4. Non so il suo nome

Lo zio ebbe un'idea geniale: chiamare la commissione d'esame sarebbe stata una mossa vincente. Andrea digitò in fretta il numero e un professore universitario gli rispose dopo due squilli.

« Pronto? Qui il professor Bastianoni. » era proprio il docente che il ragazzo stava cercando, cioè quello baffuto.

« Salve, professore. Sono Andrea Chiave. » esordì il giovane.

« Oh, Chiave! A cosa devo la sua chiamata? » chiese l'uomo, con gentilezza.

« So che potrebbe sembrarle strana questa richiesta. » esitò il biondo.

« Suvvia, mi dica. » lo incitò.

« Non è che, cortesemente, potrebbe dirmi chi ha dato l'esame dopo di me? » domandò garbatamente.

Il professore ponderò qualche istante, prima di rispondergli.

« Come mai vuole saperlo? Sa, non sono cose che posso comunicarle così, su due piedi. Prima deve darmi una motivazione valida. » lo avvisò.

« Sono consapevole di ciò. Ma vedete, accidentalmente ho perso un documento molto importante dai miei appunti e credo che chi l'abbia sia proprio la persona che ha dato l'esame successivamente a me, a giudicare da come correva questa mattina. » disse, aggiungendo quel dettaglio che al più grande non sfuggì e che gli diede uno spunto di chi sarebbe potuto essere.

Così, per togliersi quel dubbio, gli chiese:

« Ha forse detto che correva? »

Un barlume di speranza s'accese negli occhi del giovane.

« Sì! Per caso sa chi potrebbe essere? »

L'uomo mormorò qualcosa che il ragazzo non comprese, ma intuì che stesse leggendo un elenco, in quanto riuscì a sentire, seppur minimamente, un suono somigliante a dei fogli di carta che venivano sfregati e sfogliati.

« Sì. Dopo di voi è venuta una nostra studentessa universitaria. Guarda caso, ha dato anche lei un esame di cinese. Purtroppo, ha cambiato numero e non abbiamo quello nuovo, ma posso dettarle quello della studentessa sua amica che era dopo di lei. Il suo nome è Abigail Stefanini. »

Andrea non se lo fece ripetere due volte, mise il viva-voce e cliccò l'applicazione "Memo", dove era solito annotare cose importanti, e quella era una delle tante.

Dopo avergli intimato un:

« Vada. »

Bastianoni gli recapitò il numero della ragazza sopracitata e Andrea lo ringraziò, chiedendo un ultimo favore che gli venne concesso.

                                 ~~~

Salito l'ultimo gradino, Abigail si diresse verso la porta del suo appartamento. Tirò fuori le chiavi dalla tasca dei pantaloni ed entrò.
Sospirò e andò nel salone per posare la sua borsa firmata, della Prima Classe.

Aveva un'infinità di accessori di quella marca; dalle calzature alle borse, dell'abbigliamento alle pochette, dai trolley alle valigie.
Ciò perché la madre era cugina di primo grado dello stilista Alviero Martini, conosciuto in tutto il mondo.
Entrambi nutrivano da sempre un profondo legame, come se fossero stati fratelli.

Anni addietro, lo stilista espresse il desiderio di avere la signora Michela Martini come sarta ed entrare a far parte della sua equipe; lei accettò con grande piacere, dacché era molto brava nell'arte del cucito.

E anche quella era la ragione per cui Abigail avesse svariate borse e robe simili della Prima Classe. In più, la giovane condivideva quell'opportunità con la sua migliore amica, che insieme davano altresì buoni consigli e buone idee per nuove collezioni.

Dopo che ebbe preso un elastico dal cofanetto della sua camera da letto, legò i capelli - che le arrivavano poco più giù del seno - in una coda di cavallo alta, guardandosi alla specchiera. Soddisfatta del risultato, ritornò in salone, prese il cellulare dalla borsa e si avviò verso la cucina.

Accese il Wi-Fi e guardò le notifiche, poi lo posò sul tavolo e cominciò a preparare il pranzo, dato che si erano fatte le dodici e un quarto.

Mentre si chinava per aprire un'anta di un armadietto e prendere una pentola, il dispositivo mobile suonò.

Girò il capo verso l'oggetto, corrugando le sopracciglia. Ma non fu sorpresa più di tanto, sicché spesso, a quell'orario, la madre le faceva qualche telefonata.

Si alzò e raggiunse il suo telefonino.

Notò che non si trattava di sua madre, bensì era un numero che non conosceva.

L'afferrò comunque, rispondendo.

« Pronto? »

« Buongiorno. Parlo con la signorina Abigail Stefanini? » una voce sconosciuta, maschile, rispose dall'altro capo.

Abigail si interrogò su come facesse quella persona a sapere il suo nome.

« Sì, sono io. Ma lei ch--? » non ebbe neanche il tempo di chiedere chi fosse, ché l'altro la interruppe.

« Mi chiamo Andrea Chiave e sono uno studente della stessa Università che lei frequenta. Mi scusi se la disturbo, ma dovrei urgentemente parlare con la sua amica. So che anche lei frequenta la medesima Università. » si presentò lui, spiegando il motivo della sua chiamata.

« Sì, ma perché le interessa parlare con lei? » chiese, sospettosa.

Il ragazzo le rispose con austerità, diretto.

« La sua amica ha qualcosa che mi appartiene. »

Abigail non capì cosa lui intendesse.

O meglio, una mezza idea le era venuta di chi potesse essere quel ragazzo, ma non voleva fare delle gaffes.

« Qualcosa che le appartiene? Si spieghi meglio, per favore. »

Sentì il ragazzo inspirare ed espirare, prima di aggiungere:

« Questa mattina, io e la sua amica ci siamo accidentalmente scontrati e-- » stavolta fu la ragazza a interromperlo.

« Ah! Ho capito chi è! Lei è l'ine-- cioè, il ragazzo di cui mi ha parlato oggi la mia amica! Sa dove abitiamo? » fece Abigail, quasi le scappò l'appellativo che gli aveva attribuito Simona.

« Sì, me l'ha detto il professor Bastianoni. È stato lui a recapitarmi il suo numero. » rispose discretamente.

« Oh, capisco. D'accordo, allora si faccia trovare davanti al portone del nostro appartamento. Scenderemo il prima possibile. » gli consigliò Abigail.

« Va bene. Buona giornata. » asserì e la salutò.

« Altrettanto, salve. » e riattaccarono.

Lestamente, cercò in rubrica il numero di Simona e la chiamò, comunicandole vaga che un certo Andrea Chiave la aspettava sotto, al portone. Ella chiese chi fosse quella persona e l'altra le rispose, assumendo volutamente un tono dubbioso:

« Non so se è vero, ma dice che tu hai qualcosa che gli appartiene. »

La credente sgranò gli occhi, non capendo. Che cosa poteva avere lei che appartenesse a quel ragazzo?

D'un tratto, le balenò un pensiero.

Per confermare il suo sospetto, fece attendere l'amica in linea e si fiondò in camera sua. Spalancò l'armadio e agguantò la sua O bag di quella mattina; la mise sopra il suo letto, l'aprì con un colpo secco e deciso e vi infilò le mani, rovistando dentro.

Buttò all'aria gli oggetti che conteneva, finché non trovo quello che cercava: un foglio di dimensioni leggermente ridotte rispetto al normale, probabilmente di un quadernetto, a quadretti e con qualche piega.

La grafia era ben leggibile e curata e, malgrado fossero degli appunti sparsi un po' qua e là, erano disposti in un insolito modo che, alla vista, era ordinato. Erano delle nozioni molto interessanti, dovette ammettere la ragazza.

Prese il cellulare e riprese la conversazione:

« Abi! »

« Sì? »

« Credo di averlo trovato! » disse, sorridente.

« Fantastico! Ti raggiungo subito! » affermò l'amica, staccando la chiamata.

La bruna posò nuovamente il suo telefonino sul letto e lesse quegli appunti.

Non avrebbe dovuto farlo e lo sapeva: avvertiva la parte razionale di sé rimproverarla e anche la sua coscienza.

Incantata da quelle informazioni prese una decisione: cliccò l'optional "Fotocamera" del suo cellulare e scattò una fotografia a quel documento.

Successivamente, rimise gli oggetti dentro la borsa e aspettò pazientemente Abigail in salotto, seduta sulla poltrona con le gambe accavallate, le braccia messe a incrocio, poggiate sulle cosce, e il foglio tenuto saldamente tra l'indice, il medio e il pollice della mano destra.

Intanto, percepiva i sensi di colpa farsi strada lentamente nella sua mente.

Inoltre, avvertì una strana sensazione allo stomaco, come un groviglio che le si contorceva, sentendosi veramente colpevole di un crimine; in quel caso, il fatto di essersi impossessata di appunti non suoi.

Pertanto, non erano farina del suo sacco. Sapeva che non era corretto.

Estrasse il telefonino dalla tasca dei jeans e prese quella foto: voleva cancellarla.

I suoi sensi di colpa si stavano facendo pesanti, come un macigno. Cliccò l'opzione che citava "Elimina" ed era in procinto di mettere "Ok", quando sentì suonare il campanello.

D'istinto, pigiò la freccia per tornare indietro e lasciò il cellulare sul tavolo, alzandosi e andando ad aprire.

Non si ritrovò Abigail davanti, bensì sull'orlo dell'inizio delle scale, che camminava, o meglio correva, sul posto.

La bruna inclinò il capo da un lato e alzò un sopracciglio, chiedendole confusa:

« Abi, ma che stai facendo? »

Di rimando, l'amica le ordinò, stranamente insistente:

« Che fai lì impalata? Su, scendiamo! »

La più bassa non comprendeva l'inusuale comportamento della castana e lei, vedendola per niente intenzionata a smuoversi dalla sua postazione, le si avvicinò e la afferrò per un braccio, trascinandola con sé giù per i gradini e vani furono i tentativi di Simona di fermarla con dei:

« Aspetta, Abi! »

« Fammi almeno chiudere la porta! »

« Abi, lasciami il braccio! »

Così, la ragazza si rassegnò e si lasciò trasportare da Abigail.

Non capiva la tanta irruenza e l'irrefrenabile fretta della migliore amica, però sapeva che c'era qualcosa sotto. Perciò, non mancò di lanciarle di tanto in tanto delle occhiate sospettose.

Scesi i tre piani, giunsero al pian terreno.

Con uno strattone convinto, la ragazza riuscì a liberarsi dalla morsa dell'altra e, guardando in direzione del portone in vetro con un maniglione antipanico, si accorse di qualcuno all'esterno.

Un ragazzo, per l'esattezza.

Cercò di mettere a fuoco quella figura e di scoprire se l'avesse mai incontrato prima d'ora.

Un dubbio subentrò nella sua memoria, avendo il timore che fosse proprio quella persona che lei stessa pensava.

Sperò che non fosse chi credeva.

« Come hai detto che si chiama il ragazzo? » domandò improvvisamente.

Abigail si girò verso di lei.

« Andrea Chiave. »

Simona mimò con le labbra qualcosa, ma non ebbe il tempo di scandire le parole che l'altra la precedette.

« Sì, è quello laggiù. » e lo indicò.

La credente guardò il foglio che stringeva ancora tra le mani e poi il ragazzo; da quella distanza non poteva ben capirlo, ma era certa che fosse proprio lui, ormai.

Anche perché, chi altri sarebbe potuto essere?

Cominciò a tremare per il nervosismo e a divenire tesa, comportamento che ad Abigail non sfuggì.
Vicino dov'erano loro, si trovava un distributore per tutti i tipi di caffè.

Senza dire nulla, l'amica si mosse verso la macchinetta, posizionandosi di fronte ad essa.

Prelevò dalla tasca dei suoi pantaloni una monetina da un euro e la inserì, digitando il caffè che aveva scelto per Simona.

« Abi? Che fai? » chiese scettica, affiancandosi a lei.

« Ti prendo un cappuccino. » fece normalmente, con l'ovvietà nella voce.

La ragazza accanto si limitò ad emettere un "Ah" e le lasciò fare, infilando il foglio nella tasca posteriore dei jeans.

Una volta aperto lo sportelletto del distributore automatico, tirò fuori il bicchierino pieno fino all'orlo e lo porse alla bruna, che lo prese tra le mani attentamente, mentre la castana ritirava il resto.

L'evangelica ne bevve appena un sorsetto, quel poco che bastava per svuotare leggermente il piccolo bicchiere.

Scesero quattro gradini e, proprio di fronte ad essi, vi era il portone. Abigail, che era di pochi passi più avanti rispetto all'altra, abbassò il maniglione e aprì l'infisso in vetro, in modo che il ragazzo potesse entrare.

Successe tutto molto in fretta: accidentalmente, Simona, essendo troppo concentrata a fissare il bicchierino per evitare che cadesse qualche goccia, inciampò sui suoi stessi piedi; l'amica si scansò appena in tempo verso sinistra, ma parte del cappuccino finì per essere rovesciato sulla camicia del giovane, che non ebbe neanche il tempo di varcare la soglia con un piede!

Istintivamente, diede un'occhiata al suo indumento e lanciò un verso irritato.

« Allora sei proprio maldestra, tu! »
s'infuriò.

« Oh, cielo! Scusami, davvero, io non ... » tentò di scusarsi, ma lui non glielo permise.

« Non solo stamattina ti scontri con me e mi fai cadere con tutti i miei appunti, ma ora mi getti pure il caffè di sopra! Ma vuoi stare più attenta?! » sbottò adirato, mentre una vena pulsante spuntava sulla sua fronte.

« Scusami ... » disse impercettibilmente, desolata.

« Sai cosa me ne faccio delle tue scuse! » sbuffò, annoiato e sgarbato, passandosi una mano tra i capelli.

Lei era davvero mortificata per quello che aveva fatto e le sue parole non facevano altro che farla sentire ancora più in colpa di quanto non lo fosse già.

E se Andrea non avesse smesso di iniettarla di parole brusche, Simona sarebbe arrivata a un punto in cui non avrebbe risposto più di se stessa.

Troppo nervosismo l'avrebbe certamente fatta, inizialmente, implodere e poi esplodere.

« Piuttosto - sospirò lui -, qual è il tuo nome? Anzi, dammi direttamente il foglio così me ne andrò e non dovrò vederti più. » fece, sfacciato e arrogante, protendendo la mano sinistra verso di lei e poggiando la destra su un fianco.

Un comportamento davvero ineducato, non c'era che dire!

Ma come osava rivolgersi a lei in quella maniera? Neanche la conosceva, non sapeva nemmeno il suo nome, e le rinfacciava tali parole?

Era forse quello il modo con cui cercava di trovare un approccio con le altre persone?

« Ah, e attendo ancora le tue scuse per stamattina. »

Quella frase, che penetrò tagliente nelle orecchie della credente, come il frenare delle ruote di un vecchio treno sui binari, non fece altro che aumentare la tensione che si era già creata.

Lo reputò persino incoerente! Prima le diceva che non aveva intenzione di ricevere le sue scuse e dopo le pretendeva?

Strinse i pugni.

Non le andava proprio a genio quel ragazzo; che gran faccia tosta!

Abigail, nel frattempo, guardava interdetta la scena, con la mano ancora poggiata sul maniglione del portone, osservando i due giovani l'uno di fronte all'altra e rivolgendo loro delle occhiate alternate.

Sapeva che da un momento all'altro l'amica non si sarebbe trattenuta dallo sfogarsi e avrebbe fatto qualcosa che sicuramente non sarebbe stato affatto piacevole nei confronti di Andrea.

« Che ne dici di darglielo? » chiese per allentare la tensione, omettendo volutamente il nome dell'altra ragazza.

Lui la guardò e le parlò.

« Tu devi essere Abigail Stefanini, la sua amica, no? Bene, allora le chiederesti di rivelarmi il suo nome, invece di rimanersene ammutolita? » ed eccola: la goccia che fece traboccare il vaso.

La bruna scoppiò dentro, serrando ulteriormente i pugni, fino a sbiancare le nocche.

L'insolenza di lui fece arrabbiare anche la castana, che gli rispose a tono:

« Come ti permetti di rivolgerti a noi in questo modo?! Vedi d-- » venne fermata dal braccio sinistro di Simona, sollevato a mezz'aria.

Dilatò le dita della mano e nell'altra stringeva ancora il bicchierino.
Con quel gesto, le fece capire di dover tacere, poiché era arrivato il suo turno.

A quel punto, la più alta si limitò a guardare.

L'evangelica lo fissò dritto negli occhi, senza alcuna espressione in viso, se non un sorriso pacato che piano piano si allargava sulle sue labbra.

« E così, sarei io a doverti chiedere scusa, eh? Nonostante anche tu stessi correndo. » incominciò, il calibro di voce stranamente calmo.

« Esattamente! » le rispose per le rime, presuntuoso.

« Beh, sappi per certo ... » esitò, creando un'atmosfera di suspance.

« ... che chi è causa del suo male, pianga se stesso. »

Il ragazzo sollevò un sopracciglio: cosa voleva dire con quel proverbio?

Abigail si chiese la stessa identica cosa e non poté fare a meno di preoccuparsi per tali parole.

« Come? » chiese, confuso, Andrea, ad un certo punto.

Simona non cessava di rivolgergli quel sorrisetto che stava diventando pressoché inquietante.

« Smettila di giocare e restituiscimi il mio appunto! » esclamò, impaziente e snervato.

« Certamente. Ma permettimi di farti un servizietto completo. »

Mandò il braccio sinistro dietro di sé, prese il foglio e lo inzuppò nel cappuccino, consegnando il tutto al ragazzo.

Egli sbiancò a quel gesto di mera rabbia che, tuttavia, era stata rigorosamente contenuta.

« Buona giornata. » concluse angelica e innocente, sbattendo con forza il portone e facendo dietrofront in direzione del suo appartamento, seguita a ruota da un'Abigail più che scioccata, mentre Andrea dallo sconvolto passava al furioso.

Si ridestò e digrignò i denti, rifacendo la via di casa.

~~~

Una volta giunto alla sua dimora, lo accolse festante il suo pastore maremmano, Rudy.

Ma venne bellamente ignorato dal suo padrone, il quale aprì la porta di casa ed entrò dentro sbattendola, lasciando la povera bestiola fuori, delusa.

« Che impertinente! » borbottò ad alta voce, sollevando il foglio zuppo dal bicchierino in plastica e guardandolo con una smorfia di disappunto.

Andò in cucina, mettendo il bicchiere sull'isola, e prese un quaderno e una biro da un cassetto.

Afferrò un rotolone di carta assorbente da cucina, ne strappò quattro pezzi e si sedette su un alto sgabello davanti al bancone in marmo.

Tolse il foglio dal liquido e lo distese sugli strappi, che assorbirono il cappuccino.

Una piccola porzione era asciutta, mentre la maggior parte era irrecuperabile.

Battè un pugno sul marmo.

« Accidenti! I miei appunti di arabo! Sono completamente rovinati! Ora mi ci vorrà una vita per ritrovare tutte quelle fonti! » si disperò, tenendosi la testa tra le mani.

Il suo volto s'incupì, macchinando pensieri poco ortodossi.

« È tutta colpa di quella ragazza! È solo colpa sua! » la accusò, risentito e infuriato.

Si alzò e decise di fare ciò che aveva sempre fatto quando gli accadevano situazioni che lo segnavano particolarmente: andare fuori in spiaggia, per parlare con Dio.

Uscì di casa, chiudendo la porta e portandosi le chiavi appresso, accarezzò Rudy, come a voler farsi perdonare con quelle coccole, e scese le scale.

Arrivato lì, davanti all'immensa distesa d'acqua, inspirò la salsedine a pieni polmoni, si chinò per prendere una pietra sottile e la fece guizzare sull'acqua, facendole fare tre saltelli.

Aprì la bocca e dialogò con il Signore. Sapeva per certo che Egli era lì, con lui, e che lo stava guardando e ascoltando.

« Padre. Tu hai visto ciò che è successo oggi, con quella ragazza ... » respirò per un attimo il profumo del mare, lanciando un'altra pietra.

« ... Tu sai ogni cosa. Tu sai perché è successo, anche se io in questo momento non lo capisco ... » esitò ancora una volta, stringendosi nelle spalle.

« ... e sono tremendamente arrabbiato con quella ragazza di cui non so neanche il nome! » affermò, ma mantenendo sempre una certa riverenza e un certo timore, in quanto stava parlando con Dio.

« Tu, Signore, hai un piano per tutti, lo so. Ora, però, Signore ... » si sedette sulla riva, distendendo la gamba sinistra e mettendo ad angolo acuto l'altra, poggiandovi il gomito destro.

Guardò l'orizzonte.

« ... io non so cosa fare. Tu sai bene che quegli appunti li avevo raggruppati con tanta fatica ed erano molto importanti, anche perché mi sarebbero stati molto utili per il prossimo esame che dovrò dare tra due mesi. E sono andati perduti per colpa di-- ... » si obbligò a fermarsi.

Qualcosa stava prendendo voce in capitolo dentro di sé.

Sbarrò gli occhi, come se in quel momento avesse ricevuto un colpo secco allo stomaco che l'avesse fatto fermare sui suoi ragionamenti accusatori, costringendolo a ravvedersi da essi.

Si rese conto che la colpa non era solo della ragazza, ma anche sua.

Se non l'avesse provocata in quel modo, niente di tutto quello che era successo sarebbe accaduto.

Abbassò lo sguardo, spostandolo sulle pietre che aveva sotto di sé e sulla sabbia che si trovava poco più avanti.

Fece ricadere le braccia lungo i fianchi, in un segno di presa di coscienza e di pentimento per ciò che aveva detto a scapito della giovane.

Sospirò tristemente.

« Però è pur vero, Signore, che anch'io ho le mie colpe. Sono stato veramente meschino con lei e non le ho neanche permesso di scusarsi, anzi. Non me n'è importato nulla e, beh, credo che la sua reazione fosse più che giustificabile. Anche io, al suo posto, avrei risposto per le rime ... forse, proprio come ha reagito lei. » ammise, prendendosi le sue responsabilità.

Poi, però, gli spuntò un sorrisino divertito.

« Anzi, devo dire che lei mi ha saputo tener testa nella maniera più calma possibile! » ripensò a quando gli aveva sbattuto il portone in faccia ed era riuscita a contenersi, sebbene Andrea gli avesse mostrato la parte più scontrosa di sé.

Ritornò serio e alzò gli occhi, dicendo:

« Alla fine, Signore, Ti chiedo di perdonami per il mio comportamento e per quello della ragazza. Ti prego. Aiutami a tenere a bada il mio carattere e ... » si mise in ginocchio, a mani giunte, chiudendo gli occhi e chinando la testa.

« ... e Ti prego, ricordaTi della richiesta che Ti ho fatto. Te lo chiedo nel nome di Gesù, il Tuo Figliuolo, che Tu L'hai benedetto e consacrato in eterno. Amen. »

~~~

« Hai finito di sbraitare come un cane rabbioso o i miei timpani devono ancora subire le tue violenze acustiche? » fece Abigail, scostando le mani dai lobi.

Erano appena rientrate nell'appartamento di Simona, la quale, dopo essersi sfogata tra mille versacci frustrati, si era scaraventata con la schiena contro la poltrona, a peso morto, facendo ricadere le mani sui braccioli, mentre l'altra si era accomodata sul divano adiacente.

La bruna incrociò le braccia e spostò lo sguardo al lato opposto all'amica, offesa.

La castana sospirò e, esitando qualche istante, le parlò:

« Comunque, Simo. Sappi che sei stata formidabile! » si complimentò con lei.

La diretta interessata volse il capo verso la più alta, sorpresa.
Quest'ultima continuò, raggiante.

« Ma sì, Simona! Gliel'hai fatta vedere a quello sbruffone patentato! Ben gli stava! Ma chi si credeva di essere? Veramente, Simo, sei stata grandiosa! » non smise di congratularsi con la migliore amica, con ammirazione, come se avesse fatto chissà quale gesta eroica.

Tuttavia, Simona non si sentiva fiera di se stessa, tutt'altro. Aveva iniziato a pentirsi di ciò che aveva fatto a quel ragazzo, sin dall'istante in cui gli aveva sbattuto il portone in faccia e aveva fatto ritorno al suo appartamento, a testa alta.

Anzi, si era già pentita delle sue azioni, quando aveva scattato una foto agli appunti di Andrea.

Una smorfia di rincrescimento si formò sulla sua faccia, sentendosi in colpa.

« Io, però, non mi sento per niente soddisfatta di ciò che gli ho fatto. » ammise, abbassando il capo.

Poi, però, dal pentimento passò all'essere demoralizzata.

« Se solo non mi avesse fatta arrabbiare con il suo atteggiamento irritante! » strinse il lembo della gonna che indossava ancora da quella mattina.

Aveva cambiato solo la maglietta, mettendosene una più comoda e sportiva, sebbene non si abbinasse granché con la gonna.

« Suvvia, Simo. Keep calm. » mosse le mani da mezz'aria verso giù, come a intimarle di fare piano.

« Keep calm? Keep calm?! Ma che keep calm, Abi! Grrrh ... » gesticolò con le mani, ma l'amica gliele abbassò, dicendole:

« Buona, Simona. - "Oh oh! Ho fatto la rima!", pensò - Adesso, fai un bel respiro profondo. Inspira ... » presero entrambe aria dalle narici ...

« ... espira. » e la rilasciarono dalla bocca.

Sospirarono.

« Ora ti senti meglio? » chiese, speranzosa in una risposta positiva.

« Un po'. Grazie, Abi. » le sorrise e la castana ricambiò.

D'un tratto, però, a Simona venne un dubbio e, per sbarazzarsene, domandò direttamente ad Abigail.

« Mi chiedevo, perché ti sei comportata in quel modo strano, prima che incontrassimo Andrea? »

La vide mutare d'espressione, da sorridente a imbarazzata. Infatti, si grattò la nuca, incerta.

« Ecco ... ehm ... » tentennò.

« Allora? » la invogliò a sputare il rospo.

« Io ... » prese un grande respiro e lo rilasciò, dando la spiegazione di quel suo insolito comportamento:

« Io pensavo che sarebbe stata per te un'occasione per conoscere qualche ragazzo, in questo caso lui, e che magari avreste avuto qualche possibilità. Ma non mi aspettavo che il vostro incontro avrebbe assunto questa piega. »

Simona scosse il capo, ridacchiando mellifluamente.

« Oh, Abi! » affermò, lievemente stupita.

« Non dovevi pensarci, però capisco che l'hai fatto per me! » la ringranziò, con un leggero tono di rimprovero.

« Figurati, Simonetta! » l'apostrofò, scherzosamente.

« Abigail! » la sgridò, divertita.

Risero all'unisono e poi la più alta si levò in piedi, comunicandole:

« Va bene, io vado. Voglio andare a prepararmi un bel piatto di spaghetti al pomodoro. Vuoi venire? »

« No, grazie. Mangerò da sola. » rifiutò garbatamente l'invito.

« D'accordo. » le schioccò un bacio sulla guancia e Simona gliene diede un altro in quella opposta.

« Ci vediamo. Ciao. » la salutò, dirigendosi verso la porta.

« Ciao, Abi. » fece di rimando.

La credente, notando che calzava ancora le sue decoltè nere, decise di sfilarsele.

Prima di poter togliere la seconda, Abigail la punzecchiò con un'ultima frase, facendo sbucare la testa oltre la porta.

« E comunque, Simona, devi ammetterlo: è davvero un bel ragazzo! » ridacchiò e richiuse di scatto l'uscio, appena in tempo per evitare la scarpa della bruna, che era stata lanciata proprio nella sua direzione.



Angolo Autrice

Heylà! Come andiamo?
Scusate la lunghezza del capitolo, spero di non essere stata noiosa.
Allora? Ve l'aspettavate che sarebbe successo tutto ciò?
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe tanto piacere conoscere le vostre opinioni! 😊
E tante grazie per le 100 e passa visualizzazioni, lo apprezzo moltissimo!
Alla proxima.
Dio vi benedica.❤

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