CAPITOLO 24: MEMORIE

"Debby, probabilmente se leggi questa lettera non ci sarò più. Perdonami se sono stato il traditore.

Moror mi aveva influenzato con i suoi discorsi sulla mia felicità con te se l'avrei aiutato. Solo ora ho capito che mi ha teso una trappola, ma è troppo tardi e dovrò continuare il mio tradimento fino al giorno della battaglia. Mi aveva raggirato, ed ero talmente attaccato a quella felicità che non arrivai a pensare la cosa più ovvia: nove ragazzi non sono dieci per sconfiggere Moror. Non l'abbiamo sconfitto perché eravate nove e non dieci. E lui lo sapeva.

Non ho portato più gli occhiali perché la vista era migliorata dopo il mio patto con Moror, sono stato io a farlo arrivare a scuola quel giorno quando accadde quella confusione e sono stato io ad avvertirlo dei nostri piani e spostamenti: di conseguenza sono stato ancora io a farlo arrivare giorni prima del giorno previsto. Mi aveva promesso tutta la felicità che si poteva desiderare e così pensai a te, a noi. Non ho giustificazioni, lo so: sono stato un egoista.

Solo ora mi pento di tutto questo, solo ora capisco che per salvare tutti voi, dovrò sacrificarmi io: è la pena che devo scontare. Avrei molto altro da dirti, ma non posso.

Se devo morire, preferisco farlo da uomo, che da traditore. Avrei fatto di tutto per te, è vero, ma non sarei dovuto cadere così in basso. Ti ho sempre amata tanto, credimi ti prego, e morirò anche per questo. Auguro a te e agli altri tutta la felicità che possiate meritare.

Perdonami, Debby. Perdonatemi tutti, vi voglio bene. Addio, amore mio.

Philip

Lui lo sapeva. Sapeva che sarebbe morto. Si era sacrificato.

Perdonai Philip già prima che leggessi la lettera; guardai la busta: vi era incollata una margherita.

Un'altra. Non dovevo dire a nessuno del messaggio che mi aveva lasciato Philip, era questo il significato delle margherite. Ma perché? Cos'altro doveva dirmi che non poteva? Ma decisi di non indagare di più e di farlo riposare in pace.

L'indomani ci fu il suo funerale a Cornflower. Fu un momento di assoluto silenzio, di dolore, Philip ci mancava. Nessuno guardò nessuno. Tutti eravamo rinchiusi in noi stessi. Pensammo, piangemmo, io mi sentivo vuota. Anche Jack voleva stare da solo.

Cornflower era salva per il momento: il regno era tornato a Lady Lit e, in parte, anche a noi.

Quel giorno Lady Lit ci permise di tornare a casa e dopo giorni e giorni riabbracciai finalmente mia madre.

- Oh, mamma!

- Tesoro! – rise – presto o farai tardi al bowling!

Già. Il bowling. Dovevo andare ipoteticamente lì, invece che a Cornflower; per lei erano passati solo pochi secondi.

- Ehm, si... ora vado.

Mi guardò stupita.

- Tesoro, perché piangi?

- Ho un po' di congiuntivite, mamma.

- Sicura che non è successo qualcosa?

- Sicura – le sorrisi.

Mi era mancata così tanto.

Nel tardo pomeriggio andai davanti casa di Philip e mi nascosi tra gli alberi fuori il muro di casa sua. Vidi i suoi genitori sul dondolo che ridevano con una tazza di tè in mano. Non sapevano nulla.

Fu troppo doloroso: non ebbi avuto più il coraggio di andare lì, non potevo dirgli di loro figlio.

Quando tornai a casa mi distesi sul letto fissando le pareti piene di foto e ne trovai anche una con me e Philip: la fissai per qualche minuto, poi con le mani tra i capelli piansi immobile guardando il soffitto.

Passarono alcuni giorni e una mattina, mentre mia madre era a lavoro, Jack venne a trovarmi a casa.

- Come stai? – mi chiese.

- Sto cercando di non pensarci. Tu?

- Anche io.

Passarono alcuni minuti.

- Ho parlato con Lady Lit – mi disse – è andata dai genitori di Philip dicendo che è andato per qualche giorno con la sua squadra di basket a fare un viaggio.

- Non sapevo nemmeno che giocava a basket.

Annuì.

- L'ha fatto perché si erano preoccupati che non era rientrato questa notte, così gli ha dato una lettera che diceva tutto ciò – continuò.

- Lady Lit sa proprio tutto di noi.

Annuì.

- Ma non lo giustificherà per sempre – dissi.

- Io credo di si. Dovremo trasferirci a Cornflower definitivamente.

- Già.

Si alzò dal letto dicendo che doveva andarsene, così lo accompagnai alla porta.

- Ciao – mi disse.

- Ciao.

Chiusi la porta e vi rimasi appoggiata pensando che Jack non volesse parlare di ciò che era successo: quando Philip mi aveva detto quelle cose prima di morire, anche Jack era presente, ma non avendo dato risposte a Philip, Jack non aveva capito se per me le cose tra noi fossero cambiate.

Sperai che il campanello della porta risuonasse, ma non fu così.

Dovevo uscire, dovevo fare una passeggiata per svagarmi: il Central Park era sempre il posto migliore per queste cose. Aspettai un po' prima di andare, il tempo che Jack sarebbe sparito definitivamente da casa mia e dintorni.

Presi la borsa, il cellulare e le chiavi. Mi chiusi la porta alle spalle e mi precipitai nelle scale.

Quando arrivai nella hall, a pochi passi dal portone, mi fermai di scatto. Fuori era fermo un ragazzo di spalle, appoggiato al portone. Ci pensai un po' se proseguire o tornare indietro, ma poi quando aprii il portone, lui si voltò nella mia direzione. Era lì, bellissimo come sempre, che mi guardava negli occhi. Il suo sguardo era inconfondibile. Dio, se lo amavo!

- Che ci fai ancora qui? – gli chiesi.

- Aspettavo fino a quando non saresti uscita.

- Perché, sapevi che sarei uscita?

- In realtà no, ma l'avresti fatto prima o poi, no? O volevi rinchiuderti a casa per sempre?

Sorridemmo e io abbassai lo sguardo. Passarono alcuni secondi.

- Perdonami – mi disse.

- Di cosa?

- Se sono così. Io voglio stare soltanto con te.

- Anche io.

Si avvicinò mi tirò a sé. E io mi lasciai trasportare dal suo abbraccio, dal suo profumo. Non volevo staccarmi più.

- Che cosa ti ha fatto pensare che non fosse così anche per me? – gli dissi.

- È che ho paura di perderti, Deb.

- Non mi perderai – sospirai – e io ti perderò mai?

Mi guardò negli occhi.

- Mai – scosse la testa – mai – ripeté.

E mi baciò. Tutto il resto non esisteva più.

- Dove stavi andando, piuttosto? – sorrise.

- A fare una passeggiata al Central Park. Vieni?

- Ovviamente.

E andammo via mano nella mano. Insieme.

***

Dopo alcuni giorni Lady Lit ci invitò nel suo castello. La strada che dava al castello, partiva da dietro la Home in un lungo sentiero in discesa. La gente del paese che era lì, probabilmente era al corrente del nostro arrivo. Voci e urla di stupore echeggiavano durante il nostro cammino, sotto il cielo azzurro e il sole splendente, come nelle giornate di primavera. Al cancello bianco trovammo una donna bassa sui sessant'anni, vestita di verde smeraldo.

- Benvenuti, Maestà!

Maestà?

Il viale era circondato e contornato da un prato immenso, tagliato perfettamente; vi erano panchine bianche, cespugli, ognuno con colore di rose diverso, e fontane. Avanti e indietro andava la servitù.

Appena ci vide dagli scalini dell'entrata, Lady Lit ci salutò e ci abbracciò uno ad uno; ci fece strada nell'ingresso.

- Venite, vi mostro il castello – disse.

Rimasi incantata: l'ingresso era enorme e altissimo. La scalinata a semicerchio era al centro, sembrava di essere nel regno delle favole che mia madre mi leggeva quando ero piccola. La seguimmo in una sala e ci sedemmo. Era la sala da pranzo: non ne avevo mai vista una così enorme.

La servitù portò dei dolci per tutti noi.

Pensai che Lady Lit era felice di essere tornata a casa sua, ma io ricordavo cosa Moror aveva detto.

L'aveva minacciata e il suo ritorno, come da lui affermato, non mi faceva stare tranquilla e ovviamente gli altri la pensavano come me.

- So cosa state pensando – disse Lady Lit.

- Ci avevi detto che l'avremmo battuto – rispose Fanny.

- Ti sbagli. Il calice disse...

- Il calice – la interruppe – disse che l'avremmo sconfitto!

- Non hai ascoltato bene la storia. Il calice disse che dieci ragazzi l'avrebbero sconfitto, che qualcosa poteva andare storto... ciò che è andato storto è che Philip è morto durante la battaglia e che quindi non eravate più in dieci, ma in nove a combattere: non sarebbe più funzionato... e io non me lo perdonerò mai.

Iniziò a piangere come se avesse perso un figlio.

- Non è colpa tua, Lady Lit – le dissi – non è colpa di nessuno... è stata solo una disgrazia.

Ma Philip sarebbe restato sempre con noi.

- E dovremo cercare il decimo ragazzo perché Moror tornerà: me l'ha promesso, me la deve far pagare per essermi ripresa il mio regno – disse dopo un po'.

- Come hai fatto? – disse Walter.

- Ce l'ho portato io a farlo: doveva distruggere la muraglia e solo lui poteva farlo e con lo scopo di distruggere me, si è ingannato da solo: non ricordava che la muraglia era precisa in quel punto, quindi spostandomi non è stato difficile.

- Sei stata grande! – disse Laurie.

- Non senza di voi – sorrise.

- Quando tornerà? – disse Jack.

- Tra due anni. All'incirca.

- Ne sei sicura?

- Il Verity disse il tempo dalla sua scomparsa nella battaglia un suo eventuale ritorno sarebbe stato all'incirca di due anni. O comunque, quando troveremo il decimo ragazzo che abbia compiuto il diciottesimo anno di età e che quindi sarebbe stato alla pari con tutti.

Capimmo che sarebbe stato tutto molto più complicato. Saremmo dovuti tornare a Cornflower e provare più duramente di come avevamo provato in quest'ultimo periodo. Avremmo dovuto cercare il decimo membro e chissà quante cose improvvise ci sarebbero state. Niente era scontato e questo ci mise ancora più nel dubbio se ci sarebbe stata una vera e propria fine di Cornflower o, al contrario, tutto sarebbe andato nel verso giusto: non lo sapevamo, dovevamo solo viverlo. E aspettare.

- Dovete trasferirvi definitivamente qui, al castello.

- Non è possibile – dissi.

- Si, lo è – mi interruppe Lady Lit – è per il vostro bene.

Si alzò in piedi e andò alla finestra.

- Il castello ha undici piani.

- Cosa? – sussurrò Laurie – undici piani?!

- Si, esatto – rispose Lady Lit – ogni piano ha un corridoio con camera allestita con soggiorno, camera da letto, una camera armadio con tutto ciò che avrete bisogno; sono veri e propri appartamenti e ogni piano è vostro. Ogni mobile e ogni accessorio già c'è.

Vedendoci perplessi, si schiarì:

- Vorrei che voi foste i miei eredi.

- Ma non è legale! – disse Melanie.

- Io sono la principessa – ci guardò – posso fare ciò che voglio. E poi è troppo grande questo posto per vivere da sola – sorrise.

- Ma tu avrai dei figli, Lady Lit – disse Vanessa.

Lady Lit s'incupì.

- Non potrò mai averne.

Mi si strinse il cuore: il fatto che una ragazza così giovane non poteva partorire dei figli suoi mi rattristava. Mi sentii in colpa per tutte le volte che magari avrebbe voluto parlarne, mentre noi eravamo concentrati solo sulla battaglia.

Quando percepì i miei pensieri, sorrise:

- Ma voi dovrete sposarvi.

- Tra noi? – disse Dave.

- No, ovviamente. Dovrete sposarvi con chi amate veramente.

Guardai Jack scoprendo che già lo stava facendo lui e fu un'emozione fortissima. Mi strizzò l'occhio e mi guardò con aria maliziosa.

- Che c'è? – sorrisi.

- Nulla – alzò le spalle.

Greg parlò di Ily. Già. La sua Ily.

- Ne sei veramente innamorato? – gli chiese Lady Lit

- Credo di si.

- È importante: la porteresti qui, dovresti raccontarle tutto... possiamo fidarci?

- Si – risposi al posto di Greg – la conosco da una vita Lady Lit, non c'è nessuno che la conosce meglio di me.

Lady Lit annuì.

Pensai a mia madre: non l'avrei più vista. Le dovevo dire addio ancora una volta e sarebbe stata veramente l'ultima. La vita che avevo prima l'avevo perduta dal primo sogno di Cornflower che feci, ne ero consapevole, ma ne fui più consapevole nel momento in cui realizzai che avrei vissuto in un castello, lontano dalla mia casa, lontano dalla mia scuola, lontano da tutto.

Jack interruppe i miei pensieri.

- Sarai la donna della mia vita, lo sai? – mi disse.

Un colpo al cuore.

- E tu l'uomo della mia – gli sorrisi.

- Perciò la tua risposta sarà un si a ciò che ti sto per dire?

- Dipende... - dissi perplessa – cosa...

- Sposami!

CHE? Cosa? Chi?

- Cosa? – dissi infine spiazzata.

- Sposami! – ripetè.

Lo guardai come se non lo avessi mai visto in vita mia.

- Non devi rispondermi subito – disse agitato – io capisco che siamo giovanissimi, hai quasi 19 anni, io quasi 24, abbiamo tutta la vita per aspettare...

- Accetto – tagliai corto.

- Cosa?

- Accetto.

Sorrise. Non solo con la bocca. Erano i suoi occhi che sorridevano ancora di più. Mi sollevò e mi fece girare. Aveva ragione, eravamo giovani e innamorati, ma sapevamo ciò che volevamo dalla vita e Jack non era altro che il mio destino che aspettava solo di essere scritto.

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