Piacere, Millie Bobby Brown (1/2)

Consiglio: REMEDY – Alesso

~ • ~

"I believe, I believe, I believe, I believe
That loneliness is my decease
I believe, I believe, I believe, I believe
That you are the remedy"




Finn Wolfhard non pensava che la sua giornata potesse andare peggio, mentre ringhiava imprecazioni contro il telefono che stringeva con presa ferrea tra le dita, quasi come se volesse stritolarlo.

«Che cazzo vuol dire che non puoi, Gaten?»

«Mi dispiace, Mr Wolfhard.» fu la voce grave dell'autista dall'altro capo del telefono.

«Ma gliel'ho già detto, l'autostrada è bloccata da un incidente. Non so quanto ci vorrà prima che il traffico defluiasca, potrebbero passare anche delle ore... Sono fermo da una vita.»

Finn non poté sentire altro; staccò il telefono in faccia a Gaten in un moto di rabbia che tentò inutilmente di reprimere. Se lo ricacciò nella tasca interna della giacca in un movimento brusco, prima di far vincere il barbaro impulso di tirarlo per terra con una tale forza che di sicuro lo avrebbe disintegrato in mille pezzi.

Non sarebbe stata di certo la prima volta.

E adesso come avrebbe fatto? Come lo avrebbe spiegato a lei?
Ci sarebbe rimasta male, di nuovo, e sarebbe stata colpa sua, di nuovo.

Non poteva rimandare un'altra volta, cancellare la cena un'altra volta: non sarebbe stato corretto, eppure... che scelta aveva?
Ormai era tardi. Avesse chiamato un taxi, avrebbe comunque dovuto aspettarlo e si sarebbe fatto tardi.

La avrebbe delusa davvero questa volta, poco ma sicuro. Sicuramente le sarebbe sembrata una scusa, con l'unica eccezione che questa volta non lo era, non lo era come lo era stata sempre negli ultimi mesi a quella parte.

Finn si portò una mano tra i capelli, iniziando a fare avanti e indietro nel parcheggio ancora vuoto, illuminato ormai dai lampioni che circondavano quasi tutto il perimetro, segno che il buio della sera era già calato in tutta la sua seducente oscurità.
Era la luce della notte che contornava di nero ogni sfumatura, rendendola tetra agli occhi della gente.

"Ci deve essere una soluzione per fare in tempo." continuava a ripetersi, cercando di venirne a capo.

Magari poteva chiedere un passaggio a qualche collega, sicuramente avrebbero finito da lì a poco quello stramaledetto convegno, ma significava comunque dover aspettare qualcuno, soprattutto stare ai comodi di qualcuno che non fosse se stesso e questa era una opzione che Finn Wolfhard di rado contemplava.

"No. Ci deve essere una soluzione."

"Ci deve essere una soluz– "

Non riuscì a terminare la formulazione di quel pensiero.
Non riuscì, perché il suo sguardo fu attirato da un guizzo, un movimento leggero percepito dalla coda dell'occhio.

Finn Wolfhard si voltò di scatto, assottigliando le palpebre per mettere a fuoco, e fu in quel momento che la vide, nel buio della sera.

Vide la piccola ragazza camminare nella direzione opposta alla sua, la sua sagoma così esile che per un secondo sembrò che i suoi contorni si confondessero col buio.

Finn si accorse che la ragazza sarebbe potuta essere scambiata tranquillamente per una bambina: così minuta e magra, così fragile a un solo battito di ciglia.

Le braccia della sconosciuta attirarono la sua attenzione: tese lungo i fianchi, i pugni ben stretti in una morsa rigida, come se si stesse trattenendo dal far qualcosa, come se si stesse... concentrando?

Era così buffa nella sua banalità, che Finn Wolfhard si prese un attimo in più per osservarla, mentre un sorriso divertito gli attraversava il viso.

Sì, la ragazzetta lo divertiva, e anche parecchio, in realtà. Lo divertiva, immersa nei suoi vestiti anonimi, scontati, esattamente come sembrava essere lei.

Così comune, così insignificante nella sua mediocrità, nella sua insipida normalità.

E così irritante. Come poteva essere una così comune ragazza, così arrogante?

Ma si era vista? Così banale, così uguale a tutto il resto. Finn Wolfhard ne era certo: quella ragazza non aveva nulla di speciale, se non una lingua incredibilmente tagliente e uno spiccato senso dell'umorismo, doveva ammetterlo... ma per il resto, beh, era come tutte le altre, forse anche meno.

Lo aveva capito nel momento in cui si era avvicinato a lei e aveva sentito il suo respiro affannoso, aveva visto il suo piccolo petto alzarsi e abbassarsi, aveva visto i suoi occhi spalancati e aveva pensato che sarebbe stata perfetta.

Perfetta come prossima preda, perfetta da conquistare, da aggiungere alla sua collezione, da fare sua e poi gettar via, esattamente come aveva fatto con tutte le altre, esattamente come solo lui sapeva fare così bene.

Questi erano i pensieri di Finn Wolfhard mentre la vedeva allontanarsi; gli occhi rimasti inconsapevolmente imbrigliati in quei passi leggeri, nella piccola schiena, nel movimento di  quei fianchi...

Il giovane si perse un secondo nell'osservare quella banale ragazza, guardandola avanzare piano, a piccoli passi verso l'altro lato del parcheggio, verso... –Oh!

«Ehi!» la chiamò non appena un'idea gli balenò in mente.

Quella, però, non si voltò. Eppure lui era certo di aver gridato abbastanza forte...

«Ehi!» ripeté, questa volta con tono più autoritario, più deciso.

Ma Millie no, non si voltò neanche stavolta, anzi sembrò come... accelerare il passo.

"Maledetta ragazzina." la apostrofò Finn nella sua mente, mentre già le gambe gli si muovevano svelte nella sua direzione.

Millie camminava spedita, non c'è dubbio, ma le gambe di Finn erano più lunghe, più agili e più veloci delle sue.

Il parcheggio era molto ampio e ormai tra di loro c'era più che qualche metro, ma Finn la raggiunse senza neanche mettersi a correre, senza troppi sforzi in poco meno di un minuto.

Iniziò a camminarle accanto, mentre questa non dava segno di voler parlare con lui, né tantomeno di apprezzare la sua presenza: semplicemente continuava a camminare, lo sguardo fisso davanti a sé.

Se il ragazzo non le fosse stato praticamente a fianco, si sarebbe potuto dire che lei neanche lo avesse visto.

Ma la verità era che Millie Bobby Brown lo aveva visto, lo aveva sentito e adesso il bisogno pungente di allontanarsi da lui le attanagliava il petto, le sgridava di sbrigarsi, di camminare più veloce.

«Ehi.» la richiamò di nuovo Finn, adesso a voce bassa, puntando il suo sguardo su di lei da sotto le lunghe ciglia nere.

Ma Millie non si fermava– no, lei testarda continuava a camminare, facendo finta che lui non ci fosse, che non esistesse.

Ed era l'indifferenza, una delle cose che Finn Wolfhard riusciva a tollerare meno.

«Ehi!» sibilò a denti stretti, afferrandola per la manica della giacca senza un minimo di delicatezza, strattonandola per far sì che si fermasse.

E la ragazza dovette fermarsi, paralizzata da quel gesto così brusco, così vile, così burbero da mozzarle il fiato.

Finn la lasciò andare subito, fu il tempo di uno strattone, ma quella rimase pietrificata; gli occhi ancora fissi davanti a lei, nonostante sapesse, nonostante percepisse il suo corpo accanto a lei.

Lui, occhi vitrei e attenti, fissi senza ombra di rimorso su di lei, adesso aspettava.

Millie non seppe bene dopo quanti secondi, o forse fu un minuto, si girò verso di lui.

Volse piano il capo verso la sua direzione, con lentezza disarmante, come se qualcuno le stesse applicando pressione contro una guancia per costringerla a voltarsi, mentre lei avrebbe voluto solo evitare ogni contatto visivo, ogni contatto e basta.

«Ma come si è permesso?» fu il tono perentorio, una punta di isteria nella voce.

Adesso Millie aveva gli occhi sgranati, puntati su di lui.

Lui col viso disteso, lo sguardo rilassato e il mento alto che faceva spiccare ancor di più gli zigomi sporgenti, li faceva primeggiare sul suo viso, nel contrasto della fioca luce lunare che lo baciava come la più avida delle amanti.

Un sorriso sornione gli si dipinse sul volto, le labbra leggermente dischiuse.

Millie a quella vista non seppe perché, ma si ritrovò a trattenere il fiato, lo sentiva pressato nei suoi polmoni.

«Ho bisogno che lei faccia una cosa per me.» elargì suasivo, eludendo completamene la domanda che la ragazza gli aveva posto appena qualche secondo prima.

E fu il modo in cui lo disse, 'per me', in quel tono caldo e scivoloso come lava– come lava , perché adesso bruciava nelle orecchie della piccola ragazza.

Un bruciore che si disperdeva nella gola, giù, nel petto, giù ancora lungo le braccia, nella punta delle dita; giù fino al basso ventre, dove un calore la persuase, un brivido pungente la scosse.

La ragazza si costrinse a stringere le palpebre, chiudere gli occhi per non guardarlo.

In quel momento non le importò di risultare ridicola, non le interessava niente di ciò che quell'essere prepotente potesse pensare.

Ma per dire ciò che stava per dire aveva bisogno di concentrarsi, di non essere neanche un minimo tentata da quegli occhi, da quello sguardo penetrante, da quell'essenza persuasiva emanata dal corpo di quello sconosciuto.

«Assolutamente no.» ribatté decisa, ancora ad occhi chiusi.

Ma la curiosità si insinuò tra le crepe della sua sicurezza, nel momento in cui non sentì una risposta e, quando aprì gli occhi, era già troppo tardi.

Era troppo tardi, perché Finn Wolfhard aveva di nuovo violato senza invito il suo spazio personale, era nella sua zona intima adesso, a pochi centimetri da lei.

La guardava dall'alto, inghiottiva l'esile figura della ragazza nella sua ombra scura, la imprigionava nel confine della sua arte venatoria, aspettando solo che la preda si muovesse.

E la preda, così prevedibile, così ingenua, lo fece: si mosse.

Millie aprì gli occhi e alzò piano lo sguardo; lo fece scivolare sul suo petto, tra le clavicole definite del ragazzo, e poi ancora sulla sua gola bianca, e via più sù sulle labbra, le lentiggini, fino a intricarsi in quelle lunghe ciglia nere, in quelle iridi di petrolio.

«Oh... e perché no?» fu il timbro graffiante, viscoso come colla, troppo persuasivo.

«Perché non– non la conosco e non voglio... non voglio avere niente a che fare con lei.» annaspò la ragazza, il fiato in gola, facendo fluttuare gli occhi in qualsiasi direzione intorno a sé che non fosse verso quelle pupille.

«Niente a che fare con me?» corrugò la fronte quello, alzando le sopracciglia per simulare finta sorpresa, quel sorriso divertito ancora ben stampato sul viso sfacciato.

Millie non rispose.

«Cambieresti idea, se mi conoscessi...» continuò Finn, rivolgendosi a lei con il "tu" per la prima volta, come se solo quello bastasse a rendere la conversazione più intima, bastasse a persuaderla.

Finn teneva gli occhi fissi sul viso di lei, colorato da due scocche così rosse da brillare anche nel buio della notte.

E poi accadde qualcosa che il giovane non si aspettava.

La ragazza si mise a ridere.

Oh sì, avete capito bene; il rumore di una risata cristallina fece tintinnare l'aria intorno a loro, la fece tremare sotto il peso di quella distillata dolcezza; un suono così piacevole, così delicato...

Millie aveva gli occhi chiusi, la testa gettata all'indietro e non si accorse– no, non vide mai come l'uomo arrogante di fronte a lei dischiuse le labbra dall'attonimento, come sgranò piano gli occhi, schiaffeggiato da quel suono così avvenente che lo irrigidì sul posto.

E lui la fece ridere, non riuscì a bloccarla: non riuscì a contraddirla; non mosse un sol dito.

Restò lì, immobile, con gli occhi avidi fissi su di lei e quasi una parte di lui ci restò male, quando la risata della giovane sconosciuta si spense e gli occhi di lei tornarono nei suoi.

«Non ci tengo, Signore, ma grazie dell'offerta.» rispose Millie, ma con una scheggia di ironia che fendeva il tono educato.

"Basta così." pensò Finn, appena udite le parole della ragazza: l'espressione di rigida pietra gli si ricompose sul viso, se possibile ancor più inflessibile della prima.

Quella ragazza gli stava facendo perdere troppo tempo, e lui doveva arrivare a casa.

Doveva andare da lei, doveva per forza.

«Portami a casa e ti darò in cambio qualsiasi cosa tu voglia.» la stupì con tono deciso, questa volta privo di qualsiasi inflessione suadente, solo autoritario.

La ragazza sgranò gli occhi: «Cosa

«Ci deve essere qualcosa che una come te deve volere, no?» fu il tono intriso di superficiale ovvietà.

"Una come te." rimbalzò nella mente dell'ingenua ragazza.

"Una come te."

«Una come me?» gli fece eco lei, confusa.

«Senti.» iniziò Finn, con tono risoluto, facendo finta di non aver udito la domanda della ragazza.

«Ho un impegno che non posso rimandare e devo tornare a casa. Il mio autista è bloccato nel traffico e ho bisogno di un passaggio adesso

«E cosa posso farci io?» chiese Millie, sempre più infastidita.

«Tu puoi portarmi a casa.» enfatizzò in risposta il ragazzo, puntando il dito verso una lucente moto nera, ormai a pochi metri da loro.

Millie dovette sforzarsi dal trattenere un'altra risata.

«Non hai detto che il tuo autista era rimasto bloccato nel traffico?» chiese quella spontaneamente, prima che il buon senso potesse intimarle di tacere.

«E quindi?» fu la risposta secca e spazientita del ragazzo.

«E quindi, ti sembro il tuo autista?»

Neanche Millie riuscì a comprendere da dove racimolò tutto quel coraggio, sapeva solo di aver trascorso poco meno di venti minuti della sua vita con quel ragazzo, e mai aveva impiegato il tempo in peggior modo possibile.

Era stanca, terribilmente stanca di lui e voleva solo starsene in pace ad aspettare la sua amica.

«Senti ragazzina.» la apostrofò, facendolo suonare come un insulto, mentre l'ultimo rimasuglio di pazienza lo abbandonava definitivamente.

«Ti ripagherò in qualsiasi modo tu voglia: i soldi non mi mancano di certo e– »

«Io non li voglio i tuoi sporchi soldi!» ribatté quella, interrompendolo bruscamente.

"Sporchi?" fu la domanda istintiva che attraversò la mente del giovane imprenditore; ma fu solo un attimo, perché il tempo stringeva e lui doveva assolutamente sbrigarsi.

«Qualsiasi cosa, ragazzina. Ti darò qualsiasi cosa tu voglia.»

Ma cosa voleva Millie Bobby Brown? C'era qualcosa che davvero desiderava? Qualcosa che quell'uomo potesse darle?

Millie era, in fondo, una persona così semplice, i cui pensieri di rado si perdevano nel desiderio vacuo di bisogni materiali.

Le cose che desiderava erano sempre così pure e, fortunatamente, mai le erano mancate: una famiglia che stesse bene, con un fratello che avrebbe fatto di tutto per lei, persino regalarle una moto nuova di zecca. Una madre che, nonostante le difficoltà davanti cui la vita l'aveva posta, mai un attimo aveva smesso di amarla, di credere in lei.
Aveva un lavoro che l'appassionava, i suoi tanto amati studi che le riempivano le giornate e le dolci amiche che le riempivano il cuore.

Millie Bobby Brown aveva già tutte le cose di cui aveva bisogno e stava per dirglielo, stava per aprir bocca, ma Finn accolse il suo silenzio come muto assenso e fu più veloce di lei.

«Bene, andiamo.» esclamò deciso, afferrandola nuovamente per la manica del giubbotto di pelle e iniziando a camminare in avanti, trascinando anche il suo peso.

«Cosa? No... no!» si lamentò quella, cercando di liberarsi dalla presa di quell'uomo, senza successo.

Lui non sembrò neanche notare la ragazza divincolarsi: guardava dritto di fronte a sé, gli occhi puntati sulla moto nera.

«Io.. io non posso.» fu il tono più deciso di Millie, mentre piantava i piedi a terra, ormai proprio accanto alla sua moto, e con uno strattone si liberava dal presa di Finn.

«Perché?» chiese quello spazientito dall'immensa testardaggine della piccola sconosciuta di fronte a lui.

«La mia amica è una giornalista, lei... è ancora qui.» fu la prima scusa che le venne in mente e l'unica che avrebbe potuto convincere quel ragazzo a lasciarla finalmente in pace.

Ma vi ricordate, no?

Finn Wolfhard è sempre un passo avanti.

«Beh, qual è il problema? Chiederò a Caleb di riaccompagnarla.» rispose lui in tono sbrigativo.

«Chi è... chi è Caleb?» chiese in rimando la ragazza con sguardo confuso.

«Un mio fidato collega. Non preoccuparti della tua amica. Possiamo andare adesso?» sbottò ironicamente mentre l'irritazione iniziava a fargli prudere le mani.

Strinse i pugni lungo i fianchi cercando di soffocare la collera; la ragazza non se ne accorse.

«Non ho detto che accettavo. Io non ho... non ho bisogno di niente

Questa volta fu il turno di Finn Wolfhard di scoppiare a ridere.

«Senti, qualcosa ti verrà in mente, d'accordo? Andiamo.» fece lui, ancora col sorriso a increspargli le labbra, voltandosi verso la moto; la mano già sul manubrio.

«Ehi, giù le mani dalla mia moto!» strepitò la ragazza, afferrando istintivamente il polso del ragazzo e tirando via la sua mano dalla moto.

«Cristo, ma sei sempre così testarda?!» le gridò in faccia, non riuscendo più a trattenersi.

"Te l'ho già detto: solo con gli insolenti come te." avrebbe voluto rispondere, ma le parole le si appassirono in gola, al ricordo di lui.

"Ti consiglio di evitare di rivolgermi a me in questo modo." fu il sibilo graffiante che le rimbombò in testa; il ricordo di quel brivido freddo che la bloccò dal fiatare.

"Forse meglio se non ti rivolgi a me in nessun modo."

In nessun modo.

E 'In nessun modo.' lampeggiava adesso in quegli occhi neri che silenziosamente la ammonivano, la sfidavano a rispondere e al contempo la avvisavano di non farlo.

«Che cosa ottengo in cambio?» fu la domanda schietta e improvvisa, mentre adesso teneva gli occhi puntati in quelli di Finn.

Millie non riuscì a capire il motivo per cui lo fece, non comprese come quelle parole lasciarono la sua bocca, da dove provenissero.

Forse lo fece per paura, o forse fu quel brivido che sentiva vibrare costante sul pelo della pelle, quell'adrenalina che le scaldava i muscoli, che glieli tendeva violentemente ogni volta che gli occhi le si perdevano su di lui.

Era lui, era lui a renderla così irrequieta, così instabile.

E Millie lo sapeva, lo sapeva che se ne sarebbe pentita, ne ebbe la consapevolezza nel momento in cui vide fiorire su quelle labbra carnose un sorriso sghembo.

«Tu che cosa vuoi?» fu la domanda d'una gentilezza confettata, mentre faceva un passo avanti verso di lei.

«Mantieni le distanze, per cominciare.» esalò Millie, con un fiato talmente corto da rendere a malapena udibili le sue parole.

Se possibile, il sorriso irrisorio del ragazzo si allargò ancora di più mentre, senza dire una parola, esattamente come aveva fatto un passo avanti un attimo prima, adesso ne faceva uno... indietro.

Uno solo. Un unico passo con l'ovvia intenzione di prendersi gioco di lei, di schernire quella ingenua innocenza.

E quando spinse indietro il busto, in quell'unico passo, un boccolo nero gli scivolò sugli occhi, si impigliò tra le sue ciglia.

E lui non sembrò neanche accorgersene, non sembrò farci caso, mentre i colori della sera gli si dipingevano attorno, modellandosi ai suoi movimenti, come se ogni cosa intorno a lui aspettasse quello, un suo passo, per prendere vita, per sapere dove e come posizionarsi, come contorno di un quadro che sa bene qual è il soggetto da far risaltare.

E Millie Bobby Brown si chiese, in un pensiero inconsapevole, prima che potesse frenarlo, come... come una persona potesse emanare un'aurea così sbagliata e al contempo così giusta da contemplare.

«Andiamo.» si costrinse a distrarsi la ragazza, strappando i suoi occhi da lui.

«Che stai facendo?» fu il tono burbero di Finn che la confuse, nel momento in cui la piccola mano si strinse intorno al manubrio, la gamba già sollevata, pronta ad accavallarsi contro la sella della moto.

«Sto salendo sulla moto?» rispose quella con ovvietà, bloccandosi, con la gamba ancora a mezz'aria.

«Oh, no. Guido io.»

«Cosa? No, non esiste! La moto è mia, ricordi?» rispose velenosa la ragazza.

No, almeno in questo non ammetteva repliche.

«Sì, ma la casa è mia, ricordi?» sbottò con aria derisoria il ragazzo.

E quando ancora l'espressione confusa della piccola Brown non si districava sul suo viso, Finn dovette precisare: «Non sai la strada, ragazzina.»

Millie esitò per un attimo, la risposta già pronta sulla punta della lingua che premeva per uscire. Ma, dopo un attimo di esitazione, si ritrovò a scuotere la testa.

Avrebbe vinto lui comunque, inutile perdere altro tempo: la ragazza voleva solamente tornare a casa, esattamente come lui.

Si fece lentamente da parte.

«C'è il casco sotto la sella.» lo informò, porgendogli le chiavi.

Lui le prese con un gesto flessuoso delle dita, attento a non sfiorarla.

«Ce n'è solo uno.» continuò la ragazza.
«Puoi metterlo tu.»

«No.» fu la risposta secca di Finn, nel momento in cui tirava fuori il casco e lo porgeva a Millie senza esitazione.

«La mia testa è più dura della tua, ragazzina. Tieni.» fu l'unica spiegazione, in un tono così impassibile che Millie non riuscì minimamente a decifrare.

Lo afferrò senza dire una parola e con movimenti meccanici lo indossò.

«Sicuro che la sai portare, vero?»

Una leggera risata si disperse dalle labbra del ragazzo, così spontanea che Millie si sorprese davvero per un attimo.

«Sei proprio una ragazzina.» sorrise divertito, deridendola ancora.

«E tu sei un uomo di carta.» sussurrò lei tra sé e sé, incapace di trattenersi.

«Che... cosa... hai detto?» chiese lentamente Finn, voltandosi verso di lei; gli occhi ridotti a due fessure, un cipiglio stropicciato a irrigidirgli il viso.

Millie serrò le labbra, maledicendosi per aver pensato ad alta voce.

«Niente.» rispose un attimo dopo. «Non ho detto niente.»

Il ragazzo abbassò il mento, come a volerla studiare meglio, le lasciò addosso una lunga occhiata, imprimendole ancora una volta quella sensazione di inadeguatezza sulla pelle.

Poi, senza dire una parola, le diede le spalle.

Salì sulla moto con un movimento fluido e con un colpo secco del bacino rimosse il cavalletto.

Millie trattenne il fiato a quella movenza così impeccabile, quella precisione di ogni gesto.

Finn si voltò verso di lei, invitandola a salire con un cenno del capo.

Millie si avvicinò piano e, stando ben attenta a non toccare, neanche a sfiorare una singola parte di lui, non un lembo della giacca, non la manica di un braccio– stando accorta in ogni gesto, salì in sella, dietro di lui.

Ogni parte del suo corpo le gridava la scomodità di quella posizione, di lei dietro di lui; le gridava l'inadeguatezza che c'era, la profonda diversità che discordava in due persone così vicine con due personalità così distanti.

Finn mise in moto e Millie sentì il rumore confortante e caldo del motore sotto di lei, il rombo profondo, quel suono familiare che riuscì a consolarla almeno un po'.

Diversamente da come Millie si aspettava, Finn partì dolcemente, scivolando tra le macchine del parcheggio e dirigendosi verso l'uscita che dava sulla strada.

La sua guida era rilassata, sicura, e Millie si concedette di dare aria ai polmoni, un po' meno preoccupata di un istante prima.

La ragazza stette ben attenta a non toccarlo mai, le mani non le si staccarono una singola volta dalle maniglie di appiglio della moto, ai lati dei suoi fianchi.

E dovette ammetterlo, dopo un po' le braccia iniziarono a farle male sul serio, rigide e tese; le nocche delle dita bianche dallo sforzo di tenersi ben salda.

Durante le frenate portava il busto indietro per non rischiare di toccarlo o peggio, di finirgli addosso.

E mentre zigzagavano tra il traffico della sera e le luci del cuore della città di Vancouver, nonostante il fastidio alle braccia, Mille non poté fare a meno di sorridere.

Sorrise alla brezza leggera che le sferzava il viso, sorrise alla vista dei passanti, alle vie pullulanti di gente, sorrise ai bambini che si rincorrevano con madri impensierite al seguito, alle coppiette che si sorridevano, magari passeggiando comodamente abbracciate o gustandosi una cena in un locale del centro che si apriva sulla strada con ampie vetrate, lasciando intravedere ogni angolo dell'interno, invogliando i passanti a entrare.

Sorrise a quella magia che aveva tutta l'aria di libertà, a quella spensieratezza che le aleggiava nel cuore.

E con lo sguardo ancora perso in quella dolce serata, non si accorse del bel paio d'occhi neri che la inchiodavano da uno degli specchietti delle moto.

Non si accorse di quello sguardo penetrante, fisso su di lei, che non perse tempo a scannerizzarla sotto il peso di iridi scure, che la inghiottivano– no, la divoravano come il peggiore dei peccati di gola.

E Finn in quel momento si sentì terribilmente... leggero, si fece modellare il cuore dalla genuinità di quel sorriso.

Proprio lì, in quel momento, su quella moto, con alle spalle una perfetta sconosciuta, si ritrovò a respirare a pieni polmoni, come non faceva da tempo.

Come se quello fosse il suo rimedio personale, come se quella ragazzina glielo avesse inconsapevolmente regalato, le avesse fatto dono di quello sprazzo di gaiezza; come una lucciola solitaria a illuminare la notte, foderante il cielo come una coperta.

Non sorrise mai Finn Wolfhard durante il tragitto, non ricambiò mai il timido sorriso della giovane nell'unica volta in cui, per sbaglio, lei volse di scatto lo sguardo verso lo specchietto e i loro occhi si incontrarono nel riflesso del vetro.

Non sorrise mai, Finn Wolfhard. Ma forse, per la prima volta dopo tanto tempo, gli sorrise il cuore.







~🌷~

Curiosità: La "zona intima" (sì, si chiama proprio così), è la distanza minima che si può assumere tra due persone (0-45 cm).

Per il resto...

No, non è stato amore a prima vista.

Ragazzi, se siete qui per la solita storiella in cui due persone si innamorano, poi si lasciano e poi tornano magicamente insieme, ve lo dico già da adesso: potete archiviare questa storia.

Perché questa storia sarà molto più ostica; vi anticipo già che Finn non fa finta che Millie non le piaccia, no. Lui la disprezza davvero, ai suoi occhi lei è davvero scialba, davvero insignificante, davvero come tutti gli altri.

E Millie, dal canto suo, nonostante sia ovviamente attratta da lui, lo crede un uomo senza speranze d'esser salvato, lo crede un uomo vile, superficiale, di carta.

Perché lui lo è davvero, l'uomo dal cuore di carta.

Era giusto per fare una piccola precisazione,
a presto 🌸

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