21. Ancora
C'erano volte in cui la scelta di rimanere in una condizione di sospensione o di stand by era intrigante ed altre in cui era proprio da scartare, a causa dell'impossibilità dell'idea e dell'avvento della razionalità.
Come funghi, spuntavano dal nulla e riportavano alla realtà dei fatti.
Cercare di restare a galla era un'impresa ardua, specialmente se i problemi si facevano pesanti, con il solo scopo di affondare la barca.
Se poi aveva un'ancora leggera, fissa in fondo al mare, era un bel guaio: prima o dopo, l'avrebbe lasciata in balia delle onde e chissà se avrebbe mai raggiunto un porto sicuro o sarebbe colata a picco.
Bisognava sostituirla con una dal materiale più pesante.
E Simona conosceva qual era l'Ancora sicura per eccellenza.
Essere in attesa di qualcosa, in una condizione di mediana, dava un senso di apatia all'esistenza e privava gli occhi del bagliore della vitalità.
Aspettare che la qualunque venisse dal cielo, senza aver sfruttato alcuna fatica al raggiungimento del risultato, era inutile.
Ed esattamente come una barca in mezzo al mare, Simona impiegava tutta la sua buona volontà pur di non permettere ai suoi pensieri di farla sprofondare.
Pensieri che potevano benissimo essere paragonati a gocce di una pioggia ininterrotta che riempiva la barca, ossia la sua mente. Ma tutto dipendeva fino a quando avrebbe resisto l'ancora e quanto avrebbe sopportato.
Stava ponderando inconsciamente su quei ragionamenti, dal momento che si trovava per terra, a pancia in giù, in compagnia di Francesco, un bambino al quale stava facendo da babysitter a casa dei genitori di quest'ultimo.
C'era anche suo fratello gemello Damiano, seduto sul divano a mangiare un panino con la marmellata di albicocche.
La ragazza guardava il fanciullo colorare con i pastelli su un foglio di carta: di rosso una barchetta e di blu il mare.
Un disegno semplicissimo, ma che l'aveva fatta viaggiare approfonditamente nei meandri dell'anticamera del cervello.
Si ridestò solo quando l'altro bambino gli chiese un bicchiere d'acqua.
Subito, andò a prenderglielo in cucina e tornò in salone, consegnandoglielo; il piccolo la ringraziò e bevve.
I due gemellini avevano quattro anni ed erano uguali in tutto e per tutto: capelli e occhi marroni, corporatura esile ma nutrita, labbra carnose e fossette sugli zigomi.
L'unica cosa che permetteva di distinguerli, era una piccola voglia sulla mano sinistra di Francesco. Inoltre, lui era mancino, mentre Damiano scriveva con la destra.
Simona aveva composto una ship con i loro nomi: i gemelli "Damiesco", assicurandosi di aver inserito lo stesso numero di lettere per entrambi, dacché sapeva quanto fossero suscettibili e non intendeva fare disparità.
« Simona, mi accompagni in bagno? » formulò Francesco e lei annuì.
« Certo. »
Si recarono nel luogo detto e lo aiutò a fare quello che doveva fare, dopodiché gli fece lavare le mani.
La bruna si abbassò la sua larga felpa nera col cappuccio e si alzò i pantaloni, mettendo le dita tra i passanti della cintura del jeans, un tic per tenersi occupata.
Sciacquò anche lei gli arti e avanzò nuovamente verso il salotto, dove vide i due bambini litigare.
« Questo è il mio colore! Mi serve! » tirò da un lato Francesco.
« No! Hai finito di usarlo! Devo colorare il mio cielo! Dammelo! » ribatté Damiano, dando uno strattone per prendersi il pastello.
« Hey, ma che sta succedendo? »
Restando nelle loro posizioni, con i piedini ben piantati a terra, all'unisono esclamarono:
« Ha cominciato lui! »
"Un classico ..." commentò la giovane, alzando gli occhi al cielo.
« Francesco, perché non vuoi dare il blu a Damiano? » gli chiese, incrociando le braccia al petto.
« Perché a lui non serve! Lui i colori me li rompe! » affermò il mancino, scoccando un'occhiataccia al fratellino.
« Non è vero! » obiettò l'altro, facendogli la linguaccia.
« Invece sì! Li usi troppo forte! » replicò, tirando verso di sé e cercando di far perdere l'equilibrio al gemello.
« Va bene, adesso smettetela! » li rimbeccò, piegandosi sui talloni per separare le mani dal pastello.
Lo mostrò ad entrambi, tenendolo saldamente in un pugno, e si rivolse a Damiano:
« Prometti che non lo rompi? »
Il bimbo fece sì col capo.
« Tu glielo puoi prestare, Francesco? Solo per qualche minuto. » domandò all'altro, che acconsentì, seppur controvoglia e sbuffando.
Il suo gemello prese il colore e lo usò sotto la sorveglianza della babysitter, che nel frattempo faceva sedere il fratello su una sediolina del tavolino e, in modo tratteggiato, scrisse, in una pagina di quaderno, le lettere dell'alfabeto che avrebbe dovuto ricalcare.
Quando finì di usarlo, la ragazza prese il blu e lo diede a Francesco. Poi, continuò il compito di prima con entrambi.
Fece leggere loro un piccolo brano sul libro di italiano e successivamente preparò un frullato alla banana, con tanto di cannucce e scaglie di cioccolato.
Ne versò un po' anche nel suo bicchiere e lo trangugiò senza l'ausilio della cannuccia.
Dopo, mise i bicchieri nel lavandino e le cannucce nella spazzatura.
Si erano fatte circa le sei del pomeriggio ed era giunto il momento del riposino per i bambini.
Li accompagnò alla loro cameretta e li fece coricare nei propri lettini.
« Non possiamo dormire tutti e tre insieme, come l'altra volta? » propose Damiano, tenendo il polso della ragazza.
Guardò anche l'altro, che aveva manifestato la sua approvazione annuendo ripetutamente, con occhi luccicanti.
L'episodio al quale il piccolo stava alludendo, risaliva ad alcune settimane prima, quando, in un giorno temporalesco, tuoni e fulmini avevano spaventato i due fanciulli.
Non avendo intenzione di restare da soli per il pisolino pomeridiano, la ragazza si era escogitata un modo di rasserenarli, unendo i letti e dormendo assieme a loro.
Non si era assopita, in realtà, aveva solo aspettato che l'avessero fatto i bimbi, per poi andare a sistemare un po' in giro.
Tuttavia, non c'era un motivo preciso per cui i Damiesco la volessero vicino: avevano semplicemente espresso un desiderio, così aveva intuito la giovane e, seppur stranita dalla richiesta, accettò.
I bambini saltarono da fuori le coperte e, con gioia, abbracciarono la babysitter, che rise genuinamente.
La aiutarono a spostare il letto di Francesco e lo accostarono al secondo. Salirono a gattoni e si insinuarono sotto i piumoni, insistendo affinché Simona si mettesse al centro.
La convinsero a coprirsi e, una volta accontentati, la strinsero da un lato all'altro, mentre lei dava un bacio sulla testa a ciascuno.
Si addormentarono dopo diverse chiacchierate, ma la ragazza continuava ad essere avvinghiata tra le loro esili braccine.
Decise di attendere che prendessero sonno pieno e, nel frattempo, pensò.
Pensò alla sua condizione, ai tormenti che non accennavano ad andarsene, alla sua malattia, alla sua famiglia.
Constatò che la settimana dopo, a pranzo, sarebbero venuti per cucinare il riso con la zucca.
Viaggiò indietro con la memoria, ricordandosi di quella sera al supermercato con suo padre, la buona azione fatta alla signora e l'uscita con Andrea.
In quei giorni, non aveva fatto altro che scriverle e considerarla ogni volta in chiesa. Non perdeva occasione per salutarla o scambiare due chiacchiere.
Da una parte, le piaceva che la calcolasse - un modo come un altro per distrarsi dai suoi pensieri - dall'altra notava che, per i suoi gusti, diventava pressoché ... soffocante.
Sembrava che il suo obiettivo, la mattina appena sveglio, fosse quello di cercarla e parlarle.
Ci mancava solo che la invitasse per l'ennesima volta ad uscire con lui!
Le proponeva quasi in ogni chattata se le andasse di fare un'uscita insieme, anche solo per potersi vedere e ciarlare del più e del meno.
Lei l'aveva ringraziato e liquidato educatamente, inventandosi delle scuse convincenti, come l'Università o la sua famiglia.
Si accorse di essere rimasta parecchio tempo ad osservare il soffitto e decise di alzarsi cautamente e di sgattaiolare via.
Siffatto, lavò le stoviglie e mise ancora in ordine.
Doveva, voleva, tenersi occupata in qualche maniera.
Intorno alle otto della sera, rincasò il signor Oliveri, padre dei gemelli. La moglie era fuori per lavoro.
« Buonasera, Simona. » disse, non appena la vide, posando il giubbotto sul divano.
« Buonasera. » replicò cordialmente, sfoggiando un lieve sorriso.
« Si sono comportati bene i miei figli? » chiese, avvicinandosi a lei.
« Come due angioletti. » affermò, facendo ricadere le braccia sulla pancia e intrecciando le dita in una coppa.
« Mi fa piacere. Grazie, come sempre. Mia moglie in quest'ultimo periodo è costretta a viaggiare - impegni d'attrice. La vedo pochissimo e non ho proprio il tempo di occuparmi dei miei figli. Grazie davvero per il tempo che dedichi loro. » le riferì, porgendole la mano.
Ricambiò la stretta, sorridendo e ringraziandolo:
« È un piacere badare ai vostri figli! Quindi, tutta questa settimana sono da voi? »
Lui mise le mani nelle tasche dei pantaloni e annuì.
« Sì, se non ti dispiace. Tranne il sabato e la domenica che arriverà Bianca. Prendi i miei figli all'una da scuola e stai fino alle venti, come sempre. Ti darò la tua retribuzione venerdì sera. » le espose.
Aveva quarantadue anni, moro, occhi marroni e barba corta. Di mestiere faceva il poliziotto.
La signora, invece, aveva trentasei anni, i capelli castano chiaro e gli occhi dello stesso colore di quelli del marito.
« Va bene. A domani, signor Oliveri. » disse lei, dirigendosi verso l'attaccapanni per prendere il giubbotto.
« Quanta formalità! » la schernì bonariamente lui, girandosi nella sua direzione.
« Chiamami Alessandro, lo sai. Così come devi chiamare mia moglie Bianca, e non signora Angioino. »
Ridacchiò nervosamente, messa in imbarazzo, e riformulò il saluto.
« A domani, Alessandro. » e mise in spalla la borsa.
« Ora ci siamo! A domani, Simona. »
Aprì la porta e uscì.
Scese quattro gradini e si avviò verso la macchina.
Entrò e allacciò la cintura, ma nel momento in cui stava per far partire il motore, il suo cellulare vibrò.
Sperò che non fosse quella persona petulante che conosceva e tirò un sospiro quando appurò che si trattasse di una notifica di una promozione di un negozio di cosmetici.
Sgommò via, di ritorno al suo appartamento.
Arrivata alla sua meta e parcheggiata l'auto, aprì il portone e salì le scale, giungendo al suo piano e infilando le chiavi nella serratura della sua abitazione.
Varcò la soglia dell'uscio e chiuse la porta alle spalle. Indossò le ciabatte e posò sul suo letto il giubbotto e la borsa, per poi cambiarsi e vestire il suo morbido pigiama blu.
Andò in bagno e si struccò con le salviette imbevute, esaminandosi nell'istante in cui il mascara le si depositò sugli zigomi.
Si paragonò a un soldato che dipingeva due linee sulla sua faccia, proprio come si era soliti vedere nei film.
E le balenò un versetto della Bibbia che parlava esattamente di un soldato.
Si trovava nella seconda epistola a Timoteo, capitolo due, verso tre.
《Sopporta anche tu le sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù.》
Un sorriso amaro si impossessò delle sue labbra, nondimeno, era consapevole della veridicità di quelle parole.
Pensò a quello che aveva passato Gesù, cosa aveva dovuto sopportare e cosa aveva dovuto portare sulle Sue spalle: tutti i peccati del mondo.
Da quello più antico a quello più nuovo.
Considerò quanta forza e soprattutto quanto amore aveva avuto per lei e per l'umanità intera e guardò la sua pochezza in confronto a Lui.
Qualcuno avrebbe potuto affermare: "E beh? Lui era Dio, non Gli è venuto difficile!" ragionamento assolutamente errato.
Sulla terra, Lui era un uomo a tutti gli effetti. La cosa che Lo estraniò dal peccare, era il Suo continuo pregare, la Sua costante comunione con il Padre.
Ed essendo fatto di carne, provò ogni aspetto che contraddistingueva l'essere umano.
In tutto ciò, mai peccò, perché il Suo contatto con Dio era saldo.
Gesù aveva subito tanto, tantissimo, e aveva fatto innumerevoli cose in vita e successivamente alla morte, quando stette con i Suoi discepoli per altri giorni, e dopo essere asceso al cielo.
Disse:
《Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente》 (Matteo 28:20) e così è fino ad oggi.
Il Signore era con lei, era sempre stato con lei, e in quel momento le stava chiedendo di superare quella piccola prova.
Per la ragazza era enorme, ma realizzò che, rapportato a quello in cui era andato incontro Gesù, era nulla.
Si sentì talmente infima in quel frangente, ma nel suo cuore Lui la stava consolando.
"Non temere, figlia mia."
Si sciacquò il viso e delle lacrime sgorgarono dai suoi occhi.
« Hai sopportato veramente tanto per me, non sopporterò io qualcosa che per Te è una piccolezza e che per Te è già risolta? Sai cosa significa e so che mi sosterrai. Aiutami ad avere fede e a non cedere alle parole dell'avversario. So che mi starai accanto, Gesù. So che stai intercedendo per me. E so che hai tutto sotto il Tuo controllo. Aiutami, Gesù, a superare questa prova, perché sono sicura che vedrò il Sole oltre queste nuvole. Fa' che io non sia delusa, perché in Te confido. Nel Nome di Gesù, il Tuo Figliuolo, che Tu L'hai Benedetto e Consacrato in eterno. Amen. »
Si deterse la faccia con l'asciugamano, buttò le salviette sporche e si incamminò verso la cucina.
Preparò la cena, una semplice fettina di pollo panata e dell'insalata, pregò e mangiò, guardando un programma televisivo.
In seguito, sparecchiò e diede una sciacquata agli oggetti usati, posizionandoli nella lavastoviglie e attivandola.
Spense la televisione e si avviò nella sua camera.
Prese la Bibbia e la sfogliò, non sapendo che passo leggere.
L'occhio le cadde in Malachia al capitolo tre e cominciò la lettura.
Non poteva saperlo, ma lesse ciò che lo zio disse ad Andrea settimane prima, quando era indeciso sui suoi sentimenti verso la giovane e, poi, giunse ad una parte che la fece rimanere di stucco.
《Allora quelli che hanno timore del SIGNORE si sono parlati l'un l'altro;
il SIGNORE è stato attento e ha ascoltato;
un libro è stato scritto davanti a lui,
per conservare il ricordo di quelli che temono il SIGNORE
e rispettano il suo nome.
«Essi saranno, nel giorno che io preparo,
saranno la mia proprietà particolare»,
dice il SIGNORE degli eserciti;
«io li risparmierò,
come uno risparmia il figlio che lo serve.
Voi vedrete di nuovo la differenza
che c'è fra il giusto e l'empio,
fra colui che serve Dio
e colui che non lo serve.》
E sentì di proseguire per un pezzo del capitolo quattro, fino al verso tre:
《«Poiché, ecco, il giorno viene,
ardente come una fornace;
allora tutti i superbi e tutti i malfattori saranno come stoppia.
Il giorno che viene li incendierà»,
dice il SIGNORE degli eserciti,
«e non lascerà loro né radice né ramo.
Ma per voi che avete timore del mio nome
spunterà il sole della giustizia,
la guarigione sarà nelle sue ali;
voi uscirete e salterete, come vitelli fatti uscire dalla stalla.
Voi calpesterete gli empi,
che saranno come cenere
sotto la pianta dei vostri piedi,
nel giorno che io preparo»,
dice il SIGNORE degli eserciti.》
Semplicemente, pianse.
Senza riuscire a trattenere le lacrime.
Molte delle parole scritte, le aveva dette lei prima.
Si mise in ginocchio e il pianto si intensificò ancora e ancora.
Gesù le aveva compunto il cuore.
Perché quando Dio la toccava, le consolava l'anima, piangeva pregando.
Come se lei avesse avuto le ali per volare; come se avesse ritrovato ciò che le era stato rubato e non avesse avuto bisogno di nient'altro nella vita.
Non aveva una spiegazione quel sentimento.
Più forte di qualsiasi altra cosa umana.
L'amore di Dio.
~~~
Dicembre era arrivato in tutto il suo brio e la sua aria di feste.
Già dagli ultimi del mese precedente, i negozi avevano iniziato a sfoggiare addobbi natalizi: luci a intermittenza, alberi finti decorati in stile barocco, colori tipici del periodo e quant'altro si inventassero le persone.
Simona e la sua famiglia non festeggiavano il Natale, tuttavia era una ricorrenza utile per incontrarsi e passare del tempo assieme.
Emilia non sarebbe potuta venire a motivo dei suoi esami, mentre i loro genitori sarebbero ripartiti dopo capodanno.
La settimana di lavoro era stata pesante: aveva badato costantemente ai Damiesco e solo il venerdì sera aveva avuto un attimo di pace, siccome aveva fatto ritorno la signora Angioino.
Come promesso, Alessandro le aveva dato il suo salario.
Era domenica e la bruna si trovava in cucina con la madre, a preparare il pranzo; frattanto, il padre e Marco erano in salone a giocare alla PlayStation.
La ventitreenne, nonostante non sapesse neanche gestire i comandi dei joystick, la possedeva poiché la sorella aveva deciso di impartirle delle lezioni in merito, nel momento in cui avrebbe potuto fare una capatina da lei.
Era l'unica della famiglia a non saperci giocare - persino la madre era più brava!
Nondimeno, non le importava più di tanto, in quanto non trovava alcuna utilità in quelle perdite di tempo, come soleva definirle.
Un buon profumino si propagò dalla cucina e il fratellino e il papà non poterono fare a meno di inspirare ed espirare, leccandosi entrambi le labbra.
« Ho l'acquolina in bocca, mamma! Quando si mangia? » domandò il bambino, mettendosi sulle ginocchia e concentrandosi sullo schermo per battere Salvatore ad una gara automobilistica.
« Marcolino, hai mangiato un attimo fa le gallette di riso al cioccolato fondente! Com'è che hai sempre fame? »
Il figlio lo guardò un istante, in quanto la partita era finita e lui aveva perso, e gli rivolse un'occhiata scettica ed eloquente.
« Papino, io sono piccolo! Mamma dice che devo mangiare per crescere: quindi mangio! » gli riferì e il padre scoppiò a ridere, scegliendo la prossima pista sulla quale gareggiare.
« La sua logica non fa una piega! » esordì Simona dall'altra stanza, ridacchiando con Serena.
« Comunque, non è ancora pronto. Avete il tempo di farvi altre tre partite. » li avvisò la donna, mescolando, in una grande pentola, quella specie di vellutata di zucca con panna da cucina.
« Okay! » fecero in coro i due maschi.
La ragazza, invece, stava apparecchiando in modo distratto, per cui non sentì i ripetuti richiami della madre.
Mentre posava un bicchiere, la signora alzò la voce, facendola sobbalzare, e lo poggiò con forza sul tavolo.
Per fortuna, non si ruppe.
« Mi ascolti? È da mezz'ora che ti chiedo come stai! » sbottò, spazientita, esagerando sul tempo.
La figlia la fissò con occhi sbarrati e le labbra socchiuse, come se fosse stata colta in flagrante su un misfatto.
Il muscolo cardiaco le batteva forte in petto, a causa dello spavento.
Notando il suo sguardo stralunato e smarrito, al pari di un animale di fronte ai fari di un'auto, Serena le riservò un'occhiata preoccupata.
« Perché mi guardi così? Che cos'hai? »
Simona abbassò lo sguardo, sistemando una forchetta storta e un cucchiaio.
« Nu ... nulla, mamma. Ero solo ... s-solo sovrappensiero. »
« Anche troppo sovrappensiero! » esclamò la donna, battendo il mestolo sul bordo della pentola, per poi riporlo tra quella e il manico.
« Simona, dimmi cos'hai! Sono tua madre, lo capisco quando hai qualcosa! »
La giovane scosse la testa, sorridendo nervosamente.
Nelle volte in cui non voleva raccontare qualcosa, si metteva a ridere, senza un motivo apparente.
Le veniva spontaneo.
« Non ho niente, mamma. Sto bene. » disse, con quel briciolo di risolutezza che ancora teneva in corpo.
La madre sbuffò, portando le mani sui fianchi.
« Sai benissimo che non me ne andrò da qui finché non saprò cos'hai, vero? A costo di rimanere fino a sera! » fece retorica e in tono saccente.
« Tanto non ti dirò nulla, perché non ho niente! » esclamò, alterata, alzando di poco la voce.
« Non mangi, oggi! » la minacciò, ma l'altra non si fece intimidire e si mostrò alquanto insofferente alle sue parole.
« Poco male! Non mi farà male stare un po' a digiuno! » rispose per le rime.
Se nella vita reale fossero esistite le scintille tra due persone, come nei cartoni animati, si sarebbero alternate tra madre e figlia proprio in quel frangente.
« Ti ho vista parlare con Andrea, in questi giorni. Hai parlato con lui di quello che hai? » le chiese, avendola beccata - da una settimana a quella parte - a parlare con lui, dopo la chiesa.
La ventitreenne sgranò gli occhi, arretrando di un passo.
« Mamma, ma che ti salta in mente? Sono cose mie e non le dico a chicchessia! » esalò, con un movimento di mano da sinistra verso destra, partendo da metà busto.
« Io non sono chicchessia, sono tua madre! » tuonò, sentendosi offesa, sbattendo il pugno sul tavolo, e in salone venne seguita forte e chiara la loro discussione.
« È il caso di intervenire? » domandò il padre all'orecchio del figlio.
Quest'ultimo mise il gioco in pausa e guardò il padre, esponendogli il suo punto di vista.
« Tra femmine meglio non immischiarsi. Una volta, due mie compagne si sono tirate per i capelli e la maestra, anche se ha provato a dividerle, non ha potuto fare niente. Può succedere anche con mamma e Simo, papà? Secondo te, ora si tirano per i capelli? »
« No. » riferì subito Salvatore.
« Spero di no. »
Quello tra madre e figlia sembrava più un dibattito adolescenziale che un litigio.
Simona non capiva perché Serena volesse impicciarsi nei suoi affari, ormai che aveva superato la maggiore età, mentre l'altra non comprendeva il motivo del suo rifiuto di svelarle cosa avesse.
Ricordava come, ai tempi delle medie e delle superiori, la ventitreenne le raccontasse tutto ciò che accadeva e si apriva con lei.
Però, in quel momento, non capiva cosa la frenasse; e voleva scoprirlo.
« Perché non me lo vuoi dire? » ripeté per la milionesima volta, rimescolando il riso per timore che si attaccasse al fondo della pentola.
« Ma se non c'è nulla, cosa ti devo dire? Che mi è morto il gatto che non ho? » le rinfacciò, portandosi una mano sulla fronte, per poi passare la parte del palmo opposta alle dita su un occhio.
« Questo tic ce l'hai quando provi a trattenere le lacrime. Ti sei tradita da sola. »
Un colpo al cuore.
Un’osservazione più che acuta.
Una constatazione più che ovvia.
Colpita e affondata.
Aveva ragione.
Sua madre aveva sempre ragione.
Che fosse tipico delle madri?
Uno sbuffo frustrato e arreso le spiccò dalla bocca e il labbro le tremò.
Ma nel momento in cui stava per dirle finalmente cosa la affliggesse, il padre e Marco fecero il loro ingresso nella stanza e si turbarono nel vedere la ragazza con gli occhi lucidi.
Si percepì un'aria di tensione, che avvertì persino il bambino.
Prese la manica del maglione del padre e gli fece motto di abbassarsi per dirgli una cosa.
Gli mise la mano a coppa vicino l'orecchio e gli comunicò:
« Papà, forse veramente si sono tirate i capelli. »
« No ... no. » scosse il capo l'uomo, abbozzando un piccolo sorriso sghembo.
« Che farfugliate? Non avete fame? Su, è pronto! » irruppe la signora, prendendo la pentola dai manici e posandola a tavola.
I due maschi andarono in bagno a lavarsi le mani, mentre Simona si sciacquò il viso al lavello della cucina.
Una volta seduti, si presero per mano e il padre pregò.
Serena impiattò per tutti e iniziarono a mangiare in silenzio.
Un silenzio che durò all'incirca cinque minuti, poiché il fanciullo lo ruppe con una sua frase:
« Mamma, posso guardare i cartoni? »
La donna annuì.
« Va bene. »
« Prendo il telecomando. » si intromise la sorella, alzandosi e facendo stridere la sedia contro il pavimento.
Agguantò velocemente l'oggetto dal salone e accese la televisione, impostando i numeri di diversi canali per bambini.
Marco scelse un cartone animato e la ragazza poté tornare a mangiare il riso.
Nessuno proferì verbo, tranne quando Salvatore chiedeva che gli venisse passato un tovagliolo o la bottiglia d'acqua.
Finito il pranzo, il fratellino e il padre ricominciarono a giocare, mentre le due femmine sparecchiarono.
Posarono piatti, bicchieri e quant'altro nella lavastoviglie e la attivarono.
Poi tolsero la tovaglia e Simona si sporse dalla finestra per scotolarla; la piegò e la conservò in un cassetto della credenza.
La madre si sedette nuovamente al tavolo e, con un cenno di testa, le intimò di fare altrettanto.
Si accomodò sulla sedia vicino a lei e intrecciò le dite sul ripiano.
« Scusami per il tono che ho usato prima, tesoro. Non dovevo, però so che qualcosa non quadra. » le confessò, poggiandole una mano sulla schiena e sfregandola dolcemente su d'essa.
« Me lo vuoi dire? Magari possiamo risolverlo ... » insistette, stavolta più mestamente.
La figlia ingoiò a vuoto fiotti di saliva e chiuse per pochi secondi gli occhi.
Quando li riaprì, le disse, fissando un punto indefinito:
« Tu lo sai quanto ho sofferto per la mia malattia, da più piccola. Ci soffro tutt'ora, anche se davanti a me ho la promessa che mi è stata fatta da Dio. Ti ricordi quando stavo male per quello che mi dicevano, dandomi nomi di animali? Ecco, quei ricordi sono ritornati e io ... » scoppiò a piangere e la madre la abbracciò forte, avendo eziandio lei le lacrime agli occhi.
« Io non ce la ... non ce la faccio! Non riesco a superarli! Credevo fossero spariti, ma sono ancora incatenati nella mia mente! Io non ne posso più! Sono disposta a fare di tutto, mamma. Persino a ... per far smettere questo dolore ... mori-- »
Ma la donna la interruppe subito, avendo impressa un'immagine somigliante a quel momento, risalente agli anni di liceo della figlia.
« Non dirlo neanche per scherzo! Morirei io, piuttosto! » inveì, mettendole le mani sulle spalle.
« Non sto scherzando, mamma ... e anche quando mi prendevano in giro, ti ho detto questa cosa ... » le ricordò, asciugandosi le lacrime sull'estremità della manica destra della felpa.
« Lo so, tesoro. Ma ora siamo nel presente. Non hai più quelle persone attorno. Solo dei ricordi. E quelli che ti assillano, sono pensieri. Capisci? Non ci sono nella realtà dei fatti. Tu non li tocchi e non li vedi. Sono voci lontane, Simona. E anche se la malattia c'è ancora, tu sai benissimo la promessa che ti ha fatto il Signore. » la ricuorò, sorridendole e sfregandole le dita sulle braccia.
Le prese le mani tra le sue e, ancora una volta, le raccontò del giorno in cui venne sancita quella promessa.
Ancora.
« Quella sera, al culto, il pastore smise di parlare e si rivolse a me. "Tu, sorella, con la gonna blu." mi disse. E poi, continuò: "Il Signore ti dice che la tua causa Gli sta dinnanzi, sappiLo aspettare!" Ed era riferito alla tua malattia. Anche papà aveva sentito quello stesso verso da parte di Dio, qualche giorno prima. E poco prima di metterci a pregare con il pastore, alla fine del servizio, quando siamo andati vicino a lui, lui ha capito, o meglio, il Signore gli aveva rivelato che eri tu quella per la quale dovevamo pregare. »
Gli occhi le luccicarono di gioia, emozionata alla reminiscenza di ciò che esattamente quindici anni prima era accaduto.
Ogni sensazione riprese possesso di lei, e chiuse le palpebre per evitare di piangere.
« E ricordo ... come se un riflettore, in quel momento, illuminasse me, te e il pastore che ti imponeva le mani e pregava per te. Un fascio di luce ci aveva avvolti. Figlia mia, il Signore non si è dimenticato di te. Non l'ha mai fatto. Per Lui sei preziosissima. Nella Sua Parola ci chiama proprietà particolare. Non è meraviglioso? »
La ragazza annuì e sbigottì.
Quelle due parole le aveva lette lunedì sera. La madre non ne era a conoscenza, ma il Signore sì.
E, ancora una volta, aveva rimarcato a chi lei appartenesse.
Non aveva scordato la promessa che le aveva fatto Dio.
Ma, forse, i vari pensieri che le adombravano la mente, le avevano offuscato la rotta che stava seguendo.
Quello che il Signore le aveva dichiarato era sempre stato nella sua testa, solo che era stato sopraffatto da altre angosce.
Crucci erano piovuti all'interno della barca e l'ancora avrebbe ceduto a breve.
Doveva essere rimpiazzata con una nuova.
« Lasciati guidare da Lui. ChiediGli cosa devi fare. Pregheremo insieme, ma tu devi essere pronta a lasciare questi ricordi per avere la mente rinnovata. Devi arrenderti a Lui, Simona. LasciaGli spazio di operare, senza paura. Anzi, caccia via la paura nel Nome di Gesù Cristo! Credi tu che Dio può ogni cosa? Credi tu che a Dio niente - e ripeto - NIENTE è impossibile? Io lo credo! »
E, con ancora le lacrime agli occhi, asserì con il capo e abbracciò la madre.
« Sì ... sì, preghiamo! Io non ne posso più! Preghiamo, mamma! »
La donna chiamò il marito, che subito si apprestò a raggiungerle.
Gli spiegò la situazione e lui strinse a sé la figlia, comunicando a Marco di spegnere la televisione e di venire in cucina.
Il bambino fece come gli era stato ordinato e si unì al resto della famiglia.
Si inginocchiarono per terra e pregarono con insistenza e con tutta la forza di cui disponevano.
Al di là del fisico, Simona voleva essere guarita nei luoghi celesti: la mente umana.
E la battaglia sarebbe stata vinta, perché in quell'ora confessò al Signore la sua resa totale, lasciò che prendesse il suo peso e che divenisse Lui la sua ancora di salvezza.
Angolo Autrice
Buon pomeriggio! Come state? 😊❤
Che dire? Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Sono passaggi un po' delicati quelli di cui sto scrivendo e mi auguro di non risultare pesante o banale o incomprensibile.
Fatemi sapere cosa ne pensate! ❤
Alla proxima!
Dio vi benedica.❤
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