Capitolo 7 - Guanti e Minacce

Erano passate due settimane dalla litigata tra Clizia e Rubellius. La Regina non volle accettare altre udienze né tanto meno richiamare il demone al suo cospetto. Rubellius non protestò alla decisione.

La sua consolazione era andare in un piccolo villaggio fuori dalle mura del castello. Il sole era dietro alle gialle colline e i contadini avevano messo da parte l'ultimo raccolto. Il demone era seduto all'interno di una locanda, mentre giocava a Zara con un commerciante. I due stavano bevendo un po' di vino rosso e le chiacchere dei paesani echeggiarono all'interno di quel luogo. La locandiera conosceva Rubellius e sapeva che era un ottimo cliente. Molto spesso lo vedeva chiacchierare con il marito.

Alan – Ve lo dico io... le cose a Ebe sono migliorate. Da quando i mercanti e i pescatori hanno aumentato le tasse per le varie merci, la situazione ha preso un'ottima piega.

Rubellius bevve un po' di vino fissando il commerciante. L'umano indossava un abito color porpora e un cappello arancione, attorno alla vita aveva una cintura in pelle. Gli occhi grigi erano in contrasto con i capelli neri.

Rubellius – Non metto piede nel continente Ebe da anni. A parere mio, le cose non cambieranno mai.

Alan – Lo dite perché non avete fiducia nei commercianti - tirò di nuovo i dadi sul tavolo.

Rubellius – No. Lo dico perché conosco i commercianti. Sono peggio di chi fa i Patti. Fidatevi me ne intendo.

I due guardarono il risultato dei dadi. Alan sbuffò mentre notava una donna avvicinarsi a Rubellius. La ragazza si sedette accanto a lui e guardò i dadi, le sue mani presero un bicchiere.

Elvia – Fidarsi di te è come fidarsi del peggiore nemico.

Rubellius socchiuse gli occhi e le diede un pizzicotto sulla guancia, conosceva Elvia da un po' di anni. Aveva sempre soddisfatto i suoi piaceri grazie a quel fisico magro e tonico. Le labbra rosse erano provocanti e i capelli neri profumavano di lavanda. Il vestito attillato mostrava ciò che ogni uomo desiderava ed era molto brava nel suo lavoro.

Rubellius – Beh... lo stesso vale per te, Elvia. Come mai ti sei unita a noi?

Elvia – Noia - lo guardò con i suoi occhi azzurri, si morse un dito mentre mugugnava.

Rubellius – Detto da te, mi preoccupa - le fece un cenno con la mano invitandola a sedersi sulle ginocchia, lei accettò e spostò i capelli lunghi.

Il commerciante perse di nuovo e ritentò la sorte. Il figlio della locandiera stava servendo altre bevande agli ospiti. Gli occhi marroni caderò sui giocatori, aveva soltanto quattordici anni ma capiva perfettamente ogni ordine da parte di sua madre. La locanda non era molto pulita. Le pareti in legno erano impolverate e il pavimento era sporco. Un pesante odore di alcool impregnò i tavoloni, la porta d'ingresso si aprì e lo sguardo fragile del giovane osservò due uomini. La madre lo avvisò di pulire un altro tavolo, mentre i due clienti con un mantello marrone si sedettero su una panca. Rubellius si voltò per notarli, i suoi occhi osservarono i loro vestiti. Entrambi portavano una giacca in pelle nera e dei pantaloni marrone. Non era quel vestiario ad attirare la sua attenzione. Rubellius deglutì quando notando un simbolo sui guanti: una stella con un triangolo nero al centro. Il ragazzino si avvicinò portando un altro boccale di vino al commerciante e al demone.

Rubellius – Ugo, vieni qui - si toccò il mento e lo chiamò sottovoce.

Il giovane si avvicinò spostando lo straccio bagnato che aveva in mano.

Ugo – Ditemi signore.

Rubellius – Che ne dici di un piccolo lavoro?

Ugo – Un lavoro? - spalancò gli occhi, i capelli ricci erano bagnati dal sudore.

Rubellius – Sì. Vedi quei due signori là giù? Quelli con il mantello marrone e con il cappuccio nero?

Ugo si voltò guardando i due signori e annuì.

Rubellius – Bene. Senza che ti faccia notare, chiedi a loro cosa vogliono e guarda bene se hanno nella cintura un'arma. Va bene?

Ugo – E se mi scoprono? Mia madre mi ha sempre detto che non si spiano i clienti.

Rubellius – Non ti scopriranno. Fai il tuo lavoro e forse... e dico forse... riceverai qualche denaro in più.

Ugo – Va bene.

Il giovane dall'aspetto magro si avvicinò, facendo il suo compito. I due uomini lo fissarono, mentre Ugo puliva il tavolo e prendeva le ordinazioni. Uno dei due guardò il tavolo di Rubellius e fece un cenno al suo compare. Ugo sbiancò di colpo quando notò un pugnale. Il ragazzino indietreggiò prendendo con mani tremanti l'ordinazione, poi andò da sua madre. Dopo qualche secondo posò sullo stesso tavolo un boccale e alla fine si diresse verso Rubellius.

Ugo – Ho visto un pugnale. Stavano parlando piano... come se nascondessero qualcosa.

Rubellius socchiuse gli occhi sfiorandosi la leggera barba rossa, guardò i dadi e sorrise.

Rubellius – Capisco, va bene. Sei stato molto bravo.

Ugo sorrise attendendo qualche ricompensa che non arrivò. Non ricevendo nulla in cambio si voltò, mostrando delusione nei suoi occhi. Rubellius fischiò richiamando la sua attenzione.

Rubellius – Ehi. Tieni qui - estrasse quattro monete d'oro e le lanciò al ragazzo.

Ugo le prese al volo e lo ringraziò.

Rubellius – Due per le bevande e altre due per l'ospitalità. Ragazzino se vuoi essere furbo e scaltro, sii egoista e gioca sporco. È la prima regola del commercio.

Ugo annuì andando dietro al bancone dove stava sua madre. Alan fissò il demone e borbottò qualcosa.

Alan – Dare delle monete d'oro ad un ragazzino che stupidaggine.

Rubellius – No. Vi sbagliate. Spiare e giudicare l'operato delle persone è un lavoro più che onorevole.

Alan – Sì. Così i figli crescono viziati.

Rubellius – Meglio essere viziati che poveri in canna.

Alan fissò il demone con curiosità, Elvia sbadigliò e si stropicciò un occhio.

Alan – Voi non avete figli? Avrete su per giù ventisei o trent'anni.

Rubellius – Ci sono cose che non vi posso raccontare. Ma comunque no.

Elvia – Se vuoi mi offro io. Sono brava con i bambini - prese il volto di Rubellius e rise.

Rubellius – In primo luogo, non amo i bambini - rise socchiudendo gli occhi e mordendosi le labbra - Soprattutto quando piangono, urlano o si disperano per aver la tetta della loro madre. In secondo luogo odio la loro popò.

Elvia – Ma portano gioia e felicità.

Rubellius – Appunto – prese il bicchiere per bere il vino – doni che per me sono difficili da ottenere.

Elvia – Sei sterile? - lo guardò indignata.

Rubellius – Questo gingillo qui – indicò con gli occhi i pantaloni e rise – potrebbe creare un esercito se solo lo volesse. Solo che... ho avuto le mie esperienze e non voglio ricadere. La sterilità che citi cambia in ogni situazione della mia vita.

Elvia – Che peccato.

Rubellius finì la bevanda e spostò con garbo la donna, si alzò e guardò il mercante.

Rubellius – Già. Signori e signore, ora è meglio che vada. Sapete... si è fatto tardi.

Il mercante annuì salutandolo e augurandogli un buon riposo, mentre Elvia sbuffò poiché voleva la sua compagnia.

Quando il demone uscì dalla locanda, osservò la meridiana verticale del villaggio posta su una piccola torre. Rubellius passeggiò per la piazza andando a prendere Tenebris, il quale era legato accanto ad un albero.

Rubellius – Ah mio buon Tenebris è già ora di andar via - osservò l'ora sulla meridiana.

Il cavallo nitrì muovendo il muso. Rubellius gli accarezzò il collo e sistemò le borse poste sulla sella. La magnifica creatura pestò nervosamente il terreno, mentre i due uomini misteriosi uscirono dalla locanda. Il demone si voltò verso di loro e salì in sella, dirigendosi verso un sentiero che portava ad un ruscello.

Rubellius – Lo so. Non ti piacciono.

La bestia nitrì e iniziò a trottare.

Dopo qualche minuto le due creature arrivarono al ruscello circondato dagli alberi e dai campi di grano. Le colline erano immense e un vento leggero sfiorò la pelle bianca della creatura, gli uccelli continuarono a cantare. Rubellius scese dalla groppa del cavallo e lo legò ad un albero. Le radici sfioravano l'acqua, mentre la bestia beveva. Il demone si avvicinò alla riva e guardò le acque, si inginocchiò accarezzando il cavallo. Dei passi echeggiarono dietro alle sue spalle e le orecchie a punta, nascoste dalle ciocche rosse, si mossero. Sapeva di essere stato seguito poiché aveva udito la cavalcata dei due uomini lungo la strada. I due uomini erano a qualche metro distanza, scesero dai destrieri ed estrassero dai foderi dei pugnali. Uno dei due con i capelli castani fece un cenno al compagno. Tenebris sbuffò sentendo la loro presenza. Rubellius fissò il riflesso dei suoi occhi sull'acqua e sorrise. Le pupille erano identiche a quelle di un rettile, mentre i colore ametista era diventato di un viola scurissimo. Le ombre degli uomini coprirono Rubellius per un breve istante. 


Avviso Autrice: 

Dedico questo capito alla pazza e simpatica Ludovica che mi segue dagli inizi e che da ora ha iniziato e divorato il mio terzo libro. *O*


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