non aveva mai sentito il bisogno di ostentare nulla.

Così, quando Emma tirò fuori un capo molto particolare dalla sua valigia e glielo mostrò con aria persuasiva, Millie si ritrovò a scuotere la testa decisa.

«Oh no, io quello non lo metto.»

«Cosa? Ma perché no? È così semplice e adatto a te! È perfetto!» frignò la bionda, ancora con la stoffa tra le mani.

«Ma è troppo... troppo... scoperto.» fu l'imbarazzo della piccola Brown nel momento in cui lo osservò per un attimo in più.

Emma scoppiò in una risata fragorosa, portando la testa indietro; genuinamente divertita.

«Oh tesoro, se questo è troppo scoperto dovresti vedere cos'altro ho in valigia.» la stuzzicò Emma, cercando di persuaderla.

Agli occhi della bionda, infatti, il capo che stringeva tra le dita urlava una semplicità così garbata, ma piacevole, che non riusciva proprio a capire come la piccola ragazza di fronte ai suoi occhi non se lo vedesse bene indosso.

E fu un risolino di vittoria che le lasciò le labbra nel momento in cui Millie sospirò di fronte a lei.

«E va bene.» si decise infine la ragazza.

«E va bene, lo provo.»

Dopotutto non poteva mica restare con una maglietta strappata tutta la sera, no?

~•~

Mr. Wolfhard non sapeva come quella serata sarebbe potuta andare a finire bene.

Non poteva finire bene, non con quella ragazzina tra i piedi, non quando la sua famiglia pensava che lui si fosse finalmente fidanzato.

Lui, che non aveva mai avuto una ragazza in vita sua.

Ironici gli scherzi che a volte ti gioca il destino, vero?

«Finn ricordi quell'imprenditore di cui ti ho parlato il mese scorso?» fu la voce del padre che lo riportò alla realtà.

Finn e Mr. Wolfhard Senior erano infatti comodamente seduti sul divano di pelle dell'entrata, gambe elegantemente accavallate nei loro completi neri; il padre a rigirarsi un bicchiere di buon bourbon tra le mani.

Finn Wolfhard si lasciò sfuggire un sospiro al pensiero di quell'uomo; era la sua spina nel fianco da mesi, ormai. Ogni qual volta che pensava di esserselo tolto dai piedi, lui ricompariva magicamente dal nulla, si scopriva essere un passo avanti al giovane imprenditore.

Il ragazzo tardò a rispondere, portandosi il suo bicchiere d'acqua alle labbra, lasciando che il ghiaccio gliele baciasse, gliele intorpidisse in quella sensazione di freschezza.

Poi, con meticolosa lentezza, posò le iridi scure sul viso del padre.

«Crea ancora problemi, vero?» dedusse quello, mentre adesso anche lui si portava il bicchiere alle labbra.

«Parecchi, sì.»

«Ce ne occuperemo, papà. Non devi preoccuparti.» aggiunse mentre con uno slancio flessuoso si alzava dal divano, segno che volesse porre fine a quella conversazione.

Lasciò il bicchiere sul piccolo ripiano di vetro posizionato di fronte al divano, e lo fece in un gesto così poco delicato che per poco quello non si ruppe– vetro contro vetro, troppo fragile per mani così rudi.

«Dovremmo soltanto aspettare il momento giusto e– »

Ma il giovane imprenditore non riuscì a terminare la frase, no.

Non riuscì, nel momento in cui i suoi occhi si posarono su di lei.

E Finn si bloccò così: la bocca ancora aperta nell'intento di parlare, una mano tra i ricci scuri.

Si bloccò così, con quegli occhi fissi su di lei.

Lei che camminava, ridendo di qualcosa che Emma le aveva appena detto, noncurante d'un paio di occhi che le si erano appena arpionati addosso.

E lei non lo sentiva ancora, mentre la sua risata leggera riecheggiava nella stanza, tintinnava delicata nell'aria.

Non lo sentiva ancora, Millie Bobby Brown, il peso di quello sguardo scuro sulla pelle, su nuove parti della sua pelle.

Perché sì, quella era pelle che la ragazza mai mostrava, pelle che tendeva a nascondere sotto magliette sgualcite e maglioni troppo larghi. Parti di sé che non ostentava, nonostante non gridassero nulla di importuno, niente di provocante.
Quelli erano abiti che lei nemmeno possedeva; stoffe cucite con cura con lo scopo di far risaltare la dolcezza di forme armoniose, di farle spiccare sotto l'aderenza del tessuto.

E la sentiva, la piccola Brown, l'inadeguatezza sul pelo della pelle; l'aveva palpata quando aveva osservato la sua figura nel riflesso dello specchio.

Quel crop-top color panna, d'un cotone soffice che lasciava che le spalline le fasciassero le spalle, che lasciava intravedere la forma del suo seno; un piccolo scollo a forma di V che si apriva proprio al centro. E poi l'incrocio di fili leggeri a legarle sul petto l'indumento striminzito, un piccolo fiocco morbido all'altezza del petto.

Millie fece vagare gli occhi nella stanza, in uno sguardo di pura leggerezza; quella leggerezza che si spense come fiamma flebile a un soffio di vento, nel momento in cui il suo sguardo si scontrò contro iridi di cenere.

Il sorriso le morì piano sulle labbra, contro quel viso duro– ostilità scolpita su lineamenti di marmo.

Millie si bloccò nel bel mezzo della stanza, un groppo imbrigliato in gola, come fosse crivellato di spine che non le permettessero di inghiottir giù il senso di inadeguatezza.

Finn si avvicinò a passi decisi verso di lei; uno sguardo di mera disapprovazione a inchiodarla sul posto, occhi redarguiti incorniciati da folte sopracciglia, increspate nel... cos'era?Disprezzo?

«Cosa cazzo sarebbe questo?» fu il timbro secco, un dito puntato sul crop-top che Millie aveva indosso.

La ragazza dischiuse le labbra dalla sorpresa, non sapendo bene cosa dire, mentre le guance le si arrossavano dall'imbarazzo.

Lo sapeva, Millie Bobby Brown: sapeva di non dover indossare nulla del genere, sapeva che avrebbe dovuto rifiutare il gesto così gentile di Emma; magari avrebbe dovuto davvero rimanere con la sua maglietta strappata.

«Oh, non sembra una bambolina? Le sta benissimo! Dio, ce n'è voluto per convincerla a tenerlo addosso, eh! Ma non è... bellissima? Sembra che qualcuno lo abbia cucito per lei!»

Emma aveva parlato con così tanto trasporto, come le era solito fare, da non essersi accorta dello sguardo lampeggiante del fratello, gli occhi che per un secondo non si erano staccati da Millie.

«Ragazzi, venite a sedervi a tavola!» fu la voce di Mrs. Wolfhard che li raggiunse da una parte remota della casa.

«Finalmente! Stavo morendo di fame!» sbruffò Emma, un attimo prima di allontanarsi da loro e scomparire dietro l'angolo, verso la voce  li aveva appena chiamati.

E Millie avrebbe voluto seguirla come un soldatino obbediente, avrebbe voluto mettere un passo dietro l'altro, eppure non riusciva a muoversi; inchiodata da quella figura che interamente la sovrastava.

E si sentiva gelare, immobile, come se le sue gambe fossero radicate nel marmo ai suoi piedi.

In trappola, come un cervo in un groviglio di rovi; e lo era, bloccata da iridi taglienti che la mettevano a fuoco, sotto il profilo di palpebre affusolate.

«Vedi di non rovinare tutto.» fu il tono asciutto, reso duro da una mandibola perfettamente serrata, la cui rigidità guizzava nei lineamenti del viso.

Finn si voltò di scatto, dandole le spalle e iniziando a percorrere la strada che un attimo prima aveva fatto anche la sorella.

Millie si ritrovò a respirare più veloce di quanto non volesse, mentre lo seguiva, tenendosi sempre a debita distanza.

Distanza che però le permise di sentire.

«Sempre se ci riesci.»


~•~


«La cena è di tuo gradimento, cara?»

Claire guardava intenerita la piccola Millie di fronte a sé, mentre questa alzava gli occhi dal suo piatto per rivolgerle un sorriso.

«Oh, sì. È tutto squisito, grazie.» incuneò le labbra lei in un sorriso gentile, con ancora la forchetta a mezz'aria.

Proprio in quello stesso istante il cameriere le porse nel piatto un'altra crocchetta di aragosta e la ragazza si ritrovò a sperare che quella fosse l'ultima, talmente si sentiva già piena.

Millie aveva trovato la famiglia Wolfhard sorprendentemente piacevole, a discapito del giovane seduto di fianco a lei in quel momento.

Finn era rimasto irrigidito per tutta la cena, la mascella serrata; raramente era intervenuto nelle conversazioni familiari e quelle poche volte lo aveva fatto con una malcelata distrazione.

In realtà il ragazzo era profondamente turbato e la piccola Brown di fianco a lui riusciva ad afferrarne il perché.

«Siamo così felici che tu sia rimasta alla fine.» fu il cinguettio dolce di mamma Wolfhard.

Millie allargò il sorriso: «Grazie... mi fa piacere esser rimasta.»

Dopodiché Mrs. Wolfhard si voltò verso il figlio.

«Perché non volevi che la tua Millie restasse, caro?»

"La tua Millie." riecheggiò nella mente di Finn, i cui occhi scattarono sul volto sorridente della madre.

Un'espressione indecifrabile sul viso, quando rispose: «Non mi sembra ancora il caso coinvolgerla in una... riunione di famiglia.» enfatizzò con una punta di tagliente ironia il ragazzo; il bicchiere di vino ancora stretto tra le dita.

«Oh, caro! Alla fine anche Emma e Hardin sono riusciti a raggiungerci, è stata una cosa dell'ultimo minuto, spero di non averti disturbato a fartelo sapere con così poco preavviso. Non ne sei felice?»

«Una Pasqua, mamma.» fu il sorriso irrisorio, gli occhi vispi fissi su di lei.

Claire si limitò ad alzare gli occhi al cielo in una mossa teatrale, ma si addolcì subito, nel momento in cui il figlio parlò ancora.

«Ellen non c'è stasera?»

E Millie si voltò verso Finn con aria sorpresa, perché mai aveva sentito il tono flautato e sinceramente addolcito del ragazzo.

Finn aveva pronunciato quelle parole con genuinità disarmante, gli occhi grandi fissi sulla madre.

«Oh no caro, la piccola era troppo stanca. È rimasta con la tata.»

«Chi è Ellen?»

Millie non si accorse di aver parlato fino a che non sentì il viso di Finn, accanto a lei, voltarsi nella sua direzione.

Furono due occhi neri che si ancorarono al suo cipiglio curioso; e la vedeva già solo con la coda dell'occhio, la piccola Brown. La vedeva bene l'espressione di mera disapprovazione su quel viso contrito.

Si morse l'interno della guancia, rimproverandosi per la sua domanda sconsiderata, forse troppo invadente.

Eppure, Claire la guardò con aria addolcita, una punta di fierezza ad accarezzare le parole quando parlò.

«La nostra bambina, l'unica figlia biologica che abbiamo, lei ha solo 13 anni.»

Fu come se qualcuno avesse appena tirato, alla piccola Brown, uno schiaffo in pieno viso.

La ragazza posò piano la forchetta, che tintinnò al contatto con il piatto.

«Unica... figlia biologica?» chiese confusa.

E sentì Finn irrigidirsi impercettibilmente accanto a lei; eppure fu un dato che registrò con disattenzione, mentre la curiosità le mordicchiava ogni orlo di pensiero.

«Finn non te l'ha detto?» fu la voce di Emma che proruppe nel silenzio imbarazzato; gli occhi grandi adesso puntati su Millie.

«Noi siamo stati tutti adottati. Anche Finn.»

Millie dovette impiegare tutte le sue forze per far sì che la su mascella non si dislocasse fino in terra seduta stante.

Finn adottato?

La sorpresa la investì in pieno, nel silenzio di quell'attimo; gli occhi dei commensali adesso tutti fissi su di lei. I rumori di tintinnii di forchette e bicchieri improvvisamente cessati.

Eppure... eppure aveva senso. La somiglianza discordante col padre, la netta mancanza di quella con la madre. I fratelli così diversi tra di loro, i rapporti indefiniti: c'era qualcosa in Finn che frenava le persone che interlocuivano con lui, che le rendeva attente a gesti e parole, poco espansive.

La dissonanza che si notava dopo i pochi minuti era adesso talmente palese, agli occhi di Millie, che la ragazza si rimproverò di non averlo capito prima.

I signori Wolfhard si rapportavano molto più facilmente con Emma e Hardin, che con Finn.

Emma e Hardin erano più... spontanei. Persone con cui era piacevole discutere, che sapevano coinvolgerti nei loro modi: quelli esuberanti di Emma e quelli estremamente divertenti, ma gentili di Hardin.

E si vedeva, spiccava la differenza che avevano i genitori adottivi di rapportarsi con ognuno di loro, soprattutto con lui.

«Sì, sì certo!» fu l'esclamazione di Millie, forse un po' troppo in ritardo.

La ragazza sperò di sembrare convincente a quegli occhi che adesso la scrutavano perplessi.

Tutti quegli occhi, tranne un paio.

Finn Wolfhard non si era mosso di una virgola: il bicchiere ancora stretto tra le dita affusolate, un'espressione dura a scrutare la picciola ragazza accanto a lui.

«Sapevo Finn fosse stato adottato.» mentì con convinzione la ragazza, sperando di essere persuasiva.

«Solo che non sapevo anche Hardin ed Emma...» lasciò intendere.

«Sì, anche noi.» sorrise gentile Hardin, con voce rilassata, nella speranza di rassicurare la giovane sconosciuta.

«Ma è come se fossero figli miei, io e Jonathan lì abbiamo cresciuti insieme.» asserì con voce commossa Claire, mentre faceva vagare gli occhi su ognuno dei suoi figli, per poi farlo cadere sul marito accanto a lei.

Mr. Jonathan Wolfhard sorrise dolcemente di rimando, stringendo la mano della moglie al di sotto del tavolo.

«Loro saranno sempre... i nostri bambini.» sorrise amabilmente Claire, gli occhi lucidi appena.

«Gradisci altro vino, Millie?» chiese poi gentilente Mr. Wolfhard, seduto a capotavola, tra la moglie e la ragazza.

Senza aspettare una risposta, riempì per l'ennesima volta il bicchiere vuoto della ragazza.

Quest'ultima sperò in cuor suo che quella fosse l'ultima, mentre con riluttanza lo ringraziava e si portava il bicchiere alle labbra.

Sentiva già la testa leggera, eppure non si era sentita di rifiutare neanche un goccio di quel vino che l'uomo di fianco a lei continuava a versarle nel bicchiere: la piccola Brown non voleva di certo risultare maleducata, eppure... forse avrebbe dovuto, la ammoniva adesso la sensazione di velata ubriachezza che le appannava i pensieri.

Millie Bobby Brown non era ubriaca, ma brilla lo era di certo.

La ragazza si trovava a metà tra l'ubriachezza e la sobrietà, era in bilico su quel filo sottile che ti fa sentire rilassata, ma non ancora sconsiderata.

«Tesoro, sei così esile! Ma mangi qualcosa? Il nostro caro Finn dovrebbe portarti fuori a cena più spesso!» scherzò Mrs. Wolfhard, mentre studiava la figura della ragazza di fronte a sé, le cui forme spiccavano da quel crop top bianco che aveva indosso.

Millie sorrise timidamente alla signora di fronte a lei, gli occhi le si abbassarono istintivamente sul piatto dall'imbarazzo.

Finn Wolfhard immobile accanto a lei, anche quella volta non si azzardò a pronunciar parola.

«No io... certo che mangio, signora.» fu la voce timida di Millie.

«Per adesso è solo un periodo di sovraccaricato stress, ma amo il cibo.»

«Raccontaci qualcosa di te, tesoro.» fu l'invito di Claire, adesso un'espressione curiosa sul viso.

Un sorriso riservato fiorì sulle labbra della ragazza, si infilò nelle guance improvvisamente troppo rosee.

«Di me? Oh, non c'è... molto da dire, su di me.» scosse piano la testa Millie, in un gesto inconsapevole.

E fu in quel momento che lo sentii di nuovo.

Quello sguardo insistente su di lei– nera pece a bruciarle la pelle del viso.

«Oh pur qualcosa ci sarà!» fu il tono curioso di Emma.

Gli occhi di Millie si alzarono cauti sulla bionda.

«Io sono... una biologa.» li informò Millie.

La ragazza si impegnò per non cedere, per non voltarsi verso quegli occhi che sembravano attirarli come una falena alla luce.

«Mi mancano gli ultimi esami, dovrei laurearmi quest'estate.» continuò con voce timida.

«Oh! Ma è magnifico, non è magnifico Finn?» esclamò Claire in un moto di contentezza.

E la dolce mamma non si accorse, in quell'attimo di sorpresa, di come il figlio rimase rigido sul posto.

Millie vinse ancora una volta il bisogno di voltarsi verso di lui, di cogliere una sua espressione, un angolo di bocca.

La ragazza rimase ferma, gli occhi dritti di fronte a lei, tendendo le orecchie per una risposta che non arrivò mai.

«Dovrai invitarci di certo, saremmo così felici di venire!» squittì Claire, gli occhi già carichi di aspettativa.

Fu in quel momento che la sua voce sferzò l'aria.

«Mamma

Gli occhi di Finn non erano più su Millie, adesso.

Erano fissi sulla madre– fu nero ammonitore quello che attraversò il tavolo in un guizzo di palpebre.

Claire di tutta risposta alzò gli occhi al cielo e si rivolse nuovamente verso Millie.

«Ma come fai a stare con lui, cara ragazza? È sempre così serioso!»

Millie bloccò istintivamente le parole che davvero avrebbe voluto dire, per nulla piacevoli sul conto del ragazzo appena conosciuto.

"Andiamo, Millie. Fingi e sii brava, forse non è il momento di una scenata." rammentò a se stessa.

Ingoiò un groppo amaro.

«Oh sì, è vero.» annuì con un sorriso complice la piccola Brown.

A quelle parole il volto di Finn scattò nuovamente verso di lei, adesso le folte sopracciglia imbrigliate in un'occhiata sorpresa.

Ma come osava quella piccola nullità a criticarlo? Lì, davanti alla sua famiglia?

E fece per aprir bocca, Mr. Wolfhard. La rimpinzò di parole che mai però ebbero suono.

«Ma dietro quel visino sempre imbronciato c'è davvero un cuore... d'oro, ma lei questo lo saprà già.»

E fu così che Finn Wolfhard si bloccò: con la bocca già dischiusa nell'atto di parlare, lo sguardo contrariato.

Fu così che la sua espressione si trasformò in muta sorpresa; gli occhi fissi sulla ragazza di fronte a lui.

«Oh cara, dovrai amarlo così tanto!» cinguettò felice Mrs. Wolfhard.

«Oh sì... moltissimo

«E cosa ti piace fare?» chiese Emma, la bocca ancora piena.

«Oh, ecco io... amo molto leggere, nel mio tempo libero.»

«E cosa?» insistette Emma.

«Io... adoro Jane Austen, in realtà ho iniziato a leggerla all'età di dodici anni, inclusa l'ultima opera, "Lady Susan", un brano di letteratura femminista molto sottovalutato... ma adoro anche Thomas Hardy mostrante le sue poesie mi rendano malinconica alle volte...» confessò la ragazza in un risolino ingenuo.

«La letteratura del 900 è in assoluto la mia preferita... Oh e amo anche Sartre, ma solo nelle sue idee esistenzialiste, dopotutto il trascendentalismo è a malapena un movimento filosofico, nonostante molti lo associno a lui. Mi piace come rende l'uomo artefice del suo destino, consapevole della realtà che lo circonda, libero nella scelta e– »

Ma la piccola Brown si bloccò, nel sentire su di lei occhi strabuzzati.

Arrossì violentemente nel momento in cui si accorse del silenzio sbigottito e fu in quell'istante che finalmente, dopo una serata, si voltò piano verso di lui.

Girò lo sguardo a rallentatore, con occhi inquieti e disorientati; e lui era lì.

L'espressione stupita di Finn la investì in un moto di sorpresa; il volto sorprendentemente così vicino al suo.

Che il ragazzo si fosse sporto verso di lei senza che quest'ultima se ne accorgesse, nel trasporto delle parole?

E perché la guardava così?

«Scusate quando parlo di libri mi perdo un po'...»

Millie si scusò, tornando con lo sguardo sul suo piatto.

«Oh cara, non preoccuparti! Posso capire come Finn si sia innamorato di te! Sei così... particolare!»

«Grazie...»

«E come vi siete conosciuti?» chiese Mr. Jonathan Wolfhard con gran sorpresa di tutti, mentre ancora una volta riempiva il bicchiere di vino di Millie.

Ma la ragazza quella volta non ebbe coraggio di contestare neanche nella sua testa, anzi quasi neanche se ne accorse, tanto restò pietrificata.

Come ci siamo conosciuti?

Come ci siamo conosciuti?

E Finn accanto a lei stava prese fiato, nella sua rigidità stava per aprir bocca; lo sentì, Millie, muoversi scomodamente accanto a lei, nonostante mantenesse una facciata perfettamente rilassata.

Ma prima che Finn potesse dare aria ai pensieri, la ragazza buttò fuori:

«In una caffetteria.»

Tutti si voltarono verso di lei.

«Sì io... stavo finendo di studiare e qualcuno aveva chiesto della mia moto, ma ero così concentrata che ho usato dei toni scortesi e quando ho alzato gli occhi c'era... lui.» spiegò quella, ben attenta a non guardarlo mai.

Hardin ed Emma scoppiarono a ridere a quella scoperta, lanciando occhiate divertite a Millie, che intanto afferrava nuovamente il bicchiere di vino per tirar giù un lungo sorso.

«Ti ha risposto per le rime scommetto, vero?» fu la voce divertita di Hardin.

Millie diede aria alla bocca senza pensarci, lasciando che la fantasia modellasse i suoi pensieri, come fossero terracotta.

«Oh, all'inizio si, ma poi...» iniziò in tono allusivo.

«Poi?»

Era stato lui a parlare, lui che adesso era completamente girato verso di lei e la guardava, aspettava di sentire il resto con quegli occhi asfissianti, curiosi.

«Poi...»

Millie si sforzò di non far caso a quelle pupille arpionate sulla sua pelle, così importune, distraenti.

«Poi... lui si è avvicinato a me e...» deglutì, così imbarazzata da quelle fantasie che mai sarebbero potute accadere.

«E una parola tira l'altra abbiamo... iniziato a parlare.»

«E poi?» insistette ancora lui, come quasi si divertisse a saperla così in difficoltà.

«Poi tu sei rimasto.» si voltò la piccola Brown in un moto di coraggio.

Lo guardò seria, miele contro piombo fuso– fu innocenza contro un dileggio asciutto, in quello scambio di sguardi.

«Sei rimasto con me, fino a tarda notte, a parlare.» continuò la ragazza guardandolo dritto negli occhi.

«Così ci siamo conosciuti.» concluse, distogliendo di scatto lo sguardo da lui, posandolo su un punto impreciso del tavolo.

Ma lui non li distolse da lei, questa volta– oh, no.

Rimase così, Finn Wolfhard, a fissarla nell'insistenza, come fosse solo lei lì, in quella stanza.

«Oh Dio, non so davvero come tu faccia a non scappare da uno come lui!» fu la risata della sorella.

Millie sorrise piano nella sua direzione e stava per rispondere, stava per farlo davvero.

Poi il rumore stridente della sedia la fece sussultare.

Millie si voltò e Finn non era più seduto accanto a lei.

Si era alzato e adesso era alle sue spalle, proprio dietro di lei.

E lo sentì, la ragazza, il calore della sua presenza. Che fosse il suo busto in quel momento a sfiorarle i capelli?

Millie rimase col fiato impigliato in gola; vinse il bisogno di voltarsi, un attimo prima di sentirlo.

«Oh, ma lei non può scappare da me.» fu il tono persuasivo, quasi gutturale.

Finn si abbassò piano sulla sedia della ragazza; fu allora che le sue mani entrarono nel campo visivo di Millie, fermandosi lì sulle sue spalle.

E fu in quel momento che lui, per la prima volta, la toccò.

Volutamente posò le sue mani su di lei.

Dita affusolate e fredde le accarezzarono la pelle nuda, polpastrelli bianchi si muovevano piano sulle sue braccia– avanti e indietro, avanti e indietro.

«Lei è mia

E a Millie rizzò il pelo, fu un brivido che baciò ogni vertebra e non per le parole, no.

Ma perché il suo alito caldo le aveva appena scaldato la pelle, inumidito la cartilagine sottile dell'orecchio: quella voce dolce, ma sopraffattrice era stata così vicina, troppo vicina.

Il volto di Finn era, per la seconda volta, quella sera, a un palmo da quello della ragazza, i suoi ricci le sfioravano il viso, solleticandoglielo.

Finn era piegato su di lei; e fu in quel momento, tra le risate dei presenti, mentre Finn si sporse su di lei, che la notò.

La mano destra Millie era appoggiata sul suo grembo, il palmo era gonfio e violaceo, tenuto aperto sotto il tavolo, per il dolore che non permetteva alla giovane di chiuderlo.

Così lo aveva tenuto lì tutta la sera, lontano dagli occhi di tutti, tenendo per sé il tremendo fastidio che provava.

E la piccola Brown non se ne accorse, troppo intenta a percepire la sua presenza dietro di lei.
Non si accorse di come gli occhi del giovane scivolarono sulla sua mano; e così come gli occhi, anche le sue dita.

I polpastrelli percorsero piano tutto il braccio destro, lasciando una scia di carezza rapida, fredda.

Si bloccarono all'altezza del polso e, dopo un attimo di esitazione, scivolarono sul palmo.

Millie lo sentì e ingoiò un rantolo di sorpresa, eppure non si ritrasse.

Lasciò che lui la toccasse, che le accarezzasse il palmo dolorante, che lo studiasse sotto i suoi occhi.

E le dita erano così delicate, attente, che Millie si sorprese non fossero rudi come il padrone.

«Ma come...» fu il sussurro sorpreso, dritto contro il suo orecchio, così che solo lei potè sentirlo.

«Finn, perché non ci suoni qualcosa?»

Fu la voce di Emma a interrompere i pensieri di Finn, a strapparli via da lei, mentre piano raddrizzava il busto e faceva scivolare via le mani da quella pelle.

Ma le sue pupille restarono fisse su quel palmo.

Millie nascose ancor di più la mano, così che potesse celarla anche alla sua vista.

Finn alzò lo sguardo riluttante, puntandolo sulla sorella.

«D'accordo.» sospirò, allontanandosi definitivamente da Millie.

E fu in quel momento che la ragazza lo notò.

Un pianoforte a coda, d'un nero lucido, spiccava dall'altro lato della stanza, lì dove Finn si stava dirigendo.

"Lui suona?" fu il pensiero sorpreso.

"Ma certo che suona..."

Uno come lui, come potrebbe non suonare?

Così lui si sedette, le dita bianche e affusolate si posarono sui tasti lucidi. Quando abbassò il mento, una fronda di boccoli gli scivolò sulla fronte, accarezzando con le punte gli zigomi spiccati.

Poi le dita fecero pressione e un suono si librò in aria.






~🌷~

Millie's corset 🌸

Perdonate il capitolo un po' più lungo, spero che non sia pesato! Era necessario per introdurvi nella famiglia Wolf 💖
Allora, vi son piaciuti?
Chi vi ha fatto più simpatia?

Comunque sì, è questo che intendevo con "Mr. Grey": il contesto familiare, la passione per la musica, la grande azienda, il passato misterioso, che pian piano scoprirete.
Tengo a precisare che è questo lo spunto originario del personaggio, è questa la "base" su cui l'ho costruito e che, nei libri della James, mi è sempre piaciuta.
La storia... beh, quella la scoprirete pian piano 🖤🕷

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