3. Andrea Chiave

Tredici settembre.
Otto e un quarto del mattino.

In un paesello siciliano, in una casa in riva al mare, viveva un ragazzo dell'età di ventisei anni.
Un amante del nuoto.

Alto, fisico slanciato, asciutto e scolpito. I suoi occhi erano grigi, ma tendenti all'azzurro, le labbra sottili, i capelli biondo cenere, corti, i lineamenti del viso ben definiti.

A quell'orario non lo si trovava nella sua dimora: lui era in acqua.
Ogni mattina lui andava a nuotare.

Amava il mare, gli piaceva tantissimo sentire l'acqua salata tutt'uno con il suo corpo.

Certo, d'inverno non faceva una pazzia del genere; al massimo fino ad ottobre, quando il tempo iniziava a dare i primi accenni di raffreddamento, ma poteva essere considerato un Commissario Montalbano ringiovanito.

E in quei casi, quando faceva troppo freddo per poter fare un bagno, se ne stava sulla riva ad udire il rumore delle onde, respirare la salsedine, inumidirsi i piedi con l'acqua gelida, tirare le pietre più sottili e farle rimbalzare, pregare.

Non c'era cosa più bella, per lui, di pregare in sulla sponda.
Era meraviglioso intrattenere quella comunione, quel dialogo con Dio.

La sua villetta era quasi isolata, a una trentina di metri dal promontorio, insieme ad altre case sparse più lontano.

Delle scale conducevano alla spaggia, ove, in quel periodo, non vi erano mai troppe persone e lui era libero di poter parlare anche ad un tono normale, ma preferiva sempre tenerlo basso.

Solo quando era nervoso o arrabbiato per qualcosa che gli era accaduta oppure doveva sfogarsi, alzava la voce.

Ma, per il resto, amava parlare o discutere con Dio dei suoi problemi  delle sue opinioni, perché sapeva che di Lui si poteva fidare ciecamente, che Lui l'avrebbe ascoltato sempre.

Uscito fuori dall'acqua, tirò fuori dal suo borsone un asciugamano e si asciugò. Distese il telo mare, si sedette e prese ancora contenitore con delle piccole pere, cominciando a gustarsele una ad una, fino al torsolo. Infine, bevve dalla sua borraccia.

Rientrò in casa e si fece una doccia, per poi vestirsi, scegliendo una tuta.
Poco dopo, si recò al mercato del suo paesino.

Stette in giro per molte ore - anche perché aveva incontrato delle vecchie conoscenze e si era fermato a scambiare quattro chiacchiere con loro, raccontandosi a vicenda le varie novità accadute nell'arco di quegli anni.

Fattesi le otto di sera, decise di ritornare alla sua dimora.
Il nome del ragazzo era Andrea Chiave.

Tolse le scarpe e le ripose nella media scarpiera che c'era davanti la porta, infilando le ciabatte.
Si avviò verso la sua camera da letto e indossò il pigiama.

Andò in cucina e si preparò un toast con mozzarella, fettine di pomodoro, fesa di tacchino e lattuga ma, prima di addentarlo, pregò.

Stette un paio d'ore a guardare la TV sul divano, dopodiché decise di andare a coricarsi, non aspettandosi mica che non sarebbe riuscito a prendere sonno.

Si girò e rigirò sul suo letto, serrò gli occhi con forza, contò le pecore, si fece una tisana rilassante, pregò affinché si addormentasse, ma niente.

Non ci riuscì.

Si mise a sedere sul materasso.

« Perché non riesco a dormire, Signore? Che cosa c'è? Devi farmi capire qualcosa? » mille domande gli passavano per la testa.

Ancora non capiva.

Solitamente, si addormentava non appena poggiava il capo sul cuscino, ma stavolta la sua tattica non aveva funzionato.

Lentamente, dei pensieri cominciarono a farsi largo nella sua mente, riguardanti un argomento che a lui premeva parecchio: la compagna ideale.

Sì, perché Andrea era single!

Aveva avuto delle fidanzate in passato, ma nessuna era riuscito a farlo innamorare veramente.

Era un bel ragazzo, desiderabile - e forse, qualche volta, approfittava del suo bell'aspetto - intelligente, anche.

Ma nessuna ragazza era mai riuscita a stravolgerlo.

Fino a quel momento, nessuna gli aveva mai fatto avvertire le cosiddette "farfalle nello stomaco" o quella sottospecie di nostalgia che inspiegabilmente si percepiva, come se mancasse una parte di sé.

Gli sarebbe piaciuto provare certi sentimenti per una ragazza che non fosse interessata alla sua bellezza esteriore, bensì a quella interiore.

E se esisteva, voleva trovarla.

Doveva trovarla!

Si inginocchiò al bordo del letto, chiuse gli occhi e disse:

« Signore. Tu lo sai che mi piacerebbe trovare una ragazza, ma non una qualunque, quella che tu vuoi farmi avere al mio fianco, con la quale io possa condividere il piacere di averTi vicino, le esperienze che ho vissuto con Te, tutto di Te ... Ti prego, Signore, se è nella Tua Volontà, fammi trovare una fidanzata. Grazie, Padre. Te lo chiedo nel nome di Gesù. Amen. »

Si sdraiò nuovamente e si addormentò poco dopo.

~~~


Il mattino seguente doveva recarsi presso l'Università, per dare l'esame di cinese.

Si alzò normalmente, intorno alle sei e trenta. Dopo aver fatto una breve nuotata, entrò di corsa e fece una doccia veloce.

Si vestì e preparò la sua colazione; pregò, bevve un bicchiere di latte e mangiò una mela.

Mise dei fogli contenenti il suo programma in una carpetta verde prato, dall'elastico variopinto, calzò le scarpe e uscì.

Guardò il suo orologio da polso: sette e mezza.

"Buono!" pensò "Arriverò anche in anticipo."

E, infatti, fu così: dopo aver camminato per una decina di minuti, poiché l'Università non distava molti chilometri dalla sua casa, arrivò a destinazione con quindici minuti di anticipo.

Trovata la sua aula aperta, sbucò la testa da fuori, domandando:

« È permesso? »

Vide i suoi professori d'esame fermarsi dal loro conversare e sorridergli.

« Oh, Chiave. Non l'aspettavamo adesso. È in anticipo. » esordì la donna sulla quarantina.

« Sì, l'ho visto. Ma ho pensato comunque di venire. » comunicò il ragazzo, varcando la soglia.

« Beh, allora, dato che è qui, vuole dare il suo esame? » chiese gentilmente l'uomo di destra.

Quella mattina, infatti, doveva essere lui il primo della lista.

« È indifferente per me. » scrollò le spalle.

« Quando è così, si accomodi. » gli intimò il collega di sinistra.

Fece come indicatogli e si sedette in una sedia di fronte alla cattedra.

Consegnò il programma ai docenti, i quali gli fecero motto di iniziare.

Il discorso era fluido e travolgente; nelle parole non era presente l'incertezza, sapeva bene il suo argomento e poteva essere considerato addirittura un oratore, per la sua bravura nell'articolare le frasi e nel coniugare i tempi correttamente.

Ma c'erano ancora delle lacune nel suo metodo di studio. Non appena lo fermavano per fargli delle domande, lui si bloccava.

Purtroppo, aveva quel difetto: mentre ripeteva, nessuno doveva interromperlo, altrimenti si deconcentrava e non sapeva più come continuare.

Fu ciò che gli successe quando la professoressa gli domandò qualcosa a cui lui non seppe rispondere immediatamente, se non grazie ad un suggerimento che gli venne fornito dai due colleghi maschi.

Riuscì a continuare il suo argomento e a finirlo meglio delle scorse volte. Perfino i tre docenti se ne accorsero.

« La sua interrogazione di oggi è stata migliore di quelle passate. Siete d'accordo con me, colleghi? » gli fece i complimenti ed eziandio domandò il baffuto professore.

« Decisamente. » confermò la bionda, sfoggiando un sorriso cordiale.

Il terzo, invece, allungò una mano verso il ragazzo, che gliela strinse.

« Ventisei. Continui così ed arriverà al trenta con la lode! » esclamò, poi.

Andrea abbozzò un sorriso e li ringraziò ma, prima di andarsene, il professore dai capelli neri lo fermò:

« Aspetti un attimo, Chiave. »

« Sì? Mi dica. » disse, una volta giratosi verso l'uomo, che gli porse dei fogli.

« Li aveva dimenticati qui due mesi fa. » e glieli consegnò.

« La ringrazio. Arrivederci. »

Uscì dall'edificio e guardò l'orologio: nove e cinque.

"Se mi sbrigo, posso fare un salto da mio zio." meditò, così si mise a correre, non accorgendosi che anche qualcun altro stava venendo nella sua stessa direzione, al medesimo passo.

Per l'appunto, si scontrarono: Andrea cadde sul sentiero spianato, e con lui i suoi documenti, mentre l'altra persona, che si rivelò essere una ragazza, finì in una pozzanghera.

« Hey, tu! Vuoi fare più attenzione!? » sbottò, più duro di quanto volesse essere.

« Fare attenzione io? Attento tu, piuttosto! Guarda dove mi hai fatta finire! » proruppe lei.

La sua voce era acuta - probabilmente perché era nervosa per qualcosa - e alterata. Però, aveva avvertito qualcosa di candido nel suo calibro, che non sapeva spiegarsi.

Lui rincarò la dose.

« Non è colpa mia se stavi correndo! »

Vide la ragazza rabbuiarsi.

« Da quel che mi risulta, anche tu stavi correndo! » gli rispondeva a tono.

« Ma sei stata tu a venirmi addosso! » insistette Andrea.

Lei si alzò, incavolata nera, afferrò i fogli che gli erano caduti e glieli gettò di sopra, senza spargerli per terra. Se ne andò alzando i tacchi, lasciandolo sbigottito dal suo comportamento.

Si levò in piedi.

« Che ragazza strana. » concluse, lievemente innervosito e infastidito, tornando sui suoi passi.

Suo zio era un meccanico e lavorava in un officina, luogo in cui Andrea era diretto.

Giunto lì, lo trovò subito davanti l'entrata - che a fine giornata lavorativa veniva chiusa dalle saracinesche - intento a mettere una gomma anteriore ad un'auto, più precisamente una Citroën bianca.

Aveva quarant'anni, non molto alto, capelli e occhi castani, barba corta, corpo muscoloso, ma un po' di ciccia sporgeva dalla sua maglietta smanicata bianca, dove si erano depositate delle macchie di olio.

Finito il suo operato, tirò fuori dalla tasca dei jeans strappati un fazzoletto di pezza e si asciugò il sudore.

« Ciao, zio! » lo salutò con un cenno di mano, venendogli incontro.

« Ciao, Andrea! » ricambiò, alzando il capo.

« Che bella! » fischiò Andrea, riferendosi alla macchina, osservandola e sfiorandola.

« Già! E guarda ... » lo zio indicò tutto il perimetro dell'auto che gli era stata data in custodia da riparare.

« Neanche un graffio! »

« Questo tizio devo proprio tenerci alla sua macchina. » constatò, rimirando la quattro ruote.

« In realtà, è una tizia. Il che ti fa rimanere scioccato ancora di più. » rise l'uomo, da sempre pienamente convinto che le donne non sapessero guidare. (Ma chi l'ha detta questa falsità, si può sapere?!)

« Deve essere un'eccezione, non credi? » ironizzò, con un sorriso di scherno.

« In effetti. Ma vedrai, qualche settimana e ci ritroveremo questa macchina con mezzo cofano rotto e le portiere tutte ammaccate. » continuarono a deridere la proprietaria.

« Peggio di un auto-scontro! » risero entrambi a crepapelle, mettendo istintivamente le mani sulla propria pancia, credendosi spiritosi.

« Comunque, com'è andato l'esame? » chiese lo zio, una volta riacquistata la serietà.

« Direi che è andata super bene! Mi hanno dato ventisei! » affermò orgoglioso, battendo un pugno sul petto.

« Complimenti! L'altra volta quanto avevi preso? » domandò, dimentico del precedente voto del ragazzo.

« Venti. » rispose, serio.

« Allora è un risultato più che buono! » sorrise, dandogli una pacca sulla schiena.

« Grazie, zio! » gli sorrise.

Andrea non era solito prendere bei voti, anche perché non aveva avuto un bel passato alle spalle ...

Il ventiseienne si offrì d'aiutare Carmelo, il quale accettò con piacere, affidandogli il compito di inserire due gomme posteriori ad un'altra macchina, mentre lui sostituiva la batteria della Citroën.

Posò cartella e documenti in un tavolo dell'officina e, dopo aver ottenuto gli utensili necessari, Andrea si mise all'opera.

Nonostante fosse impegnato nel cambio della gomma, non cessava di dare rapide sbirciate all'altra vettura.

Aveva sempre desiderato possedere una macchina grande come quella e lo incuriosiva anche conoscere la proprietaria. Pertanto, per saperne di più, domandò al parente:

« E dimmi, zio, è venuta oggi questa tizia della Citroën? »

Carmelo sbucò la testa oltre il cofano aperto.

« Come? Ah, no. Mi ha contattato su WhatsApp. » rispose distrattamente.

« Su WhatsApp? » ripeté, confuso.

« Quindi, è una cliente abitudinaria? »

Andrea sapeva che lo zio non dava mai il suo numero, se prima non instaurava una conversazione o un rapporto di amicizia con una persona.

« Beh, sì. Sono due anni che viene per farsi dare controllatine alla macchina. E alla fine ci siamo scambiati i numeri di telefono. Infatti, stamattina mi ha mandato un messaggio che diceva di venire a prendere la sua macchina. Ho chiamato un carro attrezzi e l'ho fatta portare alla mia officina. » raccontò in breve, riprendendo ciò che stava facendo.

« Ah, bene. E dimmi, com'è? » cercò ancora informazioni.

Il parente lo guardò, con un sorrisetto malizioso:

« Interessato, il ragazzo. Eh? » fece, divertito.

Il nipote volse lo sguardo altrove e si giustificò, brontolando, piccato:

« Dai, zio, smettila! Io lo dicevo per te! » esclamò, dimentico che lo zio aveva già una fidanzata.

« Io sono impegnato e tu lo sai. Infatti, dovrei essere da lei fra poco. Quindi ... » diede un'occhiata all'orologio

« Sbrighiamoci a chiudere. »

Così dicendo, proseguirono con i loro compiti, finché non ultimarono il tutto dieci minuti dopo.

Andrea e Carmelo andarono a lavarsi le mani nel piccolo e antiquato bagno dell'officina.
In quel lasso di tempo, il più giovane persistette sulla questione precedente.

« Comunque, zio, non hai ancora risposto alla mia domanda. »

Mentre spruzzava due volte il sapone liquido sulla mano destra e lo spalmava su ambedue, ricominciò a parlare:

« Non c'è molto da dire su di lei. È una ragazza molto carina, ha una ventina d'anni, di statura media e frequenta la tua stessa Università. »

Andrea passò le mani sotto il getto d'acqua e insistette con i suoi quesiti:

« E di carattere? »

Lo zio sbuffò, mentre lavava gli arti anche lui.

« È dolce, gentile, seria, simpatica, divertente ed è una brava ragazza. » disse, annoiato.

Il ragazzo percepì qualcosa di strano, dentro di sé, ascoltando la breve descrizione della tizia della Citroën, così l'aveva apostrofata.

Nella sua mente vagarono ambigui pensieri, come se potesse essere quella la ragazza giusta.

Ma mancava un tassello che aspettava che l'uomo gli dicesse ...

« C'è altro, zio? » formulò, come se sapesse che non avesse finito.

Il più grande portò l'indice e il pollice sul mento, massaggiandolo.

« Fammici pensare ... »

Nel frattempo, Andrea fremeva in sé, poiché voleva assolutamente sapere se fosse vero ciò che lui stesse pensando.

« Ah, sì! »

"L'illuminazione!" pensò scherzosamente il giovane.

« È credente. »

Ad Andrea luccicarono gli occhi e un sorriso comparve sul suo viso, mostrando i denti. Lo zio notò il cambiamento nella sua espressione facciale e lo fermò, prima che lui potesse formulare un solo pensiero di più:

« Prima di tutto, devi chiedere rivelazione a Dio. » anche lui era evangelico e frequentavano la medesima chiesa.

Andrea annuì.

« Sì, sì, lo so. Non ti preoccupare. » ammiccò e il parente alzò gli occhi al cielo.

« Cambierà mai questo ragazzo? » borbottò rassegnato e quel suo atteggiamento fece ridere il nipote.

Asciugò le mani con un asciugamano lì vicino e uscì dal bagno, dirigendosi verso il tavolino, dove aveva lasciato i suoi documenti.

Attendendo che lo zio si cambiasse e si desse pure una sciacquata, controllò quei fogli, sfogliandoli uno ad uno con la mano destra.

La sinistra, invece, era chiusa a pugno e vi aveva poggiato la guancia.

Mentre svolgeva quell'azione pigramente, si accorse che qualcosa non andava. Contò nuovamente i fogli numerati e dovette confermare ciò che aveva ipotizzato: mancava un appunto!

Cominciò a cercarlo per tutta l'officina, setacciandone ogni angolo, ma non lo trovò!

« Accidenti! » esclamò, a denti stretti, visibilmente inquieto.

In quell'istante, l'uomo tornò con addosso dei vestiti puliti, inebriante del profumo di bagnoschiuma al sandalo.
Vedendo il ragazzo in quello stato, gli chiese, perplesso:

« Hai perso qualcosa? » centrando in pieno la situazione.

« Sì. » rispose, mentre rovistava nelle tasche dei jeans.

« Ho perso un foglio importante. » spiegò, agitato.

« Hai già controllato l'officina? »

« Sì, dappertutto! »

« E se l'avessi perso per strada? » suppose Carmelo, nel tentativo di dargli una mano.

« Per strada, dici? »

Andrea chiuse gli occhi e indietreggiò con la memoria, nella speranza di ricordare dove avesse potuto perdere l'appunto d'esame.
Procedendo a ritroso, finalmente rammentò un passaggio importante della sua mattinata.

« E se ... » soffiò, pensieroso.

« E se ...? » gli fece eco lo zio, spazientito.

« Quella ragazza! » esclamò d'improvviso, battendo il pugno sul palmo della mano sinistra.

Quell'azione fece spaventare il parente al che emise un gridolino, balzò un po' all'indietro e mise una mano sul petto.

« Mi hai fatto venire un colpo! » affermò, fintamente stizzito.

« Dev'essere stato quando ... certo! » il ragazzo ignorò completamente Carmelo, troppo concentrato sul luogo dove avesse perso il suo foglio.

« Insomma, ti vuoi spiegare? Non ci sto capendo nulla! Quale ragazza? » domandò esasperato e alquanto disorientato, al limite della pazienza.

« Stamattina mi sono scontrato con una ragazza e mi sono volati i fogli che avevo in mano. » e indicò quei documenti.

« Lei me li ha presi e me li ha consegnati, gettandomeli di sopra. Con molta probabilità, uno di questi fogli è finito dentro la sua borsa, siccome ho visto che era aperta. » raccontò il ragazzo, irritato e impassibile, con le mani dentro le tasche.

« Sai almeno chi sia? » chiese, sperando di ricavare informazioni su chi fosse quella ragazza.

Andrea scosse la testa e alzò le spalle.

« Non ne ho la più pallida idea! L'ho vista oggi per la prima volta. » gli comunicò, riflettendo se, effettivamente, non l'avesse mai vista prima di quel giorno.

« Descrivimela. Forse, posso aiutarti. » gli propose.

Lo zio era sempre stato un tipo molto disponibile ad offrire il proprio aiuto.

« Ehm ... ricordo che non era molto alta, che aveva i capelli castano scuro ... e che aveva una borsa nera, un'O bag a manici bianchi con dei ghirigori, a cui aveva dimenticato di chiudere la cerniera. » disse, non rammentando altro.

L'uomo lo fissò con un'espressione mista tra lo scettico e il serio, una di quelle che lasciava trasparire un'unica frase: "Mi prendi in giro?"

Vedendo che quella sottospecie di smorfia non mutava, gli rivolse un'occhiata in tralice, accompagnata da un'inclinazione del capo, facendogli capire di non aver compreso ciò a cui lui volesse alludere con quello sguardo.

« Cioè, fammi capire ... » prese finalmente la parola lo zio.

« Hai descritto meglio la sua borsa che lei? Bah! Che strano maschio! » pigolò, scioccato dal comportamento del nipote.

« Non ti seguo, zio ... » ammise, confuso.

Carmelo inspirò ed espirò.

« In parole povere, dovevi guardare la ragazza, non la borsa! Che c'è? Ti interessano forse le borse da donna? Vuoi che per il tuo compleanno ti regali un'O bag nera? » fece sarcastico, categoricamente, con una vena di comicità che caratterizzava da sempre la sua indole.

« Zio, non fai ridere! » affermò serio, con le braccia incrociate al petto.

« Non era mica quello il mio intento. Era per farti capire che della descrizione della borsa non ce ne facciamo nulla. Piuttosto, sarebbe stato meglio se avessi esaminato un po' di più la ragazza. » espose la sua osservazione, che aveva un senso logico.

Zio Carmelo conosceva molto bene i suoi compaesani e quasi nessuno gli era sconosciuto.

Perciò, per lui, le descrizioni dettagliate di una determinata persona erano importanti per poterla riconoscere.

« Dobbiamo inventarci qualcos'altro. » continuò sempre lui, pensieroso, mentre si dirigeva verso l'uscita dell'officina.

Andrea lo seguì, prendendo i suoi documenti e controllando velocemente che non ne mancassero altri.

Lo zio abbassò le saracinesche e chiuse l'accesso con un lucchetto.

« Che ne pensi di chiamare la commissione d'esame? Magari sanno chi è. » propose.

« Magari! » trasalì il giovane, speranzoso.

« Sei un genio, zio! Li chiamo immediatamente! » fece entusiasta, tirando fuori il cellulare dalla tasca della giacca e digitando il numero.

~~~

Mattinata stancante per Simona ma, per sua fortuna, giunse al termine.

Tornata a casa, aveva mangiato e si era ricordata di dover buttare la spazzatura. Dopodiché, si era accasciata sulla poltrona e non aveva la benché minima intenzione di fare nulla, fuorché riposarsi.

Infatti, teneva gli occhi chiusi e non una piega era presente sul suo volto rasserenato.

Quella sua pace, purtroppo, venne interrotta dal vibrare del suo cellulare che si trovava sul tavolino di fronte a lei.

Aperto un occhio, sbuffò e gemette svogliata. Si costrinse ad afferrare l'apparecchio elettronico e a rispondere.

« Pronto? » la voce un po' impastata dal quasi sonno acquisito.

« Ciao, Simona. » era Abigail.

« Hey, Abi. Dimmi. » disse, sistemandosi - o meglio, accoccolandosi - sulla poltrona.

« Stavi dormendo? » le chiese.

Abigail e Simona vivevano nello stesso palazzo, ma in piani diversi; la prima al secondo piano e l'altra al terzo.

« Quasi. » rispose, abbassando le palpebre.

« Oh, scusami, non ti volevo disturbare-- »

« No, tranquilla. » la troncò, rassicurante.

« Okay. Comunque, il motivo per cui ti ho chiamato è questo: c'è un ragazzo che chiede di te, sotto. Ha detto che si chiama Andrea Chiave, se non sbaglio. » le annunciò, non nascondendo il suo tono dubbioso.

Lo stesso con cui Simona replicò, alzandosi e mettendosi sull'attenti:

« Andrea Chiave? E chi sarebbe? »






Angolo Autrice

Ciao a tutti! Come va?
Considerazioni su questo capitolo? Secondo voi che succederà nel prossimo? Simona troverà l'appunto di Andrea oppure no? Stiamo per entrare nel vivo della storia e ne vedremo delle belle (sperando che per voi lo siano! 😅)!
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla proxima.
Dio vi benedica.❤

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